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    Cervara: “Medvedev ha recuperato dal Covid e lavorato bene una settimana”

    Gilles Cervara con Daniil Medvedev

    Il coach di Daniil Medvedev, Gilles Cervara, ha parlato a Tennismajors delle condizioni del suo pupillo. Costretto al forfait appena prima del Masters 1000 di Monte Carlo, dopo aver scoperto di esser positivo al virus, Daniil è tornato negativo e soprattutto ha già ripreso gli allenamenti in campo presso l’accademia di Mouratoglou in Costa Azzurra, a due passi dalla sua residenza.
    “Ha potuto lavorare per una buona settimana. I primi giorni abbiamo tenuto d’occhio la reazione del suo cuore allo sforzo, la reazione dei suoi polmoni, siamo stati molto attenti alle sue sensazioni, per controllare che non avesse mal di testa, difficoltà nello sforzo, affaticamento eccessivo, ecc. Non si riprende dall’oggi al domani dopo una settimana di ferie, soprattutto dopo aver contratto un virus ancora poco conosciuto”.
    “È ancora molto presto per sapere a che punto è. Dipenderà dalla prima partita, poi dalla seconda… Ciò che conta in queste settimane di lavoro è la capacità di avere un filo conduttore tra il contenuto delle partite e il lavoro che ci permetta di andare verso gli obiettivi fissati. Siamo in questa ricerca”.
    Il rapporto tra Medvedev e la terra rossa è piuttosto complicato… “Il programma è giocare Madrid e Roma. Questi tornei ci permetteranno di valutare le condizioni e decidere che strada prendere poco prima del Roland Garros. Per i nostri allenamenti ed eventualmente per giocare un altro torneo se fosse necessario. Daniil ha molti margini di miglioramento sulla terra battuta, lo dimostra il fatto che non ha mai vinto una partita al Roland Garros. A volte ci scherza sopra, il che è positivo per non lasciare che la pressione lo prenda, ma io adesso non ho più voglia di scherzare molto su questo tema, è ora di iniziare a vincere partite anche lì”.
    Chiedono a Cervara se Medvedev ha qualche difficoltà ad affrontare le altissime aspettative nel ritrovarsi al n.2 o 3 del mondo, di fatto appena dietro al dominatore Djokovic, che l’ha sconfitto “brutalmente” nella scorsa finale degli Australian Open. Il coach risponde così: “Solo lui può rispondere a questa domanda, ma non ho davvero la sensazione di pensieri negativi o difficoltà in quel senso. Che abbia pensieri del genere è possibile, con lo status che ha raggiunto è normale che si pensi che lui possa vincere i tornei a cui partecipa. Questa convinzione richiede un’abilità speciale e non sono molti gli atleti che sono riusciti a gestirsi per reggere quelle aspettative. Daniil è lì, in alto, ma chiaramente non ancora sulla terra. Deve ancora fare tanti passi in avanti, gli stessi che ha fatto per arrivare a questo livello sul cemento e indoor. Questa convinzione è qualcosa di “fresco”, risale a quest’inverno, quando ha giocato davvero alla grande (ricordiamo il bellissimo finale di 2020, con vittorie a Bery, alle Finals ATP e quindi alla ATP Cup sino alla finale degli Australian Open, ndr). Adesso ha bisogno di rafforzare la sua convinzione, è un equilibrio instabile, ed è esattamente questo che tiene i migliori pronti a scattare per vincere”.
    Anche se non avesse contratto il Covid, pensare a Medvedev tra i favoriti sul rosso sarebbe stato azzardato. Come ben sottolineato dal suo allenatore, Daniil ha tutto da dimostrare sulla terra. La sua situazione è particolare: è il “re” del tennis tattico, quindi in teoria la sua ragnatela di palle lente-veloci, alte-basse, difesa-attacco potrebbe essere molto intrigante anche sulla terra battuta. Il problema probabilmente sta nel fatto che il suo super servizio sul rosso è meno decisivo, e quando accelera non riesce a sfruttare – come sul veloce – tutta la velocità della palla in incontro per scaricare le sue bordate improvvise. Molto forse dipende anche dalla testa, perché sul rapido è consapevole di poter produrre lo strappo vincente quando vuole, mentre su terra trova più spesso avversari “tattici”, che arrotano molto, che lo spostano e rimettono anche le sue accelerazioni. Un passo in avanti anche sui tornei primaverili in Europa potrebbe essere il lancio decisivo alla prossima estate, quando sia a Wimbledon che soprattutto sul cemento americano sarà, se in salute, uno degli uomini da battere.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Open Court: Roland Garros, tra palle e ambiente sarà davvero un torneo “diverso”? (di Marco Mazzoni)

    Due giorni di torneo sono un po’ pochini per emettere delle sentenze su quel che ci dirà il tanto sofferto e discusso Roland Garros 2020, ma il primo riscontro dal campo permette di trarre delle indicazioni già interessanti, delle tendenze. Si è parlato e scritto moltissimo, già dai primi allenamenti on site, sulle condizioni ambientali: […] LEGGI TUTTO

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    Jim Courier: “Il dominio nel tennis maschile dell’Europa viene dall’insegnamento” (di Marco Mazzoni)

    Jim Courier, 4 volte campione Slam

    Con Roland Garros alle porte, il quotidiano britannico The Times ha approfittato per intervistare Jim Courier, due volte campione sulla terra parigina, per analizzare lo stato del movimento maschile. Tra i vari temi trattati, “Big Jim” ha diffusamente parlato di come il tennis europeo sia totalmente dominante da molti anni.
    All’ultimo US Open il campione è stato Dominik Thiem, tennista europeo. Proprio US Open è stato l’ultimo torneo dello Slam vinto da non-europeo: accadde nel 2009, grazie al successo di Juan Martin Del Potro. Da allora solo successi per tennisti nati nel vecchio continente. La situazione degli altri tre Slam è ancor più euro-centrica: l’ultimo vincitore a Wimbledon non europeo è stato Lleyton Hewitt, anno 2002; agli Australian Open è Andre Agassi nel 2003; a Roland Garros è Gaston Gaudio nel 2004. In totale, 63 degli ultimi 64 Slam disputati sono stati vinti da giocatori europei. Di conseguenza, anche il ranking ATP segue questa fortissima tendenza, tanto che l’ultimo n.1 non europeo è stato Andy Roddick, scalzato da Federer ad inizio 2004 (dopo il suo successo agli Australian Open).
    Secondo Courier, la causa principale di questo dominio dispotico dell’Europa nel tennis maschile deriva dall’insegnamento. “Negli anni ’70 gli Stati Uniti avevano i migliori allenatori del mondo, come Happy Hopman, australiano che si era spostato in Florida ed aveva portato i metodi che avevano generato la grandissima ondata di campioni australiani degli anni 60 e 70. Oppure l’avvento di Nick Bollettieri, che ha rivoluzionato il metodo di allenamento del tennis alla sua accademia. Molti dei migliori tennisti al mondo venivano dagli USA perché nel paese c’era la miglior formazione. Questo non era così frequente in Europa”.

    Le cose sono molto cambiate da allora, continua Courier: “C’è stata una sorta di democratizzazione della formazione tennistica a livello globale. In Europa sono nate e cresciute moltissime accademie di allenamento, a partire dalla Sanchez-Casal, dove per esempio si è formato Murray. Quando il tennis ha iniziato ad essere molto più popolare in altri paesi rispetto agli USA, i migliori atleti si sono spostati in altri paesi e lì sono cresciuti. Gli USA continuano ad aver buoni tennisti, ma non del livello di un tempo, e negli ultimi 15 anni, come del resto la maggior parte degli altri movimenti, abbiamo solo potuto “tamponare” il dominio dei big 3″.

    Con Roland Garros al via, un piccolo focus anche sulla terra, che secondo Courier resta una palestra incredibile, forse la migliore, per formare un tennista vincente. “Credo che molto dipende da dove nasci o cresciti, anche negli USA. Io vengo dalla Florida, lo stesso stato di Chris Evert. Siamo cresciuti giocando molto sulla terra verde americana, che sembra molto diversa da quella europea ma in fondo resta terra battuta. Per crescere su questi campi è necessaria pazienza, mobilità, sviluppare abilità più complete rispetto a chi nasce e cresce sui campi in duro. Alcuni dei nostri più forti campioni come Stan Smith, Pete Sampras, Michael Chang a Andre Agassi, sono cresciuti giocando tanto sulla terra. Per colpa del clima non in tutti gli stati si sono sviluppati i campi in terra, anche per motivi di praticità ed economici, ma la terra battuta resta una grandissima “palestra” per crescere. Quando sei giovane non pensi che possa essere rilevante giocare anche su terra, ma in realtà è fondamentale perché questo ti forma in modo completamente diverso, riesci ad essere un tennista migliore, più completo. Per questa ragione non molti dei tennisti USA si sentono a loro agio giocando sulla terra, e se ci arrivano un po’ troppo grandi, ormai non riescono a imparare certi automatismi e meccaniche esecutive che invece sono importanti una volta passati al professionismo”.

    Courier ha sempre avuto un rapporto speciale con Parigi: “Era un torneo che volevo assolutamente giocare perché mi trovavo bene sulla superficie e ho avuto molto successo all’inizio della mia carriera. Per me è stato una grande soddisfazione anche perché i tennisti statunitensi non hanno avuto moltissima fortuna nel torneo. Di sicuro aver visto la vittoria di Michael Chang nel 1989 fu di grande ispirazione per me, Andre e tutti gli altri”.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Toni Nadal: “Siamo padroni delle nostre paure”

    Toni Nadal ha scritto sulla sezione tennis del media iberico “El Pais” un breve commento, in cui torna sulla decisione del nipote Rafa di non volare negli USA per US Open, e sulla ripresa dell’attività tennistica in generale. Ecco alcuni estratti significativi delle sue parole “Ognuno di noi è padrone delle proprie paure. La paura […] LEGGI TUTTO

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    Open Court: bentornata, cara terra rossa. Chi saranno i protagonisti? (di Marco Mazzoni)

    Con l’arrivo della primavera, il tour ATP torna in Europa. Inizia la stagione su terra battuta, che culminerà a Roland Garros a fine maggio. Due mesi intensi, spesso i migliori dell’anno per qualità tecnica e spettacolo, con molti match che si trasformeranno in battaglie epiche all’interno di arene infuocate. Personalmente ritengo la nostra vecchia, amata […] LEGGI TUTTO