Giannotti esclusivo: la nazionale rifiutata, San Donà, Ngapeth e “quelle regole che rivendico”
La prima e unica volta in cui lo intervistai fu in occasione di una Coppa Italia vinta con la maglia della Padova con cui Stefano Giannotti ha trascorso ben sette stagioni della sua carriera, in un anno che rappresentò il primo di tanti in cui il nome del forte opposto veneto è stato sinonimo di bel gioco e di qualità espressa. Un po’ la vita sceneggiatrice spericolata e un po’ le mancate occasioni del lavoro di entrambi hanno creato tra me e Giannotti un muro divisore, non voluto da nessuno, ma popolato da alcune leggende che oggi, dopo tanti anni, decido di sfatare o di confermare.
Giannotti dal troppo carattere, Giannotti l’ingombrante, Giannotti che fa sempre di testa sua. Ne ho sentite e ne ho schivate parecchie in questi anni, sempre pensando dall’alto del potermi specchiare nella vita di coloro che ci troviamo a raccontare, come molti di noi mestieranti fanno, che molto di ciò che ho sentito mi appartenesse. C’è un fattore che mi accomuna con orgoglio a Stefano, ed è il fatto di aver vissuto la carriera come volevamo noi, senza dover essere ciò che gli altri volevano per lui e senza dover sempre scendere a patti con la pallavolo. Il prezzo si paga, è doveroso ammetterlo, ma non se vivi tutto questo con la lucidità e la consapevolezza di Stefano, che oggi è ancora il punto di riferimento della serie A3, nonché, numeri alla mano, il miglior realizzatore del suo girone, oltre a detenere un primo posto in classifica con la Personal Time San Donà di Piave, che dice molto del suo presente.
“C’è soddisfazione per il lavoro fatto dai miei ragazzi e la convinzione che arrivare fino in fondo sarebbe un bellissimo obiettivo da realizzare tutti assieme. Questo è un bel gruppo, nel quale, guardando bene, si trovano dei giovani che stanno disegnano una bella strada davanti a sé. Io sono uno di loro e i risultati individuali non arrivano solo per me perché tutti stiamo dando il nostro contributo”.
Quando si parla di San Donà Giannotti dipendente, è un qualcosa per cui storce il naso o le fa piacere?
“No, non mi fa piacere, anche perché non penso sia vero. Quando accetto un progetto ed entro in un gruppo non lo faccio con l’intenzione di diventare l’ago della bilancio, ma di fare la mia parte, che è la stessa di tutti gli altri, in egual misura. A me piace dare il mio contributo ed essere una garanzia. Cerco sempre di dare il mio meglio e voglio che anche gli altri facciano lo stesso, perciò gli sprono a fare altrettanto”.
Il gioco espresso è di altissimo livello. Posso dire che lei e Bellucci siete una delle diagonali migliori della A3?
“Io credo che una squadra sia forte quando ha un’identità. E San Donà ha una forte identità. Con Alessandro abbiamo costruito un rapporto in divenire dai tempi di Garlasco. All’inizio non ci siamo trovati, poi abbiamo trovato un punto di incontro e abbiamo fatto assieme un bel lavoro. Teniamo molto ad avere una buona intesa ed è merito del lavoro che si costruisce col tempo. I ragazzi si allenano molto e i risultati si vedono giorno dopo giorno”.
foto Volley Savigliano
Ci pensa alla promozione? So che per molti è un sogno, per lei si tratterebbe di un ritorno.
“Sarebbe bellissimo tornare in A2 e sarebbe importante farlo con questa squadra. Ma dove vuole che vada io, sono troppo vecchio! (ride n.d.r.)”.
Trentacinque anni, diciassette stagioni in serie A. Guardandosi indietro, è felice del Giannotti pallavolista?
“Me lo sono chiesto tante volte. Ripenso al passato con un grande sorriso, perché ho giocato delle stagioni ottime in campionati che alcuni hanno solo sognato. Rimprovero a quel Giannotti del passato solo alcune scelte che non ho fatto forse per paura. Rimprovero anche il fatto che non mi sono sempre sentito libero di fare delle scelte, perché la situazione del cartellino non è la stessa di oggi. Ma non entro nei dettagli. Detto questo, posso dire di aver giocato una gran bella pallavolo”.
Mi dica i più forti con cui si è ritrovato a giocarsela.
“I primi nomi che mi vengono sono Atanasijevic, Omrcen, Juantorena, Ngapeth. Ma l’elenco è lungo”
Pistola alla tempia. Ne scelga solo uno.
“Earvin. L’ho visto giocare all’apice della carriera con una Modena assoluta regina della Superlega. Non era tanto la forza dell’atleta, ma cosa era in grado di fare. Se decideva di vincere, non ce n’era per nessuno. Con Bruno erano in grado di fare delle magie incredibili in campo. Avevano una classe immensa”.
Il compagno più forte?
“A Monza ho giocato con i primi Dzavoronok e Plotnytskyi, giocatori che già dagli esordi risultavano determinanti. Posso anche dirle con chi mi è piaciuto molto giocare e ricordo un grande Mattia Rosso negli anni di Padova, che è stato un ottimo compagno di squadra”.
In quegli anni si diffuse una leggenda, ossia che lei avesse rifiutato la nazionale. Sfatiamo o confermiamo?
“(ride n.d.r) Me la faccia spiegare perché detta così resterebbe una leggenda. Sono stato chiamato per fare un mese e mezzo di nazionale e poi per andare ai Giochi del Mediterraneo. Quando mi sono reso conto che nemmeno ai Giochi avrei giocato, perché ero stato chiamato semplicemente per allenare gli altri, ho detto che preferivo declinare. Poi in realtà quell’anno mi venne una brutta tendinite, quindi alla fine tutto sommato è andata bene così”.
Altra leggenda: dicono che lei sia un decisionista. O è semplicemente un leader?
“Io dipendo dall’allenatore. Nel caso di San Donà ho una grande stima per il lavoro di Moretti. In partita mi arrabbio, mi capita di dare delle indicazioni, dei suggerimenti, sono uno che non fa passare certe cose. Però sono anche decisioni che vengono condivise col tecnico. L’unica cosa su cui ho avuto un pochino di libertà come capitano è che mi hanno lasciato fare il regolamento dello spogliatoio e lo rivendico da capitano con orgoglio (ride n.d.r.)”.
foto Nicolo’ Scottà
Giannotti, mi cade un mito.
“Si ricordi che carota e bastone sono sempre essenziali”.
Quando finirà di essere il giocatore forte che ho conosciuto, cosa vorrebbe fare?
“Non le so rispondere. Ho studiato per fare l’elettricista. Può bastare?”
Nell’ambiente della pallavolo come si vedrebbe?
“Conoscendomi, quando finirò di giocare, vorrò provare a fare altre scelte. Anche se adesso è troppo presto per parlarne. Risentiamoci tra qualche anno”.
Di Roberto Zucca LEGGI TUTTO