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    Stefano Storti, mental coach dei Diavoli Rosa: “Lavoro su otto abilità degli atleti”

    Di Redazione
    Stefano Storti, milanese, 51 anni, è un mental coach vicino da più di un anno al mondo dei Diavoli Rosa. Da 25 anni lavora nel settore sport e fitness, è un imprenditore e trainer professionista e si occupa inoltre di integrazione e di nutrizione. In un’intervista realizzata dall’ufficio stampa della società di Brugherio, Storti approfondisce l’attività del mental training, inquadrandolo nella dimensione sportiva.  
    Stefano, di cosa si occupa esattamente un mental coach? 
    “Della preparazione mentale dell’atleta, cercando di permettere all’atleta stesso di esprimersi al massimo del suo potenziale. Studi scientifici hanno dimostrato che migliorando la parte mentale dell’atleta si possono ottenere performance migliorate quasi del 60%“.
    Guai a definire il mental coach un motivatore, giusto? 
    “Esatto, a volte è un concetto forviante. Il mental coach non è un motivatore, non dà pacche sulle spalle. È una figura che va a lavorare sulla capacità di un atleta di automotivarsi. Ad un certo punto il mental coach non ci sarà più, ma deve lasciare all’atleta gli strumenti tecnici che gli permetteranno, nei momenti di difficoltà, di ritrovare i propri standard. Fornisce gli strumenti per diventare autonomi nella gestione delle difficoltà di partenza“. 
    È giusto dire che mente e prestazione sono un po’ il filo conduttore del tuo lavoro? 
    “Sì, è giusto. Il mental coach si occupa specificamente di preparazione mentale e va ad integrarsi all’interno di un team e di uno staff“.
    Come si “convince” uno sportivo delle proprie capacità? Ma prima ancora, cosa si aspetta un atleta o una società che si rivolgono a te? In cosa vorrebbero essere aiutati? 
    “Le aree di riferimento su cui un mental coach va a lavorare, su richiesta di un singolo atleta o di una società, sono principalmente un caso specifico all’interno della squadra, ad esempio la difficoltà di un atleta di gestirsi a livello emotivo durante la partita, piuttosto che avere performance che non corrispondono al suo livello tecnico, andando così a lavorare nello specifico su un singolo atleta, oppure si lavora su un obiettivo che la squadra si è data durante la stagione. In questo contesto il lavoro del mental coach va ad integrarsi con quella che è la preparazione generale“.
    Come pensi di poterli aiutare?
    “La strada del mental coach che ho intrapreso io è quella di andare a lavorare su otto abilità dell’atleta, abilità che ognuno possiede ma in maniera diversa, a seconda del proprio percorso personale. Le otto abilità sono la fiducia, la gestione delle emozioni, il focus, l’immaginazione, la motivazione, l’attivazione, il self-talk e il goal setting. Succede poi che, dopo un’analisi preliminare, attraverso dei test, si stabilisce qual è il livello dell’atleta per ogni singola abilità. Viene fuori un risultato ed in base al livello di quel risultato, riferito ad ogni abilità, si va a valutare come intervenire. Lavoreremo per alzare la media di quelle abilità che sono sotto la media al fine di far raggiungere all’atleta la sua miglior performance“.
    Quali sono gli strumenti che utilizzi? 
    “Esercizi di respirazione, di training autogeno oppure tecniche di visualizzazione e di auto motivazione. Un atleta inserisce nella sua routine oltre che l’allenamento della ricezione, della battuta, dell’alzata, anche le tecniche che apprende durante le sedute col proprio mental coach“.
    Quali sono le paure e le ansie più diffuse? 
    “Sicuramente gestire la parte emotiva durante la competizione. Questa è la parte che va ad incidere maggiormente sul risultato personale e, in un contesto di squadra, va poi ad influire sul risultato del gruppo. Ci sono poi diversi atleti che non si parlano nel modo corretto, ma la capacità del self-talk incide tantissimo su quello che è l’approccio alla gara piuttosto che sul riuscire ad uscire da situazioni negative per poi trasformarle in positive. Se il linguaggio che utilizziamo con noi stessi non è funzionale inciderà molto sulla performance“.
    Quanto può essere importante l’apporto di un mental coach nella pallavolo? Quanto secondo te è importante per i giovani? 
    “Direi che è fondamentale. Il ruolo del mental coach è trasversale. Soprattutto nei giovani, le difficoltà nel gestire le emozioni o nell’essere sempre focalizzati sono le stesse che si ritrovano a scuola piuttosto che nei rapporti con le persone. Quindi un lavoro così, anche se legato allo sport, diventa poi importante per il resto della vita di un adolescente. Certamente più si sale di livello, di professionalità, più diventa uno strumento in più a fare la differenza laddove sono i piccoli dettagli a fare la differenza tra il vincere ed il perdere“.
    Queste sono quindi le motivazioni per cui l’allenamento mentale è sempre più importante in ambito sportivo, quasi imprescindibile dall’allenamento fisico? 
    “A certi livelli, al di là della tecnica, della preparazione fisica e della tattica di gara, l’essere sempre presenti, sempre focalizzati, senza mai perdere focus e motivazione, in partita fanno la differenza. Settare la squadra su certi standard può fare la differenza“.
    Qual è il momento in cui puoi dirti “soddisfatto” del lavoro fatto con un atleta, una squadra, uno staff? 
    “Il lavoro del mental coach è molto pratico ed oggettivo. Si fissano obiettivi nel breve e nel lungo periodo, obiettivi rappresentati da dati concreti a cui l’atleta deve allinearsi. Nel momento in cui questi numeri vengono rispettati, sempre in relazione agli obiettivi che l’atleta o la squadra di sono prefissati col mental coach, quello è già un parametro di soddisfazione. Il lavoro successivo sarà poi analizzare e capire cosa c’è dietro quel dato numerico a livello emotivo. Ancoro l’atleta ai momenti che gli hanno permesso di ottenere quella performance e cerco, attraverso questi ancoraggi, di ripeterli il più possibile così da renderli un atteggiamento e non un episodio“.
    Al di là dell’aspetto professionale che ti lega agli atleti, dopo le sessioni di lavoro insieme, li segui? Li tieni sotto controllo? 
    “Rimane un rapporto personale, di confronto. Poi dipende dal tipo di rapporto che si instaura con la società piuttosto che con l’atleta o con la famiglia dell’atleta. Molte volte dietro ai ragazzi, soprattutto più giovani, c’è una famiglia che vuole sapere, capire e che trova un riscontro positivo nel comportamento che il giovane ha nella vita quotidiana“.
    Viviamo oggi l’esperienza di una pandemia. Come si inserisce la figura del mental coach in questo scenario così pieno di incognite e di ansie? 
    “Andando a lavorare su tre abilità a lungo termine: obiettivi, focalizzazione e concentrazione. Questi tre aspetti consentono di tenere alta l’attenzione perché cercano di concentrare l’atleta o la squadra su obiettivi non imminenti ma che arriveranno. Il mental coach in questo caso tiene la squadra o l’atleta con la giusta tensione agonistica anche se in quel momento non c’è nulla di agonistico“.
    Un risultato di cui ti senti particolarmente orgoglioso? 
    “Un risultato che mi ha gratificato è l’aver seguito un ragazzo, due anni fa, che giocava nelle giovanili della Juventus come portiere. Era una promessa nel settore. Ad un certo punto, dopo due/tre anni di rinnovo, la società ha deciso di puntare su altri atleti. Lui è andato in crisi e l’ho aiutato a scegliere un’altra strada visto che aveva subito un trauma psicologico molto forte. A distanza di un anno dalla fine del nostro lavoro ho ricevuto la telefonata della madre per comunicarmi che il figlio era tornato a giocare, gli è ritornata la voglia, chiaramente con altre prospettive,  però ha trovato la sua dimensione sportiva. È uscito da un fallimento sportivo, l’ho aiutato in questa transizione, ed ora si è messo di nuovo in gioco. Non necessariamente la soddisfazione è legata ad un risultato sportivo. È più un risultato di vita che può fare la differenza“.
    Quali sono i tuoi progetti futuri? 
    “Mi piacerebbe portare un atleta alle Olimpiadi“.
    (fonte: Comunicato stampa) LEGGI TUTTO

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    Nel nuovo DPCM restano invariate le norme sullo sport

    Di Redazione
    Il DPCM del 14 gennaio, contenente le ultime misure adottate dal Governo per il contenimento della pandemia di coronavirus, lascia sostanzialmente immutate le norme sugli eventi e le competizioni sportive. Il comma 3 dell’articolo 10 riprende infatti in toto quello del precedente decreto del 3 dicembre 2020, ribadendo che “sono consentiti soltanto gli eventi e le competizioni – di livello agonistico e riconosciuti di preminente interesse nazionale con provvedimento del CONI e del CIP – riguardanti gli sport individuali e di squadra organizzati dalle rispettive federazioni nazionali, discipline sportive associate, enti di promozione sportiva ovvero da organismi sportivi internazionali“.
    Per queste competizioni sono consentiti anche gli allenamenti a porte chiuse, mentre in tutti gli altri casi lo svolgimento degli sport di contatto è sospeso, così come l’attività sportiva dilettantistica di base, le scuole e l’attività formativa di avviamento relativi agli sport di contatto e tutte le gare, competizioni e attività connesse.
    Com’è noto, la Federazione Italiana Pallavolo aveva inizialmente inserito nell’elenco degli eventi “di preminente interesse nazionale” soltanto Serie A e Serie B, salvo poi tornare sui suoi passi e riaprire alle altre categorie definite come “nazionali” dal Regolamento Gare, ossia la Serie C e i campionati giovanili fino all’Under 13. Queste categorie possono dunque continuare ad allenarsi e a giocare (laddove sono già stati calendarizzati i campionati), mentre per le altre (Serie D, campionati territoriali dalla Prima alla Terza Divisione, Under 12 e Minivolley) lo stop continuerà almeno fino al 5 marzo, termine di validità del decreto.
    (fonte: Governo.it) LEGGI TUTTO

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    Una rete “schermata” al Sanbapolis di Trento per proteggersi dal Covid-19

    Foto Twitter Marco Fantasia

    Di Redazione
    Al Sanbapolis di Trento si sperimenta una rete speciale: battezzata “Covernet“, è rivestita da una speciale pellicola per coprire i buchi ed evitare il passaggio di particelle virali da una parte all’altra del campo, riducendo così il rischio di contagio da Covid-19.
    La ghiotta anticipazione è stata fornita oggi in un tweet da Marco Fantasia, telecronista di RaiSport.

    (fonte: Twitter Marco Fantasia) LEGGI TUTTO

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    Le audizioni dell’AIP a Camera e Senato: “Totalmente favorevoli alla riforma dello sport”

    Di Redazione
    Quella di martedì 12 gennaio è stata una giornata storica per l’ AIP – Associazione Italiana Pallavolisti, che a sei mesi dalla sua fondazione ha avuto l’onore di partecipare a due audizioni informali delle Commissioni competenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica in merito ai decreti di riforma dello sport recentemente approvati dal Governo.

    L’associazione è stata rappresentata dal presidente Giorgio De Togni e dal vicepresidente, l’avvocato Federico Masi. “Tengo a sottolineare – ha detto De Togni – la bontà e positività di questa riforma in relazione a due temi a noi molto cari, l’abolizione del vincolo sportivo e il riconoscimento del lavoro sportivo. L’attuale legislazione vincola un atleta contro la sua volontà e questo è illegittimo e incostituzionale. Riguardo al lavoro sportivo la riforma va finalmente a riconoscere quelli che sono i professionisti di fatto, risolvendo in questo modo molte delle criticità che si sono riscontrate nel mondo del dilettantismo“.

    L’avvocato Masi è entrato poi negli aspetti più tecnici della riforma, proponendo tra l’altro l’introduzione di aliquote contributive agevolate per renderne i costi più sostenibili anche per lo sport dilettantistico. Le proposte dell’AIP sono contenute anche in un documento scritto consegnato nei giorni scorsi alle segreterie delle Commissioni. “È un momento storico molto importante – scrive l’associazione nel suo comunicato – ed è fondamentale che, come oggi, le Atlete e gli Atleti vengano considerati parte attiva per lo sviluppo di questo settore che tante emozioni regala al nostro Paese, attraverso le loro prestazioni sportive“.
    (fonte: Comunicato stampa) LEGGI TUTTO

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    Record, 19 anni fa il set più lungo della storia italiana

    Di Redazione
    Era esattamente il 13/01/2002 e in campo per la quarta giornata di ritorno del campionato di A1 Maschile (ancora non esisteva la Superlega), c’erano due delle società che hanno fatto la storia della pallavolo italiana e che, ahimè, non calcano più il palcoscenico della massima serie maschile: Noicom Brebanca Cuneo e Sisley Treviso.
    Dal faccia a faccia tra due delle formazioni più forti di quel periodo ne è scaturita una vera battaglia sul rettangolo di gioco. La partita è durata esattamente 2 ore e 12 minuti con il secondo set più lungo della storia italiana che ad oggi detiene il record assoluto sia di punti (106) che di tempo (48 minuti). Il parziale è infatti terminato per 52-54 in favore dei padroni di casa cuneesi!
    Un vero e proprio spettacolo pallavolistico non solo per il gioco ma anche per la bravura dei giocatori in campo, e che giocatori oseremmo dire! Nella metà campo di Cuneo, in quella stagione allenata da Fefè De Giorgi che ricopriva il doppio incarico di coach e giocatore, militavano atleti del calibro di Luigi Mastrangelo, Igor Omrcen, Andrea Sartoretti, Maikel Cardona, Tomuas Sammelvuo, Cristian Casoli, tanto per citarne alcuni.
    Ma anche dall’altra parte della rete i grandi campioni non mancavano di certo, da Alessandro Fei a Fabio Vullo, da o’fenomeno Samuele Papi a “Mister Secolo” Lorenzo Bernardi, dal forte russo Dmitry Fomin all’intramontabile Alberto Cisolla, da Giacomo Sintini ad Alessandro Farina. Senza dimenticare che in panchina c’era lui, Daniele Bagnoli, uno degli allenatori più vincenti in assoluto.
    Insomma due squadre con giocatori che hanno lasciato il segno nel campionato italiano e non solo. Facile, dunque, immaginare come la partita sia stata lottata fino alla fine con la vittoria al tie break per la Noicom Brebanca. Uno spettacolo vietato ai deboli di cuore.
    13/01/2002 – 13/01/2020: sono passati 19 anni da quel giorno e chi ha avuto la fortuna di assistere alla gara sa quanto Cuneo e Treviso abbiamo scritto una parte di storia e nonostante siano passati molti anni e la pallavolo sia molto cambiata rispetto ad allora, il campionato di Superlega continua ad essere uno dei più belli e competitivi in assoluto. LEGGI TUTTO

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    La New Volley Burago piange la scomparsa della storica allenatrice Nadia Momesso

    Foto Facebook New Volley Burago

    Di Redazione
    La comunità buraghese e il mondo della pallavolo piangono la scomparsa di Nadia Momesso, storica allenatrice dell’Asd Pallavolo Burago e della New Volley Burago.
    Come si legge su Il Cittadino Monza e Brianza, Nadia è venuta a mancare nei giorni scorsi, all’età di 64 anni, a causa di una malattia.
    «Ha sempre allenato principalmente dalle under 12 alle under 16 alla Asd Pallavolo Burago ottenendo con questi ultima squadra anche risultati importante, fino al 2014 quando ha contribuito a fondare la New Volley – spiega Barbara Brambilla, membro del direttivo della New Volley -. Era una persona riservata e che non amava mettersi in mostra ma come allenatrice per i bambini era il non plus ultra, e svolgeva il suo ruolo di allenatrice con amore e passione. Sia le giocatrici che i genitori hanno tutte un buonissimo ricordo».
    «Ci mancherà la sua presenza nella nostra vita quotidiana, i suoi consigli e il suo sorriso che da ora in avanti vivrà sulle nostre labbra – il ricordo delle figlie Sara e Valentina-. Nulla però potrà mai colmare l’enorme vuoi che ha lasciato».
    Volley NEWS si unisce al cordoglio della famiglia e degli amici. LEGGI TUTTO