27 gennaio 1991. Esattamente trenta anni fa, sul centrale di Melbourne, Boris Becker è ad un passo dal vincere gli Australian Open. Al di là della rete Ivan Lendl, campione in carica. Il ceco serve per allungare il match, sotto 5-4 nel quarto set, in svantaggio due set a uno.
Lendl è partito forte, con servizi precisi e diritti violenti ha vinto di slancio il primo parziale con un perentorio 6-1. Boris non si scompone, entra in partita col servizio trovando grande velocitàanche in risposta e nelle proiezioni a rete, sfidando il passante di Lendl. La prima micidiale del tedesco entra in ritmo, toglie certezze alla risposta di Ivan, che inizia a sbagliare di più.
Becker sale in cattedra, vince secondo e terzo set 6-4. Siamo al momento decisivo, ad un passo dal successo, avanti 5-4 ma in risposta. Boris è un concentrato esplosivo di energia, l’occhio è quello “killer” di chi sente il profumo della vittoria, pronto a tutto per afferrarla. Risponde bene il tedesco, Lendl avverte la tensione e tira lungo un diritto di scambio, tradito dal colpo che l’ha reso leggendario. 0-15. Arriva un’altra risposta precisa di Boris, al centro, ma non così insidiosa. Ivan è lento nell’uscire dal movimento di servizio, la sua palla muore in rete perché trattiene il braccio, pagando tutta la tensione del momento. 0-30. Lendl guarda infuriato le sue corde, sfubba stizzito, mentre il pubblico è tutto in piedi. La iconica routine al servizio del ceco è ancor più meccanica del solito, come se fosse svuotato, consapevole dell’imminente sconfitta. La prima di servizio muore in rete; la seconda è lenta, prevedibile, addirittura sul diritto “bomba” di Becker, che ovviamente non si fa pregare. Con un balzo felino in avanti aggredisce quella palla scaraventando una risposta lungo linea d’attacco purissima, che muore all’incrocio delle righe; Lendl rimanda la palla come può, ma Boris scarica tutta la sua potenza in uno smash che catapulta la palla sugli spalti. 0-40, tre Championship point!
Fu il pugno Boris mentre si avvia in risposta, divora con gli occhi le corde della sua racchetta, sistemandole a puntino per giocare la palla più importante del torneo, una delle più importanti della sua carriera. Becker prova un chip and charge d’attacco, già dalla risposta, sul rovescio del rivale, che stavolta scende bene sulle ginocchia e scaraventa un passante cross imprendibile. 15-40, secondo match point. Niente prima di servizio… E ancora la seconda sfida il diritto di Boris che di nuovo rischia una risposta a tutta in lungo linea. L’impatto è perfetto, la palla fila via retta e velocissima. Imprendibile. Game Set Match Becker! Getta in tribuna la racchetta Boris (cimelio incredibile per un incredulo barbuto spettatore), salta a braccia alzate correndo verso la rete. Esulta (moderatamente) nel suo box anche Bob Brett, bravissimo coach recentemente scomparso. I due finalisti si stringono la mano freddamente, non corre esattamente buon sangue… ma è solo un dettaglio. Becker torna in mezzo al campo, salta impazzito di gioia indicando 1 col dito indice. 1° titolo “down under” e futuro n.1. Quindi corre nel tunnel per andare in tribuna, ad abbacciare il suo box.
30 anni fa Becker non solo vinse il suo primo Australian Open e quinto titolo dello Slam in carriera, ma soprattutto coronò il sogno di diventare all’indomani (28 gennaio) n.1 nella classifica mondiale, scalzando l’eterno rivale Stefan Edberg. La gioia durerà solo poche settimane, ma quel torneo resterà uno dei più belli e intensi giocati dal campione tedesco. E pensare che in tutto quell’Australian Open l’avversario più tosto sulla sua strada verso il successo fu al terzo turno il nostro Omar Camporese, bravissimo a lottare alla pari fino al 14-12 al quinto. Un pericolo scampato che mise il turbo a Becker, poi inarrestabile.
Dopo quel successo, Boris festeggiò in modo assai originale. Dopo la premiazione di rito, scomparve per un po’. No, nessun “tuffo nello Yarra” (quello sarà il marchio di fabbrica di Jim Courier l’anno seguente), se ne andò semplicimente a correre da solo negli angoli più remoti di Melbourne Park. “Volevo assaporare ogni attimo di quella giornata, farlo da solo fu il modo più bello. Solo io e la sensazione unica che ti fornisce un grande successo insieme all’esser diventato n.1 in classifica. Tanti anni di sacrifici con in mente l’obiettivo di essere il migliore. C’ero riuscito”. E c’era riuscito giocando un tennis straordinario per qualità, coraggio e spettacolo regalato al pubblico. Che bei ricordi…
Marco Mazzoni