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    La ‘Sliding Door’ di Brooklyn DeLeye, talento americano di cui sentiremo parlare

    A tutti noi, prima o poi, sarà capitato di chiederci come sarebbero andate le cose se avessimo preso una strada diversa o fatto una scelta anziché un’altra. Il destino avrebbe comunque seguito il suo corso, oppure un dettaglio apparentemente insignificante avrebbe potuto cambiare tutto? È il fascino dell’incertezza, lo stesso su cui si basa Sliding Doors, il celebre film con Gwyneth Paltrow che esplora le infinite possibilità racchiuse nei “se” e nei “ma”.

    Un esempio perfetto di questa dinamica è la storia di Brooklyn DeLeye, giovane schiacciatrice statunitense delle Kentucky Wildcats e uno dei talenti più brillanti del campionato NCAA di pallavolo femminile. Cresciuta in Kansas, DeLeye avrebbe potuto intraprendere una carriera importante in molte altre discipline: calcio, softball, golf e basket, sport che ha praticato con successo prima di scegliere definitivamente il volley. Una decisione che, finora, si sta rivelando vincente e che potrebbe portarla molto in alto. In attesa di scoprire cosa le riserverà il futuro, proviamo a conoscere meglio Brooklyn attraverso questa intervista esclusiva.

    Per cominciare, ti va di raccontarci qualcosa di te?

    “Mi chiamo Brooklyn DeLeye e, sopra ogni cosa, do valore alla fede, alla famiglia e agli amici. Sono originaria di Topeka, in Kansas, una città non particolarmente conosciuta per la pallavolo. Proprio per questo ho dovuto impegnarmi moltissimo per arrivare dove sono oggi, e sono profondamente grata a tutti i miei allenatori e a chi mi ha sempre sostenuta lungo il percorso“.

    Da dove nasce la tua passione per la pallavolo? È stato qualcosa di naturale?

    “La mia passione per la pallavolo è nata grazie a mia sorella maggiore, Macy. Fin da piccola l’ho sempre ammirata e considerata un punto di riferimento. Quando ha iniziato a giocare, io me ne stavo a bordo campo, a palleggiare da sola. È stata lei la prima ad aiutarmi, ed è proprio così che è cominciato tutto. Dal momento in cui ho toccato il mio primo pallone da pallavolo, è scattato qualcosa: me ne sono innamorata e da allora non mi sono mai fermata“.

    foto Instagram @brooklyndeleye0117

    La pallavolo è solo una parte del tuo percorso sportivo. In un’intervista, tuo padre ha raccontato: “Vivevamo a Topeka, a circa un’ora da Kansas City. Tutti i grandi club della città continuavano a contattarla perché volevano che giocasse con loro, ma era impegnata in così tanti sport che non poteva andarci. Senza i suoi nonni, non saremmo mai riusciti a portarla in giro per Topeka per tutte le attività che faceva”. Com’è stato essere una ‘multi-sport athlete’?

    “Crescere praticando tanti sport è stata, senza dubbio, una delle scelte migliori della mia vita. Ho avuto la fortuna di poter giocare a basket, calcio, softball, golf e ovviamente pallavolo. Nulla di tutto questo sarebbe stato possibile senza il sostegno instancabile dei miei genitori e dei miei nonni. Anche mio fratello e mia sorella erano sportivi, quindi immagino quanto possa essere stato complicato per loro gestire tre figli coinvolti in così tante attività. Eppure, non li ho mai sentiti lamentarsi: si sono sempre organizzati, facendo in modo che tutto funzionasse. Ogni sport mi ha insegnato cosa significa essere parte di una squadra, come affrontare le sfide, e mi ha permesso di sviluppare abilità che mi sono tornate utili anche nella pallavolo. Credo che tutto questo mi abbia aiutata a saper essere reattiva, ad adattarmi e ad affrontare le difficoltà con determinazione, perché ogni disciplina mi ha messa alla prova in modi diversi“.

    Di fronte al grande bivio della tua carriera sportiva, hai scelto la pallavolo, rinunciando a praticare gli altri sport in cui eccellevi. Perché hai preso questa decisione? È una scelta definitiva?

    “La pallavolo è stato l’unico sport in cui mi sono innamorata anche degli allenamenti. Le altre discipline mi piacevano, certo, ma aspettavo le partite. Con la pallavolo era diverso: non vedevo l’ora di allenarmi, di toccare il pallone, di migliorare, giorno dopo giorno. Giocavo ovunque, anche in casa, per ore e ore, ogni giorno. Devo ammettere che a volte mi mancano gli altri sport, soprattutto quando guardo le partite qui alla University of Kentucky. Ma sono profondamente felice della scelta che ho fatto. Non ho mai avuto dubbi, né rimpianti. Da quando ho deciso di dedicarmi completamente alla pallavolo, ho potuto dare tutta me stessa, qualcosa che, prima, dividendo le energie su più fronti, non ero mai riuscita a fare davvero“.

    foto Instagram @brooklyndeleye0117

    Anche se questi sport sono molto diversi tra loro, c’è qualcosa che hai preso dal calcio, dal softball, dal golf e dal basket per migliorare nella pallavolo?

    “Sì, sicuramente. Ho migliorato i miei riflessi, affinato le mie capacità di lavorare insieme alle mie compagne di squadra e sviluppato la leadership, diventando un’atleta più completa. Penso che, oggi, sia difficile per le nuove generazioni praticare più sport, visto che molti di questi (negli USA, ndr) non sono più ‘stagionali’. È davvero triste, perché sta accadendo sempre più spesso che i giovani si stanchino mentalmente e fisicamente, e si facciano male. Personalmente, praticare diversi sport mi ha aiutata a prevenire gli infortuni, perché cambiavo continuamente tipo di movimento e non passavo un intero anno a colpire o schiacciare solo il pallone da pallavolo“.

    Come riassumeresti la tua carriera pallavolistica, dagli inizi all’arrivo alla University of Kentucky? E cosa ti ha portata a scegliere questo ateneo durante il processo di reclutamento?

    “Ho iniziato a giocare a pallavolo a 9 anni e, in quel periodo, coprivo praticamente ogni ruolo. Crescendo e passando a una squadra di club più competitiva, ho cominciato a giocare come centrale. Quando mia sorella frequentava il liceo, il coach mi chiese di unirmi a loro per gli allenamenti estivi. Dato che mia sorella era una centrale e in quella posizione c’erano altre atlete, mi spostarono al ruolo di schiacciatrice. Questo mi ha permesso di giocare anche in seconda linea e di ampliare le mie competenze tecniche.

    Durante l’ultimo anno di scuole medie cambiarono le regole riguardo a quando si potesse parlare con gli allenatori dei college: divenne possibile solo dal secondo anno delle superiori. Prima di questo cambiamento, però, venni chiamata da un’allenatrice della University of Kansas. In quell’occasione ricevetti anche la prima offerta per giocare nella Division 1, ma all’epoca non ne comprendevo davvero l’importanza. Credevo di voler restare vicina a casa, anche se mia madre scherzando diceva che ero la figlia destinata ad andare lontano.

    Quando arrivò il 15 giugno del mio secondo anno di liceo, fui sommersa dalle chiamate. Fino a quel momento non avevo un’idea chiara di dove volessi andare, cercavo solo di vivere il momento. In seguito partecipai a un camp alla University of Kentucky con mia sorella, visitai il campus e me ne innamorai. Lo staff tecnico e le giocatrici furono incredibilmente accoglienti, fecero di tutto per farmi sentire benvenuta e aiutarmi. Questo non accadde in nessun altro camp. Mi fecero sentire importante, e vidi che si interessavano non solo alle mie doti pallavolistiche, ma anche a me come persona. La sera dopo il camp ricevetti un’offerta e dovetti prendere una decisione importante. Tornata a casa, ne parlai con i miei genitori e, alla fine, decisi di impegnarmi con quella che oggi chiamo la mia nuova casa. Non ho mai rimpianto quella scelta, e non potrei essere più felice di dove mi trovo adesso“.

    foto Instagram @brooklyndeleye0117

    Come sono stati i tuoi primi anni con le Wildcats?

    “Quando sono arrivata in Kentucky, ho dovuto affrontare molti cambiamenti dal punto di vista pallavolistico. Giocavo in un piccolo club durante il liceo, dove il ritmo e la velocità del gioco non erano molto elevati. Passare al volley universitario è stato qualcosa di drastico, come passare dal giorno alla notte. Non sono una persona o una giocatrice molto paziente e perciò cercavo di adattarmi velocemente. Tuttavia, ci è voluto molto più tempo di quanto pensassi.

    All’inizio della mia prima fall-season, il ruolo di schiacciatrice era condiviso da tre giocatrici, quindi non c’era molto margine per sbagliare: se non rendevi, qualcun altro prendeva il tuo posto. Ho dovuto prepararmi mentalmente e fisicamente a tutto ciò. Abbiamo iniziato la stagione con un record negativo e mi sono assunta la responsabilità per molte di quelle sconfitte. Inoltre, per la prima volta nella mia vita, giocavo solo tre rotazioni: anche quello è stato un grande cambiamento. Poi, quando è cominciata la conference, una delle nostre opposte da sei rotazioni si è infortunata. Il mio allenatore, Craig Skinner, mi ha chiamata nel suo ufficio e mi ha detto che avevano bisogno che io facessi un passo avanti e giocassi tutte le sei rotazioni. L’avevo sempre fatto nella mia carriera, ma mai a livello universitario. La velocità del gioco ha richiesto un po’ di tempo di adattamento, ma ho fatto del mio meglio. Abbiamo vinto la SEC, sono stata nominata Matricola dell’Anno della SEC e abbiamo raggiunto gli ottavi di finale (Sweet 16) del torneo NCAA.

    Nel mio secondo anno, ho dovuto crescere non solo in campo, ma anche come leader. Avevamo perso molte senior l’anno precedente, comprese le nostre leader principali. È stata una sfida più grande di quanto pensassi, ma siamo riuscite a mantenere i nostri standard e a vincere di nuovo la SEC, per l’ottava volta consecutiva. Sono stata eletta Giocatrice dell’Anno della SEC e sono arrivata in finale per il premio di Miglior Giocatrice a livello nazionale. La mia carriera universitaria non è stata facile, ma mi ha insegnato a superare le difficoltà e le sfide, ed è proprio questo che mi ha portato dove sono oggi“.

    Quali sono le difficoltà che hai affrontato al college e come le hai superate?

    “Ho dovuto dare priorità alla mia salute mentale, capire come gestire una vita a 9 ore e mezza di distanza da tutta la mia famiglia, fare nuove amicizie e uscire dal mio guscio, adattarmi ai cambiamenti di ruolo in campo, affrontare le critiche e le aspettative personali. Mi sono rivolta al nostro psicologo sportivo affinché mi aiutasse a superare tutte queste difficoltà, e ho parlato con il mio allenatore e con lo staff di questi temi. Loro mi hanno supportata in modi che forse non si rendono nemmeno conto, e mi sono stati sempre vicini in ogni cosa che ho fatto“.

    Come descriveresti te stessa come schiacciatrice a qualcuno che ha sentito parlare bene di te, ma non ha ancora avuto occasione di vederti giocare?

    “Mi descriverei come una giocatrice che passa un po’ sotto il radar, una vera competitiva che non vuole mai perdere e che fa dell’astuzia il suo punto di forza. Non mi definirei una grande saltatrice né una con il braccio potente. Direi invece che sono abile nel piazzare i colpi con precisione e nel saper sfruttare molto bene il muro. Ogni volta che metto piede in campo, spero di ispirare le bambine, affinché possano sognare in grande e magari un giorno giocare su un palcoscenico come quello della NCAA Division 1“.

    foto: Danny Pendleton

    Sei considerata una delle stelle emergenti della NCAA. Quanto è difficile mantenere i piedi per terra?

    “Sono davvero onorata di aver ricevuto tanti premi e riconoscimenti individuali, ma non li considero merito esclusivamente mio. Provo una profonda gratitudine verso le mie compagne di squadra, i miei allenatori, gli amici e la mia famiglia, perché senza di loro non ci sarei mai riuscita. Cerco sempre di migliorarmi, come atleta e come persona. Non mi accontento di questi riconoscimenti: nella mia mente, ogni stagione rappresenta un nuovo inizio. Per me non conta ciò che ho ottenuto in passato, se non riesco a mantenere costanza e qualità nelle prestazioni che verranno“.

    Quali sono le aspettative e gli obiettivi delle Wildcats per la fall-season 2025?

    “Il nostro obiettivo è chiaro: vincere il campionato SEC per la nona volta consecutiva, il torneo della conference e il titolo nazionale. Siamo sempre state viste come delle outsider, e proprio per questo penso che l’anno prossimo molte squadre ci sottovaluteranno. Ma abbiamo tutto quello che serve per fare qualcosa di speciale. Il potenziale c’è, i pezzi del puzzle ci sono: ora sta a noi lavorare ogni giorno con costanza e continuare a onorare gli standard di eccellenza che ci sono qui alla University of Kentucky“.

    Dove ti vedi tra qualche anno? Quali sono gli obiettivi che ti sei posta?

    “Dopo il college, il mio sogno è giocare a livello professionistico. Mi piacerebbe moltissimo trasferirmi all’estero, magari in Europa, e scoprire com’è vivere la pallavolo in un altro paese. Ovviamente, il traguardo più ambizioso è partecipare alle Olimpiadi, anche se so che la strada per arrivarci è ancora lunga“.

    Un’ultima curiosità: cosa ti piace fare quando non sei in palestra?

    “Alcune delle mie passioni sono cucinare e preparare dolci, praticare altri sport, guardare film e passare del tempo con gli amici. Amo anche viaggiare e andare alla scoperta di posti nuovi“.

    Di Alessandro Garotta LEGGI TUTTO

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    Mlejnkova si racconta: “Italia un sogno realizzato. Il prossimo? Giocare l’Olimpiade di Los Angeles”

    Repubblica Ceca, Germania, Polonia, Francia, Turchia, Grecia e ora Italia. No, non è un girone di un torneo internazionale, ma il viaggio sportivo e umano di Michaela Mlejnková. Un percorso costruito con pazienza e determinazione, pezzo dopo pezzo, come un mosaico di esperienze, sfide e traguardi raggiunti. Nel corso degli anni, la schiacciatrice ceca classe ’96 ha dimostrato di sapersi adattare con intelligenza e tenacia ai contesti più vari, guadagnandosi un posto di rilievo nei principali campionati europei.

    Dopo una stagione positiva con la maglia di Bergamo, Mlejnková ha deciso di aprirsi ai microfoni di Volley News per raccontare la sua “Stairway to Heaven”, un cammino ricco di emozioni, scelte coraggiose e sogni ancora da realizzare.

    foto LVF

    Michaela, ti va tracciare il bilancio della stagione 2024-2025 con Bergamo?

    “Credo che, in generale, sia stata una stagione davvero positiva per la nostra squadra e per tutto il club. Eravamo un gruppo completamente nuovo, sia come giocatrici che come staff. Nessuno sapeva bene cosa aspettarsi, eppure siamo riusciti a qualificarci per la Coppa Italia e a conquistare l’accesso ai Playoff di Serie A1“.

    Qual è stata la chiave per vivere una stagione positiva?

    “Penso che uno dei nostri grandi punti di forza sia stato il fatto di essere quasi al completo fin dall’inizio – mancava soltanto una giocatrice al raduno – e questo ci ha permesso di conoscerci bene in campo e costruire subito una buona intesa di squadra“.

    Pensi che ci siano cose che si sarebbero potute fare meglio nei Playoff Scudetto e nei Playoff Challenge Cup?

    “Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo di mantenere la categoria molto presto, credo addirittura prima di Natale. E personalmente penso che fino a quel momento abbiamo giocato davvero bene. Forse dentro di noi c’era già una certa soddisfazione per questo traguardo, e in più abbiamo avuto alcuni problemi fisici nella squadra, con diverse giocatrici infortunate. Dopo alcune sconfitte, abbiamo perso fiducia come gruppo, e da lì è diventato tutto sempre più difficile. Di sicuro ci sono sempre cose che si possono fare meglio, ma dobbiamo imparare da questa esperienza e fare meglio la prossima volta“.

    Oltre a essere stata una giocatrice fondamentale per Bergamo, quest’anno hai anche ricoperto il ruolo di capitano. Com’è stata questa esperienza? Secondo te, quali qualità deve avere un buon capitano?

    “Avevo già avuto qualche esperienza come capitano in nazionale, ma era la prima volta che ricoprivo questo ruolo in un club e in un altro paese. È stato un grande onore, ma anche una sorpresa quando mi è stato proposto. La prima cosa che ho detto è stata: ‘Non posso fare il capitano, non parlo italiano!’ (ride, ndr). Ma mi hanno rassicurata, dicendomi che non sarebbe stato un problema e che avrei avuto un vice italiano ad affiancarmi. Credo che il compito principale di un capitano sia quello di fare da punto di riferimento tra squadra e allenatore, cercando di mantenere il gruppo unito nei momenti difficili, sia in campo che fuori“.

    Com’è la vita in Italia? Cosa ti piace fare nel tempo libero, qui?

    “La vita in Italia è fantastica. Amo profondamente il cibo italiano e lo stile di vita in generale. Anche se il tempo libero non è molto, appena posso mi piace esplorare posti nuovi. Adoro camminare, quindi una bella passeggiata non manca mai nei miei giorni liberi… insieme a un buon espresso italiano, naturalmente!“.

    Il mondo del volley è già proiettato alla prossima stagione. Quali sono i tuoi piani per il 2025-2026? Puoi darci qualche anticipazione?

    “Il club ha appena fatto l’annuncio ufficiale. Quindi posso dire che mi godrò l’Italia anche nella prossima stagione“.

    foto Volleyball World

    Siamo alla vigilia di un’estate molto impegnativa a livello internazionale. Quali sono le tue aspettative e i tuoi obiettivi con la Repubblica Ceca?

    “Sono molto entusiasta di lavorare con la nazionale quest’estate. Giocheremo la VNL per la prima volta, e successivamente il Campionato del Mondo. Abbiamo preso parte per tanti anni alla European Golden League e nelle ultime estati siamo cresciute molto. Credo che adesso siamo pronte ad affrontare le squadre più forti, con l’obiettivo di fare del nostro meglio e continuare a migliorare“.

    Hai 28 anni e sembra che la tua carriera sia ancora in fase ascendente. Sei sorpresa da te stessa? Hai superato le aspettative per la tua carriera o hai sempre pensato che un giorno avresti giocato nei campionati europei più prestigiosi?

    “Da giovane, il mio sogno era di giocare in Italia e arrivare ai massimi livelli della pallavolo. Anno dopo anno, con tanto impegno, ho perseguito quel sogno e quest’anno l’ho finalmente realizzato. Sono ancora affamata di successi e desidero continuare a giocare a questi livelli“.

    Quali sono i segreti della tua continua crescita? E su quali aspetti pensi di dover ancora lavorare nel tuo gioco?

    “Bisogna cercare di essere professionisti in tutto: nello stile di vita e nel modo in cui ci si prende cura del proprio corpo. Si tratta di trovare un equilibrio e di essere costanti. C’è sempre qualcosa da migliorare, e io vorrei essere la miglior versione di me stessa ogni giorno“.

    Foto Volero Le Cannet

    In che modo le esperienze all’estero (Germania, Polonia, Turchia, Francia, Grecia e Italia) ti hanno formato, sia come persona che come giocatrice?

    “Ogni paese ha una cultura diversa e bisogna adattarsi. All’inizio non è mai stato facile, ma con il tempo ci sono sempre riuscita. Ogni stagione mi ha dato qualcosa di nuovo per crescere in campo e fuori. Non rimpiango nessuna delle stagioni che ho vissuto, perché mi hanno reso una giocatrice più forte e una persona migliore“.

    Hai già realizzato tutti i tuoi sogni pallavolistici o ce ne sono ancora da inseguire?

    “Penso che tutti gli atleti del mondo sognino di arrivare alle Olimpiadi. Raggiungere la rassegna a cinque cerchi con la nazionale ceca è molto difficile, ma non impossibile. Le possibilità ci sono, sono piccole, ma ci sono. Quindi sì, le Olimpiadi di Los Angeles sarebbero davvero qualcosa di fantastico“.

    Per concludere, ci racconti chi è Michaela Mlejnková fuori dal campo?

    “Vengo da una piccola città (è nativa di Jilemnice, ndr) e sono una persona che adora stare a contatto con la natura. Mi piace passare del tempo con la mia famiglia e i miei amici. Amo lo sport in generale, per me è quasi una dipendenza. Mi piace muovermi e restare attiva. Direi che fuori dal campo sono una persona tranquilla. Sono più introversa che estroversa, ma se mi trovo con persone di cui mi fido e con cui mi sento a mio agio, è più facile per me aprirmi“.

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    Fra tradizione e innovazione: la nuova sfida con il Giappone di Ferhat Akbas

    Dopo alcuni anni ai vertici della pallavolo turca ed europea, Ferhat Akbas riparte dal Giappone. Il suo obiettivo? Dare forma a una squadra capace di unire disciplina e innovazione, nel rispetto di una tradizione tra le più riconoscibili al mondo. Un progetto tecnico ambizioso, che va ben oltre la guida di una nazionale: è un esercizio di sintesi, cultura e visione.

    In un’intervista esclusiva ai microfoni di VolleyNews, il coach turco si racconta senza filtri: dalla nuova sfida con il Giappone alla separazione dall’Eczacibasi, dal ruolo di Presidente della Commissione Europea Allenatori al cambiamento profondo vissuto con la paternità. Una conversazione che restituisce il ritratto di un tecnico competente e preparato, ma soprattutto di un uomo che non smette di mettersi in discussione e di crescere, dentro e fuori dal campo.

    Ferhat, hai intrapreso una nuova avventura come allenatore della nazionale femminile giapponese. Cosa ti ha spinto ad accettare questo incarico? Perché pensi che sia una sfida adatta a questo momento della tua carriera e della tua vita?

    “Assumere la guida di una nazionale storicamente forte come quella del Giappone rappresenta per me un’esperienza estremamente significativa, sia a livello professionale che personale. Avendo già vissuto e lavorato in Giappone, conosco a fondo la cultura, l’etica del lavoro e il modo in cui le persone instaurano relazioni. Tornare in questo Paese e immergermi nuovamente in questo ambiente mi riempie di entusiasmo, offrendomi una forte motivazione e un chiaro senso di scopo“.

    Foto FIVB

    Qual è la tua “mission” con la nazionale giapponese? E quali sono i tuoi obiettivi per il 2025?

    “La mia missione in Giappone è costruire una squadra che sappia coniugare tradizione e innovazione, capace di mantenere intatta la propria identità ma allo stesso tempo pronta ad abbracciare le sfide della pallavolo moderna. La pallavolo giapponese ha un’identità forte e unica, che voglio rispettare e valorizzare, aiutando però la squadra a evolversi secondo le nuove esigenze del gioco. Per il 2025, il nostro obiettivo è portare in campo questa filosofia, con prestazioni solide e altamente competitive“.

    Quali sfide ti aspetti di affrontare in Giappone e come pensi di superarle? Mi riferisco, ad esempio, alla barriera linguistica, alla cultura, al modo di vedere la pallavolo.

    “La pallavolo parla un linguaggio universale. Ovunque venga giocata, le dinamiche di gioco restano le stesse. Conoscendo già la cultura giapponese, mi sento a mio agio nell’inserirmi in questo contesto: l’adattamento sarà naturale. È vero, ci saranno delle differenze, ma quando tutti condividono gli stessi obiettivi, è facile superarle. Il mio approccio consiste nel valorizzare il potenziale di ogni atleta attraverso i principi fondamentali della pallavolo, trasformando la diversità in un punto di forza. Le differenze culturali, per me, non sono ostacoli, ma opportunità che arricchiscono l’esperienza“.

    Come sarà l’approccio a questa stagione? Avete in programma ritiri o partite amichevoli all’estero per preparare le competizioni ufficiali?

    “Affronteremo l’estate con un approccio equilibrato e una buona pianificazione. Dal momento che le giocatrici arrivano da stagioni di club molto intense, stiamo definendo con attenzione sia il periodo di preparazione sia il ritmo delle partite. Stiamo anche valutando l’opportunità di organizzare ritiri e disputare incontri amichevoli all’estero. Insieme a tutte le parti coinvolte, vogliamo costruire un percorso di preparazione che sia il più efficace ed efficiente possibile“.

    Cosa pensi delle giocatrici a tua disposizione? Avevi già avuto l’opportunità di lavorare con qualcuna di loro?

    “Le giocatrici giapponesi si distinguono per la loro disciplina, tecnica e grande apertura mentale. Abbiamo già fatto un’analisi approfondita della squadra, e devo dire che sono rimasto colpito dal carattere e dalla determinazione che queste atlete dimostrano in campo. In passato ho allenato giocatrici giapponesi a livello di club, ma non ho esperienze dirette con quelle che attualmente fanno parte della nazionale. Tuttavia, ho seguito con attenzione la loro crescita e la loro evoluzione per quanto riguarda lo stile di gioco nel corso degli anni“.

    Il Giappone è stato in grado di ottenere ottimi risultati contro le nazionali più forti al mondo e di conquistare la medaglia d’argento alla VNL 2024. Tuttavia, da anni manca il piazzamento sul podio in competizioni internazionali di primo livello, come le Olimpiadi o i Mondiali. Ora che entri a far parte di questo progetto, cosa pensi manchi per compiere finalmente quel passo decisivo?

    “Il Giappone è una delle squadre più organizzate e disciplinate della pallavolo mondiale, e i risultati ottenuti finora non sono certo frutto del caso. A mio parere, non si tratta più di colmare un divario tecnico o fisico, ma piuttosto di compiere un salto mentale. Il vero obiettivo è formare una squadra che creda profondamente nella possibilità di vincere e che sappia fidarsi di sé nei momenti chiave. In questo percorso, saranno determinanti la continuità, il giusto tempismo e una forte identità collettiva“.

    Facciamo un passo indietro. Qual è il tuo stato d’animo dopo quanto accaduto con l’Eczacibasi? Ti aspettavi la separazione anticipata?

    “Ci sarebbe tanto da dire su ciò che è successo all’Eczacibasi, ma credo che a volte il silenzio abbia più peso delle parole. Sono convinto che il tempo finisca sempre per rivelare la verità, e continuerà a farlo. Quello che davvero conta per me è sapere di aver dato tutto, ogni giorno, con passione e dedizione. Mi porto dietro questa esperienza con rispetto verso tutti coloro che ne hanno fatto parte e con la consapevolezza che ogni capitolo della vita lascia un insegnamento prezioso“.

    Foto Instagram @ferhatakbas12

    Come valuti, nel complesso, la tua esperienza all’Eczacibasi? Com’è stato far parte di un club così importante? C’è un momento che porterai sempre con te?

    “È impossibile dimenticare i due trofei conquistati insieme: sono stati il risultato di vero spirito di squadra, dedizione e fiducia. Ma allo stesso tempo, è giusto riconoscere anche il peso emotivo delle finali perse. Giocare ad altissimo livello significa vivere l’euforia della vittoria, ma anche la frustrazione di sfiorare il traguardo senza raggiungerlo. Entrambi gli aspetti di questo percorso ci hanno segnato profondamente, e li porto con me con la stessa lucidità e lo stesso rispetto“.

    All’Eczacibasi, il tuo operato è stato criticato in diverse occasioni. Come reagisci solitamente alle critiche provenienti da tifosi, giocatrici o dirigenti?

    “In Turchia ho notato che le critiche, nel contesto sportivo, spesso non vengono espresse in modo sano o costruttivo. Le reazioni sono a volte impulsive, poco meditate, e questo tipo di ambiente finisce per danneggiare sempre di più la nostra pallavolo. Ciò che trovo ancora più preoccupante è che alcune figure del settore approfittano di questo clima per interessi personali, anziché contribuire a migliorarlo. È importante che tutti riconosciamo questo problema e ne prendiamo consapevolezza. Da parte mia, cerco sempre di rimanere focalizzato sul lavoro, sulla squadra e sui valori in cui crediamo. Alla fine, quello che conta davvero è ciò che riusciamo a costruire sul campo, non il rumore che c’è intorno“.

    Il mondo del volley guarda già alla prossima stagione dei club. Tu che programmi hai da questo punto di vista?

    “Al momento, tutta la mia concentrazione è rivolta alla preparazione della nazionale femminile giapponese per affrontare al meglio la stagione 2025. Siamo solo all’inizio di un nuovo percorso, e la mia priorità è lavorare a questo progetto con attenzione, equilibrio e continuità. In futuro, se dovesse emergere un’opportunità in un club che rispecchi i valori in cui credo, con una struttura organizzata, in un ambiente positivo e in un paese dove desidero realmente lavorare, sarei aperto a valutarla, sempre in accordo e nella massima trasparenza con la JVA. Ma al momento, ogni mia energia è dedicata esclusivamente alla nazionale“.

    Qual è il tuo ruolo come Presidente della Commissione Europea Allenatori (ECoC) e cosa ti ha spinto ad accettare questo incarico? Quali sono le tue competenze e i tuoi obiettivi?

    “Essere Presidente dell’ECoC non rappresenta solo un titolo, ma una vera opportunità per contribuire alla crescita della pallavolo da una prospettiva più ampia. Questo ruolo mi permette di rimanere a stretto contatto con allenatori provenienti da tutta Europa e di guidare iniziative volte alla condivisione delle competenze e alla costruzione di valori comuni. Il mio obiettivo principale è sostenere lo sviluppo professionale degli allenatori e rafforzare la credibilità e la visibilità del nostro mestiere. Ciò che mi ha motivato ad accettare questa sfida è stato il desiderio sincero di mettere a disposizione dell’intera comunità pallavolistica l’esperienza maturata sul campo“.

    Ultima curiosità. Anche se normalmente tieni la tua vita privata separata dalla pallavolo, sono curioso di sapere in che modo diventare padre ti ha cambiato e come riesci a bilanciare la paternità con il ruolo di allenatore.

    “Diventare padre è stato uno dei cambiamenti più profondi della mia vita. Ha cambiato il mio modo di vedere le cose, di stabilire le priorità e di gestire il tempo. La mia carriera ha sempre richiesto grande disciplina e molti sacrifici, ma ora non vivo più solo per me stesso. Mio figlio e la mia famiglia mi insegnano ogni giorno i valori dell’equilibrio e della presenza. Anche in mezzo a un’agenda così impegnativa, cerco di dare valore a ogni momento. La loro presenza mi ha reso una persona più completa, sia sul piano personale sia su quello professionale“.

    Di Alessandro Garotta LEGGI TUTTO

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    L’addio alla pallavolo di Giada Cecchetto: “Concludo la mia carriera senza rimpianti”

    “È arrivato quel momento… Dopo ben 23 anni di pallavolo, di cui 12 in Serie A, sento che è giusto così…“. Con queste parole qualche settimana fa Giada Cecchetto ha annunciato via social la fine della sua carriera da giocatrice. Un addio carico di significato, perché per il libero milanese la pallavolo non è mai stata solo uno sport, ma una vera e propria scuola di vita, che le ha insegnato a non mollare mai, ad affrontare le sfide con coraggio, a prendersi responsabilità, a cadere e rialzarsi, a soffrire, a lottare, ma anche a gioire, vincere e vivere emozioni intense e irripetibili, rese ancora più speciali dalla condivisione con le compagne di squadra.  

    In un’intervista ai microfoni di Volley News, Cecchetto ha ripercorso le tappe più significative di oltre vent’anni trascorsi sui campi di pallavolo, parlando anche del nuovo entusiasmante capitolo che si apre davanti a lei.

    Giada, quando è nata l’idea di appendere le ginocchiere al chiodo? Come hai capito che era il momento giusto?

    “La mia scelta è il risultato di molte riflessioni e decisioni personali, guidate dalla voglia di realizzare nuovi progetti che ho sviluppato in parallelo alla pallavolo. L’idea è nata dopo il conseguimento della laurea magistrale e il superamento dell’esame di Stato per entrare nell’albo dei Biologi, un altro importante traguardo della mia vita. Ovviamente, quando si vivono grandi emozioni nello sport, e lo si fa da sempre, non è semplice affrontare il cambiamento. Così, negli ultimi anni, mi sono limitata a vivere al massimo ogni istante in palestra, in attesa del momento giusto. Quest’anno, sento dentro di me di essere pronta a mettermi in gioco in modo diverso, sia a livello professionale che personale. Infatti, dopo l’ultima palla, ho capito che era giunta al termine una meravigliosa fase della mia vita, ma ero altrettanto pronta a iniziarne una nuova“.

    Going out on top, direbbero i media anglosassoni: uscire di scena al massimo, al vertice della propria carriera. Quanto è importante per te questa consapevolezza?

    “Molto! È una grandissima soddisfazione e gratificazione per tutto il lavoro, il sacrificio e la determinazione che alla fine mi hanno premiata, regalandomi emozioni indescrivibili durante la mia carriera. Mai avrei pensato di poter arrivare in Serie A, essere protagonista nella massima serie per anni, giocare con grandissime campionesse e vincere una Champions League e una Supercoppa Italiana. Sono onorata e grata per il percorso che ho costruito giorno dopo giorno e per i traguardi che sono riuscita a raggiungere. Devo dire un grosso grazie a chi ha creduto in me e mi ha dato fiducia. Concludo la mia carriera soddisfatta, emozionata e senza rimpianti; porto nel cuore ogni momento, sia nel bene che nel male, che mi ha fatta crescere e reso la persona che sono oggi“.

    Qual è il bilancio della tua ultima esperienza alla Futura Volley Giovani Busto Arsizio? In caso di promozione in Serie A1 avresti continuato a giocare?

    “Il bilancio finale è decisamente positivo. Abbiamo creato un gruppo straordinario e il lavoro con lo staff è stato caratterizzato da collaborazione e confronto. In palestra ci siamo sempre divertite e, al di fuori, la società ci ha fatto sentire come in famiglia, in una cornice fantastica, al Palaborsani, dove il nostro pubblico ci ha sempre dimostrato affetto. Tecnicamente siamo cresciute moltissimo dall’inizio del campionato e, grazie al nostro duro lavoro, abbiamo raggiunto i Play-Off. Il desiderio di disputare la finale per salire in A1 è sempre stato presente, ma non so se avrei giocato un altro anno. Penso che nella vita ci siano dei momenti per fare le cose… Quello di cui ero certa era che volevo concludere la mia carriera vivendo un’ultima bella stagione sportiva, in una squadra ambiziosa che puntava a vincere, con un ottimo clima di lavoro e un gruppo fantastico di ragazze. E così è stato: non avrei potuto chiedere di più“.

    Foto Lega Volley Femminile

    Ripercorrendo le tappe principali della tua carriera, quali sono i ricordi più belli?

    “Ho moltissimi ricordi, a partire dal primo allenamento con la Nordmeccanica Piacenza nel 2011, dove andai solo per dare una mano e capii che volevo dedicarmi a questo sport nella vita. Ricordo la prima partita in Serie A1 con la maglia di Giaveno nel 2012 e, successivamente, il primo anno da protagonista in A2 con la Bakery Piacenza. Poi c’è la stagione 2015-16 con la Pomì Casalmaggiore, che mi ha regalato emozioni straordinarie per il gruppo che eravamo, per il mio esordio in una competizione europea e per la vittoria della Champions League… Ancora oggi ho i brividi a pensarci! Il mio sogno era diventare titolare in A1 e, dopo aver sfiorato la promozione con Orvieto nel 2018-19, sono riuscita a realizzarlo a Perugia, dove sono stata protagonista per due anni, prima di approdare a Vallefoglia e a Bergamo. Qui ho un altro incredibile ricordo, legato alla stagione 2022-23, quando siamo entrate nei Play-Off e ci siamo qualificate per la Final Four di Coppa Italia a Bologna: è stato magico! Comunque, posso dire che porto nel cuore e ricordo con affetto ogni stagione“.

    C’è qualche delusione o sconfitta che ricordi con dispiacere?

    “Alcune stagioni sono state più difficili di altre e, in ognuna di esse, ho sempre lavorato sodo senza mai arrendermi. Ci sono stati momenti di sconforto, ma non ho rimpianti. Alla fine, guardandomi indietro, mi sento realizzata sia come atleta che come persona. L’unico dispiacere è di non essere riuscita a portare a Gara 3 la serie della semifinale Play-Off di quest’anno e di non aver concluso la mia carriera con la promozione in Serie A1. Tuttavia, ciò non cancella i bellissimi ricordi della stagione 2024-25 con la Futura“.

    Hai avuto tantissimi tecnici durante la tua carriera. Ti posso chiedere chi è stato il migliore per te?

    “Da ognuno ho imparato molto e li ringrazio tutti! Tra i migliori c’è sicuramente Barbolini, con il quale ho avuto l’opportunità di lavorare ad alto livello durante la stagione a Casalmaggiore. Grazie a lui, ho potuto affiancare grandissime campionesse, il che ha contribuito notevolmente alla mia crescita. Tecnicamente ho fatto grandi progressi con Pistola nel mio primo anno in A2, e quest’anno mi sono divertita molto con Beltrami per il tipo di allenamenti che ha proposto. Con lui si è instaurato un bellissimo rapporto di stima e confronto“.

    Cosa ti mancherà maggiormente della pallavolo?

    “Mi mancheranno moltissimo lo spogliatoio, il fatto di stare con le compagne di squadra tutti giorni fino a diventare una famiglia, condividendo insieme le forti emozioni che questo sport regala nelle vittorie e nelle sconfitte. Sicuramente anche i tifosi, che mi hanno accompagnato durante il mio percorso, soprattutto negli ultimi 12 anni di Serie A, e che con un messaggio, una parola, un sorriso o un regalo mi hanno sempre dato molta energia e supporto. Anche in questo momento delicato mi sono stati più vicini che mai con numerosi messaggi di affetto e stima, che spesso mi hanno commosso. Mi sento di ringraziarli di cuore e sono contenta di aver lasciato un bel segno sia come atleta sia come persona. Non penso ci sia modo più bello per concludere la propria carriera sportiva“.

    Quale reputi sia il valore più importante che lo sport ti ha trasmesso?

    “Il messaggio più importante che ho imparato è che ‘nulla è impossibile’, sia nel recuperare in tuffo un pallone ormai perso, sia nel realizzare i propri sogni. Ovviamente si deve essere disposti a lavorare duramente, fare sacrifici, affrontare le difficoltà e non arrendersi mai; alla fine, però, i risultati arrivano: bisogna sognare e lottare! Grazie alla mia allenatrice dell’U12, Valentina Centenero, la frase che mi ha accompagnato in tutti questi anni è: ‘Se puoi sognarlo, puoi farlo’, e così è stato“.

    Foto Instagram giada_cecchetto

    Ora inizia per te un nuovo capitolo da Biologa Nutrizionista. Hai comunque intenzione di restare nel mondo della pallavolo?

    “A settembre aprirò il mio studio a Milano come Biologa Nutrizionista e intendo portare tutta la mia esperienza sportiva nel campo della nutrizione, educando i pazienti verso il benessere ma anche seguendo squadre e scuole. Mi piacerebbe trasmettere ai giovani i valori dello sport, l’importanza dello studio e di una corretta alimentazione per mantenere la salute e migliorare le proprie performance. Questo percorso è iniziato con le mie due lauree, che mi hanno permesso di crescere anche come atleta, e ora non vedo l’ora di condividere la mia esperienza per aiutare altre persone“.

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    Anastasiia Kapralova: l’A1 sognata a lungo, Cuneo, la salvezza e… la lingua italiana

    Nota lieta della stagione 2024-2025 della Honda Olivero Cuneo, e ventata di talento dalla quale è sempre piacevole lasciarsi inebriare e attraversare lo spirito, Anastasiia Kapralova è una giovane promessa che coach Lorenzo Pintus ha convintamente utilizzato, cucendole addosso un tailleur tattico che l’ha resa, per tutto il campionato, un elemento imprescindibile per il gioco della formazione piemontese.

    Intervenuta in esclusiva ai nostri microfoni, la ventenne schiacciatrice russa ha manifestato tutta la propria soddisfazione per la salvezza raggiunta e l’ottimo rendimento personale.

    Anastasiia, partiamo dalla salvezza di Cuneo. Cosa hai provato quando avete raggiunto questo obiettivo?

    “Non è stata sicuramente una stagione facile per noi. Abbiamo faticato molto nel girone di andata, ma con l’inizio del ritorno siamo finalmente riuscite a esprimere il nostro gioco. Sono contenta di aver raggiunto l’obiettivo salvezza. Tuttavia, a mio parere, avremmo potuto fare ancora meglio, poiché siamo una buona squadra e conosco il nostro potenziale“.

    Se dovessi riassumere la vostra stagione, come lo faresti? Quali sono stati i momenti più importanti?

    “Se dovessi analizzare il percorso di Cuneo quest’anno, direi che le difficoltà non hanno mai avuto un impatto significativo su di noi: nonostante le fatiche, abbiamo sempre creduto di poter raggiungere il nostro obiettivo. Personalmente, i momenti più belli sono legati alle partite casalinghe, in particolare alle vittorie contro Novara, Perugia e Bergamo, arrivate in un momento cruciale del campionato. Non posso dimenticare i nostri balletti per festeggiarle (ride, ndr)”.

    Qual è stato il punto di forza di Cuneo?

    “Ritengo che la principale qualità della nostra squadra sia stata la capacità di rimanere unite di fronte a qualsiasi situazione. Ci siamo sempre supportate a vicenda, sia in campo che fuori. Per me, è fondamentale avere un’atmosfera simile all’interno del gruppo“.

    In che modo il lavoro con coach Pintus ha influenzato il vostro gioco?

    “Innanzitutto, Lorenzo Pintus ha fatto in modo che ogni giocatrice straniera imparasse l’italiano. Per quanto riguarda il gioco, ci ha sempre detto di concentrarci su ciò che sappiamo fare meglio, di usare la testa durante le partite e di prendere le decisioni giuste. Tutto ciò ha migliorato il nostro gioco in generale“.

    Facciamo un passo indietro. Com’è stato il passaggio da Novara a Cuneo?

    “Non c’è dubbio che Novara sia un top club che compete per le posizioni di vertice in classifica. Per questo motivo, sapevo che in quella squadra non avrei avuto l’opportunità di crescere, poiché avrei giocato poco. Volevo essere protagonista nel campionato italiano e, una volta arrivata a Cuneo, ho capito di aver preso la decisione giusta. Dopo aver trascorso un’intera stagione costantemente in campo, posso davvero constatare quanto sono migliorata come giocatrice“.

    Cosa ti ha spinto a lasciare la Russia da giovanissima per andare a giocare all’estero? Quanto pensi di essere cresciuta in Italia?

    “Sognavo di giocare nel campionato italiano sin dall’inizio della mia carriera da pallavolista. L’ammirazione per le grandi giocatrici, il livello del gioco e il sostegno dei tifosi erano gli elementi che mi affascinavano di più. Quando ho finalmente avuto l’opportunità di mettermi alla prova, non ho esitato a coglierla, pur consapevole delle difficoltà che avrei incontrato. Oggi posso dire che questi due anni hanno avuto un impatto importante su di me come giocatrice. Nel primo anno a Novara, mi sono adattata all’Italia e al suo campionato, osservando attentamente il gioco per capire su quali aspetti dovessi lavorare per competere con le altre atlete. Il secondo anno a Cuneo è stato più fruttuoso: sono riuscita a dimostrare le mie capacità e a diventare una titolare“.

    Quali sono le sfide che hai dovuto affrontare in Italia? Mi riferisco soprattutto alla barriera linguistica e alla cultura diversa.

    “Sicuramente la barriera linguistica è stata la mia prima ‘sfida’. Non basta conoscere bene l’inglese, dal momento che molti italiani non parlano bene questa lingua o preferiscono utilizzare la loro. Inoltre, la cultura italiana è diversa da quella russa: qui la vita è più tranquilla, mentre in Russia siamo sempre di fretta (anche quando non è necessario). Tuttavia, mi sono abituata rapidamente a questa cosa. Un’altra difficoltà che ho dovuto affrontare riguarda gli orari lavorativi, poiché a volte i negozi sono aperti in giorni e orari particolari. A questo non sono ancora riuscita ad abituarmi (ride, ndr)”.

    In generale, come ti trovi in Italia? Cosa ti piace fare nel tuo tempo libero quando sei qui?

    “Amo l’Italia! Mi piacciono il cibo, la gente, il clima e la natura. Nei giorni liberi, non rimango mai a casa, soprattutto se c’è il sole, e cerco sempre di esplorare ciò che mi circonda. Qui a Cuneo, ad esempio, vado spesso in montagna, che si trova a soli 20-40 minuti di distanza. In altre occasioni, preferisco passeggiare nei centri urbani per ammirare le opere architettoniche“.

    Foto Instagram @kapralovanastushka

    Dove ti vedi nel giro di qualche anno? Quali obiettivi ti sei posta per la tua carriera?

    “Il mio obiettivo come giocatrice è raggiungere una certa stabilità nel gioco e nelle prestazioni, impegnandomi al 100% in ogni allenamento e partita. Poi, naturalmente, mi piacerebbe arrivare ai massimi livelli della pallavolo e dimostrare tutte le mie capacità“.

    Per chiudere l’intervista, alcune domande per conoscerti meglio. Ci potresti raccontare qualcosa su di te?

    “Sono originaria di Mosca, dove ho iniziato il mio percorso nella pallavolo in una scuola sportiva. I miei genitori non sono stati atleti, ma mio zio è l’unico della nostra famiglia ad aver praticato questo sport. Crescendo, l’ho visto giocare e ho deciso di provare anche io. Mi sono appassionata all’istante. Fin da piccola, sono sempre stata molto competitiva, e credo che questo sia il motivo per cui ho scelto la pallavolo“.

    Quanto è importante la famiglia per te? Qual è l’insegnamento più significativo che hai ricevuto dai tuoi genitori?

    “Sono cresciuta in una famiglia numerosa, con due sorelline che amo tantissimo. Per me, la famiglia è al primo posto: tornare a casa dai miei genitori mi fa sentire sempre al sicuro. Fin da piccola, mamma e papà mi hanno consigliato: “Fai ciò che ti rende felice” e “Trova qualcosa che ti appassiona e fallo”. Credo di aver trovato questa passione. Mi hanno insegnato a essere tenace e a lottare per ciò che desidero. Una cosa è certa: loro saranno sempre al mio fianco, e sono estremamente grata di averli nella mia vita“.

    C’è qualcosa che gli appassionati di pallavolo non conoscono di te e che potrebbe sorprenderli?

    “Penso che non ci siano aspetti sorprendenti su di me che la gente non conosca. Tuttavia, posso rivelarvi che sono un’ottima cuoca. Ho preparato la zuppa russa per le mie compagne di squadra italiane un paio di volte e ha riscosso grande successo“.

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    Bojana Milenkovic si racconta: l’esperienza in Turchia, la nazionale, le sfide della sua carriera

    Fernando Birri, incommensurabile regista argentino, nel corso di un incontro con alcuni studenti all’Universidad de Cartagena, nella bellissima città colombiana di Cartagena de Indias, diede probabilmente la miglior definizione circa l’utilità dell’utopia (in una risposta spesso ed erroneamente attribuita a Eduardo Galeano, anch’egli presente in quell’occasione). A cosa serviva, essendo collocata nell’orizzonte e, di conseguenza, non raggiungibile? “A camminare”. Sommando passi, percorrendo itinerari, pur non raggiungendo mai la linea tratteggiata tra il mare e il sole si ha la contestuale possibilità di macinare vita. Ecco, pur non potendo noi conoscere il suo obiettivo più utopico, Bojana Milenkovic di passi ne ha fatti tanti, a tal punto da poter – oggi – essere considerata una raccoglitrice di esperienze umane, con la pallavolo come combustibile per continuare questo viaggio multicolore che dalla Serbia l’ha portata in Italia, Kazakistan, Romania, Polonia, Ucraina e ora Turchia.

    Entrata nel rettilineo finale della sua prima stagione in Sultanlar Ligi con il Nilufer Belediyespor Eker, la schiacciatrice originaria di Belgrado si è raccontata in esclusiva ai nostri microfoni.

    Bojana, partiamo dalla tua stagione con il Nilufer. Come ti stai trovando a Bursa?

    “Questa è la mia prima esperienza nel campionato turco. Ero certa di potermi adattare facilmente e, alla fine, posso dire di essere soddisfatta di questa stagione, soprattutto per quanto riguarda il mio rendimento individuale. Inoltre, devo dire che la Turchia e Bursa sono posti bellissimi, il cibo è delizioso e le persone sono molto cordiali“.

    Come riassumeresti il percorso del Nilufer fino a questo momento? Quali sono stati i momenti chiave della vostra stagione?

    “I momenti più importanti devono ancora arrivare, ma credo che abbiamo le carte in regola per raggiungere i nostri obiettivi. La squadra è molto giovane e inesperta, il che ci ha penalizzato un po’ in questa stagione; tuttavia, spero che il nostro campionato si concluda con un lieto fine“.

    C’è qualcosa che avreste potuto fare meglio, soprattutto nella prima parte della stagione?

    “Sì, abbiamo perso alcune partite che avremmo dovuto vincere, e abbiamo vissuto diversi alti e bassi. Per questo motivo stiamo affrontando la seconda parte della stagione con grande serietà, poiché per noi ogni punto è fondamentale“.

    Quali sono i vostri obiettivi e le vostre aspettative per le ultime partite della Sultanlar Ligi?

    “All’inizio della stagione, non sapevamo quale sarebbe stato il nostro obiettivo, ma ora è chiaro: centrare la salvezza e mantenere la categoria. Sono convinta che possiamo farcela“.

    Come valuti il tuo rendimento e il contributo che stai dando alla tua squadra?

    “Sono soddisfatta delle mie prestazioni individuali, anche se preferisco che siano gli altri a esprimere il loro giudizio. In campo cerco sempre di assumermi responsabilità e aiutare le mie compagne il più possibile“.

    Facciamo un passo indietro e parliamo della tua esperienza alle Olimpiadi di Parigi. Com’è stato partecipare a un torneo così importante?

    “Giocare per la propria nazionale è probabilmente il sogno di ogni atleta, e le Olimpiadi rappresentano il culmine di una carriera. Almeno, per me è stato così. Oggi posso dire di aver realizzato questi sogni. Sono estremamente felice di aver avuto l’opportunità di partecipare sia ai Giochi di Tokyo che a quelli di Parigi, tanto che ricordo ogni dettaglio di queste esperienze. È qualcosa di indescrivibile“.

    Sei contenta per il ritorno di Zoran Terzic sulla panchina della nazionale serba? Stai già facendo un pensierino agli impegni dell’estate 2025?

    “Ogni anno, attendo con entusiasmo gli impegni con la nazionale: sono impaziente di affrontare nuove sfide! Quando ho saputo che Zoran Terzic sarebbe tornato, sono stata davvero molto felice. Mi manca lavorare con lui e sono certa che riprenderemo da dove ci eravamo fermati“.

    In che modo le esperienze all’estero hanno contribuito alla tua crescita come persona e come giocatrice?

    “Sono felice di avere l’opportunità di vivere questo tipo di vita e di fare ciò che amo. Negli anni ho incontrato molte persone e alcune amicizie perdurano ancora oggi. Sono grata per tutto questo, così come per i numerosi viaggi che ho fatto in giro per il mondo. Le stagioni si susseguono, ma alla fine ciò che conta è il tipo di persona che sei, ciò che la gente ricorda di te e ciò che ti distingue come giocatrice“.

    Nel 2018, poco dopo aver firmato con Scandicci, hai subito una rottura del legamento crociato del ginocchio sinistro. Com’è stato affrontare questo grave infortunio? Come ha influenzato la tua carriera negli anni successivi?

    “È stato il periodo più difficile della mia carriera: doloroso, lungo e noioso. Ho dovuto rimanere lontana dal campo per dieci mesi. Tuttavia, il sostegno della mia famiglia ha reso tutto più facile. Durante il recupero sono stata coraggiosa e tenace. Così, quando sono tornata, ero al livello che avevo raggiunto prima dell’infortunio; non penso che questo mi abbia fatto regredire. Dico sempre: ‘Chissà a cosa è servito’“.

    Sei soddisfatta del tuo percorso pallavolistico finora? Hai qualche rimpianto o c’è qualcosa che cambieresti?

    “Sono orgogliosa di me stessa e grata di aver realizzato e di continuare a perseguire i miei sogni. Anche se non posso cambiare ciò che è già successo, posso correggere alcuni errori che commetto, perché si va sempre avanti e mai indietro“.

    Quali sono i tuoi sogni per il futuro?

    “Per quanto riguarda la pallavolo, intendo proseguire su questa strada. Ho già realizzato la maggior parte dei miei sogni, ma vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi sarebbe il coronamento della mia carriera“.

    Scorrendo le foto che pubblichi sulle tue pagine social, sembri una persona sempre gioiosa e sorridente. Puoi dirci due parole su di te, sul tuo carattere e sulla tua vita fuori dal campo?

    “Mi vedi sorridente e felice grazie alla mia famiglia e a una ristretta cerchia di amici. Di solito, non parlo tanto di me stessa, ma dal momento che me lo chiedi, mi fa piacere condividere alcune cose. Sono una persona positiva, che cerca sempre di vedere il lato buono delle cose. Sono molto grata per il tempo che trascorro con la mia famiglia, con i miei amici e nella mia città, Belgrado: sono momenti che aspetto sempre con grande impazienza. Amo gli animali e cerco di aiutare gli altri ogni volta che posso, anche donando cibo. Ho tre cani e la mia famiglia gestisce un allevamento di cani corso. Adoro il sole e il mare, e sono una grande amante del gelato. Nel tempo libero, mi piace leggere e fare shopping. In generale, sono molto grata a Dio per la mia vita“.

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    Federica Pelloni: “I segreti della UYBA? Spensieratezza e capacità di fare squadra”

    Nella quotidiana frenesia di sottolineare meriti sportivi, evidenziare status e condividere opinioni, generata dalla necessità di dire sempre qualcosa di nuovo, la stampa può finire per trascurare la continuità di elementi che spiccano per talento, rendimento e incisività. Evitando di scomodare la cultura dell’underrated, il sottovalutato che arriva a meritare i piani alti dell’affermazione, è al contempo doveroso tessere le lodi di una giocatrice tra le più positive della Serie A1 femminile 2024-2025: il libero Federica Pelloni, elemento imprescindibile per una Eutotek Uyba Busto Arsizio che sta vivendo una stagione da rivelazione. In vista di Gara 1 dei quarti di finale dei Play Off Scudetto, la 22enne nata a Sassuolo e cresciuta a Castelvetro di Modena si è raccontata in esclusiva ai microfoni di Volley News.

    È calato il sipario su una regular season molto positiva per Busto Arsizio. Le va di tracciare un bilancio finale?

    “Fino a questo momento, è stata una stagione davvero incredibile, poiché abbiamo ottenuto risultati che nessuno si aspettava, nemmeno noi. Siamo partite un po’ con il freno a mano tirato, probabilmente perché siamo una squadra giovane e inesperta; quindi, abbiamo dovuto trovare il nostro ritmo. Ma una volta che abbiamo carburato, siamo riuscite a ottenere risultati straordinari, battendo anche vere e proprie corazzate. Perciò, sono molto soddisfatta del nostro percorso: come squadra e come società, non potevamo desiderare di più“.

    C’è stato un momento in cui avete capito che i Play Off Scudetto erano un traguardo alla vostra portata?

    “Credo che ognuna di noi fosse consapevole che avremmo potuto farcela. Tuttavia, devo sottolineare che, come squadra, non abbiamo mai affrontato le partite con l’ansia di dover vincere a tutti i costi o la paura di non arrivare tra le prime 8. A mio avviso, le chiavi che ci hanno permesso di raggiungere i Play Off sono state la spensieratezza, la voglia di fare bene e il desiderio di mostrare chi siamo“.

    Focalizziamo sui vostri principali punti di forza.

    “I punti di forza più importanti della Uyba fino ad ora sono stati il gruppo squadra, la capacità di rimanere unite e compatte nei momenti difficili per superare gli ostacoli lungo il nostro cammino e, come ho già detto, la spensieratezza. Questa caratterizza non solo le nostre partite, ma anche gli allenamenti. Infatti, ogni giorno andiamo in palestra con l’intento di crescere e fare bene, senza però imporci troppe pressioni; è una mentalità che ci ha permesso di ottenere risultati importanti durante la regular season“.

    Da qui a fine stagione come si prosegue?

    “Sia a livello personale che come squadra, non vediamo l’ora di affrontare la seconda fase della stagione. Nei quarti di finale dei Play Off Scudetto, affronteremo Scandicci. Proveremo a fare del nostro meglio contro questa grande corazzata, senza perdere la nostra spensieratezza. Ovviamente non sarà semplice e ci sarà un po’ di ansia, dato che si tratta di Play Off; tuttavia, cercheremo di rimanere unite e di aiutarci il più possibile per esprimere la nostra miglior pallavolo“.

    La Uyba, oltre a conquistare il sesto posto in regular season, ha valorizzato tutte le individualità. Ha avvertito questa sensazione? In quali aspetti pensa di essere migliorata maggiormente?

    “Sì, pur essendo una squadra giovane e con poca esperienza nel campionato di A1, quest’anno siamo riuscite a fare bene e a esprimere un bel gioco. Personalmente, ritengo di essere cresciuta sia a livello caratteriale che tecnico. Sono quindi soddisfatta dei miei progressi, ma sono anche consapevole di avere ancora molto da migliorare e apprendere“.

    Non è semplice passare dall’A2 all’A1, eppure ha dimostrato una grande qualità di adattamento. Qual è stato il suo segreto? E quali differenze ha riscontrato tra queste categorie?

    “Il mio segreto nel processo di adattamento all’A1 sta nel lavoro costante, giorno dopo giorno, senza mai mollare. Anche nei momenti in cui magari le cose non andavano esattamente come speravo, non mi sono mai arresa e ho continuato a impegnarmi. D’altronde, le differenze tra queste categorie sono notevoli e riguardano soprattutto la velocità della palla e la potenza degli attacchi. Tuttavia, grazie all’allenamento, sono riuscita a prendere confidenza con l’A1 e, partita dopo partita, mi sono abituata sempre di più“.

    Quello del libero è un ruolo particolare. Più istinto o tecnica? Quanto conta l’esperienza?

    “Inevitabilmente, la tecnica è una base fondamentale per questo ruolo. Tuttavia, non si può trascurare l’importanza dell’istinto, che consente di superare i limiti della tecnica, e dell’esperienza, che si acquisisce giorno dopo giorno“.

    Come vive la responsabilità di dover sbagliare poco o nulla in ricezione e in difesa?

    “In realtà, non la vivo come una responsabilità. Certo, mi sono sempre posta obiettivi personali, come sbagliare una ricezione in meno rispetto alla partita precedente o difendere una palla in più o in modo più preciso. Tuttavia, non ho mai sentito il peso della responsabilità di dover sbagliare poco o nulla, soprattutto quest’anno, alla mia prima esperienza in A1. Non sono ossessionata dall’idea di dover fare tutto perfettamente e su questo devo ringraziare la squadra, la società e lo staff, che non mi hanno mai assillata. Il concetto è che, anche se si sbaglia una palla, si deve pensare a quella successiva. Anche i migliori liberi commettono errori in ricezione e in difesa. Dunque, non ha senso per una giocatrice giovane al primo anno di A1 imporsi di non dover sbagliare“.

    Quali sono i suoi sogni nel cassetto e quali obiettivi si è posta per i prossimi anni?

    “Ho tanti sogni nel cassetto, a cominciare dalla maglia azzurra della nazionale: spero che un giorno questo possa avverarsi. Inoltre, desidero continuare a giocare in una categoria prestigiosa come la Serie A1, migliorare sempre di più e crescere sia tecnicamente sia caratterialmente“.

    In chiusura dell’intervista, ci racconta com’è Federica fuori dal campo?

    “Al di fuori della pallavolo, sono una ragazza che studia Scienze Motorie all’università e si dedica ai propri hobby. Ad esempio, nei giorni liberi, mi piace uscire con le amiche, fare shopping, ma anche rilassarmi a casa guardando una serie TV“.

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    Taylor Mims: “Nelle ultime settimane si sono visti i frutti del mio impegno”

    Tra tutte le sensazioni di stupore che possiamo provare di fronte al cambiamento di un giocatore, la più intensa e inaspettata rimane quella che ci fa provare un elemento che pensavamo inadeguato e che invece, da un momento all’altro, diventa improvvisamente uno dei migliori. Un cambiamento talmente radicale e repentino da lasciarci l’impressione di non aver capito fino in fondo lo sport che stiamo guardando, che ci sia almeno un piano della realtà che ci sfugge, che per forza di cose dobbiamo lasciare al mistero. Insomma, la sensazione che abbiamo provato guardando giocare Taylor Mims, che nel giro di poche settimane è passata da essere oggetto del mistero a giocatrice importante della Igor Gorgonzola Novara.

    In esclusiva ai microfoni di Volley News, l’opposta statunitense ha parlato di sé, del suo percorso pallavolistico e della sua esperienza in Italia, soffermandosi anche sull’ottimo momento di forma che sta vivendo.

    Taylor, partiamo dall’ultimo capitolo della tua carriera con la Igor Gorgonzola Novara. Come ti stai trovando?

    “Mi trovo bene qui! La città è bella, accogliente e non è così distante da Milano. In generale, mi piace molto lo stile di vita italiano, in particolare la cultura dell’aperitivo“.

    Come riassumeresti la stagione di Novara fino a questo momento?

    “Direi che finora è stata una buona stagione. Non è stata né negativa né perfetta, ma siamo costanti e stiamo procedendo nella giusta direzione“.

    Quali sono i vostri obiettivi e le vostre aspettative per il finale di stagione?

    “Gli obiettivi sono lottare per ottenere i migliori piazzamenti e dare sempre il massimo in ogni partita, sia in campionato che nella nostra competizione europea. Questo discorso valeva anche per la coppa nazionale, sebbene ora sia già passata“.

    Nella prima parte della stagione hai avuto alcuni alti e bassi nel rendimento, ma ora sembra che sia scattato qualcosa. Come valuti le tue performance e la tua crescita nel corso di quest’anno? Cosa è cambiato nelle ultime settimane?

    “All’inizio della stagione, ho subito un infortunio agli addominali che ha influito sulla mia fiducia e sulla mia forza. Ci ho messo un po’ a recuperare da questo stop, ma il supporto delle mie compagne di squadra e dello staff ha reso il percorso più semplice. Le ultime settimane hanno dimostrato che ho lavorato duramente in allenamento: quando ho avuto la possibilità di giocare, si sono visti i frutti del mio impegno“.

    In che modo il lavoro con una leggenda della pallavolo come Lorenzo Bernardi sta influenzando il tuo gioco?

    “Sai, essere allenati da qualcuno con una grande esperienza e numerosi riconoscimenti nella carriera è estremamente prezioso. Non ci sono molti allenatori con un percorso da giocatore ai livelli che ha raggiunto lui. Essere guidata da una persona con una così profonda conoscenza del gioco ha indubbiamente elevato il mio livello. Ora vedo la pallavolo in modo diverso; mi ha spinta a migliorare ogni giorno, dandomi fiducia e aiutandomi a crescere notevolmente come giocatrice“.

    Facciamo un passo indietro. Quanto è stata importante per te l’esperienza in Francia con le Neptunes de Nantes?

    “Oh Nantes… Non posso che dire cose positive su questa città, sul club, sullo staff e sulle compagne di squadra che ho avuto nelle due stagioni trascorse lì. Per me, Nantes è diventata la mia ‘casa lontano da casa’ ed è un posto dove ho imparato molto su come essere una professionista. Ho avuto l’opportunità di prendere parte alla mia prima competizione europea e di vincere il mio primo titolo, la Coppa di Francia. Inoltre, essere allenata da Cesar Hernandez è stato un sogno e ha rappresentato la chiave del mio successo personale. Non posso che ringraziarlo per avermi spinta oltre i miei limiti e per aver reso la scorsa stagione indimenticabile“.

    Qual è stato il momento più bello della tua carriera pallavolistica?

    “Ci sono molti momenti indimenticabili, ma il primo che mi viene in mente è la vittoria della Coppa di Francia nella scorsa stagione. Cesar ha sempre tenuto discorsi motivazionali prima dei nostri riscaldamenti, ma quello prima della finale ha emozionato tutti: credeva in noi in modo così forte che lo percepivamo chiaramente. Alla fine, abbiamo disputato una grande partita, portato la coppa a Nantes e vissuto momenti di pura euforia. Quella squadra era davvero speciale. Alcune di noi erano rimaste dalla stagione precedente, ma in generale siamo cresciute insieme: era come giocare a pallavolo con le proprie sorelle o migliori amiche. Perciò, quel momento lo conserverò nel mio cuore per sempre“.

    Qual è stato l’insegnamento più importante che ti ha dato la pallavolo?

    “La lezione più importante che ho appreso dalla pallavolo è che nessuno è lì per fare le cose al tuo posto: sei tu a doverlo fare. In questo senso, il tuo ‘nemico’ più grande sei sempre tu, poiché i pensieri negativi, la procrastinazione, le scuse e la paura di uscire dalla propria comfort zone non ti porteranno mai dove desideri arrivare. Puoi avere i migliori allenatori e compagni di squadra, ma se non hai fiducia in te e non sei la tua stessa motivazione, non puoi crescere. Per me, è stato un grande passo in avanti imparare a sfidare me stessa e a spingermi verso obiettivi più ambiziosi, sia personali che di squadra“.

    Quali sono i tuoi sogni per il futuro?

    “È incredibile pensare che quello che sto vivendo oggi fosse il mio sogno 5-6 anni fa… Attualmente, però, il mio obiettivo nel mondo della pallavolo è vincere un titolo in Italia, sia esso una coppa o un campionato. A livello personale, il mio sogno più grande è avviare una famiglia e, un giorno, stabilirmi in Spagna o in Francia e aprire un bar“.

    Per chiudere l’intervista, alcune domande per conoscerti meglio. Ci potresti raccontare qualcosa su di te, sul tuo carattere, sulla tua famiglia e sulla tua vita nel Montana?

    “Alcuni dei miei amici più stretti mi descriverebbero come un personaggio (ride, ndr): sempre attiva, con un caffè in mano e spesso in ritardo (sono puntuale ovunque tranne che a casa). Sono anche una persona che può sembrare timida fino a quando non si arriva a conoscermi. Sono la maggiore di tre figli: ho un fratello di 25 anni di nome Greg e una sorella di 15 di nome Rosa. Sono nata e cresciuta a Billings, nella riserva dei Crow del Montana, circondata da cavalli, mucche e polli, praticamente in una fattoria (ride di nuovo, ndr). Ho amato ogni momento trascorso lì“.

    C’è qualcosa che la gente potrebbe non sapere di te e che potrebbe sorprenderla?

    “Riprendendo il discorso della domanda precedente, ho la sensazione di sorprendere molte persone quando racconto di essere cresciuta e di aver vissuto in una fattoria, circondata dagli animali, per la maggior parte della mia vita fino a quando sono andata al college“.

    Un’ultima curiosità: quali artisti ascolti di solito? Ti capita spesso di leggere libri o di guardare serie TV e film?

    “I miei artisti preferiti sono Drake, Gazo, Tyler the Creator e Tory Lanez. Non guardo più serie TV e film come facevo una volta, ma ho ripreso a leggere. Non so quanto durerà (ride, ndr), ma ci sto provando“.

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