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    Myriam Sylla: “Alle critiche non penso più. Sono soddisfatta di me stessa”

    Di Eugenio Peralta

    Una nuova città, una nuova maglia, una nuova avventura. Una nuova Myriam Sylla, a cominciare dal nome di battesimo: esatto, Myriam con la “Y”, e non con la “I” come siamo sempre stati abituati a leggerlo negli ultimi 15 anni e rotti. Nessuna variazione all’anagrafe, il motivo lo spiega la stessa schiacciatrice della Vero Volley Milano e della nazionale: “È che all’inizio con la ‘Y’ mi sentivo troppo diversa, così sui social lo avevo scritto in modo più ‘normale’. Poi invece ho imparato che è bellissimo e ho cominciato a scriverlo come si deve“. Risposta che dice già tutto del carattere, e della maturità, che la campionessa azzurra rivela (o meglio, conferma) nell’intervista concessa in esclusiva a Volley NEWS.

    foto LVF

    Togliamoci subito il pensiero: hai guardato Sanremo?

    “L’ho guardato sì, diversamente dagli altri anni, quando non lo vedevo mai. È stato emozionante vedere Paola scendere quelle scale, è stata molto elegante e devo dire che se l’è cavata molto bene. Penso che da casa tutti noi pallavolisti ci siamo un po’ immaginati nei suoi panni, e non so quanti ce l’avrebbero fatta a reggere davanti a un pubblico del genere“.

    E di tutto quello che è successo dopo, e intorno, all’intervento di Egonu cosa hai pensato?

    “Devo dire che spesso alcune frasi vengono estrapolate dal contesto e ingigantite in tantissimi modi differenti. Ci sono tante sfumature nelle parole e tanti modi di analizzarle; bisogna anche capire che Paola è una ragazza giovane, e in alcuni momenti è istintiva. Poi tutti i commenti e i discorsi sui social… be’, sono sempre gli stessi, sono 28 anni che li sento ed è sempre la stessa storia, anzi si va peggiorando. Sinceramente, mi astengo e vado avanti così“.

    Foto Gabriele Sturaro

    Passiamo alla pallavolo giocata. Milano per te è una grande sfida: sei arrivata in una squadra che “deve” vincere, per come è stata costruita.

    “Non lo so se ‘deve’, ma sicuramente vuole vincere. Noi vogliamo arrivare a realizzare i nostri sogni. È una cosa bella ma… ok, da un lato anche brutta, perché a differenza degli anni scorsi in questa stagione non ho ancora nulla in bacheca e siamo in via di costruzione. Sono cambiate tante cose, perché sono cambiate anche le compagne di squadra: integrarsi e creare un nuovo sistema non è mai facile, ma è sempre molto divertente. Un atleta è sempre più stimolato quando ci sono nuove sfide“.

    La pressione c’è alla Vero Volley, ma c’era sicuramente anche a Conegliano. Quali sono le differenze?

    “Be’, sono passata da una squadra che ha vinto tutto e sta ancora vincendo a livello mondiale a una che sta cercando di affermarsi sempre di più, dopo aver già dato filo da torcere all’Imoco. La pressione c’è da entrambe le parti, ma chi gioca in queste squadre vuole proprio questo tipo di pressione: ci stimola essere sempre un po’ sul filo del rasoio, è il nostro lavoro“.

    Foto Rubin/LVF

    Negli anni sei diventata la giocatrice delle partite decisive, quella che dà il meglio nelle semifinali e nelle finali, quando l’obiettivo conta. È qualcosa di voluto o che riesci a gestire?

    “(ride, n.d.r.) Pensa che all’inizio della carriera mi dicevano esattamente il contrario… Ma secondo te, se avessi questo tipo di potere, non lo avrei usato – ad esempio – per vincere la Coppa Italia? Assolutamente per me non esiste il concetto di risparmiare energie, se gioco male è perché gioco male e basta, io faccio sempre ‘all in’ in tutte le partite“.

    Spesso ti è capitato di essere sostituita e di non avere il “posto fisso”, soprattutto in nazionale. Come si gestiscono queste situazioni a livello emotivo e mentale?

    “È capitato spesso e capiterà ancora, perché credo che il posto sicuro non ce l’abbia nessuno. Non è che io non abbia mai subito la cosa: ci rimango male se vado in panchina o se non vengo schierata. Il fatto è che io ho fiducia in me stessa, conosco Myriam e so che ci metterò tutto l’impegno possibile per arrivare al mio obiettivo. Poi se arriva quello che spero sarò ancora più contenta, altrimenti continuerò a lavorare per far sì che avvenga“.

    Foto Volleyball World

    Tra le giocatrici della tua generazione sei quella che è esplosa più tardi, facendo il definitivo salto di qualità quando avevi 22-23 anni. Cosa è cambiato per te in quel periodo?

    “È una questione di occasioni. Prima ero sempre stata la giocatrice ‘sì, ma…’, quella non abbastanza convincente, anzi a dire la verità per qualcuno lo sono ancora. Poi ho avuto la mia occasione con i Mondiali del 2018, sarà che quell’anno sono successe tante cose importanti nella mia vita, ma era ciò che volevo e ci ho messo tutto quello che potevo per arrivare. Quello è stato l’inizio di tutto per me“.

    Davvero c’è qualcuno che ancora, dopo tutto quello che hai vinto, non ti considera “abbastanza convincente”?

    “Lo sento dire spesso, in realtà. Ma non mi interessa. Quando avevo 25 anni ci rimanevo male, mi chiedevo: ‘Perché la gente non mi capisce?’. Adesso ne ho 28, non posso stare ancora dietro a quelle cose. Non ci penso più, quando torno a casa e mi guardo allo specchio vedo un’atleta che si è fatta un c… così per arrivare a quello che si è guadagnata, tra medaglie e premi individuali. Nessuno mi ha regalato niente e io sono soddisfatta. Poi non si può piacere a tutti, come nella vita: anche Paola, che è un fenomeno, ha gente che la accusa di essere scarsa… figuratevi io!“.

    Un’ultima cosa: qual è stata la persona più importante per la tua carriera, quella che ti ha aiutato di più?

    “I miei genitori sono stati l’esempio di quello che sono io. In campo e fuori, il modo in cui mi comporto, è tutto merito loro in primis. Poi ci sono stati tantissimi allenatori che mi hanno aiutato ad arrivare fino a qui, tante compagne di squadra, è difficile citare una persona sola: per arrivare a fare una carriera così hai bisogno di tante persone buone e brave, ma anche di persone cattive, che ti danno contro. Servono anche quelle“. LEGGI TUTTO

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    Chiara Scacchetti: “La Serie A1 resta il mio sogno nel cassetto”

    Di Alessandro Garotta

    Per descrivere quella che al momento è una stagione positiva per la BSC Materials Sassuolo – ma per farla diventare perfetta servirà tenere duro fino alla fine – si potrebbero prendere tante istantanee che rappresentano le vittorie, o sperticarsi in elogi verso le giocatrici che stanno trascinando la compagine di Maurizio Venco. In questo elenco figurano spesso e volentieri i nomi di Aurora Pistolesi, importante punto di riferimento in attacco (specialmente dopo il grave infortunio occorso a Valentina Pomili), di Linda Manfredini, protagonista di una crescita verticale a ritmo esponenziale, o di giocatrici che non deludono mai le aspettative come Federica Pelloni, Federica Busolini e Giada Civitico. 

    Come qualche volta accade, però, non si parla abbastanza dell’elemento che funge da collante, che si preoccupa di far girare tutti gli ingranaggi all’unisono: ci riferiamo a Chiara Scacchetti, metronomo e leader emotivo della squadra emiliana, che si è raccontata in un’intervista esclusiva ai nostri microfoni.

    Foto Idea Volley Sassuolo

    Per iniziare, ci racconti qualcosa di lei e della sua passione per la pallavolo.

    “Sono Chiara, ho 27 anni e mi definirei una persona solare e scherzosa, ma allo stesso tempo molto decisa e tenace quando si tratta di raggiungere gli obiettivi prefissati. Ormai sono passati 10 anni da quando ho deciso di fare della mia passione per la pallavolo un lavoro. È stato amore a prima vista con questo sport, che nel corso del tempo mi ha aiutato a crescere caratterialmente, andare oltre ai miei limiti e imparare a mettermi a disposizione delle compagne, perché nel volley è fondamentale saper dare una mano a chi ci sta vicino ma soprattutto avere la capacità e l’umiltà di farsi aiutare. Quest’ultima non è una cosa scontata. Infine, ci tengo a sottolineare che grazie a questo sport ho scoperto alcuni lati del mio carattere che mai avrei pensato di avere, come una grande dose di forza e determinazione“.

    Come si è avvicinata al volley?

    “Da piccola guardavo ‘Mila e Shiro’, cartone animato che penso abbia fatto appassionare molte bambine alla pallavolo. Inoltre andavo spesso a vedere le partite di mia sorella e da lì è cominciata la mia avventura“.

    Quali sono state le tappe principali del suo percorso pallavolistico?

    “Ho iniziato con il Minivolley a Rubiera, il mio paese d’origine, per poi entrare nella Scuola di Pallavolo Anderlini di Modena all’età di 13 anni: lì ho vinto il mio primo Scudetto e raggiunto diverse finali nazionali a livello giovanile. Nel frattempo, ho avuto l’onore di indossare la maglia della nazionale in un Campionato Europeo pre-juniores, vincendo il premio individuale di miglior palleggiatrice. Dopo il Mondiale pre-juniores, mi sono fermata per un piccolo intervento alla schiena e mi sono trasferita alla Foppapedretti, dove ho finito la trafila delle giovanili ed esordito in Serie B1.

    Nell’estate del 2013 ho partecipato al Mondiale juniores e nella stagione successiva sono rimasta a Bergamo, militando nella squadra di B1 e terminando gli studi liceali. Nel 2015 mi si sono aperte le strade di Serie A1 e A2, e ho vissuto esperienze formative a Scandicci, Ravenna, Chieri e Roma. Dopodiché sono stata per due stagioni a Montecchio Maggiore, ho fatto un anno a Marsala e ora sono a Sassuolo. Queste tappe mi hanno permesso di fare un percorso alla scoperta di me stessa e conoscere tante persone speciali che sono entrate a far parte della mia vita, arricchendola in modo incredibile“.

    Foto Roberto Muliere/RMSport

    Veniamo alla sua avventura a Sassuolo. Come si trova e cosa le piace maggiormente di questa società?

    “Mi trovo davvero bene! A Sassuolo ho trovato una seconda famiglia e non potevo desiderare di più. Ma soprattutto ho incontrato giocatrici forti, che lavorano duramente e si aiutano a vicenda. Penso che questo sia il mix perfetto per dare il meglio di sé in campo“.

    Originaria di Rubiera, cresciuta all’Anderlini e ora a Sassuolo: lo considera un “ritorno a casa”?

    “Certo, mi piace definirlo così, perché proprio quest’anno è nata una collaborazione tra Idea Volley Sassuolo e Scuola di Pallavolo Anderlini. Sono davvero contenta di poter giocare in Serie A per una squadra che collabora con il settore giovanile in cui sono cresciuta“.

    Si aspettava un campionato così positivo dalla sua squadra? Com’è il bilancio finora?

    “Come ho detto prima, a Sassuolo ho trovato compagne di squadra forti, disponibili, con una grande cultura del lavoro, oltre che uno staff serio, preparato, che ci fa lavorare sodo. Questo l’avevo intuito nei primi allenamenti della preparazione estiva e mi ha trasmesso tanta fiducia fin dall’inizio. Penso che il bilancio finora sia molto positivo, dal momento che stiamo lottando alla pari con le prime del nostro girone per cercare di arrivare alla seconda fase nel migliore dei modi“.

    Come vede il prosieguo della stagione? Quali sono i vostri obiettivi?

    “Sicuramente non è un campionato facile: il nostro è un girone molto equilibrato, in cui ogni partita è una battaglia, e perciò non si può mai abbassare la guardia. Gli obiettivi principali sono di continuare a migliorare il nostro gioco velocizzandolo il più possibile e staccare il pass per i Play Off“.

    Foto LVF

    Quanto c’è di Chiara Scacchetti nel suo salto di qualità in questa stagione e quanto è da attribuire al sistema di gioco?

    “Penso che il nostro punto di forza sia un sistema che ci permette di schierare tre centrali e sviluppare un gioco veloce. Ed essendo una palleggiatrice che ama il gioco al centro, mi sto divertendo molto. Non so quanto ci sia di me nel suo salto di qualità: semplicemente cerco di fare del mio meglio, migliorando partita dopo partita grazie all’aiuto delle mie compagne di squadra“.

    Quali sono secondo lei le caratteristiche fondamentali per una palleggiatrice?

    “Ritengo che una delle caratteristiche fondamentali di chi gioca in questo ruolo sia conoscere a fondo le proprie compagne in modo da metterle nelle condizioni migliori quando devono attaccare. Inoltre, è importante essere disponibili nei confronti delle attaccanti e avere un carattere deciso, soprattutto quando bisogna assumersi la responsabilità delle scelte nei momenti delicati delle partite“.

    Quali sono i segreti per riuscire a gestire al meglio la distribuzione di gioco?

    “Sarebbe fantastico essere a conoscenza di questi segreti in termini assoluti, ma ogni partita fa storia a sé; dunque, bisogna individuare quali sono i punti deboli delle avversarie e quali sono le compagne che possono diventare punti di riferimento in attacco. Sicuramente per fare le scelte migliori, in particolare nelle fasi calde dei match, il palleggiatore deve mantenere sempre la mente lucida“.

    Quali sono i suoi sogni nel cassetto, sportivamente parlando?

    “Vorrei vincere il campionato di A2 per riconquistare l’A1, che resta uno dei sogni nel cassetto a cui tengo maggiormente“. LEGGI TUTTO

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    Rok Mozic senza limiti: “Mi piacerebbe diventare uno dei più forti al mondo”

    Di Eugenio Peralta

    Per fortuna la sua età la ricorda lui stesso durante l’intervista, perché altrimenti si farebbe fatica: a 21 anni appena compiuti (lo scorso 17 gennaio) Rok Mozic sembra già un veterano del nostro campionato per carisma, lucidità e, aggiungiamo, straordinaria padronanza dell’italiano. Dopo essere stato la grande sorpresa della scorsa Superlega, ora il talento di Maribor ne è diventato una delle più solide realtà, con quella WithU Verona che ha dato spettacolo in più di un’occasione. E nella nostra intervista esclusiva non fa che confermare il suo approccio maturo, ma al tempo stesso molto ambizioso, al volley di alto livello.

    Come giudichi la stagione di Verona fino a questo momento? Ti aspettavi questi risultati?

    “Di sicuro abbiamo giocato qualche partita molto buona e qualcun’altra male, d’altronde siamo una squadra giovane. Quando tutto va bene però possiamo dare fastidio a tutti, perché fisicamente siamo tra le squadre più forti del campionato. Diciamo che va bene così, ma non sono ancora soddisfatto: potevamo fare meglio. Dobbiamo guardare sempre avanti alla prossima gara, perché ogni weekend può cambiare tutto in classifica e tutte le ultime 5 partite di regular season possono essere decisive“.

    Foto Verona Volley/Udali

    Hai avuto tante offerte lo scorso anno, ma hai deciso di restare in gialloblu. Ci racconti il perché di questa decisione?

    “Sono contento di essere rimasto a Verona e rifarei la stessa scelta anche oggi. Qui mi sento come a casa, tutti mi vogliono bene, si lavora bene; e poi la squadra è più forte dello scorso anno, questa è stata una condizione chiave. Volevo lottare per i Play Off e per arrivare tra i primi 4. In più sono contento di essere un giocatore importante della squadra, mi sento bene in campo e fuori e voglio lavorare per migliorare, personalmente e come gruppo“.

    Come ti trovi con Rado Stoytchev e cosa hai imparato da lui in queste stagioni?

    “Con Stoytchev ho un buon rapporto, anche se non è sempre facile perché lui non è mai contento di niente, vuole sempre spingere di più. Ma è uno degli allenatori più forti in circolazione, sa bene come si vince e sa come costruire la squadra. La sua presenza è uno dei motivi per cui sono rimasto e certamente mi ha portato a migliorare, anche se sono convinto che tanto dipenda da me: sono ancora molto giovane, ho 21 anni e mettendoci testa e fisico posso crescere molto“.

    Foto Verona Volley/Udali

    Quali sono le tue caratteristiche migliori e le cose in cui invece senti di dover migliorare?

    “Sono sempre stato un giocatore forte in attacco, mentre in ricezione credo di essere migliorato, ma devo crescere ancora. Questo è molto importante per la nostra squadra: io, Gaggini e adesso Magalini dobbiamo essere molto affidabili in seconda linea. La battuta è altrettanto importante, perché se battiamo bene il nostro muro, che è molto forte, può creare problemi a tutti. Quindi sì, devo alzare il livello soprattutto in battuta e ricezione, ma anche provare altre soluzioni in attacco e cercare di non spostare troppo le mani a muro“.

    Con la Slovenia venite da una serie di risultati strepitosi. Senti un po’ la responsabilità di dover raccogliere l’eredità di questo gruppo?

    “Be’, per adesso cerchiamo di giocare ancora con questa generazione fino a Parigi: abbiamo ancora Europei e Olimpiadi, adesso il mondo ha visto quanto siamo forti e dobbiamo dimostrare di poterci arrivare. Di sicuro da qui in poi ci saranno più responsabilità per me, ma servono anche altri giovani: abbiamo un po’ saltato in ciclo, visto che nella nazionale c’è un gap di 6 anni tra me e il più giovane. Certamente non sarà facile sostituire questo gruppo“.

    foto Lega Volley

    Da giovane, se così si può dire, hai ottenuto grandi risultati nel Beach Volley. Pensi di tornare sui campi?

    “Adesso è molto difficile, perché appena finisce la stagione ho solo pochi giorni liberi prima di iniziare il lavoro con la nazionale. Se ci sarà un’opportunità alla fine della carriera vedremo, la porta resta sempre aperta. Ma per adesso mi piace troppo la pallavolo indoor!“.

    Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?

    “Il mio sogno è sempre stato giocare in Superlega, adesso che l’ho realizzato il mio obiettivo è diventare uno dei più forti al mondo! Sogno di vincere lo scudetto, le coppe e naturalmente partecipare alle Olimpiadi, che secondo me è una delle cose più belle per uno sportivo“.

    C’è un giocatore con cui ti piacerebbe scendere in campo?

    “Be’, mi piacerebbe essere nella stessa squadra di De Cecco, ha un palleggio incredibile. Anche se già quando ho visto per la prima volta Rapha sono rimasto stupito per il livello eccezionale di certe finte. In generale per adesso sono contento di scrivere una bella storia con questa squadra, poi in futuro si vedrà…“. LEGGI TUTTO

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    Guido Pasciari e il boom del Sitting: “Al primo collegiale c’erano 8 atlete…”

    Di Agnese Valenti

    La pallavolo vista da un’altra prospettiva, nel senso più letterale del termine. La nascita del Sitting Volley e la sua diffusione anche in Italia, specialmente negli ultimi anni, hanno permesso al nostro sport di esplorare nuove frontiere, aprendo orizzonti inediti alle persone con disabilità, ma non solo. Già, perché il volley in versione paralimpica è una disciplina che coinvolge a pieno titolo anche gli atleti normodotati, permettendo loro di approcciarsi allo sport con un diverso punto di vista e una diversa sensibilità, nel segno dell’inclusione.

    A margine di tutto questo sono arrivati, negli anni, i traguardi sportivi: la nascita di un vero Campionato Italiano, la moltiplicazione delle squadre sul territorio, i successi delle squadre di club anche all’estero e, soprattutto, i grandi risultati ottenuti dalla nazionale femminile, che hanno avvicinato al Sitting anche il grande pubblico. Traguardi tagliati grazie all’impegno delle società e della Federazione Italiana Pallavolo, che da anni si è affidata a Guido Pasciari come referente per la disciplina. E proprio al dirigente federale, che è anche presidente della Fipav Campania, abbiamo chiesto di fare il punto sullo sviluppo del settore.

    Foto Instagram Guido Pasciari

    Lei ha dedicato gran parte della sua vita alla pallavolo: nel 2015 la FIPAV l’ha nominata referente nazionale per il Sitting volley. Com’era la situazione della disciplina paralimpica in Italia all’epoca e com’è invece adesso?

    “La FIPAV è entrata a far parte del movimento paralimpico nel 2013, aderendo al CIP, al Comitato Paralimpico Italiano. All’epoca fu costituita una nazionale maschile di Sitting Volley che iniziò a muovere i primi passi partecipando ai Campionati Europei: non ottenne un grosso risultato, ovviamente per l’inesperienza. Sicuramente, l’importanza di quel passaggio internazionale fu l’avere un ritorno di immagine e aprire la possibilità a nuove persone di avvicinarsi al movimento. Poi nel 2015 la Federazione decise di creare anche la nazionale femminile.

    Non mi sarei mai aspettato di essere chiamato: pensavo di poter dare una mano, ma quando mi fu proposto un ruolo così importante, accettai con grande onore questo incarico e da allora è iniziata per me una nuova vita. Sono un allenatore di pallavolo dal 1974, ma il Sitting Volley mi ha cambiato la vita. È la verità: mi ha dato dei punti di vista differenti, sia per quanto riguarda l’approccio allo sport che l’approccio alla vita stessa. Essere vicino e riuscire a dare una voglia di vivere nuova a persone che hanno affrontato delle difficoltà è per me sicuramente motivo di orgoglio.

    La difficoltà principale che abbiamo dovuto affrontare è stato cercare di espandere ancora di più questa disciplina. In Italia non c’è una grossa cultura dello sport: spesso, le persone con disabilità tendono a restare in casa. Quando si è giovani, quando sarebbe fondamentale praticare sport, molto spesso le famiglie, anche per ‘ignoranza’, preferiscono non far uscire questi ragazzi in un mondo che potrebbe sicuramente dare loro tantissimo. Questo ovviamente vale anche per le istituzioni, come la scuola, in cui una società sportiva o una federazione non possono entrare facilmente per cercare nuovi talenti e poterli avviare verso una disciplina sportiva paralimpica, in quello che potrebbe essere un bacino importante“.

    Foto Federazione Italiana Pallavolo

    La nazionale femminile ha raggiunto obiettivi importanti. Due volte argento ai Campionati Europei, nel 2021 ha concluso le Paralimpiadi di Tokyo in sesta posizione, mentre lo scorso anno ai Mondiali è riuscita a raggiungere il quinto posto. Come sta crescendo questa realtà?

    “Nel 2015 ho iniziato a fare delle ricerche su tutto il territorio nazionale e per il primo collegiale convocato, lo ricordo ancora, c’erano solamente 8 atlete, che probabilmente non sapevano nemmeno a cosa andassero incontro! Ricordo ancora l’immagine di queste atlete in palestra con delle espressioni preoccupate, ma ho provato subito a motivarle raccontando loro del nostro primo progetto: andare alle Paralimpiadi di Rio 2016. Sapevo in cuor mio che sarebbe stata una cosa impossibile, ma dopo tre mesi di allenamenti, mi hanno portato in Cina per tentare la qualificazione.

    Ovviamente, il risultato era pressoché scontato, ma non potremo mai dimenticare la prima vittoria assoluta della nazionale femminile contro l’Egitto. Questa gara è stata l’esempio lampante dell’inclusione nel nostro sport. Dalla altra parte della rete c’erano anche atlete con il velo e alla fine della partita non c’era solo la felicità per la nostra vittoria, ma anche il piacere di abbracciare queste atlete così diverse dalle nostre, ma così simili.

    Dopodiché, ho capito che queste atlete potevano e dovevano fare meglio. Mi sono guardato intorno e ho deciso, assieme al Consiglio Federale, di dedicarmi alla parte organizzativa del settore, e ho preso il meglio che in quel momento c’era. Abbiamo deciso di prendere Amauri Ribeiro (oro olimpico a Barcellona ’92 e attuale allenatore della nazionale femminile di Sitting Volley, n.d.r.), che oltre ad essere un grande campione di pallavolo, aveva già realizzato in Brasile quei progetti che io avevo intenzione di fare anche in Italia. Ci siamo incontrati e subito siamo entrati in sintonia: poi sono arrivati il secondo posto agli Europei, ripetuto anche l’anno scorso, il quarto posto ai Mondiale, e poi la prima partecipazione alle Paralimpiadi, a Tokyo 2020, che ci inorgoglisce molto. Ero il capo delegazione della nostra nazionale e per le atlete, entrare nel villaggio olimpico è stata un’emozione immensa“.

    Foto Federazione Italiana Pallavolo

    Lei ha parlato di “inclusione”. Il Sitting Volley è una disciplina in cui gli atleti non hanno la necessità di utilizzare altri supporti e che è quindi aperto sia a persone con disabilità che anche ad atleti che non hanno una disabilità: potrebbe essere questo un modo per far crescere il movimento?

    “Come Federazione, da 5 anni organizziamo il Campionato italiano, la Supercoppa e la Coppa Italia sia con atleti con disabilità che atleti senza disabilità in campo. Questo è l’aspetto più bello di questa disciplina, che mi emoziona ogni giorno. Nel mio ambito, nella mia piccola società sportiva (Nola Città dei Gigli, n.d.r.) tutti i praticanti della pallavolo, tutti coloro che vengono in palestra, dedicano 10 minuti a giocare a Sitting volley insieme a persone più grandi o a persone con disabilità. L’inclusione è l’aspetto più bello di questa disciplina, perché vedere ragazzine e ragazzini di 14-15 anni interagire con un atleta con disabilità, che magari deve togliersi la protesi per giocare, sono aspetti che ancora mi emozionano e credo che emozionino tutti quelli che fanno parte di questo mondo. È un fattore fondamentale per la crescita di questi ragazzi.

    Io credo che il Sitting, partecipare e vedere questa disciplina, sia una molla che possa aiutare a capire valori importanti. Un altro esempio: recentemente, sono stato chiamato da un gruppo di Scout della mia città, Nola, i quali avevano intenzione di far vedere ai loro ragazzi, sui 15-16 anni, cosa voglia dire praticare uno sport paralimpico. Mi hanno raccontato di voler sperimentare questa disciplina proprio per mostrare che lo sport paralimpico è esempio di inclusione e della possibilità di fare qualcosa oltre i proprio limiti. Sono rimasto veramente affascinato“.

    Foto Federazione Italiana Pallavolo

    Lei ha avuto un’importante esperienza a livello internazionale, che l’ha anche spinta a candidarsi come vicepresidente di World ParaVolley: come valuta quest’attività al di fuori dei nostri confini, a contatto con altre realtà paralimpiche? Quali differenze ha trovato tra la realtà del Sitting Volley italiano e le altre?

    “Io mi sono avvicinato al ParaVolley Europe qualche anno fa. Una volta avviata la disciplina in Italia, ho pensato di far conoscere il nostro movimento anche a livello internazionale. Ovviamente, quando l’Italia si è mossa in questo nuovo mondo, è stata accolta a braccia aperte. Ho l’onore di essere parte del Board del ParaVolley come Marketing Director e l’anno scorso sono stato proposto come vicedirettore del World ParaVolley. La proposta mi ha spiazzato: passare da Nola al World ParaVolley! C’è un pizzico di rammarico per il risultato, ma allo stesso tempo è stata una bella esperienza: non avrei mai immaginato di poter raggiungere un obiettivo così importante. L’Italia è entrata in maniera dirompente nel mondo del ParaVolley mondiale: ormai da un paio d’anni si organizzano in Italia finali di Champions Cup, di EuroLeague, importanti manifestazioni internazionali. Quest’anno la Fipav, oltre agli Europei Maschili e Femminili indoor di Pallavolo, organizzerà gli Europei maschili e femminili di Sitting Volley, che si disputeranno in Veneto nel mese di ottobre. Questo è un altro segnale che attesta la valenza della nostra Federazione“.

    Foto Federazione Italiana Pallavolo

    Come si sta sviluppando il movimento del Sitting Volley a livello territoriale e di club?

    “Come sport, siamo un po’ anomali: siamo partiti dall’alto, dalle nazionali, per poi creare attività di club. Si sta riuscendo a lavorare bene con le squadre: anche amministrativamente per il prossimo anno avremo un tesseramento e un’affiliazione dedicate alle società che vorranno fare esclusivamente Sitting Volley. A luglio abbiamo avuto come ospite il presidente del World ParaVolley e del ParaVolley Europe: vedono che l’attività in Italia va bene e stanno crescendo i numeri delle squadre partecipanti ai vari campionati.

    Come dicevo prima, questo è il sesto anno che organizziamo diverse manifestazioni a livello di club, ma quest’anno abbiamo voluto abbracciare l’attività promozionale ai massimi livelli e, grazie all’aiuto che abbiamo avuto dal mondo Rotary, quest’anno inizierà il primo campionato assoluto promozionale dedicato alla Rotary Cup, una manifestazione che è nata qualche anno fa in Emilia Romagna e che si è sviluppata anche a livello interregionale. Quest’anno, grazie ai bellissimi rapporti del nostro mondo, siamo riusciti a coinvolgere Rotary per organizzare questa manifestazione a livello nazionale e ben 20 squadre da tutta Italia si sono iscritte. Ci sarà quindi questo bellissimo campionato misto, tra uomini donne, atleti con e senza disabilità, persone di tutte le età“.

    Foto Federazione Italiana Pallavolo

    Con i Campionati Europei puntate quindi ad avere una maggiore visibilità come Fipav, ma anche come Comitato Paralimpico.

    “Abbiamo intenzione di pubblicizzare i Campionati Europei di Sitting Volley anche sfruttando l’onda di partecipazione e di supporto per quanto riguarda gli Europei di pallavolo. Organizzare nello stesso anno Europei di pallavolo e di Sitting è il segnale di una grande Federazione. Il suo punto di forza sono i rapporti con il CIP del Presidente Luca Pancalli, che ci è vicinissimo, e senza il quale tutto questo non sarebbe stato possibile, grazie al contributo economico del CIP ma soprattutto al contributo di idee che il Comitato riesce a dare. Io tra i due presidenti, Giuseppe Manfredi e Luca Pancalli, raccolgo tante idee e soprattutto consensi per la nostra disciplina.

    Vorrei concludere con un ultimo esempio. Quando sono tornato da Tokyo qualcuno mi ha chiesto: cosa ti ha colpito nel partecipare ad una Paralimpiade? È stato un grande onore andare da capo delegazione a Tokyo con la mia nazionale. Sono stato 21 giorni in Giappone e quello che ho notato è che… non ho notato la diversità. Lo dico con sincerità: non si deve guardare alla disabilità, ma all’atleta. Non ho visto la diversità, ma ho visto atleti e atlete. Abbiamo vinto 69 medaglie, eravamo a casa Italia, con gli altri campioni che hanno inorgoglito tutti quanti. Le Paralimpiadi sono la massima espressione del bello e dello sport. Nei giorni scorsi ho letto una dichiarazione di Alex Zanardi, che diceva: ‘Quando mi sono risvegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa’. Ecco, questa è la logica olimpica e paralimpica“. LEGGI TUTTO

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    Greta Szakmary, non è mai troppo tardi: “Per l’Italia ho aspettato il momento giusto”

    Di Alessandro Garotta

    Chi dice che bisogna sentirsi realizzati prima dei 30 anni mente sapendo di farlo, perché spesso in età matura accadono le cose più belle, quelle per cui hai lavorato una vita affinché arrivassero e ti riempissero di soddisfazione. A volte la risposta la trovi nelle stelle, altre volte ce l’hai proprio di fronte, ma la scopri solo dopo aver percorso un lungo tratto di strada: a Greta Szakmary è andata così, poiché la sua “Stairway to Heaven” è cominciata dopo rispetto alla consueta tabella di marcia.

    Dopo aver scomodato i Led Zeppelin, possiamo citare il filosofo tedesco Gotthold Ephraim Lessing e chiedere direttamente alla schiacciatrice ungherese della Cuneo Granda S.Bernardo – che a 31 anni sta vivendo la sua prima esperienza nella Serie A1 italiana, il campionato più competitivo al mondo – se “l’attesa del piacere è essa stessa piacere“.

    Foto Danilo Ninotto/Cuneo Granda Volley

    Greta, partiamo dalla tua esperienza a Cuneo. Come ti trovi?

    “Mi trovo molto bene. Le compagne sono gentili e amichevoli, e questo è un punto di partenza importante per divertirci in ciò che facciamo. Fortunatamente ovunque abbia giocato ho sempre trovato una buona atmosfera all’interno del team e Cuneo non fa eccezione“.

    Come descriveresti la tua squadra e quali sono le aspettative per la seconda parte di stagione?

    “Penso che Cuneo possa contare su elementi di qualità in ogni reparto. Se riuscissimo a trovare l’equilibrio perfetto, a esprimerci costantemente ad alti livelli e a giocare sempre la nostra pallavolo potremmo raggiungere grandi traguardi nella seconda parte della stagione“.

    Foto Danilo Ninotto/Cuneo Granda Volley

    È la prima volta che giochi in Italia. Cosa ti piace di più del nostro paese e come passi il tempo quando non sei impegnata in palestra?

    “Il caffè, la pasta, la pizza! Ok, scherzo (ride, n.d.r.). Però, è vero che amo la cucina italiana e mi piace uscire a cena, andare al mercato ad acquistare il pesce, le verdure e la frutta fresca, girare per le vie del centro piene di bar e boutique, e fare una pausa prendendo un caffè. E poi ci sono l’arte, l’architettura, ecc.: l’Italia è un paese davvero speciale“.

    Sei arrivata a giocare nei campionati più importanti al mondo dopo i 30 anni. Hai superato le tue aspettative oppure hai sempre saputo che avresti giocato in Turchia e in Italia?

    “Penso di non dire qualcosa di strano, ma tutte le giocatrici straniere ambiscono a giocare in Italia. Questo era il mio sogno da quando avevo 12 anni. Mi sono trasferita per la prima volta all’estero abbastanza tardi, quando avevo 25 anni, per iniziare la mia carriera da professionista vera e propria allo Schwerin. Insieme al mio manager Costantino Tontarelli, ho lavorato passo dopo passo per realizzare il mio sogno: volevo aspettare il momento giusto per arrivare pronta in Italia. Così, dopo l’esperienza in Germania, ho provato a giocare nel campionato turco e devo dire che mi è piaciuto molto.

    A quel punto era il momento di iniziare una nuova sfida e ho deciso di venire a giocare in Serie A1, il miglior campionato del mondo. Ero pienamente consapevole del passo che stavo facendo: avevo già avuto modo di giocare contro club italiani nelle coppe europee quando ero allo Schwerin e all’Aydin, quindi non mi ha sorpreso la qualità della pallavolo. Ora cerco solo di fare del mio meglio, affrontando nuove sfide ogni giorno e aiutando la squadra a raggiungere i suoi obiettivi“.

    Foto Danilo Ninotto/Cuneo Granda Volley

    Qual è il segreto della tua continua crescita come giocatrice?

    “Direi la volontà di essere migliore rispetto al giorno precedente. C’è sempre qualcosa su cui lavorare, anche perché le stagioni sono lunghe e quindi bisogna adattarsi alle varie circostanze. Non c’è sensazione più bella quando giochi e puoi avere il completo controllo sui tuoi movimenti e su quello che vuoi fare“.

    Qual è stata la chiave di volta della tua carriera? L’esperienza all’SSC Palmberg Schwerin?

    “Penso che gli ultimi due anni in Ungheria, prima di trasferirmi in Germania, siano stati uno spartiacque fondamentale, perché ho cominciato a lavorare sul serio e ho iniziato a pensare da giocatrice professionista. Invece, allo Schwerin ho sperimentato per la prima volta un sistema di gioco ‘più europeo’: era la mia prima esperienza all’estero e sono cresciuta tanto tecnicamente e mentalmente“.

    Quali differenze hai riscontrato nella pallavolo in Italia, Turchia e Germania?

    “Il gioco in Germania non è molto veloce, anche se le giocatrici sono abili tecnicamente e rapide nei movimenti. In Turchia, così come in Italia, ormai tutti giocano una pallavolo veloce e le avversarie sono generalmente molto alte e forti fisicamente. Penso che per chiunque giocare in questi paesi sia davvero un piacere“.

    Foto Danilo Ninotto/Cuneo Granda Volley

    C’è un momento della tua carriera che non dimenticherai mai?

    “Ho vissuto tanti bei momenti durante la mia carriera, dalle prime medaglie d’oro a vittorie indimenticabili rimontando da situazioni di svantaggio. Per esempio, non dimenticherò mai come con la nazionale ho raggiunto la qualificazione ai Campionati Europei 2017. Avevamo perso nettamente per 3-0 in Romania. Ma al ritorno, in un palazzetto caldo e passionale con tantissimi tifosi ungheresi, dopo aver perso il primo set abbiamo ribaltato il risultato e vinto il Golden Set. Qualcosa di fantastico“.

    Quali sono i tuoi sogni per il futuro?

    “Ho tanti sogni nel cassetto, che riguardano sia la pallavolo sia l’ambito personale. Tuttavia preferisco tenerli segreti finché non diventeranno realtà“.

    Un’ultima curiosità: chi è Greta Szakmary fuori dal campo?

    “Sono una persona molto legata alla propria famiglia. Amo trascorrere il tempo libero con i miei cari, gli amici e coloro a cui voglio bene. Mi piace stare in compagnia, divertirmi, vivere la vita con il sorriso, viaggiare, andare alla scoperta di cose nuove, ascoltare la musica, andare alle feste e a pesca con mio padre durante le vacanze estive, ma anche rilassarmi a casa dopo una lunga giornata“. LEGGI TUTTO

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    Zoe Fleck, arma segreta di Texas: “Il mio compito era dare fiducia alla squadra”

    Di Alessandro Garotta

    Sul titolo NCAA vinto dalle Texas Longhorns ci sono tantissime firme di rilievo: Logan Eggleston è senza dubbio il volto da copertina, il capo allenatore Jerritt Elliott ha lasciato un segno indelebile nella storia del programma pallavolistico dell’ateneo di Austin, e tante altre giocatrici come Asjia O’Neal, Madisen Skinner e Saige Ka’aha’aina-Torres sono state fondamentali nella Final Four di Omaha per mettere il punto esclamativo a una stagione perfetta.

    Non vanno però dimenticate le super prestazioni del libero Zoe Fleck: monumentale in ricezione, sontuosa in difesa e nelle coperture, con ulteriori miglioramenti rispetto al precedente biennio a UCLA e una mentalità da leader tecnica ed emotiva. Non è casuale il suo inserimento nel First Team All-America, la squadra ideale dell’ultimo campionato.

    Dopo essersi presentata ai lettori di Volley NEWS qualche mese fa, il miglior libero della fall season 2022 ha condiviso insieme a noi le emozioni per il titolo vinto.

    Foto Texas Athletics

    Zoe, parlaci della vittoria del campionato NCAA con le Texas Longhorns. Cosa hai provato al raggiungimento di questo traguardo?

    “Sotto molti punti di vista avevo approcciato questa stagione in Texas come se fosse la mia prima ‘esperienza da professionista’. Mi sono trasferita dall’altra parte degli Stati Uniti, sapendo che avrei avuto a disposizione solo un anno per entrare nei meccanismi della squadra e aiutarla a raggiungere un obiettivo ben preciso: vincere il campionato nazionale. Durante questo percorso, mi sono affezionata alle compagne, allo staff e all’intero programma della University of Texas a tal punto che, una volta raggiunto il nostro obiettivo, ho provato la sensazione più incredibile di sempre su un campo di pallavolo. Inoltre, la mia ultima partita al college è concisa con quella che mi ha regalato il titolo: non ci poteva essere miglior modo per chiudere un capitolo così importante della mia carriera“.

    Se ripensi alla Final Four, qual è la prima istantanea che ti viene in mente?

    “L’abbraccio con il mio compagno al termine della partita, sul campo ricoperto di coriandoli, è un ricordo che resterà per sempre nel mio cuore. Ha fatto davvero tanti sacrifici per sostenermi negli ultimi quattro anni (incluso trasferirsi in Texas al mio seguito), perciò condividere quel momento insieme a lui è stato speciale. Dal momento che mi seguirà ovunque andrò, spero di vivere tanti altri momenti del genere durante il prosieguo della mia carriera!“.

    Foto Texas Athletics

    Quali fattori hanno deciso la finalissima contro le Louisville Cardinals?

    “Un rendimento migliore al servizio e in ricezione è stato il fattore che ha spostato gli equilibri della finale dalla nostra parte. Questa, però, è una risposta un po’ noiosa, non credi? In realtà, penso che sia stato il sangue freddo a fare la differenza in quella partita. La squadra ha giocato senza tensione ed è stata sempre sul pezzo. Durante i primi scambi, quando un po’ di nervosismo sarebbe stato comprensibile, ho guardato le mie compagne e ho capito che sarebbe servita un’impresa per fermarci quella sera. È davvero una bella sensazione quando si gioca una sfida così importante“.

    Come descriveresti la mentalità che ha permesso a Texas di vincere quest’anno?

    “Per tutta la stagione lo staff ha fatto un lavoro straordinario per farci rimanere concentrate sul presente, indipendentemente dalla situazione o dall’importanza della partita. Solitamente Texas inizia le sue stagioni affrontando subito alcune delle migliori squadre del paese, ma quest’anno c’erano ben 11 volti nuovi (tra matricole e trasferimenti), me compresa: probabilmente avremmo dovuto indossare i cartellini con i nomi per riconoscerci nelle prime partite… Tuttavia, fin da subito non abbiamo cercato di dimostrare nulla a nessuno, eravamo solo focalizzate sul tocco successivo. Penso che siamo riuscite a mantenere questa concentrazione in ogni partita. Grandi meriti vanno allo staff tecnico, ma anche a noi giocatrici visto che non abbiamo mai perso il focus, rendendo più semplice il raggiungimento del nostro obiettivo“.

    Foto Texas Athletics

    Logan Eggleston ha detto di te: “Credo che abbia cambiato completamente lo spirito della squadra“. Cosa pensi di aver dato alle Longhorns in questa stagione?

    “Ho sempre cercato di portare un livello costante di intensità difensiva ovunque abbia giocato, ma in questo caso bisogna dire che lo staff di Texas aveva fatto un lavoro eccezionale per assemblare un roster molto profondo, con tante giocatrici che aspirano a diventare professioniste. Quando arrivava il momento della partita, il mio obiettivo era solo quello di infondere fiducia alla squadra perché sapevo di avere al mio fianco alcune delle migliori giocatrici del campionato e di allenarmi a un livello straordinario“.

    Quali sono i tuoi piani per il futuro? Hai intenzione di diventare professionista a gennaio?

    “Amo la pallavolo, quindi vorrei giocare il più a lungo possibile e al più alto livello possibile. Seguo molto i campionati professionistici e non vedo l’ora di mettermi alla prova e migliorare come giocatrice. Mi piacerebbe trovare squadra già a gennaio, ma sono consapevole che la maggior parte dei club non vanno alla ricerca di un libero a questo punto della stagione e che per la mia crescita è importante andare in un campionato di alto livello. Perciò, resterò in attesa della giusta occasione“.

    Foto Texas Athletics

    Quali sono i tuoi obiettivi e desideri per l’anno nuovo?

    “Come ti avevo accennato l’ultima volta, cerco di non creare mai troppe aspettative perché questo rende più difficile provare gratitudine per il momento presente. Quindi, il mio obiettivo per il 2023 è lo stesso del 2022: vivere ogni giorno al massimo, imparando sempre di più sulla pallavolo e godendomi la crescita come atleta e come persona“. LEGGI TUTTO

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