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    Felice Sette: “Ho puntato di più sul volley. Il beach resta un’immensa passione”

    La famigerata parola percorsi anche oggi è protagonista dei nostri corsi e ricorsi storici alla Giambattista Vico. Ma è inevitabile non creare l’abbinamento con la carriera di Felice Sette, che quest’anno dopo un biennio a Porto Viro si ritrova magicamente ad essere protagonista della MA Acqua S.Bernardo Cuneo, squadra che non si può non amare quando al suo interno trovi gente come Pinali, Cavaccini, Sottile o Volpato.

    In questi anni Sette ho assistito all’affermarsi di una dottrina Sette, per la quale Felice si è donato con passione ad uno sport come il volley che per lui era importante, ma non era il centro di tutto. Maturata questa consapevolezza è sbocciato come uno dei posti quattro più interessanti della serie A2 ed ora quasi al giro di boa del primo round della stagione, traccia un bilancio soddisfacente della sua seppur breve storia con il club piemontese:

    “Ammetto di essere stato lusingato dalle telefonate ricevute in estate. Avevo delle buone squadre alla finestra e la scelta di Cuneo è stata dettata da tanti fattori, in primis un tecnico come Battocchio che conoscevo e con cui ho lavorato molto bene. Cuneo è inoltre una piazza storica, che quest’anno vede la maschile alternarsi a un bel movimento di A1 femminile e questo porre la pallavolo al centro in una città così, inevitabilmente ti trasmette belle sensazioni. Sono passati pochi mesi dall’inizio di questa nuova storia per me, ma se devo tracciare un bilancio direi che è andata esattamente come pensavo”.

    Foto Lega Volley Maschile

    A Cuneo quest’anno non si parla di obiettivo Superlega. Non sentire questa pressione in un luogo così storico aiuta a vivere la pallavolo in maniera più serena?

    “Sicuramente la società all’inizio della stagione non ci ha caricato di pressioni, ma ci ha lasciato iniziare a lavorare con grande serenità. A noi forse questo ha dato maggiore tranquillità. Ciò detto, anche con chi si è espresso in maniera più netta, parlo delle favorite, siamo riusciti a dire la nostra e vincere”.

    Sette quindi lancia una volata classifica? 

    “(ride n.d.r.) Se noi ci crediamo e se capiamo come poter esprimere il nostro gioco migliore, riuscendo a mantenere sempre attiva l’attenzione e la concentrazione, oltre al livello di gioco, possiamo arrivare fino in fondo. Il carattere dico che Cuneo ce lo ha”.

    Arriva da due anni importanti a Porto Viro. Cosa si è portato dietro da un’esperienza così?

    “Bellissimi ricordi innanzitutto. È stata un’esperienza fatta in una città in cui si gioca e si vive benissimo la pallavolo. Porto Viro vive di quello ed è riuscita a creare un ambiente fantastico del quale mi restano anche tantissimi amici con cui mi sento quotidianamente”.

    Foto Delta Group Porto Viro

    Diciamo che è stata un’esperienza funzionale all’arrivo a Cuneo. Si riconosce sul fatto che la sua carriera sia un costante crescendo? Lei mi sembra l’uomo delle scelte giuste.

    “Sono andato in crescendo, è vero. Sono andato avanti cercando di migliorare anno dopo anno il mio rendimento e il mio approdo a Cuneo è stato fatto nel momento migliore. Mi rendo conto che quest’anno sarà un anno fondamentale per me, per tutta una serie di motivi”.

    Il suo rendimento in crescendo coincide con l’aver scelto di dare più centricità alla pallavolo rispetto al beach. È d’accordo con questa affermazione?

    “Ho puntato di più sul volley, è vero. Il beach resta un’immensa passione, ma la fiducia che mi è stata data dalle ultime società nelle quali ho militato e anche le telefonate ricevute in estate sono state un motivo in più per capire che centrarmi di più sulla pallavolo è stata un’ottima scelta”.

    Sette in Superlega. Sogno o obiettivo?

    “Penso sia il sogno di tutti i pallavolisti, e per me non è un’ossessione. Se arriverà bene, viceversa sono felice così”.

    Foto Instagram @felicesette7

    Nel mondo del beach quando tornerà la coppia Sette-Di Silvestre?

    “Il prossimo anno sicuramente. Ci piacerebbe metterci di nuovo in competizione e vorremo lavorare per fare qualcosina di più nel 2025”.

    Di Roberto Zucca LEGGI TUTTO

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    Nicolò Katalan: “Voglio giocare senza pormi limiti, stupendomi di quello che sarà il finale”

    Sono giorni in cui inevitabilmente penso a Trieste perché ricorre il trentennale dalla pubblicazione di Va dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro, romanzo di formazione mio e di un’intera generazione di scrittori nati negli anni ’80, ambientato in una delle città più incantevoli e complesse del nostro Paese. Sono anche giorni in cui ogni qualvolta vedo una foto di Nicolò Katalan penso in primis alla Tamaro, che ha dei lineamenti abbastanza simili e una cadenza assolutamente identica, oltre a quella personalità triestina che porta in campo, ma non solo.Già lo scorso anno Katalan si è messo in luce per la sua naturale collocazione all’interno di un ecosistema unico fatto di pensieri profondi, riflessioni personalissime sull’approccio alla pallavolo e alla carriera e letture e ascolti musicali (suo papà è socio di un negozio di dischi) che, nonostante sia banale fare paragoni e chiedo venia per questo, mi fanno pensare a lui come il nuovo Luca Vettori:“Questo paragone mi fa sorridere. Conosco a grandi linee il personaggio di Luca e la carriera che ha fatto. Ma non so quanto risultiamo affini”.Vettori ogni tanto sembrava un uomo di un altro tempo. Anche lei mi sembra alle volte un personaggio pirandelliano. Se vogliamo, anche poco italiano.“Forse perché sono figlio di Trieste, e l’aver abitato in una città così ti colloca forse in una dimensione tra l’Italia e il crocevia di nazioni che la popolano da sempre. Prima di arrivare in serie A, poi, ho trascorso un periodo nelle giovanili e anche in B con Sloga, che è sempre una squadra triestina, ma è anche abbastanza slovena nella formazione e in altri aspetti. Avevo compagni sloveni, ma anche serbi, e questi primi approcci al volley così internazionali mi hanno lasciato questa attitudine come dice lei, poco italiana”.L’anno scorso l’uomo dei record per ciò che riguarda il muro. Quest’anno Katalan viaggia altissimo in classifica con la sua Tinet Prata.“È una bella sensazione. Oggettivamente siamo partiti senza porre limiti alla provvidenza. Non siamo stati la squadra delle dichiarazioni e non ci siamo e non ci stiamo ponendo dei confini su ciò a cui si può puntare”.Foto Franco MoretQuando ha iniziato a capire che, come si suol dire, anche Prata c’è?“Già contro Ravenna. Mi sono reso conto di quanto siamo bravi a restare attaccati al set e di quanta voglia questa squadra ha di lottare fino alla fine. Nonostante con Ravenna o con Brescia siano arrivate delle sconfitte, ci siamo portati a casa l’attitudine nel proseguire a giocare in questo modo ed è così che poi sono arrivate delle affermazioni importanti”.Avete battuto la corazzata Acicastello.“Una bella vittoria, una gara difficile in un palazzetto importante, contro una squadra davvero attrezzata per fare bene. Sono partite che in primis fanno morale e che ti rendono orgoglioso del lavoro che stai facendo”.Cinque anni alla Tinet. Si trova bene come il primo giorno?“Mi trovo benissimo come all’inizio. Quest’anno dovevamo fare i conti con i cambiamenti in squadra e nello staff e credo che siamo stati bravi in questo. C’è voluto parecchio lavoro e se vogliamo anche la voglia di conoscersi”.foto: Franco MoretMi dica il fattore distintivo che fa essere questa Prata tra le prime della classe.“Io sono un grande sostenitore dell’intensità e dell’aumento di essa nella quotidianità dell’allenamento. Mi sono fatto l’idea che il campionato sia molto equilibrato e che tu debba essere bravo a recepire gli stimoli di tutti e riproporli sotto forma di questa progressione che deve partire dall’inizio della settimana e culminare nel momento della gara”.Se continuasse così, anche se non diamo nomi alle cose in questo momento del campionato, si capisce che Katalan si aspetta un bel finale della storia.“Quello che muove il mondo è la curiosità, lo penso davvero. Lo stupore che si genera andando a scoprire dove si può arrivare nella pallavolo è un fattore importante. Voglio continuare a giocare senza pormi i limiti e stupendomi di quello che sarà il finale. La sensazione di dire la nostra è cresciuto e cresce settimana dopo settimana”.Di Roberto Zucca LEGGI TUTTO

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    Tommaso Barotto e la questione ‘azzurrabilità’: “Continuo a tenere i piedi per terra”

    Questa è una conversazione che nasce da un’altra conversazione, ovvero quella con un caro collega con il quale lavoro, e della cui creatività linguistica ed espressiva si potrebbe scrivere un trattato. Per Tommaso Barotto l’amico Giuliano Bindoni ha coniato il termine “azzurrabile” (vorrei prendere la paternità del neologismo, ma ahimé non posso), alludendo alla candidabilità di Tommaso, opinione tra l’altro condivisa con il sottoscritto, alla maglia della nazionale seniores.Quanto sia azzurrabile Barotto lo dimostrano le scelte, fra cui l’approdo alla Powervolley Milano, nella quale è arrivato dopo una rapidissima e giustissima ascesa. Anche Tommaso è sbocciato in quel di Porto Viro, società che in questi anni è servita come apripista per molti giovani e meno giovani che nel club veneto hanno trovato una stabilità e una fonte di affermazione:“Porto Viro è stata una bellissima esperienza. Arrivavo da Milano in un paesone di 20.000 abitanti, nel quale mi sono sentito subito a casa, poiché è un luogo che vive di volley, e nel quale capitava di fermarsi per strada o al supermercato perché le persone notavano un giocatore alto e ricollegavano il volley e allora bastava un pretesto per parlarti della partita o per chiederti semplicemente a che ora si sarebbe giocato la domenica successiva. Rimane la passione, la tifoseria, davvero una bella parentesi”.Foto Lega Pallavolo Serie AQui a Milano ha trovato un altro simbolo della pallavolo, capace di catalizzare quell’attenzione da sempre. Si chiama Matteo Piano.“Lui è veramente una persona solare, capace di donarsi alla gente. Milano è certamente un contesto più grande, nel quale come in moltissime città, il calcio la fa da padrone. Ma anche alla Powervolley siamo riusciti a creare un bel microcosmo, con uno zoccolo duro di tifosi e con il palazzetto che si riempie sempre per venirci a vedere. Sono molto felice di essere arrivato”.Creare microcosmi come fa da sempre la società o lo stesso Matteo, aiuta secondo lei a perseguire determinati risultati?“Secondo me ti aiuta parecchio, perché il calore del pubblico, l’attenzione dei tifosi fa sempre bene. È uno stimolo perché capisci che sei lì certamente per te stesso, ma devi far bene anche per quelle centinaia di persone che ti seguono con passione e da te è come se volessero in cambio qualcosa, che poi non è altro che lo spettacolo o la grinta che siamo tenuti a servire per tutta la partita. Le persone anche a Milano sono in grado di spingerti, è un sogno comune, quello tra noi giocatori e loro sostenitori, e c’è una percentuale di supporto del pubblico che contribuisce a realizzarlo”.Barotto nuovo volto che piace anche agli addetti ai lavori. Lei si percepisce nella strada giusta per il successo?“Oddio, è una domanda difficile. Io so di avere scelto Milano perché so di avere degli obiettivi, il primo dei quali è crescere compiendo dei passi giusti nelle società giuste che in qualche modo contribuiscono alla mia affermazione”.Foto Powervolley MilanoLa sua carriera è stata rapidissima. Cosa ha saputo gestire meglio?“L’aver tenuto i piedi per terra e il continuare a tenerli”.Quando la definiamo azzurrabile lei cosa pensa?“Io non guardo molto all’azzurrabilità, come la chiama lei, o meglio cerco di non pensarci più di tanto. Ovviamente ognuno di noi si affaccia nel panorama della nazionale maggiore con il sogno di poterne fare parte. Sono molto focalizzato nel riuscire a far bene con la maglia di Milano e a vivere altrettanto il mio presente pallavolistico, e se ciò mi aiutasse ad arrivare un giorno ad indossare la maglia della seniores sarebbe davvero il massimo”.Foto Federazione Italiana PallavoloUna volta arrivato a casa sua a Stienta, si accorge di essere rimasto quel Tommaso degli anni dell’infanzia?“Consideri che sono andato via molto presto e sotto questo aspetto i miei genitori sono stati un supporto fondamentale, in primis perché mi hanno permesso di poter fare questa scelta. Li ringrazierò tutta la vita perché hanno fatto davvero tanti sacrifici per permettermi di diventare ciò che sono oggi. Stienta è un luogo in cui torno con grande piacere perché è casa, famiglia e perché sono rimasto molto legato a tutto e tutti”.So di una famiglia Barotto tifosissima.“Nonno sta diventando molto bravo anche a guardare le partite al pc, con l’ausilio della famiglia (ride n.d.r.). In generale sento il loro calore sempre”.Chiedo scherzosamente, li ha mai perdonati di averle fatto abbandonare il calcio per il volley?“Per me parlare del calcio è un argomento molto nostalgico, anche perché sono tifosissimo e sono uno juventino sfegatato. Ho avuto il pallone tra i piedi sin dalla nascita, e a 12 anni ho dovuto lasciare perché sono cresciuto troppo e non era lo sport più adatto per le mie altezze. Si immagini un ragazzino alle elementari alto 1.75 cm in mezzo a una pletora di bambini. Ho pianto molto, ero un difensore centrale e quando parlo di calcio mi si illuminano sempre gli occhi”.I miti assoluti?“Del Piero e Marco Reus”.Barotto, potrebbe giocarsi un secondo tempo della vita sportiva nel calcio. Ci ha mai pensato?“Non mi ci faccia pensare. Ho una maglia di Del Piero appesa in casa. Chissà che magari un giorno non riesca davvero, ma parlo di un tempo lontanissimo, a rigiocare ancora”.Cosa resta di quegli anni così spensierati?“Le stesse idee e la stessa voglia di vincere”.Di Roberto Zucca LEGGI TUTTO

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    Nel mondo di Leonardo Puliti: giocatore, brand manager, fidanzato di Paola Egonu

    Scrivo di pallavolo da tantissimi anni, più o meno da quando il costume (spesso confuso con la parola gossip) si è improvvisamente mischiato con la pallavolo. Erano gli anni in cui a pallavolisti come Maurizia Cacciatori veniva chiesto conto del suo fidanzamento, dei tira e molla con Gianmarco Pozzecco, ma anche di Francesca Piccinini e Dj Ringo.Insomma, da quando si chiedeva alla gente del volley di essere dei personaggi pubblici e da quando noi lettori delle riviste della cesta dal parrucchiere, ci alimentavamo con le cronache rosa che mischiavano sport e spettacolo. Ho sempre assistito alla commistione dei generi e al nutrimento che entrambe le sfere hanno tentato di fare, capendo che non sempre il lettore e il tifoso (ma anche diversi colleghi) fossero in grado di decodificare i messaggi o assurgessero a interpretazioni errate o completamente prive di oggettività.Perciò quando la mia amicizia e il mio smisurato affetto nei confronti di Leonardo Puliti ha incrociato la sua vita privata nell’intervista che vi apprestate a leggere, ho scelto di mettere Leo (è la prima volta che mi prendo la licenza poetica di usare una confidenzialità che esiste da più di quindici anni con il protagonista del mio colloquio) al centro del dibattito, e fare esattamente ciò che gli ho visto fare quest’estate in una mattina parigina al di fuori di un hotel.I giornalisti volevano loro (inteso come lui e Paola Egonu) e lui è semplicemente stato “Pulitiano”, ossia ha fatto un passo indietro e lasciato che colei che rappresenta la più grande risorsa della pallavolo femminile del nostro paese, avesse lo spazio che merita per parlare solo di sé e del volley e non di una vita privata che giustamente affronta con l’intimità che merita. Ammiro molto Leonardo, certamente non solo per quello che è nella sua vita pubblica, ma per quello che fa. Per la sua capacità di essere diventato un brand manager e per il suo essere un uomo ancora centralissimo nella pallavolo, dove da anni cerca di tenere alto il nome del Volley 2001 Garlasco, squadra che quest’anno affronta la serie B e di cui Puliti è in primis il capitano.“La squadra di quest’anno mi piace molto perché rappresenta ciò che penso debba essere Garlasco, ossia un team di ragazzi che lavorano, si divertono e cercano di crescere e maturare praticando la pallavolo. È un gruppo molto unito, in cui ho avuto il piacere di ritrovare Filippo Agostini e Piccinini, che è il vero senatore della squadra. Poi è arrivato Baratti che è un ottimo palleggiatore e sta facendo crescere la squadra e Luis Vattovaz, un opposto di cui sentiremo parlare con una forza e una carica impressionante, oltre ad essere una persona rara in questo ambiente. Detto questo, i risultati non possono arrivare subito e la società, dopo la retrocessione non ci ha messo la pressione di dover immediatamente puntare al salto di categoria. Ci ho pensato io a metterla a tutta la squadra perché penso che questo sia un gruppo che può e deve fare bene”.foto Aldo CastoldiLo scorso anno lei ha vissuto un anno emozionalmente complesso. La retrocessione di Garlasco si è portata tanti strascichi?“Onestamente è stato un anno molto difficile. Non riesco a non immedesimarmi nelle situazioni e a non viverle a 360 gradi. Ho un lavoro che mi porta a vivere dentro la pallavolo per tutta la giornata lavorativa perché sono Brand Manager al Consorzio Vero Volley, perciò ho pensato spesso quanto avrei voluto che la pallavolo giocata fosse ancora centrale nella mia vita. Lo penso tuttora, e ho tenuto botta, riaffacciandomi dopo l’estate a Garlasco pensando di poter fare qualcosa per questa società e volendo dare il mio contributo alla squadra. Il tempo mi dirà se è stata una scelta giusta”.So che non ama definirsi tale, ma lei Puliti è il leader di Garlasco.“Io leader? Diciamo che sono un capitano, ossia ho un ruolo fatto di oneri e onori. Quest’anno non ho chiesto di avere una posizione di vertice nella squadra, ma solo di ripartire da un foglio bianco, superando i problemi e le conseguenze di una retrocessione per me molto amara da digerire”.Ora però lei è l’uomo dei 25 punti a partita. Mi dica se le piace ancora essere quel giocatore lì.“(ride n.d.r.) Lei mi provoca e io mi rispondo. È ovvio che rappresenti un punto in più per proseguire con la pallavolo. Non nego che sia bello giocare in A e non avere quei tabellini, ma il sabato è sempre divertente attaccare quel numero di palloni che mi capitano a Garlasco!”Dicono che lei abbia un debole per il Vero Volley maschile e che non disdegni gli allenamenti della prima squadra quando viene coinvolto.“Intanto perché è casa mia. Succede però a fine stagione ed è bellissimo perché ogni volta in cui finisco di lavorare, scendo le scale e mi tuffo nel mio passato ed è una sensazione strana e alienante. Per lavoro li seguo, e quando il DS Bonati mi ha chiesto di unirmi loro per qualche allenamento non ci ho messo un minuto a dire di sì. Vedo Thomas (Beretta n.d.r.), che è come un fratello e provo le stesse emozioni, la stessa malinconia che provavo appena maggiorenne quando qui tutto iniziava o quando la vita mi ha portato lontano da Monza per qualche anno”.Vero Volley è una squadra ormai fatta da tante stelle della disciplina. Da brand manager, mi dica chi la colpisce di più.“Le dico Thomas per la sua capacità di creare innanzitutto uno spogliatoio unito. Ogni volta in cui lo guardo, mi riempie di orgoglio vederlo così. Il suo vissuto mi piace tutto, il suo personaggio fatto di diverse sfaccettature è apprezzabile da tutti i suoi lati”.foto Vero VolleySo che è rimasto molto colpito anche da Ivan Zaytsev. Perché?“Perché è rimasto quello che ho conosciuto a Roma quando ero pischello. È bastato un attimo per ricreare con lui, ma anche con sua moglie Ashling quella complicità, quella spensieratezza degli anni in cui Ivan non era ancora il personaggio che è divenuto nel tempo. Mi piace il suo affrontare questo divismo che si è creato attorno alla sua persona con molta semplicità. Io per lui ho un amore incondizionato da sempre e trovo che ciò che è stato in questi anni lo abbia gestito senza sbavature. Di Ivan mi colpisce anche la consapevolezza con cui incarna questo ruolo. Ha un animus pugnandi che non lo fai mai arretrare di un centimetro”.Immagino che quando parla di stare sotto i riflettori e della capacità di far parte di questa macchina del successo, pensi a quanto sia stato particolare per lei gestire l’ultimo anno della sua vita.“Si gestisce esattamente come si fa con tutte le cose della vita”.Un passo indietro. Mi sembra che sia questa la sua filosofia.“Alle volte la gente pensa che io non rappresenti la società per cui lavoro, ma l’atleta che è poi la mia compagna ed è Paola Egonu. Invece rappresento Vero Volley, faccio il mio lavoro e se posso cerco sempre di operare per il bene della ragazza che amo e con cui è nato qualcosa di molto molto bello”.Forse il vero segreto di Puliti è il fatto che nello sport è una persona davvero risolta.“Ho fatto il mio, ho avuto le mie responsabilità. Ho vissuto successi e insuccessi. Ora la pallavolo è il mio lavoro. Vivo i successi degli altri, degli amici, delle persone che amo con la gioia di poterli condividere. Ma non di impossessarmene”.Il suo ex compagno di squadra Javier Martinez è uno dei personaggi del Grande Fratello. Cosa pensa del volley che finisce dentro il contenitore dei reality?“Ho conosciuto Javier in una versione più spensierata e ora capita di vedere qualcosa sporadicamente con i ragazzi a Garlasco. Sono felice per lui e per il percorso che si è scelto. Lui ha una storia famigliare molto forte e interessante. Non ho mai capito se questo desiderio di fama sia la sua vera essenza e se lui preferisca essere ricordato per essere il pallavolista Javier Martinez o Javier del GF. Gli auguro ogni bene qualunque cosa scelga di fare”.Lei farebbe mai una scelta di questo tipo.“Non potrei mai. Per come sono fatto, non sarei mai capace, lei lo sa, di condividere più di quello che ho fatto davanti alla telecamera, ossia giocare qualche partita di pallavolo in diretta”.Di Roberto Zucca LEGGI TUTTO

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    Roberto Cominetti si racconta: “Non sono uno che vive la pressione della mancata scelta”

    Vorrei vivere un giorno da Cominetti. Vorrei vivere un giorno da giocatore morigerato, uomo coraggioso, sportivo inattaccabile. Vorrei vivere un giorno non solo come un’eterna sfida, ma come un luogo sicuro nel quale essere certi di arrivare all’obiettivo. Quello che negli ultimi anni è emerso nel mio rapporto epistolare e giornalistico con uno dei tre migliori giocatori della serie A2, a mio modestissimo parere, è la costante riuscita di ciò che sembrava possibile, ma difficilmente realizzabile.Roberto è capace di stupire e stupirci a prescindere, vincendo campionati, centrando finali inaspettati, scrivendo pagine bellissime di sé e della sua splendida carriera. Quando le circostanze della vita fanno altresì alzare il livello e salire l’asticella del mondo della pallavolo, lui non demorde, prende tempo, elabora, non si scompone. Poi fa semplicemente il Cominetti, sfruttando un momento, e come scrisse Califano diventando grande in un tempo piccolo.Succede che la sua Brescia, dall’alto del suo secondo posto in classifica, costruisce una incredibile corazzata, portando la sfida personale di Cominetti a giocarsi una staffetta con Raffaelli e Bisset. Succede che Cominetti dalla gara contro Reggio Emilia, la terza di campionato, trova una continuità, e la trova assieme ad una squadra che inanella assieme a lui sei risultati utili consecutivi e scala la classifica sino a raggiungere la vetta.“Veniamo da un periodo molto positivo che è coinciso col raggiungere questo temporaneo primo posto in classifica. L’ultima gara contro Ravenna fuori casa prima di Aversa è stata una vittoria molto importante in un campo che sta diventando davvero difficile. Ravenna è una squadra tosta, lo sappiamo tutti e domenica scorsa abbiamo giocato i primi due set in maniera inattaccabile. Loro difendono tanto, ma riuscire a conquistare il secondo parziale lasciando l’altra squadra a dieci ci ha dato una carica incredibile”.Brescia vince in luoghi dove solitamente si vende cara la pelle. Il più difficile?“Beh, in A2 ci sono palazzetti come Fano o anche Pineto dove il pubblico è veramente tanto tanto caldo. Penso anche a Cuneo, che è un palazzetto a cui per tante ragioni resto legato e mi fa sempre un certo effetto giocarci contro. Alcuni sono luoghi dove la gente vive la pallavolo con tanta passione, altri perché con mille persone si crea un’atmosfera incredibile fatta di sfide e anche di bei ricordi”.La titolarità Cominetti se l’è guadagnata strada facendo.“Me la sono guadagnata in maniera serena da qualche giornata. Non sono uno che vive la pressione della mancata scelta o il dover dimostrare qualcosa di diverso rispetto a ciò che ho fatto in passato. Io ho fatto il mio in A2, e proseguo con Brescia ad allenarmi bene e restando fermamente convinto che le occasioni prima o poi arrivino. Cerco sempre di farmi trovare pronto. Aggiungo che in palestra stiamo lavorando molto bene e certamente rispetto al primo periodo siamo cresciuti moltissimo come gruppo”.Si vive la competizione ad esempio con Raffaelli?“Si vive una grande stima reciproca innanzitutto. Con Giacomo un rapporto molto bello ed è fatto di un confronto continuo che facciamo sempre. Anche nell’ultima gara, quando in campo c’ero io Raffa mi ha dato dei consigli preziosi sul muro di Ravenna. Non riesco ad essere diverso con i compagni di squadra e se vedo che dall’altra parte c’è fiducia e rispetto, creo soltanto ciò che sto creando con Giacomo. In generale anche con Oreste e tutti i nuovi arrivi si è creata una bellissima alchimia e lo noto ogni pomeriggio quando al palazzetto lavoriamo intensamente, ma tra tutti noi si capisce che la scintilla è scoppiata”.La scintilla è scoppiata anche fuori dal campo. Quest’estate ha deciso di sposare la sua compagna storica Valentina Perris.“Ci sposeremo nel 2026, ma era arrivato il momento perché è davvero la persona della mia vita. Per ora le ho solo dato l’anello e i dettagli del matrimonio sono in via di definizione. Siamo felicissimi”.Di Roberto Zucca LEGGI TUTTO

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    La consapevolezza di Morgan Biasotto: “Sono molto severo e pretendo molto da me stesso”

    Una serata fredda, non tipicamente isolana. Un colloquio fatto di silenzi, se vogliamo lunghi, di battute, di ribattute. Con Morgan Biasotto sono arrivato con il coltello bonario tra i denti, pronto ad affondare dei colpi su una sua apparente personalità gioviale e mi sono ritrovato a buttare l’arma dopo le prime domande.Con Biasotto, nuovo volto da 31 punti a partita (nella penultima gara contro San Sepolcro) del Cus Cagliari, sono stato un giornalista lascivo, un cronista impreparato, fiero dei pregiudizi che uno può farsi guardando qualche partita e fermandosi come capita talvolta a fissare il dito e non la luna. Davanti a me pensavo di trovare la leggerezza di un momento e ho trovato la profondità di una vita intera.Morgan è arrivato in Sardegna quest’estate e sin dalle primissime partite mi ha colpito non tanto per ciò che ha fatto, ma per ciò che potrebbe potenzialmente fare. I suoi anni precedenti sono fatti di scoperte, di consapevolezze, di viaggi, di case che si chiamano Genova, ma anche Serbia, di maglie azzurre indossate, di estati lunghe e complesse.Io di lei non ho capito nulla Biasotto.“La mia storia non è semplice. Sono arrivato in agosto per la prima volta in Sardegna. Non c’ero mai stato e sin da subito mi sono innamorato. Non immaginavo di trovarmi così dai primi giorni. Forse c’è il mare che un po’ mi ricorda la Liguria in cui sono nato, forse ho trovato semplicemente una società e un gruppo in cui sto particolarmente bene. Arrivavo da un’esperienza ad Aversa che dal punto di vista della squadra e appunto del gruppo che si è creato, ha compensato tante altre mancanze”.A Cagliari allena gli Under. L’hanno messa subito sotto.“Alleno l’Under 13, o meglio, sono il secondo del mio compagno di squadra e amico Donato Chialà. Anche questa esperienza mi ha dato modo di conoscermi un po’ meglio. Mi motiva molto vedere la loro crescita. Come allenatore osservare un ragazzo che migliora di settimana in settimana è una gran bella soddisfazione”.Chi è stato il Morgan Biasotto allenatore per Morgan Biasotto?“Vladimir Grbic. Sono cresciuto nelle giovanili di Monza e poi ho fatto un percorso che fino a tre anni fa mi ha portato a sfiorare la convocazione per il Mondiale di Under. Al pre-ritiro scelgono di non convocarmi, ero all’ultimo anno di giovanile. Sono andato al camp di Vlado, ho avuto come la necessità di andare da un’altra parte per un po’ ed oltre ad aver trovato delle persone come me che all’ultimo hanno visto chiudersi le porte di qualcosa per cui lavoravano da tantissimo tempo, ho trovato un padre. Anche Vladimir, scherzando, dice che per lui sono come un figlio. Gli ho raccontato la mia storia, c’è stato un incontro tra persone che amano moltissimo questo sport. Ho lavorato anche con Nikola, suo fratello. È stato un camp che è servito a tanto”.I Grbic non sono noti per avere una cosiddetta “mano di fata” con le persone. Educazione severa, vita dedicata ciecamente al volley.“Quella cultura respirata in Serbia mi ha fatto bene. In fondo molta gente non si è resa conto che anche io sono molto severo e pretendo molto da me stesso. Non saprei essere una persona che prende sotto gamba l’impegno per questo sport”.Dall’aspetto lei sembra una persona leggera, quello che in gergo si definirebbe un ca**aro. Non avevamo capito niente.“(ride n.d.r.) Dice?”Al Cus comincia una stagione in crescendo. All’ultima prova in casa il tabellino personale segna 31 punti.“All’inizio volevo spaccare tutto e l’impatto con la stagione non mi ha dato occasione di farlo. Nelle ultime settimane ho avuto più occasioni per fare punti, fino alla bella prova con San Sepolcro. È una vittoria che è servita al gruppo. Eravamo carichi e la volevamo con tutto noi stessi”.Dove vuole puntare con Menicali e soci?“Ai playoff. La nostra squadra punta a quello”.Un obiettivo a cui punta anche Acqui Terme, la squadra di suo fratello, che ha sconfitto proprio domenica. “Sono gasatissimo perché loro sono candidati alle posizioni di vertice ed è una vittoria che ha fatto molto bene a tutta la squadra”.Che rapporto si crea tra due fratelli che giocano nelle parti opposte del campionato?“Con Manuel non siamo cresciuti assieme. Ci ha legato il mestiere che ci siamo scelti e abbiamo cominciato a costruire il nostro rapporto due anni fa, quando ci siamo trovati a Lagonegro a condividere la stessa maglia, la stessa società e la stessa casa. È stato un anno fatto di tante cose, ma certamente un anno in cui con Manuel ho riscoperto il valore della fratellanza. Un rapporto in divenire di cui non so fare a meno adesso”.Di Roberto Zucca LEGGI TUTTO

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    Rinaldi tra presente e futuro: “Modena è stata, è e sarà la mia squadra”

    Non c’è una volta in cui non mi comporti con lui da padre orgoglioso che lo ha visto crescere. Sarà quel candore e quell’eterna aria adolescenziale che emana, sarà che la prima volta che l’ho visto in campo ricordo non solo la sua età, ovvero quindici anni, e lo stesso volto, ovvero la stessa espressione, gli stessi occhi, lo stesso sguardo esageratamente ambizioso e severo, ma Tommaso Rinaldi per me resta sempre quello che mi ha fatto pensare quanto la pallavolo possa essere vicina a Giambattista Vico e ai corsi e ricorsi storici. Vedi in Rinaldi non tanto suo padre, quanto gli anni ’90 e il Classicismo del volley, non il passato ingombrante, quanto la nostalgia per l’esecuzione, i gesti, la tecnica. 

    Oggi vedo Tommaso a Modena e penso quanto sia Panini, Las Daytona, Cimone. Quanto passato c’è dentro quel ragazzo moderno che oggi è diventato, a mio modestissimo parere, il simbolo della rinascita, del nuovo ciclo. Rinaldi come Totti, lui gongolerà, già lo so, ovvero colui che cresce e poi sposa non solo il progetto di una società e di una città ineguagliabile nel panorama del volley, quanto ne indossa le sembianze, ne veste la maglia e i valori con colori unici:

    “Il simbolo di questa Modena? È un onore sentire queste parole e mi prendo la responsabilità di esserlo per la squadra. Questa è la città, la società e il posto in cui ho scelto di crescere e Modena è stata, è e sarà la mia squadra”.

    La Modena di Rinaldi. Il cuore, la casa, l’anima della sua vita.

    “Qui ho i miei amici, la mia famiglia, la mia vita. Questo è il luogo in cui amo stare bene”.

    foto Modena Volley

    Non vedevo questo Rinaldi da tanto tempo.

    “Lei dice?”

    Sembra aver preso una squadra sulle spalle perché si è liberato le spalle da un recente passato impegnativo.

    “È stato un anno molto difficile a livello mentale, perché arrivavo da una ruota che non smetteva mai di girare. Ho trascorso cinque mesi in nazionale, non ho fatto pause e poi la scorsa stagione non è stata la nostra migliore stagione. Abbiamo avuto l’esonero dell’allenatore e il nostro pubblico che è una forza che guida tutto, non ci dava più l’energia di cui si sente bisogno al Palapanini”.

    Arriva l’esclusione da Parigi. 

    “Ho staccato completamente e riavvolto il nastro dopo il primo mese e mezzo di nazionale. Ho resettato, ho rivisto il film dei miei ultimi sei anni. Sono tornato in palestra con una carica incredibile. Abbiamo lavorato al massimo, la preparazione con Modena è stata ottimale, perché ci siamo presi il tempo di preparare questo campionato”.

    Foto di Fipav

    In fondo, se consideriamo globalmente la carriera, lei ha vinto sempre negli ultimi anni.

    “Sì, a parte quest’anno, ho vinto qualcosa ogni anno. Quando ho ripercorso questo ultimo periodo della mia vita, mi sono chiesto a quanti capiti una fortuna del genere e la risposta è che non capita a tanti. Capirlo ti regala la serenità con cui affronto questo momento a Modena”.

    Che Modena è quella di Rinaldi, Sanguinetti, De Cecco, Anzani?

    “Una squadra con un livello veramente alto che ha avuto un pochino di sfortuna all’inizio e che semplicemente doveva prendere le misure con tutto. Il risultato è stato quello di lasciare qualche punticino qua e là, ma di aver già incrociato tutte le squadre di vertice, quindi ora il focus è solo rivolto alla crescita sotto tutti i punti di vista”.

    Qualche incontro speciale nelle prime partite? So che è molto legato a tanti compagni di nazionale.

    “Con Michieletto nella gara contro Trento ci siamo scambiati sorrisi per tutta la partita. Siamo avversari, quando siamo in campo cerchiamo di dare il massimo come facciamo in azzurro, ma resta la persona con cui sono cresciuto nelle giovanili e a cui riconosco degli anni e dei progressi incredibili. Stesso discorso con Yuri Romanò nella gara contro Piacenza. Non vedevo l’ora di riabbracciare forte lui, Marta, sua figlia. Ero in camera con Yuri il giorno in cui Marta gli ha comunicato di essere in dolce attesa. Io sono una persona che se ti vuol bene, te ne vorrò sempre al 100%. Romanò è uno di quei compagni e amici che si meritano questa versione di Tommaso”.

    Anche lei ha una compagna. Dove è arrivato il suo percorso personale sotto questo punto di vista.

    “Non sono ancora pronto per avere un figlio. Ora ci siamo laureati, io in economia aziendale e lei in ingegneria gestionale. Siamo focalizzati entrambi sul nostro rapporto, ma anche sulla costruzione di un futuro lavorativo, lei completa la magistrale e io sono concentrato sulla pallavolo. Per me questo è un punto importante e dolente, nel senso che avendo vissuto la separazione dei miei, è importante sentirsi davvero pronti per costruire un progetto di vita con i tempi e i luoghi giusti”.

    Foto Instagram @tommaso_rinaldi90

    La famiglia cosa è per lei Tommaso?

    “Un pensiero bellissimo”.

    Il futuro lavorativo?

    “Mi piacerebbe restare nell’ambiente, anche se è davvero precoce parlarne. Però il pensiero di essere un giorno il DG di una squadra di volley non mi dispiacerebbe. Ovviamente è davvero un futuro lontano”.

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    Davide Cester, Acqui e… sapone: “Alla carriera ho anteposto il rispetto per me stesso”

    Capita ad entrambi, da ormai due anni, che quando chiudiamo la conversazione, poi finiamo col pensare dove fossero le domande e quali fossero soprattutto le risposte. Mi capita perché con Davide Cester mi confronto, non domando, creando una sorta di flusso di coscienza mia e suo che ci porta poi a parlare di pallavolo, di vita, di noi.

    C’è tutto quello che desidero in Davide, c’è tutto ciò che spero nel Cester attuale: le origini in una scuola di vita, il successo, la caduta, la rinascita, la redenzione. Non posso non essere un sostenitore di un ragazzo come lui che non gioca nelle squadre che magari supporto per motivi logistici e geografici, ma che ho la fortuna di vedere dal vivo fare un percorso che lo ha portato a vivere una montagna russa importante e impegnativa.

    Una delle ultime domeniche, Davide ha totalizzato 20 punti contro la blasonata Belluno, giocando una partita che non colloca né lui né Acqui Terme in serie A3. Cester in particolare ha scelto delle soluzioni d’attacco da veterano, e ha concluso il suo personale con la soddisfazione di chi sta ritornando ad essere ciò che voleva essere e ciò che vorrebbe fosse questa nuova Acqui.

    “Sono contento della prestazione della squadra contro Belluno. Badi bene, non parlo della mia prestazione, ma di quella di tutti noi. Mi è piaciuta molto una cosa, ossia la reazione avuta dopo la trasferta contro Sarroch, nella quale nonostante ci fossimo allenati bene, non siamo riusciti ad esprimerci come volevamo. Questa può essere una cosa molto frustrante, quindi una volta tornati ad Acqui con Totire abbiamo lavorato su ciò che non era andato e nella gara contro Belluno abbiamo dimostrato ad esempio di essere anche noi una formazione d’attacco”.

    Diciamo anche che ad Acqui sono arrivati Iacopo Botto e Michal Petras. Sente la competizione del reparto?

    “No, assolutamente. Penso sia giusto che ci spartiamo i palloni e che un regista faccia le sue scelte in base al gioco su cui lavoriamo in settimana. Io ci sono, lavoro molto con Bellanova da questo punto di vista e cerchiamo di capire sempre come poter dare sempre il nostro massimo. Devo anche spezzare una lancia per i nostri centrali che stanno facendo un ottimo lavoro. La squadra è in generale un progetto in cui personalmente credo molto”.

    Cosa è cambiato rispetto alla scorsa stagione?

    “Penso che sia cresciuto il senso del professionismo. Con elementi che hanno conosciuto altri ambienti e livelli di gioco diversi, ci siamo subito trovati molto bene. Trovo forse una coralità migliore nel percepirsi squadra. Ognuno lavora per il bene del gruppo, senza individualismi”.

    Terzo anno ad Acqui. Sembra che il centro della vita di Cester si sia spostato dall’amato Veneto.

    “Sono arrivato qui quando Acqui Terme si affacciava con ambizione nel campionato di B. Sono sceso dalla A3 perché volevo ricominciare a credere nella serietà di un progetto, senza considerare altri aspetti come ad esempio il prestigio della serie in cui giocavo. Se ho rinnovato anno dopo anno, è perché credo ancora nella bontà di questo impegno e nel successo di questa società. Poi la vita può portarti anche altrove, la nostra carriera è fatta di spostamenti. Io non ho mai avuto l’ossessione di tornare in Veneto ad esempio”.

    Al canto delle sirene quindi, lei non risponde?

    “(ride n.d.r.) Capiterà di rigiocare nella mia terra per qualche squadra vicino a casa, anche se realtà come Treviso o Motta non sono più in serie A. Per ora sto molto bene qui”.

    Cester è un soldato della serie A3.

    “Io lavoro per prendermi sempre ciò che mi spetta. Qui ad Acqui vedo che il pubblico e la società percepiscono quando un atleta si esprime con impegno e garantendo una buona qualità del proprio lavoro. So quello che posso dare e cerco di farlo ogni giorno in palestra”.

    Una delle persone a cui si è più legato è Alessandro Graziani. Mi dica se sbaglio.

    “Non sbaglia, è un amico a cui sono molto legato”.

    Lei e Graziani in questi anni siete sembrati desiderosi di rivalsa. 

    “Siamo due pallavolisti che hanno lottato per le proprie idee e hanno messo davanti alla propria carriera il rispetto per noi stessi. Ci siamo incontrati e qui ad Acqui Terme forse abbiamo cominciato a risalire la china. Sono contento di poter fare questo pezzetto di strada assieme a una persona come lui”.

    Si ha l’idea che quest’anno Acqui Terme potrebbe vincere più per la squadra che per gli ottimi singoli.

    “Non sbaglia. È una squadra molto unita”

    Da chi dovrete guardarvi le spalle.

    “Ci sono due o tre formazioni veramente forti, penso a Belluno, San Donà, ma anche Mantova che lo scorso anno ha fatto così bene, deve solo partire. Penso anche a tutte le altre, comprese Savigliano o Sarroch. Ci sarà da combattere con tutte. Sarà durissima”.

    Di Roberto Zucca LEGGI TUTTO