Se pensiamo a Filippo Volandri, la galleria delle immagini scolpite nella memoria è ricca e colorata. Viene in mente il rosso, come la terra battuta su cui ci ha regalato grandi match e maratone; la frustata del rovescio ad una mano, potente e precisa, spesso incontenibile; la grinta indomabile, “colpo” indispensabile a compensare quel servizio mai addomesticato. Ma l’istantanea più vivida resta quella del 10 maggio 2007, Centrale del Foro Italico: la vittoria su Roger Federer e il giro di campo a dare il “cinque” a tutto il pubblico, per una volta ostile al “divino” e pazzo di gioia per l’impresa dell’azzurro.
Filippo ha chiuso da un po’ la sua carriera da giocatore, con due vittorie ATP (St. Poelten e Palermo) e i tanti anni in cui ha tirato – in discreta solitudine… – il tennis azzurro maschile di vertice. Oggi è molto apprezzato come commentatore di Sky, tra telecronache ricche di spunti tecnici ed analisi dei colpi dopo gli incontri. Non tutti sanno che Volandri da quattro anni ricopre l’importante ruolo di Direttore tecnico del settore maschile della Federazione Italiana Tennis, con un lavoro continuo presso il centro di Tirrenia. Una struttura che in passato è stata assai discussa, ma che grazie al lavoro in profondità svolto per tanti anni ed ora alla visione di Filippo ha portato risultati importanti. Una svolta che raccontiamo insieme all’attuale direttore, che ringrazio per l’intervista concessa, molto utile a scoprire il percorso intrapreso e la filosofia che sostiene il progetto tecnico in corso.
Filippo, come ti sei imbarcato in quest’avventura, prestigiosa ma tutt’altro che facile?
“Il primo approccio è stato del Presidente Binaghi e del consiglio federale, in particolare Graziano Risi. Nel corso della mia ultima partecipazione da giocatore agli Internazionali BNL d’Italia, da una mia dichiarazione avevano capito che quella sarebbe stata la mia presenza finale al torneo. Mi fu chiesto cosa pensavo di fare “da grande”, una volta appesa la racchetta al chiodo, aprendo alla possibilità di affidarmi un ruolo di vertice nel settore tecnico. Era un periodo in cui di giocatori tra i primi 200 del mondo non ne avevamo moltissimi e il centro tecnico di Tirrenia non era esattamente al primo posto nei pensieri dei tennisti in attività, cosa questa che ho sempre ritenuto singolare… Ho riflettuto un po’, era uno stimolo incredibile perché sarei rimasto nel mio mondo e con un ruolo di prestigio, ma anche una bella sfida perché il momento non era dei migliori per il settore maschile, mentre le ragazze venivano da anni di grandi successi. Alla fine ho deciso di imbarcarmi in quest’avventura, molto stimolante, anche perché ho sempre amato le sfide e non le cose comode.
A posteriori, hai mai pensato …ma chi me l’ha fatto fare?
“No, perché mi sono preso i miei tempi, è stata una decisione ponderata. Ho studiato a fondo la situazione, sono stato molte giornate a Tirrenia a vedere come si svolgevano i raduni per capire realmente come andavano le cose. L’ambiente non mi era sconosciuto, perché negli ultimi due anni della carriera Pro mi sono allenato diverse volte al centro tecnico, ma se vedi le cose dalla prospettiva di tecnico o dirigente le valuti in un altro modo. Dopo la fase di studio mi sono reso conto che il potenziale era enorme, ma c’era moltissimo da fare. Ho deciso di sedermi ad un tavolo con lo staff federale, e programmare insieme con loro un percorso, degli obiettivi”.
Secondo la tua visione, quali erano gli aspetti indispensabili su cui lavorare, le cose assolutamente da cambiare rispetto alla situazione che hai trovato?
“Molte cose, partendo dall’obiettivo di inserire degli elementi giovani per rafforzare la rosa dei potenziali rappresentanti azzurri in Coppa Davis, visto che Seppi aveva passato i 30 anni e stava attraversando la fase più matura della carriera; a ruota anche Fognini sarebbe arrivato alla stessa condizione, considerando che a quell’epoca non avevamo i Berrettini, Sonego, Cecchinato… Poi di fondamentale importanza per arrivare al punto precedente era ricreare un movimento, ossia una quantità di giocatori nelle varie fasce del ranking: un buon numero di top 100, di top 150 e di top 200, una gruppo nutrito che trainasse tutto il sistema ed i giovani che si affacciavano. La mia responsabilità come direttore e di tutto il mio team riguarda la fascia che va dai 16 ai 24 anni, creare le migliori condizioni per avere giocatori di livello. Per questo abbiamo creato la squadra di collaboratori e tutto lo staff, che comprende tra gli altri Umberto Rianna, Claudio Galoppini e Stefano Barsacchi come responsabile della preparazione atletica, tecnico molto preparato che ha lavorato in passato con me, Francesca Schiavone ed stato anche responsabile della Federazione australiana nel periodo in cui ha vissuto a Melbourne. Con tutta la squadra abbiamo fissato gli obiettivi ed il programma di lavoro.
Una delle prime idee che abbiamo voluto portare avanti è stata la collaborazione con i team privati. Se abbiamo un giocatore di vertice, l’averlo aiutato a raggiungere il suo massimo è un risultato raggiunto. Nella visione della FIT l’obiettivo del settore tecnico è aiutare tutti i giocatori di tennis con potenziale a diventare buoni professionisti. Non è detto che se il giocatore non si allena a Tirrenia ma Roma o in qualsiasi altra struttura in Italia, noi come FIT non possiamo aiutarlo in qualche modo. Come Federazione si può sostenere un tennista dal punto di vista economico, tecnico, logistico, dare consigli e condividere metodi. L’obiettivo resta portare più giocatori possibili al professionismo, ossia tra i primi 200 del mondo. Non è una “caccia al merito” di chi ha creato il giocatore, ma dare supporto a coloro che hanno qualità e idee”.
La collaborazione tra FIT e privati è stata davvero una svolta, o sbaglio?
“Non si può dire che prima dell’ingresso mio e del nuovo team non ci fosse collaborazione tra settore tecnico federale e privati, ma molte strutture private non vedevano nella Federazione un organismo che potesse collaborare con loro, c’era un po’ di timore e titubanza. Abbiamo dovuto lavorare con tanti allenatori per rassicurarli sui nostri obiettivi e sulla volontà di collaborare per il bene dei giocatori”.
Quindi la svolta è stata soprattutto dal punto di vista concettuale: si lavora tutti insieme, ognuno con le proprie competenze, per portare avanti il sistema Italia e dare il massimo supporto possibile collaborando per il bene dei ragazzi, senza pensare ad obiettivi “di parte”
“Assolutamente, può sembrare una cosa banale, ma è proprio quel che ha fatto la differenza, si è intrapreso un dialogo che non funzionava e questo è stato decisivo a supportare in aspetti importanti vari giocatori che erano in un momento di crescita. Tornando agli obiettivi, in Berrettini e Sonego abbiamo visto quelli che per noi erano i potenziali più alti in quel momento, quattro anni fa. Giocavano allora i Futures da 15mila dollari, li abbiamo sostenuti mettendo a loro disposizione (e dei loro allenatori ) le nostre migliori risorse. Non è cambiato niente all’interno del rapporto tra giocatore e allenatore, ma noi come settore tecnico abbiamo dato loro supporto, sia al tennista che ai tecnici, entrando in collaborazione anche nella parte atletica. Faccio un esempio concreto di collaborazione che ha portato frutti. Non molti sanno che Berrettini lavora con Roberto Squadrone come preparatore atletico, che non lavorando solo con Matteo non può girare con lui per oltre trenta settimane all’anno. Qua siamo intervenuti: nelle settimane in cui Squadrone non può viaggiare, è un preparatore atletico di Tirrenia che segue Berrettini nei tornei e continua il lavoro di preparazione atletica di Matteo in giro per il mondo. Stessa cosa vale per Umberto Rianna, che molto spesso segue nei tornei Berrettini o Sonego (era nel box di Matteo all’US Open 2019 per esempio, come in diversi altri tornei) sostituendo o affiancando gli altri allenatori. Da quattro anni Umberto segue per la Federazione i nostri ragazzi dando il suo importante contributo”.
Si può dire quindi che avete fatto squadra…
“Esattamente, abbiamo formato e anzi cambiato l’idea di squadra. Abbiamo cercato di portare nel tennis, sport prettamente individuale, il concetto dell’utilità della squadra, non è stato affatto facile farlo passare. Inoltre, altro aspetto fondamentale, abbiano iniziato a lavorare con dei preparatori mentali, supervisionati da Lorenzo Beltrame, italiano che vive ad Orlando (Florida) da moltissimi anni. Beltrame ha una storia professionale molto importante, vanta collaborazioni con ben 17 n.1 del mondo o medagliati olimpici, è un vero “guru” della materia. Lui ed altri professionisti come Danilo De Gasperi e Nicola Favata ci hanno aiutato a lavorare dal punto di vista mentale e sul concetto vincente di squadra nel tennis. Questo ha fatto enorme differenza perché ha aiutato molto il lavoro di Vincenzo Santopadre e “Gipo” Arbino con Berrettini e Sonego, a crescere loro come tecnici e quindi i loro giocatori. Abbiamo avuto la fortuna di trovare persone preparate ed intelligenti come Santopadre e Arbino che si sono aperti al progetto, fidandosi e collaborando. Il rinnovato spirito di collaborazione con obiettivi chiari e metodi flessibili ha funzionato oltre ogni più rosea aspettativa, sia per i risultati raggiunti che per i tempi in cui sono arrivati. Matteo ha bruciato le tappe in modo clamoroso, nessuno si poteva immaginare di vederlo al Master ATP, ma anche Lorenzo è cresciuto moltissimo”.
I risultati, fortunatamente, sono arrivati molto in fretta
“Molto, infatti il pericolo in queste situazioni, quando i risultati arrivano velocemente, è quello di arrivare presto in alto, ma altrettanto rapidamente crollare indietro. Infatti è stato importante mantenere tutti con i piedi per terra e guardare ancor più avanti per dare continuità a questi risultati. Per fortuna questo non sta accadendo con i giocatori di vertice (ovviamente ci riferiamo allo status quo precedente al blocco dell’attività per colpa dell’emergenza del corona virus, ndr); e stiamo tenendo lo stesso profilo con Musetti, che da quasi tre anni si allena a Tirrenia cinque giorni a settimana con il suo maestro storico Simone Tartarini, insieme al quale stiamo portando avanti il progetto tecnico su Lorenzo. Stessa cosa per Zeppieri, che lavora spesso al centro tecnico con il suo coach Piero Melaranci e noi siamo a supporto del loro team. Tutto questo vale ancor più per il giovanissimo Luca Nardi, che si allena a Tirrenia dallo scorso ottobre con Claudio Galoppini, un membro importante della nostra squadra, ed è seguito dai preparatori atletici del centro tecnico. Ogni ragazzo svolge un lavoro dal punto di vista mentale con gli specialisti del centro”.
Stai disegnando un tennis molto complesso, evoluto rispetto a pochi anni fa
“Il tennis è cambiato molto negli ultimi anni, in modo particolare proprio nel periodo in cui io ho terminato l’attività Pro. Per emergere e restare al vertice non è sufficiente avere un coach ed un preparatore atletico, è importante il supporto di un preparatore mentale, e spesso gli allenatori sono più di uno a formare dei mini team. A questo si è aggiunto anche il supporto dei numeri, delle statistiche, perché la tattica sta diventando sempre più importante e per affinare la strategia e come si sta in campo è importante guardare ai numeri. I giocatori tirano sempre più forte, sono più alti, si ha meno tempo per pensare e si deve esser pronti a giocare un tennis percentuale, massimizzando ogni situazione. L’impatto dei numeri sul gioco, quando li sai ben interpretare, può esser quasi “sconvolgente”. Un esempio? Immaginate quanti punti vince Nadal in un anno, come percentuale totale di quelli giocati. Andando a naso, si potrebbe ipotizzare che un campione come lui vinca un 70% dei punti giocati. In realtà vince tra il 53 e il 54% dei punti… Djokovic tra il 54% e il 56%, più o meno le stesse percentuali di Federer. Questo ti fa riflettere sull’importanza del singolo punto, di come i migliori riescano a vincere i punti che contano, e per questo studiamo sul campo “come” li vincono”.
Quest’ultimo tema è estremamente interessante, e merita un prossimo approfondimento, con la seconda parte dell’intervista a Filippo.
Marco Mazzoni