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    Lagonegro in A2, ‘Cantagallizzata’ da Diego Cantagalli: un vizio di famiglia

    Resti incantato non dalla sua forza d’animo, ma proprio dalla severità con cui colpisce la palla e tramortisce avversari. È stato così per tutta la stagione regolare, alla Rinascita Lagonegro, fin quando ha occupato il posto fisso di top player e l’ha Cantagallizzata. Un vizio di famiglia, dirà qualcuno. Bravo Diego, aggiungo io, che brindo alla promozione in A2 non solo di una squadra che ha saputo giocarsi molto bene le proprie carte ai playoff, liquidando la pratica finale nel giro di tre gare secche e ai danni di Acqui Terme, ma del Diego Cantagalli che è tornato ad essere uomo del fare e posto due di riferimento della categoria con 579 punti e da leader indiscusso della classifica individuale.

    “Abbiano fatto un percorso travagliato, ma incisivo, che col tempo si è rivelato utile ai fini del finale di stagione. All’inizio non siamo andati troppo bene. Credo forse un tema di assestamento, tanto che dopo l’arrivo di Sperotto in regia e di Valdo come allenatore, abbiamo invertito la rotta e abbiamo ingranato”

    L’impostazione data da Valdo ha cambiato il corso della stagione.

    “È stata una piacevole sorpresa, è stata davvero una rinascita, non solo nel nome della società (ride n.d.r.). Mi piace dirlo, perché la squadra ci ha guadagnato per ciò che riguarda i maggiori stimoli o è cresciuta dal punto di vista della voglia di vincere le difficoltà. Questo switch è stata la nostra arma vincente. Non abbiamo mai pensato di mollare e smettere di credere nella possibilità di ribaltare la stagione a nostro favore”

    Si è detto, soprattutto ai playoff, che Lagonegro fosse Cantagallicentrica. Con l’onestà che la contraddistingue, mi dica se è un qualcosa che la imbarazza o che le fa piacere.

    “Che io fossi il principale punto di riferimento in attacco è una responsabilità che mi sono preso dal primo giorno e mi ha fatto anche molto piacere esserlo. Quest’anno, parlo a livello personale, è andata molto bene e sono stato in grado, col gioco espresso, di riuscire nell’intento di dare un’impronta a determinate partite”

    Essere in A3 è troppo poco per lei. Lo dico io, così non imbarazziamo nessuno.

    “Non voglio fermarmi di certo, il sogno di tornare in A2 c’era, ma non solo. Io lavoro perché penso di poter riuscire a tornare in Superlega come ai tempi di Civitanova. Lavoro ogni giorno per questo”

    Qui viene fuori il figlio d’arte di Luca Cantagalli. Uno che sa scalare le montagne del volley. Mi permette?

    “Certo, il fatto che mio padre mi abbia sempre insegnato che con il lavoro duro si può arrivare dunque è un motivo per spingere ogni giorno ed alzare l’asticella. Mio padre su questo aspetto mi ha sempre insegnato a crederci. Le sue parole sono sempre state dette in questa direzione. È difficile, mi ha sempre detto, ma se lavori prima o poi riuscirai”

    La sua carriera non è mai stata facile in tal senso. Non so quanti avrebbero resistito nell’anno di Reggio, con papà allenatore della squadra che subisce un esonero, mentre lei rimane in organico con un nuovo allenatore.

    “Intende dire che certe cose possono destabilizzarti? Devi metterlo in conto. Gli ultimi anni sono stati difficili, anche ad Ortona ad esempio non riuscivamo a girare. Ho sempre pensato, anche in questo caso, che la cosa importante fosse legata al fatto che dovessi dimostrare di tenere un profilo basso, abbassare la testa e lavorare”

    La parabola ora ha invertito la rotta. Lei è uno dei migliori del campionato a Lagonegro e in A3.

    “È un anno davvero meraviglioso e ce lo porteremo dietro tutti. Non pensavo potesse finire così bene”

    Ha vinto la pazienza. Quella del pescatore. Uso una metafora che descrive anche una delle sue passioni.

    “Riesco ad averne tanta, è vero. Mi piacerebbe restare qui e giocarmi la A2. Il presidente mi ha molto colpito nei momenti di difficoltà. È stato un padre che ha chiesto ai suoi figli di uscire da determinate situazioni. Abbiamo fatto un bel patto tra noi e la società ed è stata una stagione in cui, con pazienza appunto, non abbiamo mollato di un centimetro. In palestra la sfida era costante e l’atmosfera era delle migliori. Spero di poter passare ancora una stagione come questa”

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    Orduna: “Battere Perugia è stato epico. Finale scudetto? Equilibrata. E su Boninfante dico che…”

    Nel lungo tira e molla emotivo della vita, Santi Orduna ha scelto di essere dalla parte di chi non arretra di un millimetro. Forse sarà per questo che quando lo vedi a quasi 42 anni entrare in campo, sfidare a muso duro la Superlega, pensi che il suo lo sappia fare con un atteggiamento unico nel suo genere. Sembra ancora quello che appena arrivato dal campionato spagnolo, esordisce a Catania in A2 diciotto anni fa. È sempre colui che gli avversari soffrono, capacissimi di odiarne i giochi mentali sotto rete. Dicono sia uno dei più impavidi, insopportabili e forti palleggiatori che abbiano calcato i parquet nostrani. Personalmente lo conosco da quindici anni e sentire o vedere i suoi avversari andare sotto per il suo gioco e per il suo carisma mi fa molto sorridere e per la qual cosa mi compiaccio molto, perché ricordo ancora un suo Ravenna-Perugia di qualche anno fa in cui davanti ad un palazzetto ravennate pienissimo, si caricò la squadra alle sue spalle e vinse una gara impossibile, stupendo un’intera Sir Safety Perugia, che anche quest’anno ha contribuito, assieme alla sua Lube a far soffrire e non poco.

    Orduna infatti, assieme a Civitanova è la grande sorpresa di queste semifinali playoff, che hanno decretato una finale della quale sono appena state giocate due gare e che mai come negli ultimi ha un esito davvero incerto sul tricolore del volley maschile.

    foto Lega Volley

    “Io sono davvero soddisfatto per questa Lube, perché siamo partiti da sfavoriti in semifinale e piano piano, dopo gara due abbiamo preso convinzione sul fatto che la serie potesse essere ribaltabile. Ci abbiamo creduto fino alla fine, non ci siamo arresi e in gara cinque, proprio a Perugia che forse è il campo più difficile di tutta la Superlega, abbiamo fatto la partita che nessuno si aspettava, ribaltando il risultato. È stato epico!”

    Cosa l’ha colpita?

    “La continuità in battuta di Nikolov e di Bottolo, che hanno battuto per tutta la gara a 120 km/h, commettendo pochissimi errori e mettendo in crisi Perugia”

    Ora siamo in finale scudetto. Tutto fa trasparire grande equilibrio.

    “Abbiamo avuto modo di mostrare entrambe di cosa siamo capaci. In casa nostra il palazzetto è infuocato come non lo vedevo dai tempi in cui venivo a giocarci con Modena. Mi piace tantissimo vederlo così. Ora dovremo fare tesoro delle prime gare e cercare di approfittare dei piccoli spazi soprattutto in casa da loro per infilarci e strappare il risultato. Sì, sarà una finalissima molto equilibrata”

    Bottolo sta giocando una stagione che non si aspettavano in molti. Noi lo avevamo detto, possiamo dirlo?

    “Mattia è un grande giocatore. È il primo anno che giochiamo assieme e dal punto di vista professionale non è stato una grande sorpresa, nel senso che sapevo fosse un ottimo atleta. Dal punto di vista umano invece ho conosciuto una bella persona e ho imparato col tempo a legarmi a questo gruppo, molto eterogeneo, nel quale ci sono tante anime e tante diversità e dove mi ritrovo ad avere un ruolo completamente nuovo”

    foto Zattarin

    Dopo diciotto anni, è stato chiesto che Orduna lasciasse spazio alla crescita di un giovanissimo e talentuosissimo Boninfante. Mesi fa mi disse che per lei tutto questo rappresentava una sfida. Oggi?

    “Sono stato abituato sempre a stare in campo e la cosa mi è sempre piaciuta da morire. Non posso negare che in alcuni momenti non abbia fatto fatica perché c’erano azioni o set che volevo giocare con tutto me stesso, o avversari con cui ho avuto a che fare in tutti questi anni con cui volevo ritrovarmi dall’altra parte della rete. Però, a quasi 42 anni, vedermi qui, con questa maglia e questo gruppo fantastico, non posso non dire che questa non fosse la cosa migliore che mi potesse capitare. Mattia ha fatto una bellissima stagione, ha saputo guidare la squadra con grande fermezza e grande padronanza e sono contento per i risultati che ha conseguito perché per lui è una sfida vinta ampiamente”

    In cosa siete diversi?

    “Ammiro tantissimo la freddezza che ha in campo. Quasi mi fa invidia alle volte. Nei momenti più concitati è capace di fare un errore e di restare impassibile, ripartendo alla grande”

    foto Lega Volley

    Cinquecento partite in serie A in diciotto stagioni. Conoscendola, immagino che la prima ancora se la ricorda.

    “Contro il grande Enzo Di Manno e la sua Città di Castello. Ero gasatissimo perché giocare in Italia era un sogno per me. Il problema è che qualche giorno prima mi scavigliai, ma volli fortemente esserci e giocare. Il risultato fu un 3-2 per loro ai vantaggi. La verità è che è stata lunga, lunghissima, ma io mi sento ancora quella voglia di quando avevo ventidue anni”

    La più emozionante?

    “Il mio esordio a Modena con la vittoria in Supercoppa dopo il loro triplete. Venivo dopo Bruno e il paragone fu la cosa che spaventò più loro, ma non me. Fu una partita molto emozionante. Mi meritavo quell’opportunità e giocai tutta la gara con la voglia di indossare e onorare quella maglia così prestigiosa”

    La maglia di Civitanova la rappresenta perfettamente.

    “È una grande maglia ed è quella della maturità. Sono negli anni in cui in questo ruolo mi sento cresciuto e questa è la città in cui spero di esprimermi ancora”

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    Menicali: “Cosa ha di speciale Cagliari? Il fattore CUS. Vi spiego in cosa consiste”

    Cosa spinge un ragazzo nato a Moncalieri, cresciuto in B1 a Biella, dove tra le altre cose incrocia il suo allenatore di questa stagione Lorenzo Simeon, a diventare da anni la bandiera del Cus Cagliari, nonché il capitano e colui che è dietro l’autentico miracolo che si è manifestato ai quarti di finale, quando gli isolani hanno mandato a casa la prima della classe San Donà? 

    È una domanda a cui da anni cerco di dare una risposta semplice, ma in realtà è molto articolata, perché col tempo si aggiungono continuamente dei tasselli utili a spiegarne la genesi. 

    La verità è che non c’è una sola ragione perché Michael Menicali sia diventato così cagliaricentrico, ma una serie di fattori di natura sentimentale, affettiva, personale che lo hanno spinto ad arrivare fino a questo capitolo della storia. Questo capitolo si è concluso con una sconfitta nelle semifinali playoff contro Lagonegro, che non è però il segno di una stagione giocata a bassa quota, quanto la fine di un sogno in cui si è andati davvero più avanti di ogni aspettativa.

    “È finita in un mix di rammarico per non aver continuato sulla scia dei quarti e la consapevolezza di aver fatto più di ciò che ci si aspettava da noi. Lagonegro è stata più forte e più consapevole di dove volesse arrivare, mentre noi abbiamo forse pagato i quarti giocati davvero bene. Dovevamo mantenere quella carica e non siamo riusciti a bissare. Loro hanno avuto il merito di giocare due partite davvero ottime, noi abbiamo il rammarico di aver giocato due primi set, sia all’andata che al ritorno, in cui se avessimo vinto, chissà dove saremo arrivati. Ma con i se e con i ma non si arriva da nessuna parte. Resta la soddisfazione per la stagione che è stata”

    Siete stati la vera sorpresa dei quarti.

    “Venivamo da cinque sconfitte nelle cinque gare precedenti all’inizio dei playoff. Ma il gruppo c’era e c’è sempre stato in tutta la stagione. Abbiamo capito che quel gruppo poteva andare al di là del set o set e mezzo in cui faceva bene o era capace di farlo con qualsiasi squadra e siamo arrivati ai playoff senza la pressione di dover fare risultato, ma con la volontà di far capire dove si poteva arrivare. La prima gara a San Donà è stata una bellissima vittoria ottenuta giocando liberi e ci ha dato una carica enorme. Ho visto i ragazzi ritrovare quelle certezze che nella seconda fase dell’anno avevamo un po’ perso e in gara due siamo riusciti ad amministrare il fattore campo, che dopo tanto tempo è stato bello ritrovare con tanto calore nel nostro palazzetto”

    Lei quando ha cominciato a credere che si poteva ribaltare il pronostico?

    “Al terzo set di gara due. Dentro di me ho provato l’emozione di aver superato uno scoglio e ho pensato che ce l’avremo potuta fare. È così che abbiamo affrontato il quarto set punto a punto e abbiamo staccato San Donà nel finale”

    Il segreto del Cus Cagliari è apparso proprio il fattore Cus. Mi rendo conto sia difficile da spiegare a chi non vive un contesto così. Ma proviamoci.

    “Ne ho parlato con Marinelli, che per me ormai è come un fratello. Viviamo un ambiente in cui nel bene o nel male trascorriamo ore e ore ogni giorno negli impianti, che sono un po’ palestra, un po’ palazzetto, ma anche un po’ un mondo nel quale a fine allenamento o il giovedì diventano uno spazio ricreativo dove bere una birretta e trovarsi con tutti gli atleti di altre discipline. Viviamo una squadra e un gruppo in cui ti senti parte di qualcosa, ti senti di appartenere un progetto. È un modo che ti porta a stare dentro a quel mondo, tra l’altro senza sentire pressioni che in passato mi è capitato di vivere in altri ambienti”

    Menicali, Marinelli e Gozzo come zoccolo duro. Insieme ad un gruppo di giovani molto promettenti, tra cui Biasotto e Rascato.

    “Gara due l’abbiamo giocato tutti con il sangue negli occhi. Morgan psicologicamente ha retto molto bene, lo stesso anche Ciardo, ma in generale tutta la squadra. Rascato è il risultato di chi si sta allenando veramente molto bene e poi in campo riesce a dare tutto. Con Marinelli, ripeto, c’è un rapporto di fratellanza e spero di ritrovarci nella stessa squadra ancora per molto tempo. Gozzo è arrivato quest’anno ed è stato una bella scoperta”

    Simeon?

    “Con Lollo avevo giocato già in B a Biella. Lui e Alessio Marotto sono riusciti a tenere la squadra anche quando non riuscivamo a girare come all’inizio e va il merito di essere stati capaci di lavorare sulle nostre fragilità”

    Il prossimo anno quanta voglia c’è di rimanere al Cus Cagliari?

    “Ci sono buone possibilità che ciò avvenga. Per me ormai è casa. Ho comprato anche casa a Quartu Sant’Elena, vicino Cagliari, quindi la voglia di restare c’è tutta”

    L’estate nel mondo del beach con Balsamo è confermata?

    “Assolutamente sì, anche se scherzando gli ho detto di non venire a gufarmi ai quarti e in semifinale per poter cominciare prima a pensare alle tappe. Però scherzi a parte, ci ritroveremo e vorremo riuscire a giocare il campionato italiano, almeno per qualche tentativo di qualifica”

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    Andrea Baldi, figlio di Giorgio: “Volevo fare calcio. Per fortuna ho ascoltato mio padre”

    Lo vedo festeggiare settimane fa per la Coppa Italia. Lo rivedo alzare la Supercoppa, buttarsi per terra in mezzo ai lustrini del palazzetto dopo aver battuto in una finale senza storia quel San Donà che avevano battuto 3-0 solo un mese fa nella prima battaglia e festeggiare. Lo guardo e penso a quanto suo padre Giorgio sia fiero di lui, e quanto, se fosse toccato a lui, avrebbe gioito e fatto meno rumore, perché se sei il Baldi del 1994, e stai scrivendo un pezzo della storia della pallavolo sarda e di un paese come Sant’Antioco, lo fai con l’aria algida di chi ha eseguito i compiti alla perfezione, ma il carattere così austero e l’aria impenetrabile ti impediscono la ricreazione. Invece Andrea Baldi, ventuno anni dopo è ciò che ero io quando appena dodicenne, andavo a squarciagolare per suo papà che era un mostro di bravura. Andrea ha gli occhi di papà, ma ha la mia stessa visione del mondo, ossia quella di chi deve godere di ogni ‘frame’ della sua vita, caricare il fiato di tutta l’aria che ha a disposizione e urlare ai quattro venti o controvento. 

    In una Romeo Sorrento di cui non si può non scrivere bene, piena di storie che fanno la storia di questa stagione, Andrea è una perla rara che si conquista anche rischiando di farlo arrossire, quando lo si riempie di complimenti a cui forse uno come lui non si abituerà mai, o raccontando ciò che si vede fuori dal campo, quando finalmente questo venticinquenne alla sua quarta stagione in serie A ha messo in valigia una finale playoff con Bergamo e una stagione in Superlega con Catania, prima di approdare nella Romeo in cui tutte le ciambelle sembrano uscire col buco e con la glassa.

    “Non posso che essere estremamente felice per l’anno che sto disputando, che stiamo disputando tutti qui a Sorrento. Abbiamo fatto davvero delle buone partite, nelle quali ho potuto giocare e nelle quali dimostrare a che punto del mio percorso sono arrivato dopo questi anni. Io non ho molti anni di carriera alle spalle, ho cominciato relativamente tardi con la pallavolo e ogni tanto ho come l’impressione di essere più indietro rispetto a tutti i miei coetanei, perché ho meno esperienza”

    Perché ha cominciato così tardi?

    “Giocavo a calcio, ed ero un giocatore diciamo accettabile. Avevo cominciato col volley a Brescia, poi non ne avevo più voluto sapere, finché con papà ho ragionato della possibilità di ripartire da Bergamo. È stata una scommessa vinta, ho ascoltato i consigli di mio padre e ho accettato il fatto che avesse ragione”

    Suo padre è un giocatore al quale io da tifoso e da isolano sono molto legato (Giorgio Baldi n.d.r., ex centrale fra gli altri di Gabeca e Banca di Sassari). Che ingombro significa avere un papà così severo, ma così lungimirante?

    “Io ho un bellissimo rapporto con lui. Quando ero un po’ più giovane ho avuto i classici confronti tra un figlio che vorrebbe fare un po’ ciò che gli pare o almeno ciò che sulla sua carta sembra più corretto e un padre che conosce molto bene questo mondo e voleva giustamente guidarmi nelle scelte. Ripeto, col tempo ha avuto ragione lui. Mi ha sempre detto che avrei dovuto cominciare prima e che mi sono perso degli anni. Io rispondo guardando il bicchiere mezzo pieno, ovvero che la mia figura fisica ha risparmiato stagioni di stress e sofferenza. Sono un prodotto più nuovo di altri (ride n.d.r.)”

    Un anno in cui su due trofei in palio, lei li ha vinti entrambi. 

    “Quest’estate ho avuto molto tempo per pensare, dato che da marzo ero a casa a lavorare sulla parte fisica e tecnica. Ho avuto l’ambizione di capire cosa fosse meglio per me, di fare una scelta se vogliamo coraggiosa, ossia di scendere in A3 e giocare, mettermi alla prova. Ho parlato con il Presidente Ruggiero e mi ha presentato questo bellissimo progetto. Ho fatto di più, sono andato a Sorrento in vacanza e ho voluto capire che possibilità darmi. Per ora è una bellissima scommessa vinta. Faccio una vita che è il sogno di molti e sono qui tra i protagonisti di un’annata perfetta con un gruppo bellissimo”

    Siamo alla semifinale promozione. Sorrento e Altotevere sono in parità. Decisiva gara tre.

    “Ora arriva il momento di dare il tutto per tutto nella partita ipoteticamente più significativa di questa stagione. Sicuramente le coppe sono grandi obiettivi, ma arrivare in fondo ai play-off conta ancora di più. Domenica è stata sicuramente una partita complicata e ci siamo scontrati contro un avversario tosto, come già prevedevamo e come già abbiamo avuto modo di constatare domenica scorsa”. 

    “Fortunatamente mercoledì torneremo ad avere il fattore casa a nostro vantaggio e dovremo assolutamente far uscire di nuovo la Romeo Sorrento che siamo sempre stati, consapevoli delle nostre qualità, ma soprattutto uniti nei momenti complicati. Nessuno di noi ha intenzione di tornare a casa prima del previsto”

    Il gruppo della Romeo. È tutto?

    “Ogni giorno quando entri in palestra, capisci che tutti, dallo staff ai giocatori, lo facciamo perché è l’unica cosa che vogliamo fare davvero. C’è tanta volontà, passione ed entusiasmo. Certo, i successi aiutano, ma quest’aria io l’ho respirata dal primo giorno”

    Quindi guardando indietro a Catania in A1 o a Bergamo in A2, nessun rimpianto di non essere lì?

    “Assolutamente no. Volevo fare un anno completamente fuori, lontano dalle mie certezze. Le esperienze in Superlega e a Bergamo sono state positivissime e altamente formative, ma da Sorrento volevo cose diverse. Sono rimasto colpito dall’atteggiamento, dalle loro serietà, dal divertimento che provo ogni giorno e dalla serenità che tutti abbiamo anche in questo momento della stagione”

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    Gabriele Di Martino: la saggezza del lupo di mare, le virtù del giocatore

    Il percorso di vita e di sport che lo attornia è caratterizzato da una fortissima autoanalisi, da una nettissima consapevolezza di chi è arrivato ad essere a ventisette anni e di chi riuscirà ad essere nei prossimi anni. Gabriele Di Martino è una forza più del pensiero che della natura, e i suoi ultimi anni, ossia quelli trascorsi ad incarnare i valori del Vero Volley, lo raccontano in tutte le sue riflessioni, in tutto il suo io interiore ed esteriore. 

    È stata una stagione difficile quella del centrale di Monza, nella quale alla fine della storia è emerso ciò che di Gabriele si è detto nelle prime righe, ossia un concentrato di energia e di responsabilità, fattore che lo ha portato a chiudere l’ultima gara, quella fondamentale ai fini della salvezza con l’85% in attacco (e il muro finale, punto della salvezza). Un numero che racconta non tanto il suo anno, ma la sua maturità agonistica, dove non contano solo il risultato ma anche il modo in cui lo stesso si ottiene.

    “Quello al Vero Volley è stato un percorso lungo tre anni, caratterizzato dai rapporti umani che si sono fortificati soprattutto nel corso della scorsa stagione, a mio avviso la più bella, la più importante”.

    Le auguro altre stagioni così. Anche se l’idea che resterà una stagione magica per tanto tempo e per tutti è doverosa esprimerla.

    “Sì, concordo. Penso ad un amico come Galassi, compagno di ruolo con il quale spesse volte ci siamo confrontati su ciò che abbiamo vissuto assieme. Io analizzo molto il passato perché penso che sia utile anche in chiave futura. Penso all’intensità delle ultime settimane dello scorso anno, al palazzetto pienissimo in ogni ordine di posto o a come siamo riusciti ad arrivare fino alla finale scudetto”.

    Il ricordo che l’ha più colpita?

    “Una mamma che si avvicina con la figlia a fine partita e che quando doveva parlare è scoppiata a piangere dall’emozione. È un momento che mi ha toccato molto e ho provato anche a cercarle dopo la fine della partita per regalarle una maglia. Sono momenti in cui capisci la forza dello sport, ma anche quali emozioni ti genera una gara, nonostante tu non la stia vivendo dal campo, ma dagli spalti. È una responsabilità per noi esprimerci al meglio ed in quel modo, anche perché loro sono lì per noi”.

    Non posso non chiederle che anno è stato quello appena trascorso.

    “Difficile. Molti dello scorso anno non li ho più ritrovati in spogliatoio e, sebbene so che è fisiologico il cambio di squadra e gli arrivederci nel nostro mondo, mi è mancata molto quella condivisione che avevo con Galassi o Maar, ad esempio. Persone diverse, penso a Gianluca che arriva dalla montagna, lo dico sempre scherzando, mentre io arrivo dal mare, eppure c’è sempre stata una grande apertura tra di noi. È mancata la comunicazione, credo, e in tante occasioni avrei voluto essere più preso in considerazione per giocare, sono onesto”.

    Cosa è rimasto del ragazzino dell’Appio Roma Volley?

    “L’impegno. Ero molto giovane quando ho cominciato a giocare con loro e passai subito all’MRoma, dove trovai anche Zaytsev che giocava in prima squadra. Sono state delle belle palestre di vita, e per uno che ha sempre avuto anche altre cose, vedersi con 25 cm di altezza in più in un anno, ha cambiato le prospettive e ha aumentato la voglia di ambire a far diventare questo sport un lavoro. Anni fa ho scelto, dopo il Nautico, di fare Economia, ed ora studio Management dello Sport, perché mi piacerebbe occuparmi di pallavolo e di Europa”.

    Cosa intende?

    “Sono un europeista. Mi piacerebbe poter giocare il secondo tempo della mia carriera ad occuparmi di consulenza in ambito sportivo. Magari portare l’Europa in Italia e integrarla con maggior impatto sia nei club che nelle scuole. Al Vero Volley ho respirato subito una bellissima aria di innovazione e sotto questo aspetto, è stata ancora di più una spinta cercare di entrare più a fondo nel mondo dello sport”.

    C’è tanta famiglia nelle sue parole.

    “Mamma professoressa di informatica, papà consulente ora in pensione. La famiglia mi ha dato degli input e fatto capire che il volley lo devo vivere come un gioco. Una parte della mia vita resta il volley, il resto è altro. Ho trovato un ottimo equilibrio”.

    Per quello ha vissuto bene anche il tema della nazionale.

    “Resta un regalo. Ma resta anche qualcosa che è arrivata meritatamente. Credo che per me sia bello così. La mia esperienza è arrivata non per la seniority, ma per i risultati che sono arrivati dal campo e questo per me è motivo di orgoglio”.

    Continuerebbe anche se non è stata la miglior stagione dal punto di vista dei risultati?

    “Spero che valga anche ciò che portiamo a livello di contenuto e a ciò che possiamo dare a quella maglia azzurra. Ovviamente mi piacerebbe perché ritroverei anche compagni di ruolo che stimo parecchio, ovvero oltre Galassi anche Russo”.

    Prossimo anno dove sarà Di Martino?

    “Per ora mi troverà in barca a vela. Il resto è in via di definizione”.

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    Stephen Maar tra passato, futuro, famiglia (si sposa) e Trento: “L’avversaria peggiore, ma…”

    Prendi un ragazzo di 22 anni che arriva in Italia, a Padova, direttamente dal Canada. Capisci subito che ha un’energia speciale, fatta più di quello che non è ancora, ma che saltuariamente ti mostra in campo, che di quello che poi sarà il suo vissuto negli anni successivi. Questo ragazzo fa un percorso, articolato tra alcune delle piazze più importanti della Superlega, parliamo di Verona, Milano, Cisterna. Arriva a Monza, gioca dei playoff meravigliosi, tra esplosioni di gioia, rabbia agonistica, palloni che pensi possano saltare per aria e un tormento interiore, che è la sua cifra. 

    L’arrivo a Piacenza di Stephen Maar è forse l’ultima fase di questa evoluzione complessa, durata otto anni (per la parentesi russa alla Dinamo Mosca ci arriviamo) e nella quale lo schiacciatore oggi tira qualche somma, un po’ perché a trent’anni tutto appare più chiaro, tutto prende una forma diversa, e forse perché si è pronti per essere ciò che veramente si vuole essere da grandi, con o senza la pallavolo davanti:

    “Ho trovato la mia tranquillità, il mio mondo. Per tanti anni sono andato avanti, girando il mondo e vivendo anni molto intensamente. Per la prima volta quest’anno la mia famiglia avrà la priorità rispetto a tutto e in estate voglio spendere un po’ di tempo assieme a loro”.

    Ha annunciato il matrimonio con la sua compagna Molly Lohman, pallavolista, solo qualche settimana fa. Vi sposerete in Italia?

    “Le ho chiesto di sposarci in un pomeriggio sul Lago di Garda. Ma per ora non abbiamo i dettagli precisi anche perché dobbiamo incrociare le agende e i programmi. Adesso che mi fa pensare, sarebbe proprio bello se ci sposassimo in Italia (ride n.d.r.)”.

    Anche perché l’Italia è stata la sua fortuna Maar. Ma anche per noi averla nel campionato italiano.

    “Un bel viaggio, lungo otto stagioni, che comprende anche la mia parentesi russa. Ho giocato in tantissime città e ho considerato casa ogni luogo in cui sono stato. Ognuno di quei luoghi mi ha lasciato qualcosa, dalle persone, alle esperienze”.

    Quella che ricorda per un motivo particolare?

    “Credo Cisterna. È stato un anno molto particolare, dopo Milano e prima della proposta di Monza, dove poi ho trascorso tre anni della mia vita. Era un contesto molto piccolo, una città molto vivibile e una squadra capitanata da Fabio Soli e da uno staff, ricordo su tutti Gioele Rosellini, con cui ho lavorato molto bene. La pallavolo era seguitissima ed è stata la prima volta in Italia in cui le persone con cui avevo a che fare nella quotidianità, parlo magari del panettiere o dei ragazzi o ragazze che trovavo al supermercato, poi le ritrovavo sugli spalti a tifare la domenica”.

    Si ricorda il Maar di Padova invece? Arrivato con tante novità a Padova? 

    “Ricordo una squadra completamente nuova, che fece un inizio di campionato incredibile. Peccato perché poi ci siamo persi durante l’anno. Ma ripeto, la casa per me è ovunque in Italia”.

    Ora la casa è Piacenza. Un anno che è stato letteralmente una montagna russa.

    “Un anno in cui questo weekend cominceremo un importante semifinale contro Trento, e a cui teniamo davvero molto”.

    Dall’arrivo di Travica, Piacenza sembra avere una luce nuova.

    “Ogni cambio porta con sé uno scossone, o meglio, una reazione. Il periodo di difficoltà precedente ci ha fatto riflettere e c’è stata come pensavo e dicevo una reazione da parte di tutti. Ora tutti ci crediamo un po’ di più. Certo, Trento è l’avversaria che nessuno vorrebbe ritrovare in semifinale, anche perché è stata la migliore della regular season. Io ora non penso più a chi mi ritroverò di fronte, ma a come lo affronterò”.

    foto Gas Sales Bluenergy Piacenza

    La affronterà, mi permetto di dire in una condizione mentale diversa.

    “Cosa intende?”

    La rivedo in campo con una serenità che non conoscevo.

    “Sì, è un bel momento della mia vita”.

    Stephen Maar pensava di arrivare fino a qui quando studiava alla McMaster University?

    “Non pensavo di avere fino a qui. Ho tanta gratitudine per tutti coloro che mi hanno permesso di fare un percorso, la mia strada. Ho studiato, ho aperto la mente a tutto ciò che mi è stato insegnato e ritrovarmi oggi a questo punto mi rende davvero orgoglioso”.

    Di Roberto Zucca LEGGI TUTTO

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    Flavio Morazzini, libero… di sognare: “Sono un grande agonista in campo, ma anche fuori”

    La benedizione l’ha ricevuta direttamente da uno come Simone Di Tommaso, suo allenatore e scopritore di talenti di qualsiasi natura e di qualsiasi disciplina, che a Pineto ha lasciato che Flavio Morazzini sbocciasse in tutta la sua essenza di romanità e in tutto il suo essere romanocentrico. Come è ovvio che fosse, i numeri gli hanno dato ragione e Morazzini figura oggi come uno dei volti più interessanti e ambiziosi della serie A2, in un anno di grazia, nel quale non è tanto il risultato di squadra a contare, quanto ciò che i singoli sono stati in grado di dimostrare. E fra questi Flavio ha certamente la lente di ingrandimento puntata addosso:

    “Sono molto soddisfatto perché è il primo anno in cui mi ritrovo a giocare titolare in serie A. Grazie all’esperienza di Pineto sono riuscito a sciogliermi e ad acquisire quelle certezze con cui ho poi affrontato una stagione che nonostante la regular season terminata ad un passo dai playoff, ci vedrà ancora impegnati con la Coppa Italia in questo finale di stagione”.

    Il rammarico per i playoff c’è?

    “Beh, non è certo una grande delusione anche perché l’obiettivo di inizio anno era la conquista della salvezza, visto il nostro debutto nella serie. È una squadra molto giovane con un bravissimo allenatore al suo primo anno dopo quelli passati ad allenare il beach volley. Credo sia servita a tutti, anche in previsione della prossima stagione, soprattutto per come riuscire a far fruttare l’esperienza e come impostare la squadra in vista del futuro. Tuttavia arrivati ad un certo punto della stagione ci abbiamo creduto, e l’obiettivo è diventato proprio quello di strappare il settimo posto ad Aci Castello. Ma adesso, ripeto, vogliamo mettere la testa e il massimo impegno nella Coppa”.

    Ripartiamo per un attimo dai suoi esordi. Da Villa Gordiani a Roma, dove nasce, a Villa Reale a Monza, dove comincia la sua ascesa. Come ci arriva un pallavolista romano alla corte del Vero Volley?

    “Durante il periodo delle giovanili ho giocato contro Monza, e non ho paura di dirlo, ho fatto davvero una bella partita. Il contatto nacque da lì, e mi ritrovai al Vero Volley, squadra con cui ho trascorso due anni molto belli e nella quale sono stato il secondo libero assieme a Marco Gaggini”.

    Foto Lega Volley Maschile

    Gli esordi sono targati?

    “Fenice Pallavolo Roma. Una bella realtà che mi ha accompagnato fino agli anni della Junior League. Quando ero piccolo, papà mi ha allenato da quando avevo sei anni, ma il primo allenatore che ricordo sempre è stato Giorgio Sardella alla Fenice”.

    L’esperienza di Monza come la cataloghiamo?

    “Al Vero Volley come dicevo eravamo un bellissimo gruppo. Con Gaggini ho lavorato molto bene, per me è sempre stato un punto di riferimento. Lo spogliatoio poi con Beretta ha saputo accogliermi dal primo giorno e il clima, soprattutto per i risultati che sono arrivati, era molto bello”.

    A Pineto si respira la stessa aria.

    “Sì, è un gruppo favoloso. L’aria di inclusione e l’alchimia che si è creata tra di noi sono state palesi sin da subito. Conta tanto forse la giovane età e il fatto che tutti siamo lì per dare il massimo e metterci a disposizione, ma siamo accomunati da tante cose e anche fuori dal campo è una squadra che si trova parecchio”.

    Foto Lega Volley Maschile

    Dicono che lei sia molto competitivo. Un po’ molto romano in questo.

    “(ride n.d.r.) Sono un grande agonista in campo, ma anche fuori. Voglio sempre vincere, e perdere mi fa ancora uno strano effetto. Perciò in campo sono molto passionale, molto verace”.

    Il sogno?

    “Giocare in Superlega, arrivare tra qualche anno ad occupare il posto di titolare nella massima serie e diventare uno dei migliori liberi”.

    Il tecnico Di Tommaso dice che lei diventerà qualcuno.

    “Gli sono grato per l’opportunità che mi sta dando e spero di non deluderlo. Sono ancora all’ultimo anno del Liceo Scientifico Sportivo, ma ho le idee molto chiare sulle mie ambizioni pallavolistiche”.

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    Alex Erati sogna in grande con Brescia: “C’è voglia di far bene”

    C’è un pensiero, che solitamente nel mondo del giornalismo viene accostato al mondo della musica o della letteratura: non lo avevamo visto arrivare. È un modo come un altro per discolparsi o per ovviare al tema della molteplicità delle informazioni che potenzialmente abbiamo a disposizione. Sono onesto, faccio ammenda: io questo Alex Erati non lo avevo visto arrivare.

    Quello della Superlega, o della A2 è un mondo in cui ci si conosce un po’ tutti, le facce che girano da anni sono perlopiù sempre le stesse. Le opinioni, quelle positive o negative sugli atleti e sul loro rendimento, anche. Alex per me è stata la più piacevole delle sorprese di questo 2025. 

    C’era da aspettarselo, dato che, per volontà o per notiziabilità, Erati, dopo un percorso che lo ha portato su e giù per l’Italia, partendo da Segrate e Bergamo (dove incrociò, un nome su tutti, Yuri Romanò), per arrivare alla Puglia e risalire in Veneto, è approdato questa stagione nel gruppo squadra nel quale personalmente avrei voluto compiere almeno una stagione, ossia quello di Brescia. La commistione di genere, nel qual caso, va dal più vecchio e più saggio dei lupi di mare che mi piacciono, Simone Tiberti, passando per colui che a mio parere risulta il giocatore più degno di approdare in Superlega, Roberto Cominetti, per concludere (solo citando chi conosco bene davvero) con persone come Raffaelli e Cavuto, che la serie maggiore meritano di riconquistarla di nuovo.

    Erati è la perla che si stabilisce in tutto questo mare di vecchi lupi e vecchie volpi, e sul quale è corretto subito ammettere che quest’anno è riuscito a ricavarsi lo spazio giusto come monster block d’esperienza, occupando stabilmente le prime posizioni. A ciò si aggiunge la considerazione della Gruppo Consoli Sferc Brescia come assoluta protagonista delle grandi della serie A2, con un gioco espresso in alcune partite di livello non inferiore ad alcune compagini che stanno più in alto, ma a livello di serie e non di classifica, dove i tucani hanno concluso al secondo posto della regular season ed ora stanno affrontando Aci Castello nei quarti di finale dei playoff. Serie iniziata subito con una vittoria per 3-0.

    “Un anno in cui il seguito non ci manca, i tifosi arrivano copiosi anche a seguirci in trasferta. L’atmosfera è molto bella e facciamo di tutto per poter ripagare l’affetto che riceviamo in questa piazza. Qualche défaillance è capitata e fa parte di una stagione all’interno di un campionato molto duro, molto più degli ultimi anni e nel quale domina l’incertezza. Le previsioni che avevamo letto all’inizio della stagione non sono state certamente rispettate appieno”.

    Non avevamo previsto nemmeno che lei terminasse la regular season come uno dei due migliori muratori della serie A2.

    “A muro è andata davvero bene e sono soddisfatto dei numeri, anche se spero che con i playoff io possa portarne a casa di migliori. In attacco vorrei migliorarmi. Non sono pienamente soddisfatto dei numeri della stagione in corso. Spero di avere la possibilità di alzare l’asticella da qui alla fine”.

    Mi dica la verità: lei pensa che sia l’anno giusto, vero?

    “(ride n.d.r.) Per la Superlega? Beh, sarebbe un sogno. Arrivare al primo posto in regular season potrebbe darti un vantaggio con il fattore campo a tuo favore, anche se contribuirai a scrivere un pezzo di stagione completamente nuovo. Dalla nostra parte abbiamo che le condizioni fisiche di tutti stanno ritornando a garantirci una continuità più assidua in tutti i reparti e affrontare i playoff con una Brescia completa in tutti i reparti è un bel vantaggio. Su questo devo spendere una parola su Alessandro Tondo che in queste settimane si è riadattato ad un ruolo nell’attesa che recuperasse il nostro opposto e ha fatto sì che la squadra portasse comunque a casa i risultati”.

    Foto Lega Volley Maschile

    Si capisce che la forza di questa squadra è proprio il gruppo. Non era facile, pensando a tutti i protagonisti che da questa stagione pretendevano qualcosa.

    “Probabilmente è la squadra più forte con la quale abbia mai giocato. È un ambiente nel quale c’è una bella energia, una voglia di far bene e di ottenere il massimo da tutti quanti non facile da ottenere. Per il livello delle prestazioni è certamente una delle migliori, in grado di tirar fuori da ognuno un livello altissimo, sia nelle prestazioni in gara, sia durante tutta la settimana in allenamento”.

    Cinque anni fa, in questi giorni, entravamo in lockdown. Lei passò un momento molto particolare.

    “Un momento forzato, se vogliamo anche più facile da gestire rispetto agli altri, perché già prima del lockdown mi era stato detto che avrei dovuto stare a casa. Subii un’operazione al crociato che doveva tenermi fuori per alcuni mesi. Ero a Bergamo, che fu teatro di un contagio non semplice da gestire. Ricordo che ero uno dei pochi ad uscire in quei giorni per potermi recare a fare le terapie. Sì, ricordo la spettralità della città e il momento”.

    Foto Instagram @natashaspinello

    In quelle condizioni solo le persone giuste che ci aiutano a superare determinati momenti. Non posso non chiederle che ruolo ha la sua compagna Natasha Spinello (atleta della Volskbank Vicenza Volley n.d.r.).

    “Lei è ciò che di meglio la vita sia riuscita a donarmi. Siamo tenaci, resistiamo al lavoro che ci porta entrambi in città diverse e lo facciamo cercando di vederci in ogni occasione utile. Lei quest’anno gioca a Vicenza, quindi in due ore e mezza riusciamo ad essere l’uno a casa dell’altro. Ma ci sono stati anni in cui avevamo sei ore di viaggio da fare e ci vedevamo a metà strada. Il punto di ritrovo era Civitanova, se ci penso mi fa sorridere, perché era esattamente a tre ore da Porto Viro e da Latina, dove giocavamo entrambi. È dura, e sarebbe bellissimo se la carriera ci portasse a stare nella stessa città. Chissà”.

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