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    L’estate leggendaria di Andrea Giani: “Ho atteso 40 anni per vivere un momento così”

    Con la mente e con il cuore, quando ho visto Andrea Giani incapace di trattenere l’emozione di fronte al traguardo storico della sua prima medaglia d’oro olimpica, sono tornato a quel primo pomeriggio del 1996, quando tutti noi, sintonizzati su Raidue, ricordiamo le lacrime di diversa natura dello stesso Andrea dopo l’ultima palla caduta a favore dell’Olanda e il conseguente argento della nazionale italiana.Il metaverso della vita stavolta ha rovesciato le regole, catapultato le emozioni, tanto che ventiquattro ore dopo il suo maestro, Julio Velasco, che sedeva in panchina per quell’argento olimpico che la nostra generazione, inventrice della nostalgia, difficilmente dimentica, si è aggiudicato la medaglia più ambita della pallavolo femminile.Un dettaglio, da perfetto civis mundi, che trascuro e spero trascuriate anche voi è che Velasco abbia vinto vestendo i colori della nazionale azzurra, mentre Giangio abbia ottenuto la sua prima medaglia da tecnico della Francia. È una sfumatura del racconto, se mi permettete, perché gli eroi veri non hanno nazione, e perché i miti dello sport, come lo è Andrea Giani da quando possiedo memoria (avevo sette anni e quella pagina pubblicitaria che è il suo spot della Maxicono resta uno dei momenti più iconici degli anni ’90), restano tali a prescindere dalla bandiera e dall’appartenenza. Foto WikipediaSono trascorsi due lunghi mesi da quel pomeriggio. Andrea è in Polonia, con la propria famiglia, perché le circostanze della vita (non anticipo troppo) lo hanno portato ad allenare lo Zaksa e proprio nella nazione che ha sconfitto nella finalissima. È il destino, sono gli incroci, è il crossroad della vita, come diciamo io e lui.“Ho atteso quarant’anni per vivere un momento così. Ho rincorso quella medaglia, quel titolo con tutto ciò che avevo e con tutte le risorse che la Francia aveva in corpo. Quando giochi una finale olimpica più volte, indipendentemente dal ruolo, ad intervalli di anni, vivi qualcosa di personale che è difficile spiegare”.Mi rendo conto sia molto difficile toccare certe corde, perché essere colui che gioca l’ultimo punto nel 1996, è stato un fantasma che ha portato dietro tutta la vita. Dopo l’oro conquistato in panchina, si riesce a far pace con quello scheletro nell’armadio?“È difficile, non impossibile, ma è un traguardo. In Italia, rispetto alla Francia, viviamo tutto diversamente. Accumuli sempre quel peso di essere stato colui che non ha messo a terra la palla contro l’Olanda. Posso dire che dopo ventotto anni, salire sul podio con i miei ragazzi è stato certamente liberatorio”.Credo che l’aggettivo ‘personale’ sia il più corretto per descrivere il suo 10 agosto.“Sì, diventa qualcosa di personale per come la viviamo noi. Velasco ha sempre detto che le cose possono arrivare e c’erano le potenzialità affinché noi conquistassimo il titolo, giocato tra l’altro a Parigi e l’Italia femminile riuscisse a vincere l’oro. Ma si doveva compiere un percorso di un certo tipo. La pallavolo mondiale di oggi non pone più solo una favorita contro l’altra. Siamo arrivati a Parigi 2024 con diverse squadre di grande qualità che avrebbero potuto aggiudicarsi il titolo, sia da una parte che dall’altra”.Julio Velasco. Lei ha detto scherzosamente che è riuscito a vincere qualche ora prima di lui.“Quando ero in conferenza stampa dopo la vittoria mi ha mandato un messaggio bellissimo. Ho pensato nei giorni successivi che ci sono stati degli incroci incredibili durante questo percorso che ha portato alla vittoria di entrambi. Abbiamo giocato il terzo girone della VNL a Manila e al ritorno ci siamo incrociato con la squadra di Julio e con Barbolini ci siamo fatti i complimenti e l’in bocca al lupo. Noi da lì ci siamo spostati in Polonia, nazione che poi abbiamo battuto in finale e abbiamo vinto la VNL. Quando mi ha scritto il messaggio, ho pensato subito che il karma ci avrebbe riunito tutti, e ho pensato che anche Julio, Lollo Bernardi e Barbolini ce l’avrebbero fatta il giorno dopo”.foto Volleyball WorldA Velasco è stato attribuito il merito di aver saputo gestire il gruppo. Possiamo dire che Giani ha fatto lo stesso straordinario lavoro nel maschile in Francia?“Lo abbiamo fatto tutti il lavoro, sia a livello personale che a livello tecnico, dove questa squadra ha sovraperformato per il grande sforzo fatto. È un lavoro di staff, è un qualcosa su cui la squadra ha preso coscienza ed è risalita di livello dopo alcuni cambi tecnici che abbiamo fatto. Mi sono preso la responsabilità di Boyer che ha avuto un brutto infortunio e quindi l’ho sostituito, così come ho lavorato sulla presa di coscienza che questo gruppo fosse costituito da tutti i giocatori della stessa importanza. Ho lavorato con Earvin, che era colui a cui avevano affidato tutti la responsabilità di vincere le partite, perché per questa squadra fosse anche altro per la squadra. Sono davvero felice che questa squadra sia riuscita nella sua missione”.Giocare le Olimpiadi in casa per loro, cosa ha significato per Giani?“Bella domanda. È stato difficile per me fare la cerimonia di apertura, stupenda tra l’altro, indossando una maglia diversa da quella azzurra. L’Olimpiade è qualcosa di molto particolare. Lo dico a livello di ciò che rappresenti con una maglia, un colore, un’identità. Me ne rendevo conto quando incrociavo le delegazioni italiane anche di altre discipline, soprattutto perché quando le ho disputate da giocatore io ero dall’altra parte”.L’emozione dei suoi di giocare dinanzi al proprio popolo?“La pressione è dettata dalla qualità del gioco e te la autoattribuisci. Se hai qualità di gioco la gestisci meglio e fai le cose meglio. Per me ha sempre contato molto l’aspetto emotivo. Anche su questo abbiamo lavorato molto con i ragazzi e hanno gestito tutto benissimo”.L’incrocio in semifinale con l’Italia?“Siamo riusciti nel difficile intento di metterli a dura prova tecnicamente. Abbiamo fatto la gara che ci eravamo immaginati. Difficilissima”.“Mi piacerebbe che il nostro straordinario presidente della Repubblica dicesse: ma come mai un italiano così lo mandiamo all’estero e non possiamo averlo in Italia? Nel mondo del lavoro i grandi professionisti hanno più incarichi, invece noi del volley ci rinchiudiamo in noi stessi in questo modo”.ANSA/US/QUIRINALE PAOLO GIANDOTTIDopo quella partita a Flavio Vanetti del Corriere della Sera lei ha parlato della questione del doppio incarico. Cosa c’era in quell’appello Andrea?“Noi viviamo un po’ il paese Italia, dove ci sono club che votano per la femminile in un modo e per la maschile in un altro. Perché? Ho chiesto l’intervento di Mattarella proprio perché nel mondo del lavoro non si ragiona con queste logiche anacronistiche”.Lei cosa propone?“Che si riparta da zero e che questa decisione venga demandata al singolo club. Se una società maschile vuole mettere un allenatore che si occupa di nazionale durante il corso dell’anno, ma che seguirà quella stessa nazione al termine degli impegni del club come accade a me in Polonia, perché non può farlo? Ho fatto l’esempio di Santarelli nel femminile a cui è consentito. Perché non deve, anche per il maschile, essere una decisione della società che sceglie di ingaggiare me o un altro. Arricchire un movimento significa aprire il movimento, non rinchiuderlo dentro sé stesso”.foto @zaksaofficialTorniamo agli incroci della vita. Primi mesi in Polonia, la nazione a cui lei ha sottratto l’oro olimpico. Mi faccia sorridere.“Sembra strano, ma ogni persona che incontro, e la cosa riempie di orgoglio, mi fa i complimenti per la vittoria della Francia. È una bella soddisfazione e mi stupisce parecchio”.Come ha trovato la Polonia del volley?“L’ho trovata con l’entusiasmo e la passione dei nostri anni ’90. Tante persone che affollano i palazzetti, una bella organizzazione del campionato e del club, una televisione presentissima e attenta. Certo, gioco tutta la settimana, avendo un campionato da sedici squadre, ma è un bellissimo livello. Devo migliorare il polacco, ma c’è tempo (ride n.d.r.)”.Ha portato la famiglia con sé. Mi sembra felice Giani.“Sì, vedo loro sereni e sono felice e soddisfatto anche io per la scelta fatta”.Di Roberto Zucca LEGGI TUTTO

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    Tommaso Guzzo: “Ho espresso a Padova il desiderio di potermi cimentare con un’esperienza diversa”

    Nell’entusiasmo mai omesso per questa nuova avventura e nella tenacia con la quale Tommaso Guzzo si affaccia nel prossimo campionato di serie A2, tutto porta a pensare che per lui sarà un anno molto importante. A ciò si aggiunge la scelta assai oculata di optare per la Consar Ravenna, società che in questi anni ha lanciato giocatori del calibro di Bovolenta nel cielo stellato della Superlega.Tommaso ha già qualche apparizione e qualche esperienza nel campionato più bello del mondo, ma il desiderio di trovare una sua identità lo ha portato ad optare per un palcoscenico come quello di Ravenna, nel quale potrà esibirsi con maggior impatto e continuità:“Tengo a dire che la scelta è stata mia. Ho espresso a Padova il desiderio di potermi cimentare con un’esperienza diversa, trovando magari la continuità che in Superlega avrei faticato ad avere. Questo è un campionato nel quale sento di potermela giocare alla grande e avevo voglia di capire a che punto del mio percorso di crescita in questa disciplina io sia arrivato dopo gli anni alla Kioene”.foto da Pallavolo PadovaL’impatto con la serie è un netto successo contro Fano.“Un’ottima prova per iniziare il campionato nel migliore dei modi. Siamo felici per il fatto di aver ottenuto subito il successo davanti al nostro pubblico ed ora ci attengono i soliti grossi step in avanti, ma siamo sulla strada giusta. Continueremo a dare sempre il 100% per crescere e sistemare ciò che da ora in avanti può venirci meglio”.Il campionato, rispetto allo scorso anno, vedrà Ravenna ancora tra le protagoniste?“La squadra è giovane, ma già dai primi allenamenti si è capito quanto questo gruppo possa dare in termini di affiatamento. La squadra è rodata, ed è appunto già un bel gruppo nelle dinamiche e nell’alchimia che ognuno di noi ha cercato di creare con il palleggiatore. Abbiamo dimostrato di poter giocare un ottimo livello di pallavolo. Personalmente penso che faremo una stagione in progressione. Io ho molta fiducia in questa Ravenna”.Il punto di forza?“Direi il gruppo e la società. È ben strutturata e ci sono delle persone veramente di spessore al suo interno. Questo inevitabilmente aiuta tanto soprattutto all’inizio. Anche lo staff con il quale abbiamo lavorato dalle prime settimane ha saputo creare quel giusto mix per cui sento di essere arrivato all’inizio della stagione con una grande carica e una grande volontà di fare bene”.Un gruppo di amici.“Conoscevo già Copelli e Canella che sono due buoni amici al di fuori del campo e con i quali ho, nel caso di Andrea soprattutto, avuto la possibilità di lavorare assieme. Assieme con tutti e due ci siamo sempre trovati molto bene e ci siamo integrati molto bene. Posso dire che lavoriamo tanto, ma quando arrivi in palestra con un gruppo con il quale passi molto volentieri il tempo, la questione del carico di lavoro è relativa”.Dicono l’anno di Guzzo.“(ride n.d.r.) Per adesso partiamo, poi si vedrà”.Che squadre teme?“Tutte e nessuno. È un campionato tosto, ci sono parecchie squadre di prima fascia e il gap tra la prima e l’ultima della classifica penso sarà ridottissimo e soprattutto a livello di qualità delle squadre non è così percettibile”.Chi ha lasciato a Padova?“Si è creato un gruppo splendido negli anni, tanto che quando mi capita di tornare a casa cerco sempre di rivederli. Con Crosato, Truocchio, Porro, Gardini, Vitelli, Zenger proviamo ad incastrare gli impegni per incontrarci. Non pensi che non mi sia dispiaciuto lasciare Padova, anzi, è stata una scelta sofferta, ma ho ancora due anni di contratto con loro”.Foto Instagram @tommasoguzzooNel gruppo c’è anche Alberto Polo. Lo vogliamo citare?“Ci siamo visti a Piacenza in occasione di un allenamento congiunto. Dico solo una cosa: non vedo l’ora di rivederlo tornare a giocare”.Di Roberto Zucca LEGGI TUTTO

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    L’ingegner Rossini si racconta: “Felice di non aver chiuso la carriera due anni fa”

    Nella sua nuova vita professionale, oltre i palloni che riceve e difende ancora con enorme maestria, Salvatore Rossini ha inserito anche la consulenza strategica. Ingegnere per un’azienda di Modena, libero della Evolution Green Aversa, Totò si destreggia tra Emilia e Campania dando ancora molto di sé ad uno sport in cui ha primeggiato per molti anni.

    “Ho pensato due stagioni fa di interrompere la carriera perché dalla Federico II di Napoli mi è arrivato un assegno di ricerca per la facoltà di Ingegneria che reputo tra le più prestigiose dell’Ateneo. Il Presidente Di Meo, che conoscevo dai tempi della Icom Latina, mi aveva strappato tempo fa la promessa che avrei chiuso la carriera assieme a lui, così non ho saputo dire di no. A distanza di due anni sono felice di non aver interrotto con la pallavolo, anche perché con l’azienda per la quale lavoro a Modena, sono riuscito ad ottenere un accordo per il lavoro da remoto”.

    Ad Aversa la presenza di Rossini viene considerata una sorta di regalo.

    “Io sono molto felice di essere percepito così dai tifosi e dalla società in tal caso. Questo sport lo faccio perché mi diverto ancora e mi creda, lo spirito è quello di quando avevo diciotto anni e giocavo in D a Latina”.

    Le manca giocare la pallavolo di vertice?

    “Beh, quando vedo la Superlega in tv, il desiderio di rigiocare certe partite è fortissimo. Non posso ad esempio non ammettere che due domeniche fa alla finale di Supercoppa volevo esserci. Quando ti trovi di fronte alcune sfide lo spirito battagliero è fortissimo. Ma è lo stesso che poi porto in serie A2”.

    foto Lega Volley

    Tutti la ricordiamo a Modena. L’anno del triplete resta il più importante?

    “Certamente sono esperienze che segnano il proprio percorso. Il livello di competizione è davvero stimolante e giocare certe gare con alcuni compagni dell’epoca resta un ricordo indelebile”.

    Con Ngapeth e Bruninho vi siete ritrovati al matrimonio di Earvin. La malinconia di quella Modena esiste?

    “Esiste la mancanza di quel gruppo, di due cari amici che fa sempre un enorme piacere rivedere. Ciò che ha permesso a Modena di vincere in quell’anno è un ciclone di emozioni e legami che è rimasto anche fuori dal campo da gioco. L’essere famiglia assieme a Lorenzetti, alla Presidente Pedrini e ai ragazzi è stata una cosa molto molto profonda, tanto che siamo riusciti a vincere e andare contro tutto e tutti. Mi creda, se oggi quelle persone mi chiedessero di andare in capo al mondo perché hanno bisogno di me io ci andrei”.

    Pensavo che ritornerebbe a giocarci assieme per un ultimo anno.

    “Il Presidente Di Meo mi dice sempre di proporre ad Earvin di venire ad Aversa (ride n.d.r.). Con noi starebbe benissimo e non vorrebbe più andare via”.

    Cosa farà con Aversa in questa stagione?

    “Vogliamo entrare nei playoff. C’è sicuramente un gruppetto di squadre, parlo di Siena, Brescia, Catania, Cuneo e Ravenna che saranno molto difficili da battere perché hanno costituito degli organici davvero interessanti e competitivi. Ma noi possiamo inserirci all’interno di questa mischia. Scherzando dico che potremo essere la Monza dello scorso anno. Dobbiamo solo essere consapevoli della nostra forza”.

    Si è creato un bel legame con Matheus Motzo. Forse rivede in lui alcuni compagni talentuosi del passato?

    “Si è creato da subito un bel legame. È un giocatore che fa impazzire il pubblico, ha molte potenzialità e credo che la velocità che raggiungono alcuni suoi palloni, alcuni suoi servizi, siano una rarità per il campionato di A2. A Civitanova ha fatto una bella esperienza e sono certo che possa portare molto entusiasmo e tanta energia al palazzetto la domenica”.

    Contro Catania o Brescia, per dirne due, immagino non vedo l’ora di giocare, conoscendola.

    “Sono le sfide che amo di più! Non vedo davvero l’ora”.

    foto Virtus Aversa

    Di Roberto Zucca LEGGI TUTTO

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    Oreste Cavuto si racconta: “Dura lasciare Trento, a Brescia per giocare con continuità”

    L’anno è quello in cui l’occhio stile Grande Fratello orwelliano è rivolto verso di lui. Oreste Cavuto ne è consapevole e pare anche che stesse aspettando solo questo momento. Il contesto sembra quello giusto, ossia un campionato di A2 molto competitivo in cui l’ex stella della Itas Trentino dovrà dimostrare non solo di poter divorare la categoria, ma anche di poter essere un elemento distintivo della nuova Brescia.

    “Sicuramente per me è un anno molto importante perché sono arrivato a Brescia per poter giocare con continuità, ma anche attraverso la presentazione di un progetto ambizioso della società, che viste le premesse e il mercato fatto ha come obiettivo quello di fare il salto di categoria. Naturalmente il progetto raccoglie il grande entusiasmo non solo mio, ma anche di tutti quelli che in questa società hanno disputato alcune stagioni e quelli che sono arrivati assieme a me”.

    Cito solo due nomi. Raffaelli e Tondo.

    “Mi piacciono molto. Raffa lo conosco da tantissimi anni perché abbiamo fatto assieme alcune esperienze con la nazionale. Con Alessandro ci siamo trovati talvolta da avversari e quest’anno è il primo anno in cui lavoriamo assieme. Mi rivedo molto in lui, è un grande lavoratore ed è un elemento con cui ho trovato affinità sin dal primo giorno”.

    A guidare il gruppo ambizioso è ancora Tiberti.

    “Una chioccia, oltre ad essere un ottimo compagno di squadra. È una persona che gestisce tutto molto bene sia dentro che fuori dal campo, è un collante importante per la squadra e una figura su cui la società fa giustamente molto affidamento. Credo che per giocare a questo livello alla sua età tu debba essere in grado di fare la differenza e Simone la fa ancora sotto molti aspetti”.

    L’altra squadra su cui tutti puntano il dito è Catania, che avete sfidato nel torneo di Palmi.

    “Hanno avuto la meglio loro al tie break e si è dimostrata una squadra ostica con degli elementi, tra cui un palleggiatore ottimo, che non hanno bisogno di essere presentati. Penso, non me ne vogliano, che contro Catania anche noi potremo dire la nostra con la formazione al completo. Sarà una bellissima battaglia e partite così belle non vedo l’ora di giocarle”.

    Altre squadre da tenere d’occhio.

    “In generale è un ottimo livello, ma Ravenna, Cuneo e Siena sono altre tre squadre con cui si giocherà ad armi pari”.

    La sua scelta di lasciare Trento e la Superlega è stata particolarmente al centro delle cronache del volley. Sente, lo chiedo in totale onestà, di aver fatto la scelta giusta?

    “Premetto che lasciare Trento non è stato per niente facile. Poteva essere Brescia o qualsiasi altra destinazione, ma ha significato ovviamente lasciare un posto che per me significa casa. Non è un caso che abbia acquistato un appartamento, lo abbia arredato e fatto mio e non è una scelta azzardata pensare che per me quello con Trento sia stato un arrivederci. Sono legatissimo alla società, penso che la mia vita futura la indirizzerò verso quella città e ci sono persone alle quali voglio molto bene e che mi mancheranno molto. Fatta questa premessa, tutti hanno capito che avessi l’esigenza di tornare a giocare in maniera continuativa, volendo dimostrare in primis a me stesso che tipo di giocatore sono diventato. Ho lasciato un gruppo molto forte e spero di non risultare presuntuoso se dico che è anche un pochino merito mio se assieme ai miei compagni di sempre ho contribuito a fortificare e creare quel gruppo”.

    Per lei, Lavia e Sbertoli si può parlare di fratellanza?

    “Sono stati la mia quotidianità per anni e resta un’amicizia veramente profonda. Mi mancheranno molto”.

    Sente più la pressione o la motivazione in questo momento?

    “Sento la pressione che trasformo in motivazione. Quando devi dimostrare qualcosa è logico che tu ti debba esporre. A me non pesa, anzi”.

    È vero che vuole rimanere nell’ambiente una volta terminata la carriera?

    “Voglio giocare ancora moltissimi anni, ma una volta che terminerò gli studi in Ingegneria Civile nel 2025, vorrei fare un Master in Management dello Sport. Ho cominciato a collaborare con il camp di Trento e capito che sullo sport vorrei basare il mio lavoro non solo nel presente, bensì anche nel futuro”.

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    A tutto Zimmermann: l’Italia nel cuore, gli amici, Taranto… i letti ‘olimpici’ di cartone

    Aveva lasciato un bellissimo ricordo dopo le sue esperienze positive a Perugia, Padova e Monza. Ritrovare quindi Jan Zimmermann nel progetto della Gioiella Prisma Taranto è solo il segnale che la volontà di ritornare nella sua seconda patria dopo un’esperienza estera come quella della Turchia era un obiettivo non solo dei club nostrani, bensì anche di questo ottimo regista.

    “Sono contento di essere rientrato in Italia perché in ogni esperienza fatta in questi anni mi sono sempre sentito a casa. Dopo la Germania, che è il luogo in cui sono nato e cresciuto, credo che l’Italia sia il paese che sento più vicino”.

    Foto Ufficio Stampa Kioene Padova

    Quarta esperienza, dopo Perugia, Padova e Monza. Nelle precedenti dicono che lei sia stato capace di lasciare il ricordo di una persona unica.

    “Le prime tre sono esperienze nelle quali sono stato in grado di creare delle amicizie e lasciare un buon ricordo in società. Nel periodo di Perugia ad esempio sono rimasto molto legato con Travica e Bata, a Padova con Luca Beccaro, ora assistente allenatore. A Monza non posso non citare Maar e Galassi. In generale però ho creato dei bellissimi rapporti ovunque”.

    foto Lega Volley

    Rispetto allo Zimmermann di cinque anni fa al suo arrivo in Italia, chi è Jan oggi?

    “Un ragazzo che sicuramente è cresciuto molto in questi cinque anni. Un pallavolista che in campo ha trovato più consapevolezza e che oggi scende in campo con più tranquillità e serenità e riesce ad affrontare meglio certi momenti della gara. Ogni esperienza mi ha dato molto, forse a Padova e Monza ho avuto maggiore possibilità di esprimermi in campo ed è per questo che nel mio piccolo sono riuscito ad emergere”.

    L’ultima stagione arriva persino a giocare in Turchia. Ha sentito la nostalgia dell’Italia?

    “Esattamente come senti la nostalgia di casa. Ma è stata una bellissima esperienza che porto nel cuore”.

    foto Instagram @janzi17

    Anche perché si è guadagnato la possibilità di avverare il suo sogno, ovvero giocare le Olimpiadi.

    “Parigi è stato un sogno per tutta la vita, un sogno che sono riuscito a realizzare. Le Olimpiadi restano il punto di arrivo ed un evento imparagonabile per la carriera di un atleta che gioca a pallavolo. È un’esperienza completamente diversa rispetto alle altre”.

    Cosa ricorda di così unico in quei giorni?

    “Tutto. Mi creda, si vive dentro un sogno e qualsiasi cosa acquista valore”

    foto Instagram @janzi17

    Quindi Zimmermann ha gradito anche i letti in cartone e il ventilatore in camera che tanto ha fatto disperare alcune nazioni.

    “Posso fare una battuta? Per giocare le Olimpiadi io avrei sopportato anche sei mesi di letti di cartone e temperature ben più alte di quelle percepite a Parigi. Le rivivrei subito se mi garantissero di poter passare dei giorni così belli”.

    Ho visto che ha tatuato i cinque cerchi.

    “Subito dopo la fine. Il ricordo di un’esperienza unica, per la gioia di mamma che non ama molto i tatuaggi, ma ha capito perfettamente (ride n.d.r.)”.

    foto Instagram @janzi17

    Ora però la testa è a Taranto. 

    “L’impatto è stato molto buono. È il posto perfetto in cui recuperare le emozioni del post Parigi, anche perché non ho avuto tanto tempo per fare le vacanze dopo la fine delle Olimpiadi. Quindi a Taranto mi sono consolato con un bellissimo ambiente, un bellissimo clima e il mare che aiuta sempre”.

    foto Gioiella Prisma Taranto

    Cosa diciamo della squadra?

    “Mi piace molto. Ho ritrovato Pippo (Lanza n.d.r.) con cui abbiamo legato nel periodo di Perugia e per il resto sono contento della squadra che è stata allestita”.

    Per lei cosa rappresenta questa stagione?

    “Rappresenta un passo avanti per la mia carriera. Sono stato voluto e benvoluto da subito, quindi ho scelto di far parte di questo progetto con entusiasmo. L’obiettivo personale è di essere uno dei giocatori importanti, sul quale la squadra si appoggia. Voglio poter essere un leader per questa squadra e poter dare sempre una mano”.

    foto Gioiella Prisma Taranto

    Curiosità: lei è uno dei pochi pallavolisti che produce podcast.

    “Sì, si chiama Lucky Experience e lo trasmettiamo assieme al mio amico Moritz Liss. L’idea è quella di parlare di pallavolo, della carriera di Moritz che è un manager e in generale della vita di entrambi. Mi piace poter diffondere la pallavolo anche attraverso un qualcosa come i podcast”.

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    Andreatta: “Mi diverto ancora. Nel beach quando il livello cresce è sempre un bene”

    Lo sguardo complice, che si è scambiato per tutta la stagione con il suo compagno Manuel Alfieri non lo vedevo sul suo viso da parecchio tempo. Tiziano Andreatta ha l’aria di chi quest’anno ha utilizzato la stagione come un grande investimento e se ne rallegra non solo per il contenuto, ma anche per il significato, che si porta dietro numerosi cambiamenti e tanti nuovi progetti della sua vita professionale:

    “È un periodo molto bello questo. Sto aprendo la mia scuola di beach a Mariano Comense. Si chiamerà My Way Beach Volley School e prende il nome dal fatto che l’idea è quella di supportare ogni corsista a trovare la propria strada in questa disciplina, sviluppandone il suo senso di indipendenza e il suo percorso individuale. Ho cominciato a Mariano con un gruppo di corsisti in un impianto molto bello che sarà teatro della scuola ed ora stiamo partendo con diciotto gruppi. Spero che anche Manuel Alfieri decida di venire a darmi una mano, così avremmo modo di allenarci assieme anche durante la stagione invernale”.

    Andrea Abbiati ora è un allenatore a tempo pieno e con Alfieri avete costituito uno dei sodalizi nuovi della stagione.

    “Ad Andrea mi legano anni di grande lavoro ed è rimasto un amico importante. Con Manuel abbiamo cominciato questo percorso con grande entusiasmo e ci siamo messi entrambi molto in discussione dall’inizio. È un compagno diverso e quindi ho riadattato completamente il mio gioco. Ho trascorso tutta l’estate con lui a lavorare alle 4 Vele a Pescara sotto la guida di Luigi Alfieri e ho cominciato un lavoro impostato sul lungo termine. Abbiamo puntato sia sul campionato italiano e sull’estero dove abbiamo conquistato un quarto posto. Tengo a ringraziare lo Studio Zago, Fit Therapy e Tenortho perché sono rimasti al mio fianco anche quest’anno”.

    foto Instagram @tizandre

    Due primi posti a Montesilvano e Cordenons.

    “Quest’anno abbiamo fatto capire che ci siamo anche noi. A Montesilvano, complice il fatto che Alfieri è di casa, siamo stati anche spinti da un bel pubblico e certamente Manuel teneva molto a fare bene qui. Siamo stati molto felici di quella vittoria e di come è proseguita la stagione perché abbiamo collezionato il successo di Cordenons, il secondo posto a Cirò Marina e il terzo posto a Vasto”.

    A livello internazionale?

    “Concluderemo la stagione questo weekend con il Future in Turchia. In generale abbiamo avuto due quinti posti a Messina e in Belgio e un quarto posto in Polonia”.

    Lo scudetto è rimandato al prossimo anno?

    “Ci è mancata la ciliegina sulla torta, ma alle finali può succedere di tutto. Ci lavoreremo certamente in vista della prossima stagione”.

    Si diverte sempre come un tempo. Quest’anno l’ho vista particolarmente carico.

    “Il livello quando cresce è sempre un bene. Io mi diverto ancora. Quest’anno ho ritrovato subito la grinta che mi contraddistingue e quelle emozioni forti che mi fanno amare il beach volley”.

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    Santiago Orduna a cuore aperto: “Mi sono sentito Lube sin dal primo giorno”

    Per la sua diciottesima stagione in Italia ha voluto fortemente regalarsi il massimo. Quando infatti laCucine Lube Civitanova ha annunciato i due palleggiatori, ossia Mattia Boninfante e Santiago Orduna, quest’ultimo ha subito descritto la scelta fatta come un qualcosa legato alla maturità e al bisogno di tornare ad un contesto particolare: “Ho voluto fortemente questa scelta, e già da quando si è avviato il dialogo con la Lube, sapevo bene cosa avrei desiderato per questa stagione.

    “Dopo lo scorso campionato, avevo capito che un contesto come quello di Civitanova potesse essere il posto giusto per me. Ho espresso la necessità di lavorare in un ambiente da professionista con degli obiettivi chiari e se vogliamo ambiziosi. Volevo innanzitutto lavorare, senza pensare alle priorità del ruolo, all’essere primo o secondo, e mettermi a disposizione della squadra”.

    Foto Instagram @santiorduna

    Cosa ha trovato in queste prime settimane?

    “Mi sono sentito Lube sin dal primo giorno. Ho trovato un ambiente di professionisti, unaorganizzazione dalla quale si resta colpiti perché la struttura di Civitanova è una delle migliori nelnostro Paese. Poi, se vogliamo parlare della squadra e di Medei, ho respirato un’aria molto buonasin dalle prime sedute. Lavoriamo tanto, stiamo creando un bel gruppo con il quale mi confrontoogni giorno e c’è un clima molto bello tra di noi. Ho ritrovato anche qualche ex compagno e sono felice di aver conosciuto anche i nuovi elementi”.

    Di obiettivi di squadra non parliamo?

    “No, è troppo presto. Ci sono sicuramente tre ottime squadre come Piacenza, Trento e Perugia chehanno alzato ulteriormente l’asticella rispetto allo scorso anno. Dove colloco la Lube? Voglio chesia una sorpresa e per ora non faccio alcun pronostico”.

    Di obiettivi personali?

    “Dopo diciotto anni, il mio principale obiettivo era mettermi a disposizione. Sto lavorando per lasocietà e la squadra e ho avuto modo di apprezzare il talento di Mattia Boninfante. Ho giocato tuttala mia vita. L’obiettivo quest’anno è essere parte di una squadra che mi piace”.

    Foto Lube Volley

    Si capisce che il colpo di fulmine c’è stato.

    “Sì, è una squadra giovane, io ormai a 41 anni faccio parte dei vecchietti del gruppo e mettere lamia esperienza al servizio della squadra mi fa piacere. Quando ti arrivano chiamate come quelledella Lube non puoi dire di no”.

    L’impatto con la realtà marchigiana?

    “Ottimo. C’è molto fermento e amo l’entusiasmo che si respira”.

    Foto Lube Volley

    Mi ha detto di essere appunto arrivato alla soglia dei quarantuno anni. Si pensa al dopo?

    “No, sto ancora bene e voglio proseguire. L’unica cosa a cui ho pensato in quest’estate è di tenermiin forma con il padel. Per il resto voglio ancora dare tanto a questo sport perché lo sento ancora come parte fondamentale della mia vita. Mi sento ancora un ragazzino e mi godo ogni momento. Ogni volta che entro in spogliatoio sono felice e la motivazione e la voglia di giocare è la stessa di diciotto anni fa”.

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    Falaschi: “L’oro olimpico di Carlotta? Beata lei, c’è arrivata prima di me…”

    Per la prima volta, da quando lo conosco, ovvero da oltre vent’anni, ho trovato Marco Falaschi dall’altra parte. Dalla parte non solo del vincitore, ma anche da quella di chi quella vittoria, quell’oro olimpico, lo ha giocato con il cuore.

    L’ho visto applaudire, fiero, timido ed emozionato come non lo era nemmeno a quindici anni quando debuttava a Santa Croce, e l’ho visto applaudire Carlotta. Ebbene sì, ci ho scherzato parecchio con questa storia del fidanzato di, potendomelo permettere visto il rapporto. Carlotta Cambi, regista della nazionale, ha conquistato ciò a cui lui tiene da una vita intera.

    E da toscanaccio, Falaschi ammette che è stata dura, ma con un grande sorriso: “(ride n.d.r.) Beata lei! C’è arrivata prima di me. Ho vissuto quel momento da esterno, e certamente un pizzico di sana invidia la provi, perché rappresenta il traguardo più importante per uno sportivo. Sono consapevole di quanto ci ha messo per arrivare a quel risultato, quanto lavoro c’è stato dietro e quanto soprattutto se lo sia meritato”.

    foto Instagram @marcofalaschi5

    Ho visto due immagini sui social e ho trovato Falaschi emozionatissimo come non mai. “Ho provato la gioia per la persona che amo, ed inevitabilmente riesci ad emozionarti perché comprendi quanto lei ci sia dentro e vivendo la quotidianità e lo stesso mestiere capisci cosa significhi stare sul tetto del mondo e arrivare là dove nessuna nazionale italiana era mai arrivata. In questi mesi ci siamo sacrificati tanto e l’unica cosa che non le ho mai fatto mancare è la serenità e il supporto nel dover vivere dei mesi così delicati”.

    Da esterno, cosa dovevamo capire di Carlotta?

    “Lei è una grande lavoratrice, e già lo ha fatto vedere in occasione del sesto posto di Pinerolo. Velasco ha trasmesso a questa squadra la sua grande etica del lavoro. Lei ha saputo, assieme alle compagne, fare sì che tutti i sacrifici convergessero verso un obiettivo comune. Sono state bravissime. E sì, un pezzetto di medaglia l’avrei voluta anche io (ride n.d.r.)”.

    Ci faccia sorridere. Ha pensato che anche lei ci proverà a Los Angeles 2028.

    “A 41 anni? Lei mi vuol male! Scherzi a parte, non mi sognerei mai, finché sarò in attività, di non rispondere presente ad una chiamata di Fefè De Giorgi. Lui lo sa, perché conosce quanto io tenga all’essere parte di un progetto azzurro. Io sono stato educato ad onorare sempre quella maglia e a dare il massimo, indipendentemente dal ruolo e dalle consegne che ti vengono date da un tecnico. Quindi, io ci sono. Fare il massimo e dare il massimo non mi è mai pesato. È il mio lavoro, lo faccio da una vita, ma ogni anno trovo sempre qualcosa di interessante da cui ripartire”.

    Foto di Pallavolo Padova

    Nel frattempo c’è anche alla Sonepar Padova. Secondo anno.

    “Abbiamo cominciato due mesi prima del campionato con tutto il lavoro fisico e queste saranno le settimane nelle quali incominceremo a costruire qualcosa, ovvero quell’idea di pallavolo che vogliamo dare. I tre centrali sono rimasti, una banda è rimasta, io sono felice di poter dare il mio contributo anche quest’anno. Ora bisogna creare il gruppo assieme ai nuovi arrivati, ma piano piano arriveremo pronti ad una stagione molto stimolante”.

    Rimane anche Luca Porro. Come lo ha visto dopo Parigi?

    “Ci ho parlato anche quando eravamo a Parigi assieme. È chiaro che la delusione per una medaglia che non è arrivata ed era attesa esiste, ma è una cosa assolutamente normale. Queste Olimpiadi e a maggior ragione la partita con il Giappone ha dimostrato cosa volesse dire il tema della gara secca. Rischiavamo di uscire ai quarti e i giapponesi si sono dimostrati una squadra ostica. Aspetteremo altri quattro anni. La squadra impostata da Fefè sono certo che saprà ricavarsi lo spazio che merita”.

    Foto di Fipav

    Ci dica di Stefani. Ci rassicuri.

    “Un infortunio semplice, cose che in allenamento posso succedere ogni giorno. Mi è dispiaciuto molto perché è in un momento di grande risalita e fisicamente lo vedo stare sempre meglio. Sono legato non a Stefani come opposto di Padova, ma a Tommy con cui ormai gioco da qualche anno. Lo aspettiamo e so che tornerà con noi molto presto”.

    Di Roberto Zucca LEGGI TUTTO