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    Alcaraz si racconta a Vogue: “Vedere Federer era ammirare un’opera d’arte. Dopo la vittoria a US Open ho sentito di aver perso un sogno”

    Carlos Alcaraz su Vogue

    Carlos Alcaraz si è raccontato in una lunga intervista (con annesso servizio fotografico) rilasciata al magazine Vogue. Il giovanissimo campione di El Palmar si è soffermato su molti aspetti della sua vita, giovinezza e carriera attuale. Ha voglia di vincere, imponendo quel suo tennis esuberante, senza alla ricerca del punto e del gran colpo, ma ammette come la vittoria a New York gli sia costata a livello di maturazione. È come se dopo quel successo non si fosse sentito più quel bambino che rincorreva il sogno di sempre, e ripartire è stato difficile. Riportiamo alcuni passaggi dell’intervista.
    “Rafa è qualcuno che ho sempre guardato”, afferma Carlos. “Lo ammiro molto. Ma Federer… la classe che aveva, il modo in cui proponeva il tennis alla gente, era bellissimo. Guardare Federer è come guardare un’opera d’arte. È eleganza, ha fatto tutto magnificamente. Sono rimasto incantato da lui”.
    Nelle pause degli allenamenti, studia anche inglese: “Sono migliorato, ma ho ancora molta strada da fare! Film? Sì! Sylvester Stallone. Sai: Rocky Balboa…”.
    Un altro dei suoi hobby è giocare a scacchi. Proprio come Daniil Medvedev: “Gli scacchi sono un mio grande hobby, li amo. Doversi concentrare, giocare contro qualcun altro, la strategia, dover pensare alle prossime mosse. Penso che tutto questo sia molto simile al campo da tennis. Devi intuire dove l’altro giocatore manderà la palla, devi muoverti in anticipo e cercare di fare qualcosa che lo metta a disagio. Quindi ci gioco molto, mi diverte e penso che sia molto utile”.
    Recentemente è diventato testimonial per l’intimo di Calvin Klein, ma in realtà al momento il mondo della moda non lo affascina così tanto: “Mi vesto in modo molto semplice, e per ora non ci presto tutta quest’attenzione. Nemmeno a cose più costose, come le auto. Se mi piace qualcosa, magari lo compro, è mio padre che si prende cura dei miei guadagni. L’unica cosa per la quale vado matto sono le sneakers Nike”, afferma Carlos”. vado a cercare alcuni modelli vintage difficili da trovare e che sono piuttosto costosi, è roba esclusiva. È questo è il genere di cose che compro, se mi piacciono. Ci sono alcune Jordan, alcune Dunk Low, alcune che Travis Scott ha rilasciato. Voglio avere una grande collezione, questo è il mio obiettivo, comunque. Adesso ne ho circa 20 ma ne avrò molte di più!”.
    Ha parlato dell’importanza della psicologa Isabel Balaguer che lo segue da un po’ di tempo: “Mi ha aiutato molto, ero un po’ …sopra le righe. Non controllavo bene le mie emozioni, mi arrabbiavo di brutto. Quando avevo 15 o 16 anni lanciavo la racchetta in giro, o ne rompevo una, e questo metteva a rischio il mio gioco perché non mi controllavo. Sapevo che dovevo migliorare sotto questo aspetto. Grazie a Isabel sono migliorato molto. Sentirsi sereni durante un anno così impegnativo è fondamentale. E dal mio punto di vista, è fondamentale scendere in campo sorridendo, sentendosi felici. Questo ti aiuta mentalmente. Per me è tutto”.
    Ammette che tornare in campo dopo il grande successo a US Open, essere diventato il n.1 più giovane di sempre, è stato difficile. Ha capito per la prima volta il significato della parola stress, della pressione. Che tutto era cambiato di colpo e doveva trovare dentro di sé nuovi stimoli: “New York è stato incredibile, ma… la verità è che quando sono dovuto tornare in torneo c’è stato un momento in cui ho detto ‘Stress! ..e ora?’. Forse non avevo pienamente compreso quello che era successo. O forse, istintivamente, ho realizzato di aver perso un sogno. Penso che quello che è successo è che quando ho visto che avevo raggiunto ciò che sognavo da quando ero un ragazzino, inconsciamente quell’aspirazione si è come un po’ offuscata. È stato difficile. Perché nessuno si stava divertendo più! Io in campo, no; Juanki no, vedendomi così spento e privo di quel fuoco. Ho pensato, dove vado adesso?”
    Parole molto interessanti, che raccontano come questo formidabile talento stia crescendo in campo e come uomo. Pronto a nuove grandi sfide. LEGGI TUTTO

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    Feliciano Lopez rientra: “Se avrò wild card al Queen’s, sarà il mio ultimo torneo. Come è cambiato il tennis? Tantissimi soldi…”

    Feliciano con Tsitsipas ad Acapulco 2022

    Feliciano Lopez si appresta al suo ultimo “giro di Tango”. Il 41enne mancino di Toledo, da anni anche direttore del torneo Masters 1000 di Madrid, disputerà questa primavera alcuni tornei, prima di appendere la racchetta al chiodo e dedicarsi interamente al lato manageriale dello sport che l’ha accompagnato per tutta la vita. Con una wild card parteciperà al 500 di Acapulco, poi con altri inviti disputerà i tornei di Barcellona e Maiorca. Invece ha scartato l’idea di partecipare al “suo” torneo di Madrid. L’idea sarebbe quella di ritirarsi sull’erba di Queen’s, torneo a lui estremamente caro, dove ha giocato probabilmente il miglior tennis in carriera nonostante l’età avanzata e vinto i suoi ultimi due trofei (2017 e 2019). Ne ha parlato al quotidiano Marca, insieme ad altre considerazioni sul tennis in generale, a suo avviso cambiato terribilmente soprattutto per i tanti soldi in palio.
    “È confermata la mia presenza ad Acapulco, Barcellona e Maiorca. Ho chiesto qualche altra wild card, come al Queens. Se me lo danno a Londra, il mio ultimo torneo sarà lì. Questa è l’idea che ho in testa” afferma lo spagnolo.
    “Alla fine ho scartato l’ipotesi di giocare a Madrid. Dovrei chiedere l’invito e alla fine non so se ne vale la pena. È un anno molto importante per il torneo con il cambio di tabellone, con tutte le cose che dobbiamo fare nella Caja Mágica. Poter lavorare al meglio senza altre distrazioni ha pesato di più che avere un bel saluto dal pubblico, di cui non ho bisogno e non ne ho neanche tanta voglia. La cosa più coerente è lavorare per il torneo con il cambio di format. Ci sono molte sfide da affrontare”.
    “Mi è sempre stato chiaro che volevo ritirarmi da giocatore, con qualche altro torneo di buon livello”, continua Feliciano. “L’anno scorso ho capito che era giunto il momento e ho preso la decisione. E volevo farlo così finché andava bene. Ecco perché sono andato a Maiorca per prepararmi per alcuni giorni. L’anno scorso ho giocato a malapena dopo Wimbledon, non mi stavo preparando ed è per questo che alla fine mi sono infortunato due volte, infortuni tipici dell’inattività. Non avevo mai avuto problemi muscolari nella mia lunga carriera. La gente si sta comportando molto bene con me, sono grato che mi stiano invitando a partecipare ai tornei”.
    Lo scorso anno “Feli” vinse in doppio proprio ad Acapulco in coppia con Tsitsipas: “Ho conosciuto un milione di giocatori nel circuito ma con Stefanos abbiamo legato subito. È un ragazzo timido, parlo con suo padre, conosco Patricio, il suo agente, da tanti anni. Ci siamo incontrati per giocare un doppio e il rapporto è nato così, a poco a poco. Ci siamo divertiti. Oltre ad Acapulco, potremmo giocare a Barcellona e qualche altro torneo per finire il ciclo”.
    Chiedono se si vede in futuro nel box del greco: “A breve o medio termine, non so se mi vedo davvero come l’allenatore di qualcuno. Non è qualcosa che sto considerando in questo momento. Se si presenta l’opportunità di allenare, la valuterei seriamente perché amo il tennis. Ed essere in grado di fornire a qualsiasi giocatore il mio aiuto e la mia esperienza, sarebbe fantastico, è una idea che non scarto affatto”.
    Feliciano Lopez molto probabilmente resterà nella storia del gioco per l’incredibile record di partecipazioni consecutive ai tornei dello Slam: 79! Un numero pazzesco, che lui stesso considera quasi impossibile da battere: “È evidente che il mio record è difficile o quasi impossibile da battere. Sono passati 20 anni senza mai saltarne uno. Sono stato continuo e un po’ fortunato. Ci sono altri record pazzeschi nella mia epoca, come gli Slam dei grandi Roger, Rafa e Novak, non è tanto i 20 o 22 Slam ma tutto quello che hanno dovuto fare e dare per arrivarci. È qualcosa di incredibile”.
    Dall’alto della sua esperienza, Lopez ha attraversato più generazioni e cambiamenti. A suo dire il tennis è cambiato tantissimo, soprattutto per la montagna di soldi che oggi guadagnano i migliori. Leggendo tra le righe delle sue parole, si intuisce che forse a suo dire i soldi sono quasi “troppi”: “Il tennis è cambiato molto negli ultimi 15-20 anni. Ci sono molti più soldi, davvero tanti di più. E nei tornei dello Slam sono più che raddoppiati. I giocatori non hanno bisogno di giocare tanti tornei per guadagnare quello a cui erano abituati prima. Ricordo Federer che giocava in una finale dell’Australian Open e il venerdì successivo giocava a Bucarest sulla terra battuta. E Rafa ha vinto gli US Open e poi si è recato a Cordoba per giocare a 40 gradi. Questi sono esempi che mi sono appena venuti in mente, ma potrei metterne un milione. Erano già i migliori della storia, ma erano disposti a fare cose che forse i tennisti di oggi non fanno. Comunque per me non esiste competizione più bella della Coppa Davis”.
    Proprio sulla Davis ecco l’ultima risposta di Lopez, molto triste per come sia finita la rivoluzione cercata con Kosmos. “Beh, la questione Davis mi ha reso triste, davvero. Mi è dispiaciuto per la competizione. Sono stato un giocatore di Coppa Davis in diversi formati. Ho sostenuto molto il progetto Kosmos inizialmente, è stata l’azienda che ha avuto il coraggio di scommettere su un cambio di format. Le cose non sono andate bene e per vari motivi gli obiettivi non sono stati raggiunti. Questo non è il momento di cercare qualcuno da incolpare, ma di pensare a cosa succederà d’ora in poi con il torneo. L’International Tennis Federation ha un ruolo perché ha venduto una competizione secolare e ora il tutto torna nelle sue mani un po’ screditata e svalutata. L’importante è che la Coppa Davis abbia ancora una volta l’impatto che ha avuto in passato. È la storia del gioco, spero possa riguadagnare prestigio ma serve molta attenzione per il suo rilancio”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Alessandro Bovolenta: “Ho trovato la mia strada, con l’aiuto di mamma”

    Di Roberto Zucca

    Ho avuto un flash a metà intervista, ossia ricordare che la persona dall’altra parte del telefono ha solo diciannove anni. Premetto che la storia del suo cognome potrebbe sviare da considerazioni troppo emozionali o far virare la conversazione sulla vita di una famiglia che, al di là della pallavolo, è nel cuore di tutto il movimento. Occupiamoci, però, dell’essere Alessandro Bovolenta, dell’essere una delle più grandi promesse del nostro volley, dell’aver già dimostrato a tutti – con le nazionali giovanili e con la Consar RCM Ravenna – che la stoffa, il carattere e il talento ci sono.

    E soprattutto, che tutte queste caratteristiche non sono comprese nel cognome che si porta, ma piuttosto si allenano, si affinano: “Con l’aiuto di mamma – afferma fin da subito Alessandro – Questo va detto, perché lei ha sempre tenuto me e i miei fratelli con i piedi per terra. Sì, le soddisfazioni, piccole o grandi, per me sono arrivate. Ho trovato la mia strada, quello che faccio mi piace. Ma lei mi ha sempre detto che dovevo lavorare e divertirmi. Senza pensare al dopo o a tutte quelle cose che si creano quando una persona inizia ad ottenere qualche successo“.

    In questi si giorni si parla molto di Zaniolo, delle persone che lo circondano che spesso non fanno il suo bene e di un grande talento forse bruciato. Le posso chiedere un’opinione da tifoso e da sportivo?

    “Io sono tifoso della Roma dalla nascita, e spero anche di avere l’opportunità di andare a vedere una partita all’Olimpico con Arianna molto presto. Posso dirle che è un ragazzo che ha avuto molto da questa società e forse era arrivato il momento che anche lui desse qualcosa a questa Roma. Quegli atteggiamenti, quei rifiuti, quei comportamenti e quelle provocazioni non sono stati una scelta vincente, tanto più nei confronti di una società e di tifosi che su di te hanno sempre riversato tanto entusiasmo, oltre ad averti supportato. Nello sport ci vuole rispetto e riconoscenza“.

    Foto Porto Robur Costa 2030

    È questo a cui è stato educato?

    “Senza dubbi. Ho avuto la fortuna di trovare, oltre la famiglia, allenatori e figure che mi hanno insegnato il senso di questo sport e la disciplina alla quale bisogna convertirsi, se si vuole fare un certo tipo di strada“.

    Uno di questi è stato Velasco, durante il periodo in azzurro.

    “Lui è un grande motivatore. Ci ha parlato spesso dell’essere professionisti e del cercare di esserlo, pur non dimenticandosi che i traguardi raggiunti sono paralleli all’età che si sta vivendo. Vincere da ragazzi è un incredibile iniezione di entusiasmo e un grande motore. Ma va vissuto tutto con la consapevolezza dell’età con cui si ottiene quel determinato obiettivo. Soprattutto bisogna viversi la propria adolescenza“.

    Lei come ama viverla?

    “Mi piace trascorrere molto tempo con i compagni di squadra. Mi piace condividere i momenti non solo dentro il campo, ma anche fuori. Mi basta poco per essere felice: una cena, un sushi, in compagnia di amici come Mancini, Orioli, con cui ci conosciamo da sempre. Non le cito tutti i compagni, ma dovrei davvero fare il nome di tutti, perché siamo davvero una bella squadra“.

    La squadra. Ravenna. Tanti giovani su cui scommettere?

    “Una bella scommessa. Una squadra che può fare di più, certamente, ma una squadra di ragazzi entusiasti di potersi giocare la serie A2“.

    foto Lega Volley

    Il quinto posto è a pochi punti. Si punta verso l’alto o verso il basso?

    “Da qualche settimana è arrivato anche Swan Ngapeth, che ha certamente potenziato il reparto degli schiacciatori. Dobbiamo cercare di risalire di qualche posizione. La volontà c’è“.

    Siete tra i pochi ad aver fatto realmente sudare Vibo Valentia in casa propria.

    “Loro sono uno squadrone. Ci sono elementi come Orduna e Buchegger che hanno giocato qui a Ravenna e sono fortissimi. Speriamo di riuscire a fare meglio in casa da noi!“.

    Alessandro Bovolenta che campionato sta giocando?

    “Potrei fare molto di più alle volte, mentre altre viene meglio tutto. In generale non posso lamentarmi. Penso sia un anno importante per me. Ho giocato e provato la scorsa stagione a fare qualcosa che non era perfettamente nelle mie corde, così quest’anno ho cambiato ruolo e con Marco (Bonitta, n.d.r.) stiamo impostando un gioco diverso“.

    Sente la pressione di tutto questo?

    “Come dice Coach Battocchio, bisogna certamente giocare per divertirsi. La pressione è per pochi, ovvero per i privilegiati. Quindi anche se la sentissi, ho imparato e imparerò a gestirla al meglio possibile“.

    Alessandro Bovolenta – Foto Porto Robur Costa 2030

    Per lei si dice ci siano grandi squadre pronti ad attenderla. Mi dica quale sente più nelle sue corde in Superlega.

    “Posto che non ci sto minimamente pensando, le dico che Trento sta facendo davvero un bel progetto con gli italiani e mi piace molto. Modena e Perugia sono piazze in cui ha giocato papà, molto belle. La Lube è una grandissima squadra“.

    Lei è tra l’altro molto legato a Ravenna.

    “Per me è casa“.

    Un luogo del cuore di Ravenna?

    “Casa mia. Attualmente vivo in foresteria con altri ragazzi. Quando posso, e quando ho voglia di respirare l’aria di famiglia, mi rifugio a casa. Il mio cuore resta sempre lì“. LEGGI TUTTO

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    Musetti si racconta in Argentina: “Il rovescio a una mano è il colpo più elegante. È un momento storico per il tennis italiano, la gente lo segue moltissimo”

    Lorenzo Musetti

    Lorenzo Musetti in quel di Buenos Aires ha rilasciato un’intervista al collega Sebastian Torok, pubblicata sulle colonne de La Nacion, nella quale si racconta e parla anche del bel momento che sta attraversando il tennis in Italia. Non a caso il titolo del media albiceleste parla di “Rinascimento” del tennis italiano e di “artista vintage” riferito a Musetti, giocatore che affascina moltissimo gli appassionati in Argentina grazie al suo tennis classico e con movenze eleganti. Riportiamo le parti salienti dell’intervista.
    “Questa è la mia seconda volta in Argentina. La prima ero venuto per i Giochi Olimpici Giovanili, nel 2018. In termini di tennis, non fu il massimo perché persi al primo turno, ma ho comunque dei bei ricordi. Abbiamo molte cose in comune tra l’Argentina e l’Italia, c’è un forte legame, le radici, il calcio, il cibo, il modo di vivere i rapporti…”.
    “Mio padre, Francesco, lavora nell’industria del marmo, mia madre, Sabrina, non ha mai lavorato nel settore; lo ha fatto come segretaria. In città tutto ruota intorno al marmo, ovviamente. È la più grande fonte di reddito. Abbiamo la fortuna di avere cave di marmo e siamo famosi in tutto il mondo per questo”.
    Fanno notare a Lorenzo come i numeri in classifica dei migliori azzurri riprendono quelli degli anni ’70, con Panatta, Barazzutti e Bertolucci. Ex giocatori che il toscano rispetta moltissimo: “Ho molto, molto rispetto per Adriano (Panatta), per Corrado Barazzutti, che è stato il capitano della Coppa Davis. Quando sono entrato nella squadra Davis (2021), il capitano era già Filippo Volandri. Noi giovani dobbiamo guardare al passato e alla storia, è giusto che lo facciamo. Al momento stiamo scrivendo nuove pagine di storia nel tennis del nostro paese e siamo molto orgogliosi di ciò che sta accadendo, ma non possiamo dimenticare ciò che è accaduto”.
    In Italia e Argentina, lo sport principale è il calcio, ma il tennis si è ritagliato un posto sempre crescente: “Assolutamente. Adesso ci sono tante persone che seguono il tennis, che si informano, che si documentano e che di tennis, per dirla in qualche modo, si cibano. Abbiamo Jannik (Sinner), Matteo (Berrettini), (Lorenzo) Sonego, Fabio (Fognini) e (Simone) Bolelli. E ci sono tanti altri giovani che sono fuori dalla Top 100 ma vicinissimi ad entrarci. È un momento storico per il tennis italiano e la gente lo sente e lo vive molto. Penso che quest’anno, a maggio, il torneo di Roma sarà incredibile. E il futuro sarà ancora migliore”.
    Per Musetti il successo del tennis azzurro sta in una serie di eventi che si sono ben incastrati: “È una combinazione di fattori. Un pizzico di fortuna, come sempre. Ma penso che la parte più importante sia che la Federazione italiana aiuta molto i team privati dei giocatori e questo era qualcosa che, nella storia, non era stato possibile, perché non avevano molti soldi o perché avevano un’altra strategia di investimento. Nel mio caso, mi hanno aiutato da junior. Inoltre, avevamo la possibilità di crescere a casa nostra, non soffrire il distacco e andare di tanto in tanto al centro nazionale. Mi hanno dato un preparatore fisico, fondamentale per la mia crescita. Nel mio caso era a 40 minuti dal centro nazionale, più comodo che per altri, ma è stato un vantaggio per tutti. Era la combinazione ideale per vivere, crescere, studiare, potenziarsi…”.
    “Il rovescio a mano è il colpo più elegante? Per me sì. Soprattutto quando lo si tira in lungo linea, amo quel colpo. Mi è sempre venuto in modo naturale. In seguito ho lavorato molto per perfezionarlo, ma sicuramente è il colpo più naturale che ho. A volte ho provato a farlo a due mani, ma non in modo serio. Mi è sempre piaciuto molto il rovescio di David Nalbandian, anche se a due mani. È stato uno dei migliori rovesci di sempre, poteva far quello che voleva. Ho avuto l’opportunità di incontrarlo e parlare con David quando stava allenando (Miomir) Kecmanovic, che è uno dei miei amici e ci siamo allenati molte volte insieme. Uno dei vantaggi del rovescio a una mano è l’aver più soluzioni, e quindi poter creare più opzioni di gioco. Il lato negativo è che devi avere una grande mobilità extra e una forza fisica molto importante, soprattutto sulla terra rossa, dove la palla rimbalza molto e molte volte devi colpire sopra la testa”. LEGGI TUTTO

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    Alcaraz: “Segreti? Penso al coraggio con cui gioco”

    Alcaraz posa con il quotidiano “La Nacion” (foto Filipuzzi – LaNacion)

    Scatta oggi l’ATP 250 di Buenos Aires, con Fabio Fognini e Lorenzo Musetti al via per i colori azzurri. C’è molta attesa per vedere il toscano tornare sulla terra battuta dopo i grandi miglioramenti apportati nel suo gioco nella seconda parte del 2022, con un balzo in classifica che gli consente di essere terzo nel seeding in Argentina e quindi già al secondo turno (attende il vincente di Monteiro – Cachin). Tuttavia il pubblico albiceleste non vede l’ora di ammirare sul rosso di Baires l’ex n.1 più giovane dell’Era Open, Carlos Alcaraz, sbarcato per la prima volta – come Musetti – nella capitale argentina. Il fortissimo allievo di JC Ferrero torna finalmente sul tour dopo ben 4 mesi. Il suo ultimo match infatti risale al k.o. sofferto all’indoor di Bercy lo scorso autunno, quando un problema muscolare lo costrinse a saltare le ATP Finals e la Davis. Brutta fine, ma peggior principio… Infatti nemmeno il 2023 di “Carlito” è iniziato bene, visto che un nuovo infortunio muscolare rimediato in allenamento appena prima della trasferta in Australia gli ha fatto perdere anche il primo Slam della stagione. Alcaraz adesso sta bene, e scalpita. Ha tantissima voglia di tornare in campo, giocare e vincere. Il suo obiettivo è chiaro: tornare lassù, al n.1 del mondo, conseguenza di tante vittorie. Tuttavia nell’intervista rilasciata a La Nacion (quotidiano di Buenos Aires), afferma che forse lo scorso anno è arrivato in cima fin troppo presto, con ancora molte cose da migliorare e imparare. Riportiamo alcuni interessanti passaggi dell’intervista di Carlos.
    “Questo sarà il mio primo torneo dopo Parigi-Bercy. Sono passati quasi quattro mesi, ma quando entro in campo penso sempre a vincere, non ad altro” afferma Carlos. “So che non sarà facile dopo tanto tempo senza giocare ai massimi livelli, ma sono venuto qualche giorno prima per allenarmi con buoni giocatori e riprendere quel ritmo”.
    “La verità è che il paradiso (n.1 del ranking, ndr) è arrivato molto più velocemente di quanto pensassi. Dico che ho toccato il cielo con le mie mani, in base ai risultati che ho ottenuto, ma forse non sono arrivato al vertice in termini di livello di gioco o altri aspetti. Insomma, devo continuare a crescere, come giocatore, come persona, è importante crescere in tutti i settori. Sono già salito al vertice ma devo continuare a maturare. I migliori nella storia del tennis, come Rafa, Roger e Novak, non sono mai rimasti fermi e sono migliorati costantemente nel tempo. Spero di fare quei piccoli salti e migliorare il mio tennis, fisicamente e mentalmente”.
    Interessante il passaggio in cui analizza le proprie qualità: “Credo che la fiducia in se stessi sia estremamente importante. Ero convinto di poter ottenere molto presto un buon risultato in un Grande Slam. Ho detto che avrei vinto e grazie a Dio ce l’ho fatta. Ho molta fiducia nella mia squadra, ho molta fiducia nel mio lavoro e in me stesso, e nel livello che stavo mostrando. In generale non fallisci se fai un buon lavoro, se giochi con un buon livello e una buona mentalità. Alla fine i risultati arrivano. Potrebbero arrivare prima o poi, ma arrivano. E a me è accaduto agli US Open 2022. Segreti? Penso al coraggio con cui gioco. Non ho paure, non importa chi sia il rivale. È stato la base per ottenere i risultati che ho già raggiunto. Ho sempre preso tutto in modo naturale per affrontare i migliori. Quell’ambizione mi ha reso quello che sono adesso”.
    Altrettanto importante quest’analisi riguardo al suo modo di giocare. Il fatto di possedere una certa varietà lo rende un tennista con schemi diversi e quindi più difficile da affrontare: “Penso che la creatività sia molto importante perché l’avversario non può prevedere cosa farai. Ci sono giocatori che finiscono sempre per fare lo stesso schema e questo non va bene per arrivare in alto. Oggi studiare le partite e i rivali è importante, e quando ti studiano se sanno che farai sempre più o meno sempre lo stesso, è più facile per loro metterti in difficoltà. Ecco perché la creatività e riuscire a fare un po’ di tutto è un’arma in più. Nel mio caso ho un gioco che mi permette di poter attuare molti schemi, è fondamentale e mi rende imprevedibile“.
    Alcaraz crede che l’esser cresciuto in un contesto tranquillo l’hai aiutato a diventare quel che è oggi: “Venire da una zona tranquilla, da un paesino dove tutti ti conoscono, dove uscivo con i miei amici e dove ci conosciamo praticamente tutti, aiuta. Aiuta a non andare troppo lontano, in modo che la fama non ti dia alla testa, a non fare cose che non ti fanno bene. In generale ho gestito tutto molto bene, con la mia famiglia, con i miei amici, con il mio team… sono persone molto serie, professionali. Ed è anche per questo che sono sulla strada giusta. Considero la fama come qualcosa di naturale, ma alla fine conduco una vita normale, anche se è vero che sono un po’ più famoso di prima. Sono molto vicino alle persone e mi piace continuare così, perché vedo come mi incoraggiano”.
    Un piccolo rimpianto Alcaraz ce l’ha, non aver giocato contro Federer: “Sì, la verità è che mi sarebbe piaciuto tantissimo giocare contro Roger, sarebbe stato un sogno. Ho giocato contro Rafa e contro Novak, non sono riuscito a giocare con Federer. È un peccato. Amavo il suo tennis. Mi piaceva guardarlo giocare. Sono cresciuto guardando le sue partite, giocava in modo incredibile”.
    Alcaraz potrebbe trovare come primo avversario Fabio Fognini se il ligure batterà al 1° turno Laslo Djere. Un’eventuale sfida con Musetti invece potrebbe avvenire solo in finale, visto che Lorenzo è nella parte bassa del tabellone. Tutti abbiamo ancora in mente la straordinaria finale di Amburgo 2022, dove il carrarino superò lo spagnolo regalandosi il successo finora più importante in carriera. La speranza, anche per lo spettacolo che questo incrocio può potenzialmente regalare, è che le sfide tra Carlos e Lorenzo possano diventare un “classico” sulla terra battuta. E non solo.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Intervista a Leonardo Rossi: “Giocare a tennis mi fa sentir bene”

    Leonardo Rossi

    “Giocare a tennis mi fa sentir bene…. In campo gioisco, mi arrabbio, tiro fuori il meglio e il peggio di me… Insomma un mix di emozioni che mi fanno sentire vivo ogni giorno!”
    Così, tre anni fa, spiegava in un’intervista il suo rapporto con il tennis un giovane italiano che proprio la scorsa settimana ha fatto il suo ingresso fra i prime mille giocatori del mondo. Stiamo parlando di Leonardo Rossi, toscano, venti anni e numero 977 nel ranking ATP. Accendiamo i nostri riflettori su di lui.
    Leonardo cresciuto nel (e attualmente tesserato per il) Tennis Club Pistoia, ha vissuto un’intensa stagione 2022 a livello ITF, la prima vera a livello pro ed ha aperto l’anno con una splendida semifinale a Sharm ElSheik. Abbiamo fatto alcune domande a Rossi per cominciare a conoscerlo meglio.
    Ci descrivi il tuo tennis? C’è un giocatore a cui ti ispiri?Come tipologia di giocatore sono un attaccante da fondocampo, mi piace fare gioco con i due fondamentali. Anche se gioco il rovescio bimane, uno dei miei idoli è sempre stato Simone Bolelli.
    Il record della tua scorsa stagione recita 50 vittorie e 26 sconfitte. In sostanza hai vinto davvero tante partite. Poi a settembre le gemme dei due quarti di finale conquistati partendo dalle quali. Possiamo definirla la stagione della consapevolezza?Sì assolutamente, lo scorso anno è stato il primo in cui sono riuscito a dare più continuità a livello ITF e partendo sempre dalle qualificazioni ho avuto la possibilità di giocare tante partite e di vincerne molte. Nel corso della stagione sono riuscito a qualificarmi in molte occasioni e a quel punto ho capito di avere il livello per competere con i giocatori del main draw. Un’ulteriore spinta a livello di consapevolezza è stata la conquista dei primi punti ATP.
    Su quale parte del tuo gioco dal punto di vista tecnico stai lavorando in questo periodo?Sto lavorando principalmente su due aspetti: il primo è riuscire a gestire meglio il primo colpo dopo il servizio e il secondo migliorare la mia lettura e abilità nell’approccio a rete, che considero una parte fondamentale per sviluppare ulteriormente il mio gioco.
    Qual è la caratteristica dal punto di vista mentale e di atteggiamento sul campo che ti contraddistingue? E dove invece credi di dover migliorare?Una caratteristica che credo mi contraddistingua è una buona sicurezza nei miei mezzi e il poter competere con qualsiasi tipo di avversario. Credo di dover migliorare nel mantenimento del livello di attenzione, evitando così cali di concentrazione nel corso della partita.
    Ti sei posto un obiettivo di classifica da raggiungere per il 2023? O sei concentrato al momento solo sullo sviluppo del tuo gioco?Sono molto concentrato sul miglioramento della mia professionalità e del mio gioco a 360 gradi, credo che migliorando sotto questi aspetti una crescita a livello di ranking sia direttamente proporzionale.
    Ultima curiosità, mi interessa il parere di un tennista giovane: sei favorevole all’idea di modificare qualcuna delle regole del tennis per rendere le partite meno lunghe?No. Io sono abbastanza tradizionalista e mi piacciono le regole di punteggio che sono sempre esistite. Credo che altrimenti si rischierebbe di snaturare la vera essenza del gioco.

    Antonio Gallucci LEGGI TUTTO

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    Massa: “Ferrari, ora riparti. La scelta è giusta”

    F1, Tost su Mick Schumacher: “Avrei voluto venisse da noi ma…”
    La Ferrari attraversa un momento delicato.
    «Nei miei otto anni a Maranello (2006-2013, ndr) ho visto di tutto, successi e momenti difficili. Michael (Schumacher) lottò fino all’ultimo nel 2006, Kimi (Raikkonen) vinse nel 2007, io quasi nel 2008, poi la Ferrari non è mai riuscita ad avere una macchina vincente. Le volate a fine 2010 e 2012 furono più merito di Fernando (Alonso) che della vettura. Da allora ha sofferto contro Red Bull prima, contro Mercedes poi e ora di nuovo contro Red Bull. Tra aerodinamica, motore, strategia, piloti, manca sempre qualcosa per completare l’opera».  Come se ne esce?
    «Con una squadra equilibrata e che non soffre la pressione dell’attesa. Quando arrivai, la Ferrari era più fredda di questa perché Jean Todt riusciva a renderla tale».  Dunque il nodo è il team principal?
    «Ci sono tante piccole cose che non funzionano: l’affidabilità, la strategia, gli stessi piloti. Il mio amico Charles (Leclerc) lo scorso anno ha fatto qualche errore che gli è costato punti pesanti. Alla fine un cambio di team principal ci voleva».  Perché?
    «Perché si vedeva che c’era confusione all’interno, i rapporti tra Binotto e la presidenza non erano buoni. Invece la fiducia da parte dei vertici è fondamentale. Il presidente deve sapere quel che succede in squadra, e insomma, era normale che alla fine questi errori li pagasse Mattia: molto bravo, tecnico di talento ma non è arrivato il risultato e la sua uscita non è stata una sorpresa».
    Dunque i secondi posti nel Mondiale 2022 sono stati più una sconfitta che un momento di crescita?
    «Sono quel che meritavano e anche il massimo possibile. Hanno rischiato di arrivare terzi e sarebbe stato un bel pasticcio, mentre vincere il Mondiale sarebbe stato forse impossibile anche senza errori, perché la Red Bull è cresciuta tantissimo e la sua stagione è stata praticamente perfetta». 
    F1, Massa e gli anni in Ferrari Cosa guadagna la Ferrari con Frederic Vasseur team principal?
    «Tocca aspettare per dirlo. Vasseur è capace, la scelta potrebbe funzionare ma bisogna dargli il tempo di capire la Ferrari che è molto più di una squadra: è una religione. Anche Jean Todt ha avuto bisogno di anni per unire i puntini e far venire fuori la Ferrari vincente».  Bisogna ricominciare dunque? Non ci si può aspettare il Mondiale quest’anno?
    «Con la Scuderia non si può mai dire, e da tifoso Ferrari so bene cos’è l’attesa. L’anno scorso è stato un dolore per me vederla calare dopo i quaranta punti di vantaggio dell’Australia. Avrà bisogno di un anno, forse di due? Non so, ma la mentalità è vincente».  Cosa ti aspetti dalla macchina, per così dire, di Binotto?
    «Non è la definizione giusta perché esce dal lavoro di oltre mille persone bravissime: è la macchina della Ferrari. Detto questo, mi aspetto che abbiano capito cos’ha impedito lo sviluppo della F1-75 nella seconda parte del 2022. Ma sarà un anno ancora più difficile perché non si ricomincia da zero, Red Bull è fortissima e Mercedes avrà fatto tesoro degli errori sulla W13». 
    Il tuo amico Leclerc vorrebbe essere tutelato come un primo pilota: è un diritto che deve prendersi lui di forza o gli va riconosciuto dalla Scuderia?

    «La macchina deve essere vincente e la squadra funzionante, il resto devono farlo i piloti; tanto dopo cinque-sei gare capisci chi è la punta. L’anno scorso dopo tre GP era già tutto chiaro».  Sainz sarebbe in grado di puntare al Mondiale?

    «Nel suo primo anno è stato il più bravo ma la macchina non era competitiva. Quando lo è stata, nel 2022, Charles è venuto fuori. Se farà lo stesso quest’anno, sarà difficile per Carlos ricreare la situazione del 2021».  
    Entrambi sono legati al Cavallino fino al 2024, mentre Verstappen è blindato fino al 2028: la Ferrari dovrebbe prolungare subito l’accordo con Charles?
    «Lui per me è uno dei grandi in Formula 1, un uomo-chiave come Verstappen nella Red Bull e come Hamilton lo è stato nella Mercedes. Fossi in Vasseur, ora mi dedicherei a macchina e squadra e a metà campionato gli proporrei il prolungamento».  Hamilton che insegue l’ottavo Mondiale è una bella storia, o Lewis rischia un finale di carriera in declino?
    «E’ un fenomeno, ma l’età non è un punto di forza come abbiamo visto anche con Schumacher. La sua è una bella storia: non ho niente contro Hamilton, ma l’amore per Michael mi fa sperare che mantenga il record dei sette titoli».  LEGGI TUTTO

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    Claudio Grassi: “Agnese Calzolai gioca con qualità e leggerezza. Il talento? È qualcosa che hai dentro, proprio dei giovani che danno ‘impegno gratis’”

    Agnese Calzolai e Claudio Grassi

    L’ex Pro Claudio Grassi, oggi tecnico nazionale presso il AT Bibbiena, ha vissuto un inizio 2023 intenso accompagnando la piccola e talentosa allieva Agnese Calzolai al Lemon Bowl, dove la toscana è giunta in finale nel tabellone Under 12, battuta in due set dalla favorita del seeding (e grande talento) Victoria Lanteri. Una bella esperienza per Agnese e anche per Claudio, che ci ha parlato della Calzolai e sull’insegnamento ai ragazzi più giovani e di prospettiva. Molto interessanti le parole del coach sull’importanza di insegnare la cultura del lavoro, passo decisivo per la crescita umana e sportiva.

    “Lavoro con Agnese da due mesi e mezzo, da quando mi sono spostato a Bibbiena diventando il direttore della scuola tennis” ci racconta Claudio, “non molto tempo. Quindi il merito della crescita e livello raggiunto dalla ragazza è innanzitutto frutto del suo talento e assolutamente da dividere col suo maestro storico, che la segue da sempre, Tiziano Lunghi. Abbiamo un’ottima sintonia, seguiamo insieme il progetto della Calzolai che già da tempo sta mostrando di avere le carte in regola per provare fare cose importanti. Ricordo che Agnese ha vinto nel 2019 il Lemon Bowl nella categoria Under 8. Per me invece è stata una prima volta alla manifestazione, non l’ho mai giocata nemmeno quando ero uno junior. Ne avevo sempre sentito parlare un gran bene, e devo confermare che è un bell’evento. Si vedono tanti bambini con talento e assai avanti rispetto alla loro età per come affrontano lo sport, dal riscaldamento a come parlano coi loro maestri, come preparano le partite, come fanno defaticamento… quasi fin troppo oserei dire! Agnese per ora è una ragazza che ama il tennis e vi si dedica con grande attenzione, ma affronta la sua crescita in modo più “leggero”. Le piace anche il calcio e la Fiorentina, recentemente ha provato lo sci ed è tornata entusiasta”.
    Che tipo di ragazza è, ce la puoi descrivere?“Fondamentalmente è una ragazza molto coordinata, potrebbe eccellere in qualsiasi sport visto le abilità di base che possiede. Non ha un gioco di potenza, ha molta mano e la considero – insieme ai tecnici di Formia che la seguono come ragazza di interesse nazionale – una tennista universale. A chi può assomigliare? Beh, per trovare una tennista che tutti conoscono potrei dire che ha un gioco un po’ alla Roberta Vinci, ma con qualcosa di Swiatek e perché no un po’ di Pennetta per la facilità con cui colpisce. Non è una che cerca di spaccare la palla con tutta la sua forza, tutt’altro, lei ama giocare lo slice, fare le palle corte, venire a rete, accelerare all’improvviso. Le piace tantissimo giocare gli “strettini” di tocco, ma sa anche tenere in difesa e soffrire da dietro, il tutto sempre eseguito con grande naturalezza. Questo è quel che spicca di più quando la vedi giocare, fa le cose in modo naturale, spontaneo, non c’è tensione o sforzo quando gioca. Intendiamo farla crescere così, senza specializzarla, seguendo anche le linee guida della FIT che parlano appunto di specializzazione non prima dei 17 anni”.
    Il fatto che lei guardi anche oltre al tennis e si interessi nelle cose è un fatto positivo, no?“È un fatto estremamente positivo, che condivido con lei, Tiziano e la sua famiglia. Proprio la famiglia è straordinaria (e non comune) perché asseconda i desideri della figlia, ascolta quel che lei pensa e lascia lavorare noi tecnici che stiamo guidando la sua crescita, dalla scelta dei tornei al modo e quantità di lavoro che facciamo ogni settimana. Se pensiamo che debba fermarsi per lavorare del tempo su qualche aspetto tecnico senza competere, la famiglia segue le nostre indicazioni. Agnese è ancora emotiva, un po’ chiusa, quindi con lei facciamo le cose a piccoli passi, stiamo molto attenti alla sua crescita, ma è evidente che si diverte tanto quando gioca. Si allena, si impegna, ma non la stiamo caricando di lavoro e di pressione eccessiva perché è una ragazzina che affronta le situazioni che le si presentano davanti con grande semplicità e vogliamo che continui così senza stress e ansie alla sua età”.
    Eppure sul web, soprattutto Instagram, ormai dilagano profili di ragazzini e ragazzine più piccole di lei che mostrano sessioni di allenamento, super colpi e un lavoro in campo degno di un Nadal…“È vero e ritengo che sia un’esagerazione, qualcosa che finisce per incrementare pressione e stress che, alla loro giovane età, non sono salutari. Mi piace invece vedere che quando Agnese entra in campo è felice, serena, pensa solo a giocare e divertirsi, pur con impegno e fatica. Purtroppo invece ai nostri giorni si guarda troppo a quel che si trova sui social, tutte storie straordinarie, fanno arrivare il messaggio che se non hai per le mani uno che a 16 anni è un fenomeno, un NextGen da paura, allora sei un fallito… Non è così! Quelli sono marziani, ne nasce uno ogni tanto, farlo capire a famiglia, circoli e volte anche a tecnici non è facile. Abbiamo davanti a noi dei ragazzi molto giovani, li dobbiamo crescere soprattutto come persone e se ci vai troppo pesante, rischi di far crollare tutto quel che hanno costruito. Abbiamo una responsabilità importante su di loro”.
    In molti affermano, scuola inclusa, che è sempre più difficile tenere alta l’attenzione nei ragazzi, soprattutto per colpa dell’eccesso della tecnologia, uso continuo degli smartphone, social, ecc. Visto che tu segui ragazzi di varie età, come vedi la questione, li trovi peggiorati negli ultimi anni da questo punto di vista?“È un argomento delicato. Quando sono arrivato al mio club attuale mi sono inserito in una struttura di discreta dimensione e con un buon bacino d’utenza. Da nuovo direttore, ho comunicato che ci tenevo a inserire delle piccole regole che secondo la mia esperienza prima da giocatore e poi da coach mi hanno aiutato, le reputo importanti. La prima cosa che vedi quando un ragazzo o ragazza arriva al club è che in mano non ha le scarpe, le racchette, ma il cellulare perché prima di entrare in campo o palestra è urgente mandare il messaggino, il social, la foto, ecc. A tutti coloro che hanno una buona qualità e stanno facendo un percorso di allenamento serio verso l’alto livello sto provando a far capire che quando arrivano al circolo il telefonino deve andare subito in borsa; che si deve arrivare almeno 15 minuti prima dell’inizio del lavoro, facendo il riscaldamento in autonomia seguendo i piani stabiliti; che si saluta sempre per primi il maestro, che ci si comporta all’interno della struttura con rispetto e presenza. Può sembrare una banalità, ma ti assicuro invece non lo è. Anche se solo vuoi fare dell’ottimo sport a livello regionale, devi mostrare impegno e focus, soprattutto per te stesso, perché è qualcosa che ti aiuta a crescere oltre il campo da gioco. È importante che i ragazzi capiscano la differenza tra l’apparenza e la sostanza. Quel che conta non è l’apparire, quella foto o quella giocata che mostri online, ma la sostanza, l’essere concreti e realizzare qualcosa di vero, che dura ed è tuo. Devono capire il valore del lavorare in campo con impegno e determinazione, l’andare a rincorrere una palla e salvarla anche se non conta o è fuori e ripartire subito, sono cose che dimostrano la tua voglia, l’impegno, il volerti dedicare a quel che fai, e oggettivamente è una qualità che nei ragazzi si trova di rado. Magari trovano delle scuse per non farlo… Devi fargli capire che ogni palla è un’occasione che serve a loro stessi. Quanto desiderio hai di colpire quella palla ancora una volta e farti valere? Lavorando su questi aspetti puoi cambiare la loro mentalità, si possono ottenere grandi risultati se riesci a farti ascoltare. E soprattutto, alla fine il risultato lo ottengono loro, perché sono loro che migliorano e crescono come tennisti e come persone. Chi riesce a capirlo non solo si applica di più e ottiene di più, ma si diverte di più, trova un focus superiore rispetto a prima. È bello e importante far capire che non sono gli 11 punti di fine allenamento che determinano se la sessione è andata bene o male, ma come l’hai affrontata e quanto ti sei speso: da come ti sei riscaldato a come hai seguito il programma. Noi tecnici cerchiamo di dare ai ragazzi, ma anche i ragazzi devono dare noi seguendoci e mettendoci impegno”.
    Parli di aspetti molto profondi, legati all’insegnamento e al concetto di miglioramento. Le difficoltà forse sono anche colpa della società in cui viviamo, dell’essere abituati all’avere tutto e subito, senza alcuna pazienza per completare un percorso necessario a crescere, magari sperando di diventare un ottimo giocatore?“Purtroppo il problema spesso deriva anche dai genitori, che magari a casa, al circolo col maestro sino a qualche piazzata davanti a tutti arrivano a dire ‘eh, ma io sto investendo su mio figlio…’. Ma che significa… si investe su di una casa, non su di un figlio! Reputo che a un figlio debba esser data un’opportunità di crescita, e poi se diventa un ottimo atleta abbiamo fatto centro. Ma se non lo diventa e ha fatto un percorso scegliendo le persone corrette che gli fanno capire che ci sono delle regole, dei compiti, un lavoro, un obiettivo, sicuramente col tempo e con il sacrificio qualcosa si ottiene sempre. Di sicuro da un punto di vista umano e personale, che è di pari o superiore importanza rispetto al lato sportivo”.
    Si torna al mantra di tanti coach: il talento da solo non basta“Ma alla fine, cos’è il talento? Non è solo saper giocare un diritto in scioltezza, un rovescio in salto… Il talento per me è qualcosa che hai dentro, è nella serietà di fare tutto al meglio ogni giorno, nello svolgere con costanza un’azione finché non diventa automatica con “impegno gratis”, come mi ha insegnato Sartori al corso da coach. Le sue parole mi sono restate dentro: se vedete dei ragazzi che danno impegno gratis, puntate su di loro, hanno talento”.
    In chiusura, pensi quindi che sia molto importante lavorare sulla testa dei ragazzi, fin da giovani, quanto nel gioco?“Assolutamente. L’ho visto anche nella competizione del Lemon Bowl di pochi giorni fa, con tanti ragazzi di talento ma con comportamenti esagerati o che alla lunga non fanno bene. Lavorare sul riconoscimento delle emozioni è importante, è una cosa che andremo ad affrontare anche con Agnese, insieme ad altri aspetti tecnici (il diritto per esempio). Fa bene la Federazione a puntare sulla figura del mental coach per i ragazzi che mostrano un certo talento e propensione alla crescita. Lavorare sulla testa dei giovani reputo sia fondamentale, allenare la mente è decisivo perché si tende ad essere stressati fin da piccoli, magari rincorrendo risultati o precocità”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO