“Chi desidera vedere l’arcobaleno, deve imparare ad amare la pioggia”. Chissà se Matteo Berrettini, amante delle letture di qualità, si è imbattuto in questa bella frase di Paulo Coelho pensando all’ennesimo diluvio affrontato nel suo travagliato 2022… Una pioggia improvvisa, violenta, battente, nessun ombrello o Anorak ti può riparare a dovere. Devi solo aspettare che passi la tempesta, per ripartire ancora una volta. Cercando di scacciare i mille pensieri negativi che tornano, anche se la ferita dentro sanguina copiosamente. Cercando di tornare in palestra e in campo ancor più motivato e “affamato” di rivincita, nonostante tutto.
Parlare del 2022 di Berrettini è esercizio difficile e doloroso. Si sperava che dopo un bellissimo e altrettanto travagliato 2021, Matteo avesse chiuso il conto con la sfortuna, o almeno che peggio non potesse andare. Sbagliato. La stagione precedente era stata un incredibile otto volante, iniziata con un infortunio, proseguita con una crescita impetuosa culminata con la finale a Wimbledon, sino alla chiusura da incubo, il “crack” muscolare in campo alle ATP Finals di Torino. Quella da poco conclusa è stata persino più sfortunata. L’azzurro ha giocato solo 44 partite, saltando tre mesi in primavera (tutta la stagione su terra in Europa) per un’operazione alla mano, rinunciano last-second a Wimbledon per il Covid, giocando con un problema al piede in autunno, perdendo la possibilità di dare il suo meglio in condizioni indoor e nella finale di Davis. Peggio di così, davvero, non poteva andare.
Per questo analizzare la sua stagione 2022 è quasi impossibile. Resta l’enorme rammarico per quello che avrebbe potuto essere, e non è stato. La dimostrazione l’abbiamo dall’Australian Open: nonostante le difficoltà, Matteo ha giocato soffrendo, lottando, vincendo, scrivendo l’ennesima pagina storica per il nostro tennis. Sarà stato sì e no al 60% del suo potenziale, ma non si è mai dato per vinto. Ha stretto i denti nei primi due match; al terzo turno ha battuto lo scatenato Alcaraz al super tiebreak del quinto set, mostrando attributi e freddezza da campione vero. Un successo che l’ha portato a dominare Carreno Busta e quindi sconfiggere Monfils, un’altra battaglia di cinque set. È approdato in semifinale, primo italiano nella storia tra i migliori quattro nello Slam a noi più ostico. Ha lottato anche contro Nadal, ma il tennis del formidabile mancino resterà sempre troppo complicato per le debolezze tecniche del romano.
Quando inizi una stagione così, riuscendo ad ottenere un risultato incredibile senza essere nemmeno al meglio, pensi che la strada sia assolutamente in discesa. Purtroppo il destino si è messo di nuovo di traverso e ha gustato un anno che poteva diventare divino. Matteo ha scelto di giocare a Rio per conoscere il paese dell’amatissima nonna. Quarti di finale, Alcaraz sul “rosso” si è preso la rivincita. Niente di male, ci sta. Si vola in Messico, nella splendida Acapulco. Ma il suo torneo non è affatto radioso come l’incantevole baia sul Pacifico. Un problema lo forza al ritiro contro Paul. Niente di grave, dice lui, ma l’allarme rosso è già scattato. A Indian Wells contro Kecmanovic (un ottimo Kecmanovic) lotta, vince il secondo set al tiebreak, ma alla fine perde il match con alcuni errori non da lui. La settimana dopo c’è il secondo Masters 1000 statunitense a Miami, ma Matteo si ritira per un altro fastidio, stavolta alla mano destra. Dopo qualche giorno, i milioni di appassionati che lo seguono sui social restano impietriti vedendo sul suo profilo Instagram una foto sorridente, …scattata dal letto dell’ospedale. Si è operato alla mano. Tempi di recupero incerti. Sceglierà di saltare, a malincuore, tutta la stagione su terra battuta, Roma e Parigi inclusi. Troppo importante recuperare e non affrettare i tempi del rientro. C’è da difendere una finale a Wimbledon. Tanti punti. Ancora non sa che per la (sciagurata) decisione di Londra di non accettare i tennisti russi e bielorussi, ai Championships non verrano assegnati punti ATP e che quindi il suo prezioso bottino 2021 è già perso.
Quel che nella pausa non si è fortunatamente smarrito è il suo tennis. Rientrato sull’erba di Stoccarda senza grandi aspettative, solo ritrovare il giusto feeling con il match, Matteo è imbattibile. Il servizio è già in grande spolvero, il diritto ci mette ben poco a ritrovare potenza e precisione. Anche la risposta è ficcante, entra nella palla con ottimo timing, e il rovescio in back funziona a meraviglia. Attacca la rete col classico approccio, chiude in sicurezza. Berrettini vince di slancio in Germania e difende il titolo al Queen’s. Solo vittorie per lui sui prati. Arriva a Wimbledon, ha il privilegio di calcare in allenamento il Centre Court con Rafa, altra perla indimenticabile – finora solo al campione in carica era concesso di inaugurare l’erba vergine del campo più iconico della disciplina. C’è fermento, Berrettini non più l’underdog col sorriso che uccide le suddite della Regina, è il secondo favorito del torneo alle spalle di Djokovic. Doccia fredda. È positivo al Covid. Non può giocare. Nuova mazzata che solo lui, con quelle spalle granitiche, può sopportare.
Difficilissimo ripartire, ancora una volta, dopo la solita sfortuna pazzesca che continua a perseguitarlo, e qua non si parla nemmeno di infortuni, di preparazione, di qualche squilibrio tecnico che aggrava un fisico di cristallo. Questa è solo sfiga atavica. Sceglie di rientrare sul rosso di Gstaad, e pur giocando con poco ritmo si issa in finale, dove cede in tre set a Ruud. Questi continui stop and go li soffre, Berrettini per il suo fisico ha bisogno di continuità, ha bisogno di prendere ritmo e macinare match per affinare la condizione. Lo si vede volando in nord America. Gioca male, senza ritmo e buone sensazioni, i due 1000 (Canada e Cincinnati) rimediando due sconfitte immediate. Arriva a New York tutt’altro che in fiducia, e non gioca affatto il suo miglior tennis. Ma nei grandi tornei, Berrettini da campione trova il modo di superare momenti no e diventare tosto da battere. Soffre terribilmente negli ottavi contro Davidovich-Fokina, nei quarti c’è Ruud. Qua Matteo gioca forse la peggior partita del suo anno: Casper è in condizione eccezionale (farà finale, poteva diventare n.1 al mondo in caso di vittoria su Alcaraz), ma non si ha mai la sensazione che quel giorno l’azzurro potesse vincere. Le gambe non vanno, il servizio non fa la differenza, niente funziona. Sconfitta netta, poco da dire.
Torna in Italia, a Bologna è tempo di Davis e Matteo c’è. Tre partite, tre vittorie convincenti. Si diverte in Laver Cup, nell’addio a Federer, quindi approda a Firenze, città del suo amato nonno. È accolto come un Re: Palazzo Vecchio, onorificenze, presenza allo stadio per la “sua” Fiorentina (anche se perderà contro l’Inter un match al cardiopalma). Purtroppo la sua presenza al nuovo ATP toscano dura solo un incontro, perso male contro Carballes Baena. Lui non accampa scuse, ma si vede che non è al meglio. Sapremo poi che un piede non va, lo tormenta. Lo vedremo benissimo a Napoli, dove continua a stringere i denti e vola in finale, dove un Musetti scatenato lo batte in due set, ma il romano era a malapena in grado di camminare, figuriamoci giocare il suo miglior tennis.
Come è finita la sua stagione è storia troppo recente, e – tanto per cambiare – dolorosa. Assurdo criticarlo per aver giocato il doppio decisivo in Davis. Non c’erano alternative. Matteo accettando di giocare si è preso un grande rischio, con tutto da perdere. L’ha fatto perché è uno che non si tira mai indietro, ha il senso della squadra e della responsabilità. Ha perso ma ha dato quel che poteva. Purtroppo, come nel 2021, la sua stagione si è chiusa male, con una sconfitta immeritata.
Dispiace terribilmente ritrovarsi a fare un bilancio stagionale così travagliato per un campione e splendida persona come Berrettini. Meriterebbe ben altro, poter esaltare il pubblico con il suo tennis così ricco di potenza e adrenalina senza continui infortuni e problemi. Per fortuna il nostro Matteo-nazionale ha spalle belle larghe, ha un vissuto importante costruito superando mille problemi fisici. Difficoltà che hanno forgiato il suo carattere e amplificato la voglia di rivalsa. E di vincere. “Sono fragile, non posso cambiare i miei geni ma posso lavorare per rafforzarmi e fare tutto il possibile per non infortunarmi” confessava Matteo in un’intervista. “Questo mi ha portato ad affrontarli con un altro spirito. Prima quando arrivava l’infortunio la prendevo male, mi deprimevo, ora no. Accuso il ‘colpo’ sul momento ma dopo qualche ora già sono mentalmente pronto a ripartire e lavorare per tornare ancora più forte. Cerco di analizzare quel che ho fatto e capire se qualcosa non l’ho fatto bene ed è stato questo che ha provocato l’infortunio. Alla fine è una realtà con la quale devo convivere”.
“Nel mezzo delle difficoltà nascono le opportunità”, così diceva Albert Einstein. L’augurio a Berrettini per le feste natalizie ormai alle porte e per il suo 2023 è quello di aver trovato la chiave per preservare al massimo il suo fisico. Non sarà mai un tennista da 80 partite stagionali, ma se riuscirà a restare sano nelle fasi importanti dell’anno ci farà divertire e potrà lottare per ottenere i risultati che merita. Berrettini è sceso in classifica, ma il suo tennis vale la top10 e soprattutto è competitivo per alzare i tornei più importanti. Anche gli Slam. Impossibile dare un voto “vero” a un’annata così storta. Ma con la storica semifinale a Melbourne, i due tornei vinti su erba e altri buoni risultati (finale a Gstaad e Napoli), quando è riuscito a giocare ha confermato di essere un grande tennista.
Forza Matteo!
Voto per il tribolato 2022 di Matteo Berrettini: 7
Marco Mazzoni