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    La sliding door di Alice Farina: dal nuoto agonistico alla pallavolo (in Serie A1)

    A tutti noi sarà capitato almeno una volta di chiederci, cosa sarebbe successo se avessimo preso quel treno invece di quello successivo? Se avessimo preso quella strada invece di un’altra? Sarebbe avvenuto qualcosa di fondamentale per la nostra vita? Le cose che ci sono accadute sarebbero comunque successe prima o poi, in quanto scritte nel nostro destino?

    Certi interrogativi ci fanno immediatamente pensare a “Sliding Doors”, il noto film con Gwyneth Paltrow che esplora l’eterno interrogativo dei “se” e dei “ma”, sui piccoli particolari che possono cambiare l’esistenza di una persona. Una protagonista perfetta di questa storia sarebbe sicuramente Alice Farina, che, dopo aver praticato nuoto agonistico fino all’età di 16 anni, ha casualmente provato la pallavolo e non l’ha più abbandonata, raggiungendo in pochi anni i massimi livelli.

    Proviamo quindi a conoscere meglio la storia della nuova centrale del Volley Bergamo 1991 in questa intervista esclusiva.

    foto Instagram @alice_farina10

    Alice, partiamo da una domanda semplice. Quando ha scoperto la sua passione per la pallavolo?

    “Ho scoperto la mia passione per la pallavolo un po’ per caso a 16 anni. Infatti, fino a quel momento avevo sempre praticato nuoto. Tuttavia, durante una pausa dall’attività agonistica, decisi di iniziare la preparazione atletica insieme alle mie cugine che giocavano a pallavolo. Da lì, mi sono appassionata a questo sport e non l’ho mai abbandonato“.

    Come ha iniziato a giocare da centrale? E cosa le piace di più del suo ruolo?

    “Avendo iniziato a giocare più tardi rispetto alle altre ragazze ed essendo molto alta, mi è stato assegnato sin da subito il ruolo di centrale. Questo mi ha dato la possibilità di imparare gradualmente la tecnica di palleggio, difesa e ricezione. Mi piace molto il ruolo di centrale perché mi permette di esprimere la mia esplosività e la mia potenza, oltre a darmi grande soddisfazione quando riesco a fare tanti punti a muro“.

    Ha un modello a cui si ispira o un idolo da cui cerca di rubare qualche segreto?

    “Nell’ambito della pallavolo, non mi ispiro a nessuna giocatrice in particolare. Sin da quando ero piccola, il mio idolo sportivo è Federica Pellegrini: sono sempre stata ispirata dalla sua determinazione e dalla sua tenacia“.

    Foto LPM Pallavolo Mondovì

    Parella Torino, Anthea Vicenza, LPM BAM Mondovì: quanto è cresciuta come giocatrice nel corso di queste esperienze?

    “L’esperienza a Parella è stata molto formativa. Infatti, arrivavo da una squadra di Serie C, ed era la prima volta che andavo a vivere fuori casa e potevo misurarmi con la B1. Alla fine, posso dire di aver trovato una seconda famiglia, che mi ha trattato benissimo per tre anni. Successivamente, sono passata all’Anthea Vicenza. Nonostante una stagione complicata, ho avuto l’opportunità di assaggiare la Serie A2 e di capire come funzionasse questa categoria. Infine, sono andata a Mondovì. Qui ho vissuto l’annata migliore da quando ho iniziato a giocare: è stato un exploit inaspettato“.

    Se dovesse individuare analogie e differenze tra B1 e A2, quali sarebbero?

    “Un’analogia è legata al fatto che in queste categorie le giocatrici spesso arrivano da fuori. Dunque, si inizia a vivere la pallavolo in modo diverso, ad assaporare il ‘professionismo’ e a capire che potrebbe essere qualcosa di più di una semplice passione. In altre parole, diventa una priorità. La differenza principale, invece, riguarda il livello tecnico. C’è un divario tra le due categorie, per cui nel passaggio da B1 ad A2 bisogna alzare l’asticella“.

    Come valuta la sua ultima stagione a Mondovì? Secondo lei, l’LPM avrebbe potuto fare di più?

    “La mia stagione a Mondovì è stata molto positiva. Pur partendo come terza centrale, sono riuscita a mettermi in evidenza fino ad essere considerata una delle sorprese del campionato. Forse nemmeno io pensavo di poter giocare a quel livello. Sono un po’ dispiaciuta per il risultato finale della squadra perché, considerando le giocatrici singolarmente, eravamo molto forti. Secondo me, avremmo potuto almeno raggiungere i Playoff. Purtroppo, quest’obiettivo ci è sfuggito a causa di una serie di meccanismi che non hanno funzionato“.

    foto LVF

    Quest’anno farà il suo esordio in Serie A1 con il Volley Bergamo 1991. È arrivato il momento del grande salto? Cosa possiamo aspettarci da lei?

    “Sì, quest’anno ho avuto l’opportunità di fare questo salto. Sinceramente, non me l’aspettavo perché ho alle spalle pochi campionati di A2 e, in generale, non sono nel mondo della pallavolo da moltissimo tempo. Però, sono contenta della scelta che ho fatto e di essere salita su questo treno. Non so ancora bene cosa aspettarmi da me stessa perché non mi sono mai confrontata con l’A1. Però, a prescindere da ciò che succederà, lavorerò sodo e cercherò di dare il mio contributo ogni volta che verrò chiamata in causa“.

    Cosa cercava prima di accettare l’offerta di Bergamo e cosa, dunque, crede di aver trovato sotto un aspetto pallavolistico e umano?

    “Cercavo un club che potesse aiutarmi a confermare il mio livello attuale o a passare al livello successivo. E, alla fine, ho deciso di fare questo passo in più. Spero di potermi integrare bene nella squadra, offrire il mio contributo ed essere una buona compagna“.

    Cosa ne pensa della squadra che si sta formando? Quali sono i vostri obiettivi per la nuova stagione?

    “Penso che sia una squadra giovane e per certi versi inesperta. Questa cosa potrebbe rappresentare un rischio considerando che la Serie A1 è un campionato di alto livello, che non tollera errori. Tuttavia, sono convinta che ci siano ampi margini di crescita in ogni ruolo. Spero quindi che la nostra squadra possa sorprendere positivamente. L’obiettivo principale è sicuramente la salvezza; poi tutto quello che raccoglieremo in più sarà grasso che cola“.

    foto Volley Bergamo

    Quali sono i suoi sogni nel cassetto per il futuro?

    “I miei obiettivi e sogni per il futuro sono restare il più a lungo possibile in Serie A1, trasformare la mia passione per la pallavolo in un lavoro e continuare a giocare finché il mio fisico me lo permetterà. Inoltre, vorrei sperimentare fino in fondo l’A1 e capire se posso competere a questi livelli. Senza dubbio, mentalità e spirito non mi mancano“.

    In chiusura dell’intervista, ci racconta com’è Alice Farina fuori dal campo? Quali sono le sue passioni?

    “Sono una persona molto socievole, estroversa e attiva, con mille interessi e passioni. Ad esempio, mi piace leggere e passare del tempo con il mio cucciolo di bulldog francese. Inoltre, sto per laurearmi in osteopatia e il mio obiettivo a lungo termine è proprio quello di diventare una brava osteopata“.

    Di Alessandro Garotta LEGGI TUTTO

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    La rinascita di Ofelia Malinov: “A Chieri sono tornata ai miei livelli”

    Ritrovarsi. Cos’è che può davvero aiutare in questo percorso così difficile? La fiducia. Oh sì, la fiducia è proprio un buon compagno di viaggio. Già perché spesso, durante un percorso, quando le cose vanno più o meno bene, non si è mai inclini ad analizzare che cosa faccia realmente la differenza. L’arte del pensare, quasi sempre, si fa viva solo nei momenti difficili. Quando tutto viene messo in pausa e il futuro diventa una strada costernata di incertezze. Quindi sì, la fiducia è davvero il modo migliore per ritrovarsi. Perché è l’unico mezzo per guardarsi allo specchio e convincersi che da qualche parte, nel mondo, ci sarà sempre qualcuno pronto a fare affidamento su di noi e sulle nostre capacità.

    Lo sa bene Ofelia Malinov, che nell’ultima stagione a Chieri si è messa definitivamente alle spalle il momento più buio della sua carriera tornando a brillare e a guardare il futuro con fiducia e ottimismo. Un futuro tutto da scrivere che la vedrà protagonista con la maglia dello Zeren Spor Kulubu in Turchia, come ha raccontato in questa intervista esclusiva ai nostri microfoni.

    foto Instagram @ofeliamalinov

    “Vi lascio un pezzo del mio cuore e spero di aver trasmesso a tutti voi la voglia di non arrendersi mai e continuare a inseguire i propri sogni“. È difficile restare indifferenti dinanzi alle parole piene di affetto che hai rivolto a Chieri nel tuo saluto su Instagram. Cosa ha rappresentato questa piazza per te?

    “Chieri è stata molto importante per me. Prima di tutto, perché in un momento difficile si è fatta avanti e ha mostrato interesse nei miei confronti. E poi perché mi ha dato fiducia incondizionata: è stata la dimostrazione che c’erano ancora molte persone che credevano in me come giocatrice“.

    Quest’anno sei tornata a brillare e hai dimostrato di stare in campo con una consapevolezza da giocatrice matura. Qual è il segreto della tua rinascita?

    “Credo che non ci sia alcun segreto, se non la voglia di lavorare e di continuare a migliorarsi, la pazienza e la capacità di aspettare il momento giusto. Inoltre, è stato estremamente importante il fatto di aver trovato un ambiente in cui si lavora per far rendere al massimo le giocatrici“.

    foto Instagram @ofeliamalinov

    “Forse un giorno ci farà bene ricordare anche questo“, si legge nell’Eneide. Oggi come vedi la parentesi complicata che hai vissuto dopo il Mondiale 2022? Quanto ti ha fatto crescere?

    “Sono convinta che i momenti di difficoltà, una volta superati, lascino sempre qualcosa. Ovviamente, nessuno vorrebbe mai doverli affrontare, ma alla fine ci rafforzano. In particolare, a me hanno alimentato ancor di più la voglia di giocare e di diventare più forte. Guardando indietro, penso che tutto quello che ho vissuto mi abbia fatto maturare come giocatrice e, soprattutto, mi abbia permesso di sviluppare una maggiore consapevolezza di me stessa“.

    Cosa ti porterai dietro a livello personale e sportivo dall’esperienza con la Reale Mutua Fenera Chieri? C’è qualche ricordo in particolare?

    “Porterò con me tantissime cose, dal grande lavoro tecnico e tattico che abbiamo svolto durante la stagione, all’affetto immenso che ho ricevuto da tutti. Un ricordo che rimarrà per sempre nel mio cuore è la vittoria della Cev Cup: percepire la gioia, la felicità e l’orgoglio di tutte le persone che ci sono state vicine e ci hanno sostenuto è stato bellissimo“.

    foto Fipav

    Alla luce del tuo rendimento nell’ultima stagione ti aspettavi scelte diverse dal CT Velasco? Come hai vissuto l’esclusione dalla nazionale?

    “Penso di aver disputato una buona stagione e di aver dimostrato di essere tornata ai miei livelli. Mi aspettavo di ricevere una chiamata dalla nazionale? Onestamente, la mia risposta è sì. Infatti, ho provato tanto dispiacere alla notizia dell’esclusione, soprattutto perché non ho avuto nemmeno la possibilità di giocarmi le mie carte“.

    Alla presentazione della stagione azzurra, Velasco ha dichiarato: “Nelle squadre ci sono dei ruoli: è meglio avere come riserva la seconda migliore dopo la titolare o una giocatrice che è più contenta di fare la riserva?“. Avresti accettato anche il ruolo di riserva pur di tornare in nazionale?

    “Molto sinceramente, penso che in nazionale debbano andare le migliori. Altrimenti, il concetto stesso di nazionale perde significato. Senza contare che potrebbe sempre esserci bisogno di tutte le giocatrici. Comunque, avrei accettato volentieri anche il ruolo di riserva, come è già successo in passato. Peccato che, purtroppo, nessuno mi abbia mai posto questa domanda“.

    Foto CEV

    Uno dei tuoi obiettivi per il futuro immagino sia riconquistare la maglia azzurra. Quanto sarebbe stimolante per te? E soprattutto cosa pensi di dover fare per riuscirci?

    “Tornare in nazionale sarebbe sicuramente una bella soddisfazione. Sono convinta di poter ancora dare un contributo importante all’Italia per raggiungere grandi traguardi. Pertanto, continuerò a lavorare serenamente, come ho fatto in tutta la mia carriera, con l’obiettivo di migliorarmi sempre di più. Poi, non sarà mai una convocazione o una mancata chiamata in nazionale a definire il tipo di giocatrice che sono e che desidero essere“.

    Stai seguendo il percorso di avvicinamento alle Olimpiadi di Parigi dell’Italia? Secondo te, dove può arrivare la nostra nazionale?

    “Sì, sto seguendo il percorso della nazionale. Credo che, come ogni anno, sia una squadra fortissima, con tutte le carte in regola per arrivare fino in fondo“.

    foto Instagram @zerensk

    All’orizzonte per te c’è un’esperienza del tutto nuova lontano dall’Italia. Raccontaci un po’ le tue sensazioni e cosa ti ha convinto del progetto dello Zeren Spor Kulubu.

    “Sono molto felice e carica! Non vedo l’ora di vivere quest’esperienza all’estero, conoscere il campionato turco e confrontarmi con nuove giocatrici. Le cose che mi piacciono di più di questa società sono l’ambizione e la determinazione nel puntare a grandi obiettivi. È una mentalità con cui mi identifico; quindi, vorrei dare il mio contributo per raggiungere tali traguardi“.

    Quali sono i tuoi obiettivi per la stagione 2024-2025? E quelli del tuo club?

    “L’obiettivo del club è quello di affermarsi e arrivare il più in alto possibile. Dal punto di vista personale, invece, cercherò di arricchire il mio bagaglio di esperienza“.

    Cosa ti mancherà di più dell’Italia? E della nostra Serie A1?

    “Mi mancheranno tantissime cose dell’Italia… In primo luogo, la nostra cucina. Riguardo al campionato italiano, penso che mi mancherà girare per i palazzetti e incontrare ovunque molti amici, tifosi ed ex compagne“.

    foto LVF

    Qualche anno fa, dopo aver cantato a Modena davanti a 230mila persone, a chi gli chiedeva “sei felice” Vasco Rossi rispondeva: “La felicità è una cosa per i mistici. Io sono soddisfatto“. E tu? In questo momento della tua vita e del tuo percorso sportivo, sei felice?

    “Sì, sono felice, serena e soddisfatta di tutto ciò che ho fatto e vissuto finora, ma sono anche pronta ad affrontare le sfide che mi attendono nei prossimi anni, sia dentro che fuori dal campo. I percorsi sportivi, così come la vita stessa, non seguono sempre la direzione che ci aspettiamo o desideriamo. Tuttavia, anche se possono sembrare difficili o prendere una piega inaspettata, ciò non significa che non siano formativi o che non ci aiutino a crescere. Anzi, spesso ci permettono di acquisire una consapevolezza e una determinazione che non avremmo mai avuto se tutto fosse sempre andato liscio o secondo le nostre aspettative“.

    Intervista di Alessandro Garotta LEGGI TUTTO

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    Alla scoperta di Olivia Babcock, l’opposta classe 2005 futura stella del Team USA

    Per chi ama andare a scoprire i talenti del futuro Team USA ancor prima che questi trovino la loro consacrazione a livello professionistico il nome di Olivia Babcock probabilmente non è una novità. Pur trattandosi di una classe 2005 è da tempo che circolano voci sulle sue qualità, ma mai come nella sua esperienza al college l’opposta californiana sta giustificando queste attese. All’esordio in NCAA con le Pittsburgh Panthers si è presa decisamente la scena, al punto da vincere il premio di “AVCA National Freshman of the Year” ed essere inserita nel “First Team All-America”, la squadra ideale del campionato.

    Dunque, sembra che gli ingredienti per plasmare una nuova stella della pallavolo americana ci siano tutti. Se poi sarà anche vincente sarà solamente il resto della sua carriera a dircelo, ma il percorso che sta portando Babcock a imporsi come una delle giocatrici più interessanti a livello collegiale non potrebbe essere scritto meglio.

    foto Pitt Athletics

    Olivia, presentati ai lettori di Volley News raccontando qualcosa su di te e sulla tua storia.

    “Sono Olivia, una ‘student-athlete’ che tra poco inizierà il suo secondo anno all’Università di Pittsburgh. Sono cresciuta a Los Angeles, in California, e pratico sport fin da quando ero piccola. Mio padre, grande appassionato di sport, ha sempre incoraggiato me e mia sorella a provare un sacco di discipline. Tuttavia, ho deciso di focalizzarmi sulla pallavolo soltanto durante il secondo anno di high school, in un periodo condizionato dalla pandemia. All’inizio molte persone dubitavano delle mie capacità perché fino ad allora non avevo mai fatto parte di un club. Infatti, a causa delle chiusure, sembrava che unirsi a un club fosse l’unico modo per poter giocare a pallavolo. Alla fine, però, sono riuscita a convincere mio padre e dopo un anno ricco di successi ho capito quanto amassi questo sport. Da lì è incominciato il percorso che mi ha permesso di arrivare a Pitt“.

    Nello specifico, che cosa ti ha fatto appassionare alla pallavolo?

    “La mia passione per la pallavolo è senza dubbio radicata nell’ambiente e nella competitività che la caratterizzano. Apprezzo particolarmente il fatto che nel mondo del volley tutti hanno grande rispetto nei confronti di questo sport e di chi li circonda, poiché sanno da dove arriva la loro competitività e quanto è importante la loro passione. Pertanto, ritengo che sia estremamente bello far parte di un ambiente così inclusivo e amichevole, dove tutti condividono la stessa passione“.

    Com’è stato il percorso che ti ha portato alla Pittsburgh University? E come mai hai scelto proprio questo ateneo?

    “La mia carriera è cominciata relativamente tardi. Certo, da bambina ho giocato tanto a pallavolo, prendendo parte a tornei amatoriali, e talvolta a beach volley sulle spiagge del sud della California. Però, come accennavo in precedenza, ho iniziato a giocare seriamente solo durante il secondo anno di liceo, quando è arrivato il Covid. Inizialmente militavo nella squadra liceale. Poi, quando in tanti hanno riconosciuto il mio potenziale e la mia passione per questo sport, mi è stato consigliato di unirmi a un club per poter continuare a giocare. Nonostante qualche esitazione, alla fine sono riuscita a convincere mio padre e così sono entrata a far parte di una squadra di club. Il primo anno è stato molto positivo e così ho ricevuto una proposta dall’Università di Pittsburgh. Nelle stagioni successive ho cambiato diversi club e ho trovato come compagna Torrey Stafford, con cui ho condiviso praticamente tutte le mie esperienze pallavolistiche”.

    “La ragione per cui ho scelto Pitt è principalmente legata alla sua atmosfera e ai suoi valori. Molti affermano di dare priorità alla persona piuttosto che alla giocatrice, ma pochi lo dimostrano effettivamente come succede a Pitt. In passato, mi è capitato di far parte di squadre che mostravano rispetto e si prendevano cura di te solo in base alle tue abilità. Ma questo non è mai successo a Pitt“.

    Chi ti ha aiutato a comprendere quale fosse il tuo potenziale?

    “La prima persona che mi viene in mente è senza dubbio mio padre. Ha sempre creduto in me e ripetuto che mi avrebbe sostenuto in tutto ciò che avessi voluto fare. Il suo sostegno è stato particolarmente evidente quando ho iniziato a giocare: mi rassicurava dicendomi che avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarmi a raggiungere i miei obiettivi. Anche adesso, mi chiama spesso per ricordarmi che non farà mai mancare il suo sostegno incondizionato. Quindi, è il mio più grande tifoso, mi aiuta a esprimere tutto il mio potenziale e non ha mai dubitato di me. Nel mio percorso è stato importante anche un allenatore che mi ha seguito durante il periodo delle scuole medie, quando partecipavo a un campionato amatoriale: intravedeva un grande potenziale in me e mi incoraggiava a giocare a pallavolo. A posteriori, posso dire che quasi mi rammarica il fatto di non aver iniziato a percorrere con decisione questa strada già da quel momento. Tuttavia, sono ancora in contatto con questo allenatore, che continua a credere nelle mie capacità e non smette di ricordarmi quanto potenziale inespresso vede in me“.

    foto Pitt Athletics

    Come valuti il tuo primo anno con le Pittsburgh Panthers? Qual è stato il momento più bello?

    “Il primo anno a Pitt è stato straordinario ed è andato oltre alle mie aspettative. Tutti si aspettavano grandi cose da noi e il nostro obiettivo era quello di arrivare il più lontano possibile. Tuttavia, prevedere risultati positivi e raggiungerli effettivamente sono due cose molto diverse. Alla fine, l’intera stagione è stata ricca di momenti incredibili e vivere tutto questo mi è sembrato quasi surreale. La nostra squadra si è dimostrata incredibilmente unita, al punto che per me andare in campo era come stare in famiglia. Questo fattore ha reso l’esperienza ancora più piacevole. Se avessi la possibilità di rivivere il mio primo anno a Pitt, farei tutto esattamente nello stesso modo. Per quanto riguarda il momento più bello della scorsa stagione, direi senza dubbio la rimonta contro Louisville che ci ha permesso di invertire la rotta e accedere alla Final Four: ci era capitato di battere questo avversario ribaltando il risultato anche nel corso della regular season, ma farlo nel nostro palazzetto, con una posta in palio così importante, è stato a dir poco fantastico“.

    Hai dovuto affrontare qualche sfida particolare nel passaggio da high school a college?

    “Me ne vengono in mente due. La prima è relativa ai primi mesi qui a Pitt, quando ho subito una frattura da stress alla colonna vertebrale e non ho potuto lavorare con la squadra. È stata una situazione estenuante perché vedevo che le mie compagne avevano trovato una buona intesa e al rientro in campo sarei stata penalizzata. Ero molto nervosa perché ci sarebbe voluto tanto tempo per adattarmi alla squadra e al nuovo stile di gioco. Perciò, ho parlato più volte con gli allenatori per capire se avessi dovuto richiedere lo status di redshirt, ma loro mi hanno rassicurata dicendomi che ce l’avrei fatta e che questo infortunio non mi avrebbe definito come giocatrice. Non avevo mai avuto un infortunio così grave, e scoprire di essermi fatta male una settimana prima del mio arrivo è stato un colpo che ha affossato la fiducia in me stessa. Tuttavia, grazie al sostegno delle mie compagne è stato più facile affrontare e superare questa situazione. La seconda sfida, invece, riguarda la pressione in generale: credo che sia normale doverla gestire quando si pratica sport ad alti livelli“.

    Che tipo di opposto sei? Come ti descriveresti?

    “Per descrivere il mio stile di gioco userei l’espressione ‘alto rischio, alta ricompensa’. Sono una giocatrice che dà sempre il massimo e questo approccio di solito paga. Sicuramente è un modo di giocare che talvolta ti fa correre qualche rischio; tuttavia, sono fermamente convinta che sia molto redditizio. Un’altra caratteristica è la capacità di attivare la modalità ‘no think’: quando metto piede in campo, non mi soffermo su ciò che è già accaduto perché non c’è nulla che possa fare per modificarlo. Inoltre, non si può prevedere cosa succederà in futuro finché non accade effettivamente. Perciò, spengo il mio cervello e cerco di restare focalizzata sul presente, di fare del mio meglio, di giocare per la squadra e di non distogliere lo sguardo dall’obiettivo“.

    Sei considerata uno dei migliori prospetti della NCAA e sei stata la prima Panther di sempre a ricevere il premio di “AVCA National Freshman of the Year”. Cosa significa tutto questo per te?

    “Lo considero un grande onore. Non sapevo nemmeno di essere la prima Panther a ricevere quel premio fino a quando non me l’hanno detto. Sono molto felice di essere riuscita ad avere un impatto significativo sulla squadra, ma non avrei potuto raggiungere questo risultato senza il sostegno delle mie compagne e dello staff tecnico, a cui sono estremamente grata. Non posso prendermi tutti i meriti. In realtà, penso di non poterne prendere nemmeno la metà perché non avrei mai potuto raggiungere questo traguardo senza l’aiuto del gruppo“.

    È difficile mantenere i piedi per terra quando si raggiungono questi risultati?

    “In realtà, all’inizio non è stato facile perché questi premi solitamente vengono assegnati in una fase delicata della stagione; quindi, c’è il rischio che chi li riceve possa sentirsi appagata e accontentarsi. Tuttavia, il mio obiettivo è sempre stato quello di mantenere alte le motivazioni, restare focalizzata sul nostro grande obiettivo e ricordarmi per chi e con chi stessi giocando. Questo è stato il miglior modo per continuare sulla strada intrapresa“.

    foto Pitt Athletics

    Quali sono le tue aspettative per la fall season 2024 con le Panthers?

    “Ho aspettative importanti perché penso che siamo una squadra forte e dal grande potenziale. Tuttavia, preferisco approcciare la nuova stagione senza obiettivi specifici perché confido nella crescita costante di questa squadra. Perciò, è importante avere il desiderio di fare grandi cose, ma senza fissare troppi obiettivi perché, se poi non li raggiungiamo, non voglio buttare via tutto quello che abbiamo fatto. Dobbiamo essere affamate, cercare di fare sempre di più e non porci limiti a ciò che possiamo raggiungere. Credo che, mantenendo questo tipo di mentalità e migliorando costantemente il nostro gioco, possiamo arrivare in fondo al torneo e diventare la squadra che aspiriamo ad essere. Ho grande fiducia nelle nostre capacità e penso che abbiamo il potenziale per diventare le più forti. Se mettiamo il gioco di squadra e la crescita collettiva al primo posto, sono certa che questa stagione possa essere molto positiva per noi“.

    Dove ti vedi nel giro di qualche anno? Quali traguardi sportivi vorresti raggiungere?

    “Mi vedo ancora su un campo di pallavolo. Ho sempre sognato di diventare una professionista; pertanto, il mio obiettivo è di giocare al massimo livello possibile insieme alle migliori pallavoliste. Inoltre, punto a partecipare alle Olimpiadi. Al momento quelle del 2028 hanno la massima rilevanza per me in quanto si svolgeranno a Los Angeles. Non c’è altro posto nel mondo in cui vorrei fare il mio debutto olimpico se non nella mia città natale, dove la mia famiglia e i miei amici più cari verrebbero a sostenermi: sarebbe qualcosa di incredibile. Questo è il mio obiettivo principale per adesso, ma a lungo termine vorrei diventare un punto fermo della nazionale e rappresentare gli Stati Uniti su un palcoscenico mondiale. Amo giocare a pallavolo e credo che non ci sia niente di più bello di giocare per il proprio paese“.

    Invece, al di fuori della pallavolo, quali sono le tue aspirazioni?

    “Sono ancora indecisa. Al momento mi sto concentrando sulla pallavolo, ma non vedo l’ora di scoprire quale laurea avrò l’opportunità di ottenere e in che modo mi servirà nella mia vita quotidiana in futuro“.

    Per concludere, cosa ti piace fare quando non sei impegnata in palestra?

    “Le mie attività principali nel tempo libero ruotano attorno alle amiche. A dire il vero, anche quando non sono in palestra, mi piace molto trascorrere momenti spensierati in compagnia della mia squadra. Credo che le relazioni che ho costruito qui siano uniche e difficilmente replicabili. Pertanto, mi impegno a sfruttare bene il tempo che passo con queste persone. Inoltre, ho una grande passione per il cibo e la scoperta di nuove cucine che condivido con la mia coinquilina Torrey. Spesso ci capita di andare a fare la spesa o a comprare da mangiare, e possiamo dire di aver vissuto avventure memorabili. Ovviamente da atleta sono consapevole dell’importanza di recuperare le energie e perciò ogni tanto dedico i momenti liberi al riposo e alla cura di me stessa. Per esempio, sono appassionata di skincare: mi piace provare nuovi prodotti e valutare in che modo questi agiscono sulla mia pelle“.

    Intervista di Alessandro Garotta LEGGI TUTTO

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    Morello e la nuova avventura francese: “Una chiamata che ha scombussolato i miei piani”

    Un percorso di crescita importante, che anno dopo anno continua a dare i suoi frutti. Quella di Rachele Morello è una storia di talento, determinazione e soddisfazioni guadagnate a suon di buone prestazioni e traguardi raggiunti: dall’esordio in Serie A con la Lilliput Settimo Torinese ai trionfi europei con la Reale Mutua Fenera Chieri, passando per le esperienze con Club Italia, Igor Gorgonzola Novara, Olimpia Teodora Ravenna e Banca Valsabbina Millenium Brescia.

    Ma ora è arrivato il momento di cambiare: una nuova avventura, l’ambizione di affermarsi anche all’estero, il piacevole peso di un cambiamento culturale. Perché a 23 anni è giusto fare delle scelte. Che ciò sia sinonimo di rinuncia, chi può dirlo. Quando è così, bisogna chiudere la valigia nonostante il nodo in gola ed andare.

    Ecco la nostra intervista esclusiva alla palleggiatrice torinese che nella stagione 2024-2025 vestirà la maglia del Levallois Paris Saint Cloud in Francia.

    All’orizzonte per lei c’è la prima avventura all’estero della sua carriera. Cosa l’ha convinta ad accettare la proposta del Levallois Paris Saint Cloud?

    “È stata una chiamata che non mi aspettavo e che in un certo senso ha un po’ scombussolato i miei piani iniziali. Però, proprio nel momento in cui dovevo scegliere cosa fare nella nuova stagione, ho avuto modo di conoscere meglio questa squadra affrontandola con Chieri in Cev Cup e di parlare con l’allenatore Alessandro Orefice. E l’impressione è stata fin da subito positiva“.

    foto CEV

    La spaventa l’approccio iniziale con una realtà un po’ differente da quelle a cui è abituata? Quali ostacoli si aspetta di affrontare?

    “Sono consapevole che per tanti aspetti sarà un’esperienza diversa da quelle precedenti. Tuttavia, la società ha progetti ambiziosi e uno staff valido e competente: questi fattori mi danno una grande serenità. Inoltre, sono molto curiosa di conoscere meglio la lingua, la cultura, lo stile di vita e le abitudini alimentari francesi. Al momento non so bene quali possano essere gli ostacoli che incontrerò sul mio percorso. Quindi, cercherò di vivere questa avventura con un approccio positivo e, se sarà necessario affrontare qualche ostacolo, lo farò“.

    Quali sono i suoi obiettivi per la stagione 2024-2025? E quelli del suo club?

    “Innanzitutto, sono felice di avere la possibilità di giocare in un club importante come il Levallois, reduce da una stagione molto positiva, culminata con la vittoria del campionato. Dunque, l’asticella è già alta e probabilmente non si può alzare ancora di più: avverto la responsabilità di raggiungere risultati simili. Inoltre, giocare la Champions League da titolare e confrontarsi con le migliori squadre in Europa sarà un immenso onore e un’opportunità per la mia crescita. L’obiettivo è di andare il più avanti possibile nel torneo cercando di fare del nostro meglio a partire dalla fase a gironi. Dal punto di vista personale, vorrei migliorare ulteriormente, mettere un nuovo tipo di esperienza nel mio bagaglio di giocatrice, assumermi responsabilità importanti e prendere per mano la mia squadra“.

    foto Instagram @lelemorello_4

    Nella sua testa questo tipo di esperienza sarà solo una parentesi oppure no?

    “Come dicevo prima, questa opportunità è arrivata in modo inaspettato. E se da una parte ho ambizioni importanti, dall’altra non so ancora come sarà il mio futuro. Senza dubbio, però, un giorno mi piacerebbe tornare a giocare in Italia“.

    Cosa le mancherà di più della Serie A italiana?

    “Il campionato italiano è di altissimo livello e credo che questo sia un dato di fatto. Sicuramente mi mancheranno le sfide con le big, anche se avrò modo di viverle da protagonista in Champions. Inoltre, mi mancheranno tutte le giocatrici e i membri dello staff con cui ho stretto un rapporto di amicizia in questi anni: giocando all’estero non potrò ritrovare queste persone almeno due volte nel corso della stagione“.

    È reduce da un biennio alla Reale Mutua Fenera Chieri. Cosa si porta dietro da questa esperienza?

    “Mi porto dietro la gioia di aver vinto due coppe europee e di aver raggiunto traguardi storici per il club: da buona torinese, tutto questo mi fa molto piacere. Sono contenta di aver trovato un ambiente positivo, una società solida e uno staff competente e professionale: insomma, di Chieri è davvero difficile dire cose negative o sentirne parlare male“.

    foto Instagram @lelemorello_4

    Nel 2025 coronerà il sogno delle nozze con Luca (anche lui pallavolista). Si sente pronta per questo passo importante della sua vita? Come procedono i preparativi per il matrimonio?

    “Sì, l’anno prossimo si realizzerà un grande sogno. Oltre alla pallavolo, ho sempre dato tanta importanza alla mia vita privata. Dunque, sono felice di aver costruito un rapporto solido con Luca in questi cinque anni e non vedo l’ora di fare un passo così importante insieme a lui. Al momento stiamo cercando di portarci avanti con i preparativi, visto che ad agosto dovrò partire per la Francia, ma comunque tutto procede per il meglio“.

    Due cuori nella pallavolo: citare “Mila e Shiro” è più che mai azzeccato nel vostro caso. Quanto vi unisce la passione per lo stesso sport?

    “Io e Luca ci siamo conosciuti tanti anni fa a un Trofeo delle Regioni e ci siamo rincontrati in un secondo momento, dopo esserci persi di vista per un po’ di tempo. Quindi, la pallavolo è qualcosa che ci unisce profondamente e ci aiuta nella vita di coppia perché entrambi sappiamo quali sacrifici si debbano fare per giocare ad alti livelli e possiamo essere di supporto l’uno con l’altro. Ovviamente poi è fondamentale bilanciare tutti gli aspetti della vita, perché ci sono anche la famiglia, la cura della nostra casa, ecc.; in più, Luca ha un lavoro molto importante. Quindi, cerchiamo di non focalizzarci solo sulla pallavolo, ma sicuramente è un elemento che ci unisce“.

    foto Instagram @lelemorello_4

    23 anni e tanti sogni sicuramente nel cassetto: se dovesse aprirlo per un attimo quale sarebbe il suo sogno più grande?

    “Il mio sogno più grande preferisco tenerlo ben custodito nel cassetto. Però, posso dire che al momento i miei obiettivi principali sono di vivere un’esperienza positiva in Francia, dimostrare che sono all’altezza di questa sfida, affermarmi nel mio ruolo e magari un giorno tornare in Italia per giocare da protagonista“.

    “Ribellati all’idea di pensare”. Per concludere l’intervista, le va di spiegarci la frase che ha messo nella bio di Instagram?

    “È un consiglio che mi ha dato un allenatore durante la preparazione di un Campionato Europeo con la nazionale giovanile. Ho sempre pensato che per raggiungere lo stato di grazia nella pallavolo, e più in generale nella vita, sia importante eliminare tutti i pensieri e lasciarsi guidare dal gioco. Un concetto che viene riassunto al meglio da quella frase“.

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    La nuova vita di Srna Markovic: “Ci vuole coraggio a ricominciare da zero”

    Sentiamo spesso parlare di giocatori e giocatrici che nonostante l’età avanzata non riescono a dire basta. In molti casi si tratta di grandi campioni che hanno passato tutta la vita sul taraflex e al pensiero di affrontare nuove sfide vanno in tilt, finendo per rimandare il più possibile il momento fatidico dell’addio alla pallavolo.

    Ci sono, però, anche alcuni casi di giocatori che accusano il problema inverso: nel fiore degli anni, seppur magari all’apice della carriera subentra in loro un malessere, un’insofferenza nei confronti del pallone e di tutto ciò che gli gira attorno, tale da spingerli a cambiare radicalmente vita. La storia di Srna Markovic rientra proprio in questa categoria.

    In un’intervista esclusiva ai microfoni di Volley News, l’ex schiacciatrice austriaca – che in Italia ha vestito le maglie di San Giovanni in Marignano, Cuneo e Scandicci – ha parlato della sua carriera e della nuova vita dopo essersi ritirata.

    La carriera di uno sportivo ha una durata relativamente breve se confrontata con qualsiasi altra. Una volta usciti definitivamente dal campo, inizia una vera e propria seconda vita. Com’è quella di Srna Markovic?

    “La mia ‘seconda vita’ è qualcosa di meraviglioso. È un dono poter vivere una carriera piena di esperienze e successi in giovane età per poi dedicarsi a nuovi sogni e diventare genitori, come nel mio caso. Penso che la mia carriera – con tutti gli alti e bassi che lo sport comporta – e il lavoro che ho fatto su me stessa mi abbiano preparato al nuovo ruolo di mamma e ad essere l’esempio che vorrei per mia figlia“.

    In base alla tua esperienza, quali sono state le difficoltà di costruire una nuova vita da zero?

    “Per me è stato difficile accettare di non seguire la strada che immaginavo quando ero più giovane (neurobiologia e ricerca sul cervello) e aprirmi a un cambiamento sia dal punto di vista personale sia dal punto di vista professionale. Dato che durante l’ultimo anno della mia carriera avevo già iniziato a studiare Psicoterapia, è stato naturale decidere di chiudere il capitolo relativo alla pallavolo e voltare pagina. Penso che in generale serva tanto coraggio per lasciare uno sport in cui hai un nome e sei stimata, e progettare una nuova vita da zero, lontana dalla tua comfort zone, con tutte le incertezze che comporta“.

    Che cos’è “Praxis Parliamo” e di cosa si occupa?

    “È il nome della mia attività da Psicoterapeuta libera professionista. L’obiettivo è di fornire un ambiente accogliente e non giudicante, dove tu possa esplorare liberamente i tuoi pensieri, sentimenti e comportamenti. Durante la mia carriera sportiva mi era capitato di incontrare molta gente che affronta le sfide della vita; così, combinando le mie esperienze personali, i miei studi, la resilienza e il mindset da atleta, cerco di cambiare qualcosa nel mondo e far risplendere la luce laddove magari le persone non la vedono più. Mi rivolgo a persone adulte o adolescenti che combattono sfide come l’ansia, la depressione, lo stress, i problemi relazionali, i traumi e la bassa autostima. In più mi sto specializzando sulle neurodivergenze: autismo, disturbo da deficit di attenzione/iperattività, ipersensibilità, ecc.. Ultimamente ci sono anche tante mamme tra i miei clienti“.

    Facciamo un passo indietro. Quali sono stati i motivi che al termine della stagione 2021-2022 ti avevano spinto ad appendere le ginocchiere al chiodo a soli 26 anni?

    “Bella domanda… In realtà, avevo iniziato a maturare questa decisione già durante l’anno della pandemia, quando ero rimasta fuori due mesi per via della positività al Covid. Lì stavo già rivalutando i miei valori, sogni e progetti per il futuro: alla fine, ho capito che la mia felicità, quella vera e totale, si trovava altrove. È stato difficile lasciare una carriera in fase di crescita e respingere buone offerte; però, sono contenta di aver fatto questa scelta coraggiosa perché poi ho trovato una nuova serenità“.

    In un brano dedicato alle cose che contano nella vita Jovanotti afferma: “Se lo senti lo sai”. Quanto è stato importante per te seguire la bussola interiore e fare quello che di cui avevi realmente bisogno?

    “Come dicevo, nella mia mente c’erano voci che stavano diventando sempre più forti; perciò, non potevo fare altro se non fermarmi ad ascoltarle, dando loro lo spazio adeguato. A mio parere, una persona deve sempre seguire quei principi che le permettono di essere se stessa senza compromessi. Dato che spesso mi è capitato di trovarmi in contesti nei quali magari mi sentivo sbagliata o diversa, volevo trovare un posto dove stare bene e sentirmi giusta così come sono“.

    Ripercorrendo le tappe principali della tua carriera da giocatrice, quali sono i ricordi più belli? E cosa ti rende più orgogliosa?

    “Senza dubbio la tappa più significativa è stata quella di Cuneo, dove ho preso coscienza di me stessa come giocatrice e ho trovato un ambiente familiare grazie alla società e ai tifosi. A rendermi più orgogliosa sono i titoli di MVP che ho vinto contro le big, ma anche il fatto di aver sempre avuto un po’ di tempo da dedicare ai tifosi e ai bambini che venivano a sostenerci, e il coraggio di continuare a inseguire il mio sogno di diventare una pallavolista quando da bambina non credevano nelle mie potenzialità. Lo stesso coraggio che mi ha reso orgogliosa quando ho deciso di andare controcorrente e terminare la mia carriera sportiva per inseguire nuovi sogni“.

    Si dice spesso che gli atleti hanno sempre rimpianti o rimorsi. Tu ne hai qualcuno? Con il tempo svaniscono o restano indelebili nella mente?

    “Ne ho tanti! I rimpianti restano indelebili così come tutti gli altri ricordi. Fanno parte del tuo vissuto e contribuiscono a spiegare perché sei così: senza tutti gli errori commessi non potrei mai essere la persona che sono oggi, e questo vale anche per i ricordi negativi. Adesso che ho fatto un lungo percorso di crescita personale e sono diventata mamma, mi pento di alcuni comportamenti sbagliati o permalosi che mi è capitato di assumere durante la mia carriera. Anche con le mie compagne sarei più paziente, tollerante e cordiale. E soprattutto non direi mai più che sono stanca: prima di diventare madre non sapevo cosa fosse realmente la stanchezza. Proprio per questo credo che la maternità sia un’esperienza che trasforma le atlete e dà loro una forza particolare quando poi tornano in campo“.

    Cosa ti manca di più della pallavolo? E cosa invece non ti manca per niente?

    “Mi mancano la pallavolo, la sensazione di stanchezza muscolare, l’adrenalina che sale quando si entra in campo, il tifo del pubblico e il fatto di seguire la propria passione. Invece, non provo nostalgia per le trasferte in pullman e per gli orari da rispettare. Magari adesso non sono impegnata per tante ore, ma una cosa che adoro della mia nuova vita lavorativa è l’assoluta indipendenza; infatti, sono libera di decidere come sistemare gli appuntamenti in base ai miei bisogni“.

    Quale pensi che sia il valore più importante che lo sport ti ha trasmesso?

    “Direi la disciplina perché senza di essa non si va da nessuna parte nella vita. Non deve essere vista come qualcosa di negativo, ma come una grande forza che aiuta a trasformare i propri sogni in realtà, a perseverare quando tutto sembra difficile, a trovare coraggio e a non perdere mai la speranza o il focus sull’obiettivo“.

    Quali sono le tue ambizioni personali e i tuoi progetti professionali per il prossimo futuro?

    “Sicuramente vorrei far crescere la mia attività. Vorrei aiutare un numero sempre più grande di persone ad elaborare meglio il dolore e le difficoltà, e a renderle più consapevoli dei propri bisogni, dei desideri e delle emozioni che provano, cosicché un giorno mia figlia potrà vivere in un mondo nel quale si possano esprimere liberamente le proprie idee, si sappia dire di no e si possa mostrare se stessi senza nascondere nulla per paura o per vergogna. Parallelamente agli incontri individuali di ‘cognitive behavioral therapy’ (terapia cognitivo-comportamentale) e di ‘monodrama’, sto portando avanti anche due progetti per i gruppi: in quello rivolto alle aziende offro workshop sulla leadership efficace e sul potenziamento dei team manageriali, mentre nell’altro seguo giovani talenti dello sport nel loro percorso verso la vetta“.

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    Alla scoperta di Anna Kotikova: “Scandicci? Lavorerò duramente per ritagliarmi il mio spazio”

    ” Non piangere perché è finito, sorridi perché è successo”. Questa celebre frase di Gabriel Garcia Marquez racchiude in sé l’approccio giusto per inquadrare la fine dell’esperienza di Anna Kotikova al Volero Le Cannet. Un costante dare e avere tra le parti, che hanno regalato ai tifosi del club francese ineguagliabili emozioni e tanti momenti da incastonare nelle cornici dei propri ricordi. La 24enne schiacciatrice russa è stata, senza troppi dubbi, tra le note più liete delle ultime due stagioni delle biancoviola che, al contempo, le hanno permesso di portare avanti un percorso di crescita che – come raccontato dalla diretta interessata in esclusiva ai nostri microfoni – è stato il viatico per alzare il proprio rendimento e convincere la Savino Del Bene Scandicci a puntare su di lei.

    Anna, riavvolgiamo il nastro e partiamo dai tuoi esordi. Quali sono i primi ricordi relativi alla pallavolo?

    “La pallavolo è entrata a far parte della mia vita abbastanza presto, visto che ho iniziato a giocare quando avevo 7 anni. In alcune città russe, gli allenatori sono soliti girare nelle scuole e invitare i bambini a fare sport. E dal momento che io e mia sorella eravamo più alte rispetto alle nostre coetanee, siamo state invitate a un allenamento di pallavolo. Sono sempre stata una ragazza piuttosto attiva, e quindi questo sport ha fatto subito breccia nel mio cuore. In particolare, mi piaceva il fatto che era uno sport di squadra. Nella mia mente sono ancora impressi i ricordi delle prime trasferte e dei tornei a cui ho preso parte quando ero piccola. Inoltre, la pallavolo mi ha dato l’opportunità di entrare in contatto con altre ragazze della mia età e fare nuove amicizie. Imparare a vincere come una squadra, sfruttare i propri punti di forza e nascondere i punti deboli: una dinamica che ho trovato sempre molto affascinante e che ancora oggi rende questo sport il più interessante dal mio punto di vista“.

    Com’è stato il tuo percorso pallavolistico prima di arrivare al Volero Le Cannet?

    “La mia carriera da professionista è iniziata alla Dinamo Kazan: ho giocato per un po’ nelle giovanili, prima di ricevere la chiamata dalla prima squadra. A Kazan ho avuto l’opportunità di acquisire tanta esperienza lavorando insieme a buoni allenatori e a giocatrici di alto livello. Ho imparato molte cose, ma un conto è mostrare le proprie qualità in allenamento e un altro è farlo in partita. In quel momento della mia carriera avevo bisogno di giocare, e così ho deciso di cambiare squadra e trasferirmi alla Dinamo Krasnodar. Sono rimasta lì per una stagione e sono molto grata a questo club per avermi dato la possibilità di mettermi alla prova“.

    foto CEV

    Poi cosa ti ha spinto ad andare a giocare all’estero?

    “Quando ho ricevuto l’offerta del Volero Le Cannet, mi sono presa un po’ di tempo per pensarci e ho capito che era una proposta interessante. Il mio obiettivo era quello di lavorare con allenatori e giocatori stranieri, testando me stessa in un altro campionato. E ovviamente la possibilità di partecipare alle coppe europee, dove giocano le migliori giocatrici al mondo, era un bonus molto invitante“.

    La tua esperienza al Volero Le Cannet è terminata da poco. Come descriveresti le due stagioni che hai vissuto in Francia? Qual è stato il momento più bello?

    “Sono stati molto proficui i due anni che ho vissuto al Volero. È un club che può vantare una lunga storia e che ha il dovere di vincere. Lì ho sempre avvertito una grande fiducia nei miei confronti, e questo è importante per una giocatrice perché la motiva ancora di più. Ovviamente il momento più bello è legato alla vittoria del campionato 2022-2023. Ricorderò quella stagione straordinaria per tanto tempo“.

    Invece come valuti l’ultima annata? C’è qualcosa che avreste potuto fare meglio?

    “La stagione 2023-2024 non è stata positiva come quella prima. Certamente poteva andare meglio, considerando che il nostro obiettivo era il primo posto. Tuttavia, sono orgogliosa della mia squadra perché tutti i componenti hanno mostrato voglia di lavorare e vincere, e hanno fatto del proprio meglio. Sfortunatamente, c’è sempre un vincitore e uno sconfitto. E questa volta abbiamo perso“.

    Quali sono le cose più importanti che hai imparato giocando in Francia?

    “Ovviamente l’esperienza accumulata giocando per ottenere risultati importanti è stata la parte migliore di questa parentesi. Nel campionato francese ho trovato buone difese e molte giocatrici che amano una pallavolo veloce. Invece, quando giocavo in Russia, veniva data più enfasi alle palle alte e alla forza dei colpi. Dunque, la mia avventura in Francia è stata interessante proprio perché mi ha dato la possibilità di imparare nuove cose. Ora sono pronta a passare allo step successivo“.

    Solitamente sei un punto di riferimento in attacco per le tue squadre ed è chiaro che questo mette a dura prova il tuo fisico. Com’è il processo di recupero una volta iniziata l’off-season?

    “Il recupero è una parte estremamente importante nella vita di una giocatrice professionista. Non solo in estate, ma anche durante la stagione, quando è importante recuperare completamente tra una partita e l’altra in modo che la stanchezza non si trasformi in infortuni. Adesso invece è il momento per riposarsi un po’ e fare una buona preparazione fisica affinché il corpo sia pronto ad affrontare la nuova stagione“.

    foto CEV

    Il prossimo step della tua carriera sarà in Italia. Come hai capito che la Savino Del Bene Scandicci è il club giusto per te in questo momento?

    “Secondo molti, la Serie A1 italiana è attualmente il miglior campionato al mondo. La trovo una lega interessante con un livello altissimo di pallavolo. Naturalmente, questa è una grande opportunità per crescere. La Savino Del Bene Scandicci è un club con obiettivi importanti, giocatrici e allenatori di alto livello. Sono davvero felice di avere la possibilità di giocare lì. E farò del mio meglio per ottenere i massimi risultati“.

    Con quale mentalità ti presenti in un club così importante? Punti al posto da titolare?

    “Sono consapevole che a Scandicci non sarà facile ottenere un posto in campo. Ma certamente sono pronta a lavorare per riuscirci“.

    Hai vinto la medaglia d’oro al Campionato Europeo U19 nel 2016 e quella d’argento al Campionato del Mondo U20 nel 2017. Ti manca giocare i tornei internazionali? A tuo parere, la nuova generazione russa avrebbe potuto raggiungere grandi traguardi?

    “Certo, mi mancano le competizioni internazionali. È sempre un grande onore per un atleta rappresentare il proprio paese d’origine. In questo momento ci sono un sacco di giovani talentuose in Russia e sono sicura che potrebbero ottenere ottimi risultati. È un peccato che non ci venga data questa opportunità. Però, la federazione russa sta cercando di fare tutto il possibile per sostenere la crescita dei propri giocatori. In uno scenario del genere, nuove competizioni e partite amichevoli sono di grande aiuto“.

    Foto CEV

    Quali sono i tuoi prossimi obiettivi come pallavolista?

    “Il mio obiettivo è di giocare nei migliori club del mondo e dare un contributo importante alle vittorie. Ogni stagione, passo dopo passo, cerco di migliorare il mio livello di gioco: la pallavolo è in continua evoluzione e penso di avere ancora tanto lavoro da fare“.

    Un’ultima curiosità. Chi è Anna Kotikova fuori dal campo? Quali sono i suoi hobby preferiti?

    “Prima di tutto, vorrei dire che la pallavolo mi accompagna anche quando non sono in palestra: mi piace sia giocare sia guardare le partite, e mi capita spesso di seguire gli altri campionati. Durante la stagione si lavora tanto, e perciò preferisco un riposo passivo: guardo molti film e leggo libri. Invece, quando sono in vacanza la cosa più importante per me è la compagnia. Mi piace trascorrere il mio tempo con amici e familiari perché è difficile farlo durante la stagione sportiva“.

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    Brie King cambia musica e nome: ora chiamatela O’Reilly

    Calma. Per alcuni è uno sforzo inutile. È perdita di tempo. Occasioni mancate. Per altri è una virtù da coltivare, che rende forti e resilienti. Un elemento essenziale e chiarificatore per prendere decisioni. La strada che conduce alla tranquillità e alla pace con se stessi, per godere a pieno delle nostre capacità. Qualità innata o conquistata nell’arco della vita, l’importante è saperla gestire. Proprio come fa Brie O’Reilly, più nota con il cognome da sposata King, palleggiatrice canadese del Sesc RJ Flamengo. Lei, che agita i cuori dei tifosi rossoneri, ma esercita e preserva la calma del golfista, fino alla fine. Perché “la calma è la virtù dei forti”, quella che rende semplici giocate difficili. Quella che permette di guidare la propria squadra senza commettere sbavature.

    Al termine della sua seconda stagione in Brasile, O’Reilly si è raccontata in esclusiva ai microfoni di Volley News.

    Foto Sesc RJ Volei Feminino

    Brie, so che all’inizio di questa intervista ci tenevi ad annunciare qualcosa ai tuoi tifosi e a tutti gli appassionati.

    “Quando ho iniziato la mia prima stagione da professionista, ero sposata e da allora sono conosciuta come Brie King. Siccome adesso non sono più sposata, ho deciso di riprendere il nome da nubile: Brie O’Reilly“.

    Si è appena conclusa la tua seconda stagione a Rio de Janeiro. Come ti trovi? Cosa ti piace di più del Brasile?

    “Mi piace tantissimo giocare in Brasile. È un’esperienza completamente diversa da quelle precedenti. Il paese ha una grandissima passione per la pallavolo, la qualità del controllo di palla e il QI pallavolistico sono mediamente molto alti, e il campionato è super competitivo. Ho la sensazione che per avere successo qui sia necessario impegnarsi sempre al 100%, e questa è una cosa grandiosa per una giocatrice“.

    Come valuti il percorso del Sesc RJ Flamengo quest’anno?

    “Abbiamo avuto una stagione molto positiva. Avevamo grandi aspettative perché quasi tutta la squadra era stata confermata; quindi, abbiamo potuto saltare il classico periodo di adattamento nei primi mesi, in cui ci si conosce e si studia il nuovo sistema di gioco. Quando mi sono unita al gruppo dopo i tornei di qualificazione alle Olimpiadi, è stato molto semplice ritrovare l’intesa e proprio per questo motivo sapevamo che sarebbe stata un’annata speciale. Alla fine, la squadra è stata protagonista di un percorso incredibile ed è riuscita ad arrivare ai Play Off come prima testa di serie. Complessivamente sono molto orgogliosa del lavoro che abbiamo svolto e dello spirito di squadra che abbiamo costruito“.

    Foto Sesc RJ Volei Feminino

    C’è qualcosa che il Sesc avrebbe potuto fare meglio? Mi riferisco soprattutto alla semifinale di Superliga contro il Praia Clube.

    “Sicuramente la nostra serie di semifinale Play Off è stata deludente. Purtroppo, proprio sul più bello, sono stata colpita dalla febbre dengue e mi hanno ricoverato in ospedale; perciò, ho dovuto saltare la prima partita contro il Praia. Sono stata autorizzata a tornare in campo solo due giorni prima di gara 2; quindi, non ero al meglio della forma. La squadra ha dato il massimo in entrambe le partite, ma è stata decisamente sfortunata a dover affrontare una situazione del genere nella settimana più importante della stagione“.

    Com’è lavorare con Bernardinho? Ti ha dato qualche consiglio particolare in queste due stagioni?

    “Lavorare con Bernardo è un sogno che è diventato realtà. È un allenatore di grande successo, ma è anche molto umile e ha un’etica del lavoro fuori dal comune. Con lui è impossibile non dare il massimo ogni giorno in allenamento perché i suoi standard sono altissimi e il suo approccio si basa su un modello di tipo top-down. Il miglior consiglio che ho ricevuto da lui è quello di essere umile e assumermi sempre le mie responsabilità. Perché è facile dare la colpa agli altri ed essere egoisti nel contesto di uno sport di squadra, ma questo non rafforza il gruppo. Bernardo mi ha trasmesso questo principio, che mi ha aiutato a crescere e diventare una giocatrice matura“.

    Quali sono le cose più importanti che hai imparato giocando all’estero? In che modo le esperienze in Germania, Francia e Brasile ti hanno plasmato come persona e come giocatrice?

    “Le mie esperienze all’estero sono state grandiose e tutte le stagioni mi hanno permesso di scoprire cose nuove su di me. Penso che, come persona, ho compreso l’importanza delle relazioni e dell’equilibrio nella vita: per gli atleti l’aspetto sportivo può diventare molto facilmente un’ossessione, ma ho imparato che la miglior versione di me stessa come giocatrice è strettamente legata alla vita collettiva e alle relazioni al di fuori della pallavolo. Dunque, per me è fondamentale avere un determinato equilibrio. L’ho trovato soprattutto frequentando la Chiesa. Invece, come giocatrice, credo che giocare all’estero ti costringa a imparare a lavorare con tutti. Soprattutto per una palleggiatrice, le differenze di lingua, cultura e personalità possono trasformarsi in ostacoli; perciò, è necessario trovare un terreno comune ed essere i più altruisti possibili per il bene della squadra. Mi piace avere l’opportunità di crescere giocando in tutto il mondo e affrontare ogni sorta di pressione e sfida“.

    Foto Sesc RJ Volei Feminino

    In campo sembri essere una palleggiatrice molto calma e tranquilla, che si distingue per la sua intelligenza intuitiva e la sua gioia di giocare a pallavolo. Sei d’accordo con questa definizione?

    “Mi piace essere descritta così. È proprio come spero di essere percepita da fuori: una giocatrice innamorata del gioco che cerca di non perdere mai la calma. In generale, vorrei essere sempre riconosciuta per il mio atteggiamento positivo, la mia gioia e il mio amore verso il prossimo. E spero che la persona che sono sia riconoscibile anche quando gioco. Penso che la gente possa farsi un’idea su chi sia la vera Brie proprio quando mi vede in campo“.

    Sarà un’estate impegnativa per la nazionale canadese. Quali sono le tue aspettative?

    “Sono entusiasta di affrontare una nuova estate in nazionale. La nostra squadra è pronta. Tutte le giocatrici sono in salute, cariche e completamente focalizzate sul nostro grande obiettivo (la qualificazione alle Olimpiadi, n.d.r.). Siamo consapevoli che non sarà semplice, ma ci stiamo preparando per farci trovare pronte. Penso che la squadra abbia fatto passi da giganti negli ultimi tempi e abbia trovato una nuova identità: dunque, siamo pronte a dare il massimo perché vogliamo andare a Parigi. Siamo convinte al 100% di essere in grado di raggiungere questo traguardo“.

    Al di fuori della pallavolo, la musica è qualcosa di molto importante nella tua vita. Da dove nasce questa passione? E cosa rappresenta per te?

    “Vengo da una famiglia numerosa in cui tutti amano la musica. Quando ero piccola, mio padre mi cantava sempre qualcosa prima di andare a letto. Di conseguenza ho iniziato a scrivere canzoni molto presto, come un modo per esprimere i miei sentimenti. Mi è sempre piaciuto raccontare storie attraverso la musica e i testi. Mi aiuta a trovare equilibrio nella vita, a connettermi con le mie emozioni e con Dio. Trovo che la musica sia qualcosa di estremamente spirituale, che mi dà la possibilità di rallentare, esprimere i miei pensieri o le mie preghiere, ed essere creativa. Se passo troppo tempo senza sedermi al pianoforte, inizio a sentire la mia testa e il mio cuore più ‘pesanti’. Ecco perché la musica è molto importante nella mia vita“.

    Nel 2021 è uscito il tuo primo disco chiamato First Things First. Di cosa parlano le tue canzoni? Hai mai scritto qualcosa sulla tua vita da atleta?

    “First Things First è stato il mio primo tentativo di registrare e pubblicare musica. È una raccolta di canzoni per lo più riguardanti esperienze di persone che fanno parte della mia vita. In generale, mi piace scrivere di storie ed esperienze umane. Proprio in quell’EP c’è una canzone intitolata Cheers, che parla della mia vita da atleta al college. Il 3 maggio uscirà il mio secondo EP, in cui racconto altre storie sulla mia vita e sulle vite delle persone che mi circondano. Il mio obiettivo con la scrittura è sempre quello di connettermi alle persone in modo profondo e cercare di dare musica e parole a qualcosa che tutti ogni tanto proviamo“.

    Ci sono dei punti di contatto tra giocare a pallavolo e scrivere canzoni?

    “Per me sono due passioni che mi portano tanta gioia: mi sento viva sia quando scrivo sia quando gioco. Penso che la combinazione di queste due cose faccia capire che persona sono. Il mio obiettivo principale con entrambe è di portare gloria a Dio. Spero fortemente che la fede e la connessione con Lui emergano dalle mie canzoni, così come dal modo in cui mi comporto quando gioco a pallavolo“.

    Foto Sesc RJ Volei Feminino

    Che ruolo ha la fede nella tua vita?

    “La fede ha sempre giocato un ruolo importante nella mia vita, soprattutto negli ultimi due anni. Ho trascorso anche un periodo dell’età adulta senza dare priorità alla mia fede e cercando di trovare la felicità in altre cose, ma questo mi lasciava una sensazione di vuoto. Un paio di anni fa ho deciso di abbandonarmi nelle mani di Dio e sperimentare totalmente la Sua grazia e il Suo amore. Il mio rapporto con Lui ha realmente migliorato la mia vita in ogni aspetto. Non è qualcosa che sento di dover esibire per guadagnare la Sua approvazione o il Suo amore, perché sono consapevole che mi amerebbe e accetterebbe anche nei miei giorni peggiori. Penso che avere questo tipo di legame con Dio abbia un’influenza su di me anche come giocatrice. Perché lo scopo della mia vita non è diventare la più forte o la più famosa, ma vivere cercando di far conoscere Dio e aiutare le altre persone a sperimentare lo stesso amore e la stessa grazia che ho ricevuto io. Penso che sia qualcosa che tutti stiano cercando nel loro profondo e sono estremamente grata che Dio abbia bussato alla porta della mia vita quando ero disperata“.

    Quando magari attraversi un momento difficile, c’è una citazione della Bibbia che ti dà forza e riporta il tuo cuore e la tua mente a Dio?

    “Ho tatuato sul braccio il Salmo 40:1-3 perché sono versetti profondamente legati alla mia vita. Parlano di come Dio mi ha ascoltato quando avevo bisogno di aiuto, mi ha raccolto da terra e ha fatto posare i miei piedi sulla roccia. E ha messo sulla mia bocca un canto affinché tutti conoscano la Sua bontà. Questa è la storia della mia vita. Ero persa, sola e insicura. E Dio mi ha dato un’identità salda. Penso che la gioia e la calma che vedi quando sono in campo arrivino proprio da qui“.

    Un’ultima curiosità. Quali sono i tuoi sogni e obiettivi per il futuro?

    “Prima di tutto mi piacerebbe aiutare il Canada a ottenere il pass per le Olimpiadi. Poi un giorno mi piacerebbe giocare in Italia. Ovviamente sono grata alle squadre e ai campionati in cui ho giocato finora, ma prima di smettere mi piacerebbe sicuramente sperimentare la Serie A italiana. In generale, desidero spingere al massimo e vedere dove riesco ad arrivare nella pallavolo. A quel punto potrò tornare a casa felice, costruire la mia famiglia e abitare in una bella fattoria (ride, n.d.r.). Questione di… equilibrio“.

    di Alessandro Garotta LEGGI TUTTO

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    Chiara Scarabelli saluta la pallavolo: “La rinuncia alla Serie A? Sofferta ma necessaria”

    In un ambiente abituato fin troppo spesso a raccontare ed elevare le storie di successo, trionfi e record, appare quasi strano – e sicuramente insolito – empatizzare con chi, quel successo, l’ha solo assaggiato. Per chi era sul trampolino di lancio ed è tornato indietro. In un mondo di “invincibili”, c’è chi si è dovuto arrendere di fronte a un ostacolo troppo alto e consapevolmente ha deciso di cambiare strada. È il caso di Chiara Scarabelli, che è stata una delle promesse più interessanti della pallavolo italiana, vincendo da capitano i Campionati Europei Under 20 del 2010 e i Mondiali Under 20 dell’anno successivo.

    In quella squadra c’erano anche Caterina Bosetti, Letizia Camera, Valentina Diouf e Giulia Pisani, tutte giocatrici divenute poi protagoniste ai massimi livelli. Tuttavia, la storia della schiacciatrice piacentina classe 1993, attualmente in B1 all’Everest MioVolley Gossolengo, è andata diversamente, come ha raccontato ai microfoni di Volley NEWS.

    Foto Facebook Chiara Scarabelli

    Per cominciare, ci racconti chi è Chiara Scarabelli e cosa rappresenta per lei la pallavolo.

    “Oggi Chiara è prima di tutto una psicologa, da poco iscritta all’albo dell’Emilia-Romagna. Lo dico con grande orgoglio perché è un risultato che ho ottenuto dopo tanti anni di studio. Proprio venerdì scorso ho concluso un master all’Università Cattolica di Milano riguardante la Psicologia dello Sport. Inoltre, lavoro a scuola come insegnante di sostegno e gioco nel MioVolley da ormai 10 anni. La pallavolo è sempre stata un elemento importante nella mia vita. Quando ero piccolina, rappresentava un puro divertimento ed era un’occasione di socialità: venivo sempre descritta come una bambina molto vivace e quindi il volley mi permetteva di incanalare la mia agitazione motoria. Al tempo stesso, però, sono sempre stata una bambina rispettosa delle regole, anche grazie allo sport.

    Durante l’adolescenza, quando ho iniziato a muovere i primi passi sui campi di Serie A, la pallavolo rappresentava un’ipotesi di realizzazione della mia vita a cui ho creduto fortemente. È chiaro che, quando non si è potuta realizzare, la delusione è stata grande. In quei momenti c’era anche un po’ di rabbia nei confronti di questo sport. In realtà, poi ho capito che odiarlo non sarebbe servito a niente e così il volley è diventato una valvola di sfogo e un’occasione di ritornare a una vita sana, all’insegna dell’esercizio fisico e della socialità. Alla fine, raggiungendo diverse promozioni e arrivando a giocare in Serie B, l’impegno è cresciuto: così, ho avuto l’opportunità di tornare a vivere quelle emozioni avvincenti che avevo assaporato qualche anno prima“.

    Quali sono state le prime tappe della sua carriera pallavolistica?

    “All’inizio ero una bambina molto talentuosa. Ho iniziato a giocare nella squadra di San Nicolò, paese in provincia di Piacenza dove sono cresciuta. A un certo punto sono stata visionata da due allenatori, che mi hanno proposto di passare al Vigolzone. Si trattava di una società piccola che però vantava una squadra in Serie B2. L’anno dopo è stata addirittura promossa in B1; quindi – seppur giovanissima – ho avuto la fortuna di allenarmi con ragazze molto più grandi di me e ogni tanto essere convocata in prima squadra per completare la panchina. Successivamente ho cambiato squadra e ho scelto la Rebecchi Lupa Piacenza; l’allenatore era Enrico Mazzola, che poi ho ritrovato più tardi al MioVolley. Infine, sono andata a Rivergaro: un momento chiave del mio percorso perché ero chiamata a fare la differenza nelle categorie giovanili in cui militavo. Nel frattempo, arrivavano anche le convocazioni per le varie selezioni provinciali e regionali, con cui ho avuto il piacere di vincere un Trofeo delle Regioni. Tra le mie compagne di squadra c’erano Alessia Gennari, Elisa Lancellotti, Martina Balboni, Giulia Saguatti, giocatrici che hanno fatto parecchia strada“.

    Poi le parentesi con Club Italia e Asystel Volley Novara. Cosa si porta dietro di queste esperienze?

    “Dopo le scuole medie sono andata a giocare al Club Italia. Una decisione importante perché si trattava di lasciare casa a 13 anni, mollare la propria famiglia e gli amici, per aderire a un progetto che mi avrebbe messo a dura prova sia dal punto di vista fisico sia dal punto di vista psicologico. Lì ho iniziato a vedere la pallavolo come qualcosa che potesse farmi sentire realizzata nella mia vita. Successivamente è arrivata la chiamata di Novara, dove ho vissuto un’esperienza tosta ma allo stesso tempo formativa, grazie agli insegnamenti di Luciano Pedullà che mi ha aiutato a crescere in tutti i fondamentali. Complici alcuni infortuni di Paola Cardullo, ho fatto anche le mie prime presenze in Serie A e ho avuto la possibilità di giocare con grandi campionesse. In quella stessa annata ho vinto la medaglia di bronzo ai Campionati Europei Under 18. Poco dopo avrei dovuto prendere parte anche ai Mondiali, ma nel mese di aprile – proprio al rientro dalla rassegna continentale – ho subito un infortunio al ginocchio. Il primo dei tanti…“.

    Quando la sua carriera sembrava tingersi dei colori giusti, è iniziato un terribile calvario. Le va di parlarcene?

    “Dopo il primo infortunio, avevo deciso di restare a Novara con l’obiettivo di riprendermi dal punto di vista fisico. Solo che nel frattempo ci sono stati un po’ di stravolgimenti e difficoltà: erano cambiati allenatore e alcuni elementi della squadra, e soprattutto facevo fatica a recuperare. Quindi, il secondo anno all’Asystel è stato più negativo rispetto al primo. Tuttavia, sono riuscita a togliermi grandi soddisfazioni con la nazionale perché al termine della stagione ho partecipato agli Europei Under 20 grazie a un recupero lampo. In quell’occasione la fiducia di Marco Mencarelli e del suo staff nei miei confronti è stata decisiva: mi hanno aspettata e così ho potuto disputare gli Europei in Serbia da capitana e vincerli.

    Dopo l’estate del riscatto, mi sono ritrovata a Piacenza in una squadra che puntava alla salvezza. Timidamente ero riuscita a guadagnarmi un ‘mezzo’ posto da titolare, nel senso che non partivo sempre nel sestetto, ma l’allenatore Mauro Chiappafreddo aveva grande fiducia in me. Peccato che poi non sono riuscita a concludere la stagione per un nuovo infortunio. Però, ancora una volta, è arrivata la nazionale a salvarmi. Mencarelli mi ha ripreso sotto la sua ala e mi ha permesso di prepararmi al meglio per i Mondiali Under 20. È stata l’ennesima corsa contro il tempo: avevo tantissima voglia di tornare in campo e vestire la maglia azzurra. Così, sono andata in Perù per la rassegna iridata, ma proprio sul più bello ho avuto l’ennesima ricaduta. Da qui è iniziato il calvario… Sono tornata a casa e mi è stato prospettato di fare due interventi al ginocchio a distanza di pochi mesi. Di conseguenza, nella stagione successiva – che coincideva con l’anno della maturità – sono rimasta completamente ferma“.

    Cosa le hanno lasciato le esperienze e i successi con le nazionali giovanili di cui ha parlato?

    “Al di là delle vittorie, che sono sempre piacevoli da ricordare e che resteranno per sempre, mi porto dietro ricordi molto belli. In primis, il colloquio con coach Mencarelli e il suo vice Bertini prima degli Europei Under 20. Era un momento difficile in cui stavo portando avanti il mio percorso riabilitativo e iniziando a fare qualcosa di più impegnativo dal punto di vista fisico, anche se non stavo ancora lavorando con la palla. Tuttavia, loro mi hanno detto apertamente che ero un punto di riferimento per la squadra sia tecnicamente sia all’interno dello spogliatoio, e proprio per questo motivo mi avrebbero aspettato fino alla fine del ritiro e nominato capitano del gruppo. Queste parole mi hanno dato tanta forza e ho capito di essere un esempio di impegno e dedizione per la squadra.

    Un altro momento che porto nel cuore, anche se con un po’ di amaro in bocca, è legato alla prima partita del Mondiale Under 20, a cui non avevo potuto prendere parte: infatti, ero febbricitante nella stanza di un albergo di Lima in seguito a un’infezione al ginocchio. Però, dal letto avevo visto che le mie compagne si erano scritte sul braccio quello che all’epoca era il mio soprannome: ‘Diablo’. Insomma, volevano esprimere tutta la loro vicinanza e farmi capire che in quel momento stavano giocando anche per me, visto che avevo lavorato molto per arrivare fino a lì. Infine, ricordo sempre con piacere l’emozione di cantare l’inno con lo sguardo rivolto alla bandiera italiana“.

    Riprendiamo la narrazione della sua storia. Quando ha deciso di riprendere a giocare nelle categorie inferiori?

    “Dopo la stagione a Piacenza in cui sono rimasta ai box, sono passata all’Universal Volley Modena. Tuttavia, la società è fallita nel giro di pochi mesi: una situazione poco piacevole che mi ha fatto mettere da parte definitivamente il volley di Serie A. Così, sono tornata a casa, anche se la decisione non è stata compresa e condivisa fin da subito dalle persone che mi stavano vicino. Per me, invece, era la scelta migliore per il mio benessere non solo fisico ma anche psicologico. Nel frattempo, ho ripreso a studiare e ho iniziato ad allenare dando una mano alla ragazza che qualche anno prima mi aveva portato a Vigolzone: era un po’ come chiudere il cerchio.

    Dopo i primi due anni da allenatrice, piano piano mi era tornata voglia di giocare perché avevo capito che nel bene o nel male la pallavolo era parte della mia vita. Così, ho deciso di ripartire proprio da lì, in una società dove mi sentivo a mio agio e in una categoria che non imponeva carichi eccessivi. In quel momento avevo vent’anni e il gruppo con cui lavoravo era un’Under 18, che disputava anche il campionato di Prima Divisione e lottava per la promozione in Serie D. Alla fine, è stato tutto molto naturale. Da lì in poi è stata una vera e propria cavalcata perché nel giro di tre anni siamo arrivati in Serie B2. È stato bello perché vedevo che salendo di categoria aumentava l’agonismo e così piano piano ho ritrovato un po’ di fiducia“.

    Quali soddisfazioni ha raggiunto durante il suo percorso decennale con l’Everest MioVolley?

    “Questi dieci anni all’Everest sono stati un’altalena di emozioni. Dal 2014 al 2017 siamo passati dalla Prima Divisione alla B2 con una straordinaria serie di promozioni. Dopo aver confermato la categoria, quando sembrava essere giunto il momento buono per il salto in B1, è arrivato il Covid. Alla fine, siamo riuscite a centrare la promozione per il numero di punti conquistati fino allo stop del campionato, ma sicuramente non aveva il valore di una promozione conquistata sul campo. Nelle due stagioni successive abbiamo giocato in B1, anche se poi abbiamo dovuto affrontare diverse difficoltà. Infatti, la società aveva cambiato proprietà e in quel momento non era in grado di sostenere una categoria di quel tipo. Così, alla fine, siamo retrocesse in B2.

    Invece, la scorsa stagione è stata magica, visto che ci siamo riprese la B1 dominando il campionato e abbiamo vinto la Coppa Italia al Pala Dozza di Bologna. Dunque, è stato un percorso lungo e intenso. Le soddisfazioni più grandi dal punto di vista personale sono legate alla ritrovata fiducia e alla rinnovata passione per uno sport che mi aveva dato filo da torcere. Per quanto riguarda la società, c’è la soddisfazione di essere arrivate in Serie B1 partendo dalla Prima Divisione“.

    Come sta andando la stagione 2023-2024? A distanza di diversi anni, il ginocchio le dà ancora noia?

    “Quest’anno stiamo disputando un campionato di tutto rispetto perché attualmente siamo quarte nel nostro girone di B1. Dobbiamo ancora affrontare scontri diretti complicati, anche se partiamo dalla consapevolezza di aver ottenuto con ampio anticipo la salvezza aritmetica. Peccato solo per gli infortuni che hanno colpito alcune giocatrici del sestetto titolare, perché altrimenti avremmo potuto dire la nostra in ottica playoff. Fisicamente sono stata bene, ma devo dire che anche nelle scorse stagioni il ginocchio non mi ha mai dato grossi problemi. Ho solo avuto la necessità di fare un piccolo ‘intervento di restauro’ nel 2018, ma comunque era una cosa programmata al fine di gestire meglio i carichi di lavoro. Quest’anno ho avuto un piccolo problema al collo che mi ha fatto saltare qualche partita, ma si tratta di un normalissimo infortunio che può capitare nella carriera di un’atleta“.

    Ripercorrendo il suo percorso pallavolistico non viene assalita da un certo senso di amarezza? Non ha qualche rimpianto per quello che poteva essere e non è stato?

    “Anche se me lo chiedono in tanti, è una domanda che mi sono mai posta perché probabilmente mi avrebbe portato all’autodistruzione. Quando ho capito che non proseguire il percorso in Serie A era la cosa migliore per me, ho preso in mano la mia vita, le mie consapevolezze e i miei bisogni. L’ho fatto con tanta fatica perché inizialmente non era una decisione troppo condivisa dalle persone che mi stavano intorno. Però, penso che fosse la decisione giusta per il mio bene. Infatti, se avessi continuato – ammesso di riuscirci, perché reggere i ritmi della Serie A con la mia situazione fisica sarebbe stato complicato – non so se avrei guadagnato qualcosa in termini di salute.

    Quindi, è stata una decisione sofferta ma necessaria, di cui ancora oggi vado molto fiera perché, a dispetto di una società che ci impone sempre di essere invincibili e indistruttibili, sapersi fermare e pensare a quello che ognuno di noi ha bisogno davvero è una risorsa importante. Insomma, non ce ne facciamo nulla delle vittorie in bacheca, se poi stiamo male e non ci sentiamo a nostro agio. Certo, ora sto conducendo una vita molto diversa da quella che mi sarei aspettata 15 anni fa, quando ero una ragazzina che si allenava tante ore al giorno facendo rinunce e sacrifici. Però, è una vita che ho desiderato e che mi ha portato comunque a togliermi grandi soddisfazioni e ad acquisire le mie consapevolezze“.

    Quali sono i suoi sogni, obiettivi e progetti per il futuro, dentro e fuori dal campo?

    “È un periodo di grandi riflessioni per me e il tempismo della domanda è perfetto. Per quanto riguarda la pallavolo, credo di aver già detto la mia a sufficienza. Perciò, dopo questa stagione penso di poter serenamente dire ‘basta’ con il volley giocato e lasciare spazio a chi è più giovane e più sana fisicamente di me. Sono convinta della mia scelta. Ovviamente poi vorrei iniziare a esercitare da psicologa, magari rimanendo in ambito sportivo.

    Come sogno, mi piacerebbe entrare stabilmente in uno staff come Psicologa dello Sport con l’obiettivo di favorire il benessere psicologico di ragazzi che si trovano a competere ad alti livelli e che a volte non hanno gli strumenti necessari per superare certi ostacoli. Da un lato sarebbe la dimostrazione che il mio percorso formativo mi ha permesso di rientrare nel mondo dello sport sotto altre vesti; dall’altro vorrebbe dire che c’è una nuova sensibilità rispetto a una figura professionale come la mia. Per esempio, ai tempi dei miei infortuni non c’era o comunque non era parte integrante dello staff. Forse è stato anche questo il motivo per cui ho deciso di intraprendere un percorso del genere“.

    di Alessandro Garotta LEGGI TUTTO