Di Roberto Zucca
La notizia del suo addio al volley è stata una doccia gelata per coloro che non credevano che Fabio Fanuli avrebbe appeso le ginocchiere al chiodo per dedicarsi ad una nuova vita (sarà assistente allenatore in Serie A2, alla Conad Reggio Emilia). Ed è stata seguita da un bagno di affetto, meritato e scontato, perché Fanuli ha lasciato ovunque il ricordo di un atleta onesto, educato, che vuole molto bene alla pallavolo:
“In realtà questo bagno di affetto non me lo aspettavo, o almeno non così potente. Ero fuori casa quella domenica, e postando il mio messaggio mi sono tornate indietro delle parole molto belle da parte di molti compagni di squadra e amici che ho incontrato sulla mia strada“.
Le più toccanti?
“Per due ragioni diverse le cito in primis Matteo Paris, che ha postato delle foto e un messaggio molto bello. Matteo mi conosce, io non sono così pubblico nelle attribuzioni di stima, e infatti ci siamo scritti in privato, ma mi ha lanciato un tale affetto con quel messaggio da lasciarmi spiazzato. È un compagno di squadra che ho conosciuto negli anni di Piacenza e si è dimostrato da subito leale e sempre disponibile. Poi le cito le parole di Adriano Paolucci, che invece mi ha scritto che la pallavolo non mi ha restituito ciò che io ho dato in pari misura. Le sue parole mi hanno fatto molto riflettere“.
Posso essere d’accordo con Paolucci?
“Mah, io credo di aver fatto tutto ciò che la pallavolo mi ha concesso di fare e non l’ho mai fatto pensando a cosa mi sarebbe tornato indietro. Quando ho capito che non potevo più dare tutto me stesso a questo sport ho scelto di lasciare. Con la massima stima per alcune persone meravigliose che ho incontrato in questo ambiente e con la convinzione di aver fatto il mio“.
Cosa è cambiato nella pallavolo di oggi, Fanuli?
“Arrivo da una vecchia scuola, quella in cui in palestra si arrivava senza cellulare, con le proprie scarpe, e si pensava a giocare e a spaccarsi in quattro in campo, non per diventare una star. Adesso si arriva in palestra spesso con il cellulare per immortalare le scarpe o gli sponsor e si pensa molto al contorno che questo sport offre“.
Insomma, c’è una corsa all’essere dei personaggi, non delle persone.
“In questo momento, guardando i social, i ragazzi vedono più la parte patinata e tralasciano il fatto che i grandi campioni sono tali perché, per arrivare a quel punto, hanno fatto grandi sacrifici, e continuano a farli“.
Mi dica cosa c’è nel suo futuro.
“Rimanere nel mondo dello sport, questo ci tengo a sottolinearlo. Vorrei insegnare, ed entrerò nelle graduatorie per la scuola alla fine di un master che sto completando, e che ora mi prendo il tempo per finire e per godermelo un po’. Ho una famiglia, che è composta da Elisa e da mio figlio Filippo Maria e poi ho tanti piccoli progetti nel mondo della pallavolo che sono in fase di definizione“.
Uno noto è l’Eco Fun Camp che svolge con Simone Buti.
“Simone è un amico, e lavorerò con lui anche nei prossimi anni. Il camp è un’esperienza fondamentale perché ti dà la possibilità di incontrare tanti ragazzi a cui insegnare o tentare di insegnare ciò che tu hai imparato sul campo. Ciò che ti ritorna indietro sono spesso parole bellissime. Alcune penso di non meritarmele alle volte. Un ragazzo, ad esempio, riprendendo un mio post mi ha scritto che rimarrò sempre il suo maestro di sport e di vita. Sono parole forti, emozionanti. Io poi sono uno che su queste cose si ferma a riflettere a mente fredda“.
Lei è stato, negli ultimi anni, uno di quelli che ha fatto capire la distanza tra comunicare ed essere social. Penso ad alcuni suoi messaggi su eventi storici o riflessioni sull’arte e la musica.
“Trovo che sia importante scegliere ciò che ci si sente di essere anche sui social network. Io sono quella persona che legge, magari più attento a postare un messaggio su Lucio Dalla che a parlare di cose frivole o a taggare il brand dello sponsor. È una scelta. Rispetto tutti. Cerco solo di focalizzarmi su ciò che voglio comunicare fuori dal campo“.
Molti la ricordano per il periodo di Perugia.
“È stato un triennio magico. Magico perché si ricordano tutti il fatto che all’inizio in quella squadra eravamo in parecchi delle facce semi-sconosciute e nessuno all’inizio scommetteva su di noi. Era una squadra suddivisa tra gli italiani e i serbi come provenienza, che si è trovata ad amalgamarsi e ad arrivare alla finale scudetto. Una squadra di amici, che è diventata simpatica alla città di Perugia e nella quale poi sono emersi dei grandi campioni. Uno per tutti, è stato Atanasjevic. Ci siamo molto divertiti, e siamo cresciuti assieme quell’anno. Molte amicizie di quel periodo mi è capitato di portarmele dietro“.
Anche Milano è stato un bel periodo?
“Anche quello. Tra la pazzia di Averill, la calma e la serenità di compagni come Daldello e l’amicizia e la saggezza di Matteo Piano“.
Ha chiuso con Piacenza.
“Sono arrivato nell’anno dell’A2. Una società nuova, in cui abbiamo subito centrato gli obiettivi, vincendo la Coppa Italia e ottenendo la promozione in Superlega, ridando prestigio a una piazza che stava per scomparire. Un ringraziamento mi sembra doveroso farlo a tutta la Gas Sales, che mi ha permesso di fare la Superlega a 36 anni, concedendomi il privilegio di chiudere la mia carriera nella massima categoria“.
Chiudiamo con un pensiero personale. È stato un atleta molto ben voluto, lo ammetta.
“La ringrazio e penso di aver trovato delle persone speciali. Anche io ho voluto molto bene alla pallavolo. E spero che questa sia una storia che proseguirà, magari da qualche altra parte del campo“.