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    Intervista a Leonardo Rossi: “Giocare a tennis mi fa sentir bene”

    Leonardo Rossi

    “Giocare a tennis mi fa sentir bene…. In campo gioisco, mi arrabbio, tiro fuori il meglio e il peggio di me… Insomma un mix di emozioni che mi fanno sentire vivo ogni giorno!”
    Così, tre anni fa, spiegava in un’intervista il suo rapporto con il tennis un giovane italiano che proprio la scorsa settimana ha fatto il suo ingresso fra i prime mille giocatori del mondo. Stiamo parlando di Leonardo Rossi, toscano, venti anni e numero 977 nel ranking ATP. Accendiamo i nostri riflettori su di lui.
    Leonardo cresciuto nel (e attualmente tesserato per il) Tennis Club Pistoia, ha vissuto un’intensa stagione 2022 a livello ITF, la prima vera a livello pro ed ha aperto l’anno con una splendida semifinale a Sharm ElSheik. Abbiamo fatto alcune domande a Rossi per cominciare a conoscerlo meglio.
    Ci descrivi il tuo tennis? C’è un giocatore a cui ti ispiri?Come tipologia di giocatore sono un attaccante da fondocampo, mi piace fare gioco con i due fondamentali. Anche se gioco il rovescio bimane, uno dei miei idoli è sempre stato Simone Bolelli.
    Il record della tua scorsa stagione recita 50 vittorie e 26 sconfitte. In sostanza hai vinto davvero tante partite. Poi a settembre le gemme dei due quarti di finale conquistati partendo dalle quali. Possiamo definirla la stagione della consapevolezza?Sì assolutamente, lo scorso anno è stato il primo in cui sono riuscito a dare più continuità a livello ITF e partendo sempre dalle qualificazioni ho avuto la possibilità di giocare tante partite e di vincerne molte. Nel corso della stagione sono riuscito a qualificarmi in molte occasioni e a quel punto ho capito di avere il livello per competere con i giocatori del main draw. Un’ulteriore spinta a livello di consapevolezza è stata la conquista dei primi punti ATP.
    Su quale parte del tuo gioco dal punto di vista tecnico stai lavorando in questo periodo?Sto lavorando principalmente su due aspetti: il primo è riuscire a gestire meglio il primo colpo dopo il servizio e il secondo migliorare la mia lettura e abilità nell’approccio a rete, che considero una parte fondamentale per sviluppare ulteriormente il mio gioco.
    Qual è la caratteristica dal punto di vista mentale e di atteggiamento sul campo che ti contraddistingue? E dove invece credi di dover migliorare?Una caratteristica che credo mi contraddistingua è una buona sicurezza nei miei mezzi e il poter competere con qualsiasi tipo di avversario. Credo di dover migliorare nel mantenimento del livello di attenzione, evitando così cali di concentrazione nel corso della partita.
    Ti sei posto un obiettivo di classifica da raggiungere per il 2023? O sei concentrato al momento solo sullo sviluppo del tuo gioco?Sono molto concentrato sul miglioramento della mia professionalità e del mio gioco a 360 gradi, credo che migliorando sotto questi aspetti una crescita a livello di ranking sia direttamente proporzionale.
    Ultima curiosità, mi interessa il parere di un tennista giovane: sei favorevole all’idea di modificare qualcuna delle regole del tennis per rendere le partite meno lunghe?No. Io sono abbastanza tradizionalista e mi piacciono le regole di punteggio che sono sempre esistite. Credo che altrimenti si rischierebbe di snaturare la vera essenza del gioco.

    Antonio Gallucci LEGGI TUTTO

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    Massa: “Ferrari, ora riparti. La scelta è giusta”

    F1, Tost su Mick Schumacher: “Avrei voluto venisse da noi ma…”
    La Ferrari attraversa un momento delicato.
    «Nei miei otto anni a Maranello (2006-2013, ndr) ho visto di tutto, successi e momenti difficili. Michael (Schumacher) lottò fino all’ultimo nel 2006, Kimi (Raikkonen) vinse nel 2007, io quasi nel 2008, poi la Ferrari non è mai riuscita ad avere una macchina vincente. Le volate a fine 2010 e 2012 furono più merito di Fernando (Alonso) che della vettura. Da allora ha sofferto contro Red Bull prima, contro Mercedes poi e ora di nuovo contro Red Bull. Tra aerodinamica, motore, strategia, piloti, manca sempre qualcosa per completare l’opera».  Come se ne esce?
    «Con una squadra equilibrata e che non soffre la pressione dell’attesa. Quando arrivai, la Ferrari era più fredda di questa perché Jean Todt riusciva a renderla tale».  Dunque il nodo è il team principal?
    «Ci sono tante piccole cose che non funzionano: l’affidabilità, la strategia, gli stessi piloti. Il mio amico Charles (Leclerc) lo scorso anno ha fatto qualche errore che gli è costato punti pesanti. Alla fine un cambio di team principal ci voleva».  Perché?
    «Perché si vedeva che c’era confusione all’interno, i rapporti tra Binotto e la presidenza non erano buoni. Invece la fiducia da parte dei vertici è fondamentale. Il presidente deve sapere quel che succede in squadra, e insomma, era normale che alla fine questi errori li pagasse Mattia: molto bravo, tecnico di talento ma non è arrivato il risultato e la sua uscita non è stata una sorpresa».
    Dunque i secondi posti nel Mondiale 2022 sono stati più una sconfitta che un momento di crescita?
    «Sono quel che meritavano e anche il massimo possibile. Hanno rischiato di arrivare terzi e sarebbe stato un bel pasticcio, mentre vincere il Mondiale sarebbe stato forse impossibile anche senza errori, perché la Red Bull è cresciuta tantissimo e la sua stagione è stata praticamente perfetta». 
    F1, Massa e gli anni in Ferrari Cosa guadagna la Ferrari con Frederic Vasseur team principal?
    «Tocca aspettare per dirlo. Vasseur è capace, la scelta potrebbe funzionare ma bisogna dargli il tempo di capire la Ferrari che è molto più di una squadra: è una religione. Anche Jean Todt ha avuto bisogno di anni per unire i puntini e far venire fuori la Ferrari vincente».  Bisogna ricominciare dunque? Non ci si può aspettare il Mondiale quest’anno?
    «Con la Scuderia non si può mai dire, e da tifoso Ferrari so bene cos’è l’attesa. L’anno scorso è stato un dolore per me vederla calare dopo i quaranta punti di vantaggio dell’Australia. Avrà bisogno di un anno, forse di due? Non so, ma la mentalità è vincente».  Cosa ti aspetti dalla macchina, per così dire, di Binotto?
    «Non è la definizione giusta perché esce dal lavoro di oltre mille persone bravissime: è la macchina della Ferrari. Detto questo, mi aspetto che abbiano capito cos’ha impedito lo sviluppo della F1-75 nella seconda parte del 2022. Ma sarà un anno ancora più difficile perché non si ricomincia da zero, Red Bull è fortissima e Mercedes avrà fatto tesoro degli errori sulla W13». 
    Il tuo amico Leclerc vorrebbe essere tutelato come un primo pilota: è un diritto che deve prendersi lui di forza o gli va riconosciuto dalla Scuderia?

    «La macchina deve essere vincente e la squadra funzionante, il resto devono farlo i piloti; tanto dopo cinque-sei gare capisci chi è la punta. L’anno scorso dopo tre GP era già tutto chiaro».  Sainz sarebbe in grado di puntare al Mondiale?

    «Nel suo primo anno è stato il più bravo ma la macchina non era competitiva. Quando lo è stata, nel 2022, Charles è venuto fuori. Se farà lo stesso quest’anno, sarà difficile per Carlos ricreare la situazione del 2021».  
    Entrambi sono legati al Cavallino fino al 2024, mentre Verstappen è blindato fino al 2028: la Ferrari dovrebbe prolungare subito l’accordo con Charles?
    «Lui per me è uno dei grandi in Formula 1, un uomo-chiave come Verstappen nella Red Bull e come Hamilton lo è stato nella Mercedes. Fossi in Vasseur, ora mi dedicherei a macchina e squadra e a metà campionato gli proporrei il prolungamento».  Hamilton che insegue l’ottavo Mondiale è una bella storia, o Lewis rischia un finale di carriera in declino?
    «E’ un fenomeno, ma l’età non è un punto di forza come abbiamo visto anche con Schumacher. La sua è una bella storia: non ho niente contro Hamilton, ma l’amore per Michael mi fa sperare che mantenga il record dei sette titoli».  LEGGI TUTTO

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    Claudio Grassi: “Agnese Calzolai gioca con qualità e leggerezza. Il talento? È qualcosa che hai dentro, proprio dei giovani che danno ‘impegno gratis’”

    Agnese Calzolai e Claudio Grassi

    L’ex Pro Claudio Grassi, oggi tecnico nazionale presso il AT Bibbiena, ha vissuto un inizio 2023 intenso accompagnando la piccola e talentosa allieva Agnese Calzolai al Lemon Bowl, dove la toscana è giunta in finale nel tabellone Under 12, battuta in due set dalla favorita del seeding (e grande talento) Victoria Lanteri. Una bella esperienza per Agnese e anche per Claudio, che ci ha parlato della Calzolai e sull’insegnamento ai ragazzi più giovani e di prospettiva. Molto interessanti le parole del coach sull’importanza di insegnare la cultura del lavoro, passo decisivo per la crescita umana e sportiva.

    “Lavoro con Agnese da due mesi e mezzo, da quando mi sono spostato a Bibbiena diventando il direttore della scuola tennis” ci racconta Claudio, “non molto tempo. Quindi il merito della crescita e livello raggiunto dalla ragazza è innanzitutto frutto del suo talento e assolutamente da dividere col suo maestro storico, che la segue da sempre, Tiziano Lunghi. Abbiamo un’ottima sintonia, seguiamo insieme il progetto della Calzolai che già da tempo sta mostrando di avere le carte in regola per provare fare cose importanti. Ricordo che Agnese ha vinto nel 2019 il Lemon Bowl nella categoria Under 8. Per me invece è stata una prima volta alla manifestazione, non l’ho mai giocata nemmeno quando ero uno junior. Ne avevo sempre sentito parlare un gran bene, e devo confermare che è un bell’evento. Si vedono tanti bambini con talento e assai avanti rispetto alla loro età per come affrontano lo sport, dal riscaldamento a come parlano coi loro maestri, come preparano le partite, come fanno defaticamento… quasi fin troppo oserei dire! Agnese per ora è una ragazza che ama il tennis e vi si dedica con grande attenzione, ma affronta la sua crescita in modo più “leggero”. Le piace anche il calcio e la Fiorentina, recentemente ha provato lo sci ed è tornata entusiasta”.
    Che tipo di ragazza è, ce la puoi descrivere?“Fondamentalmente è una ragazza molto coordinata, potrebbe eccellere in qualsiasi sport visto le abilità di base che possiede. Non ha un gioco di potenza, ha molta mano e la considero – insieme ai tecnici di Formia che la seguono come ragazza di interesse nazionale – una tennista universale. A chi può assomigliare? Beh, per trovare una tennista che tutti conoscono potrei dire che ha un gioco un po’ alla Roberta Vinci, ma con qualcosa di Swiatek e perché no un po’ di Pennetta per la facilità con cui colpisce. Non è una che cerca di spaccare la palla con tutta la sua forza, tutt’altro, lei ama giocare lo slice, fare le palle corte, venire a rete, accelerare all’improvviso. Le piace tantissimo giocare gli “strettini” di tocco, ma sa anche tenere in difesa e soffrire da dietro, il tutto sempre eseguito con grande naturalezza. Questo è quel che spicca di più quando la vedi giocare, fa le cose in modo naturale, spontaneo, non c’è tensione o sforzo quando gioca. Intendiamo farla crescere così, senza specializzarla, seguendo anche le linee guida della FIT che parlano appunto di specializzazione non prima dei 17 anni”.
    Il fatto che lei guardi anche oltre al tennis e si interessi nelle cose è un fatto positivo, no?“È un fatto estremamente positivo, che condivido con lei, Tiziano e la sua famiglia. Proprio la famiglia è straordinaria (e non comune) perché asseconda i desideri della figlia, ascolta quel che lei pensa e lascia lavorare noi tecnici che stiamo guidando la sua crescita, dalla scelta dei tornei al modo e quantità di lavoro che facciamo ogni settimana. Se pensiamo che debba fermarsi per lavorare del tempo su qualche aspetto tecnico senza competere, la famiglia segue le nostre indicazioni. Agnese è ancora emotiva, un po’ chiusa, quindi con lei facciamo le cose a piccoli passi, stiamo molto attenti alla sua crescita, ma è evidente che si diverte tanto quando gioca. Si allena, si impegna, ma non la stiamo caricando di lavoro e di pressione eccessiva perché è una ragazzina che affronta le situazioni che le si presentano davanti con grande semplicità e vogliamo che continui così senza stress e ansie alla sua età”.
    Eppure sul web, soprattutto Instagram, ormai dilagano profili di ragazzini e ragazzine più piccole di lei che mostrano sessioni di allenamento, super colpi e un lavoro in campo degno di un Nadal…“È vero e ritengo che sia un’esagerazione, qualcosa che finisce per incrementare pressione e stress che, alla loro giovane età, non sono salutari. Mi piace invece vedere che quando Agnese entra in campo è felice, serena, pensa solo a giocare e divertirsi, pur con impegno e fatica. Purtroppo invece ai nostri giorni si guarda troppo a quel che si trova sui social, tutte storie straordinarie, fanno arrivare il messaggio che se non hai per le mani uno che a 16 anni è un fenomeno, un NextGen da paura, allora sei un fallito… Non è così! Quelli sono marziani, ne nasce uno ogni tanto, farlo capire a famiglia, circoli e volte anche a tecnici non è facile. Abbiamo davanti a noi dei ragazzi molto giovani, li dobbiamo crescere soprattutto come persone e se ci vai troppo pesante, rischi di far crollare tutto quel che hanno costruito. Abbiamo una responsabilità importante su di loro”.
    In molti affermano, scuola inclusa, che è sempre più difficile tenere alta l’attenzione nei ragazzi, soprattutto per colpa dell’eccesso della tecnologia, uso continuo degli smartphone, social, ecc. Visto che tu segui ragazzi di varie età, come vedi la questione, li trovi peggiorati negli ultimi anni da questo punto di vista?“È un argomento delicato. Quando sono arrivato al mio club attuale mi sono inserito in una struttura di discreta dimensione e con un buon bacino d’utenza. Da nuovo direttore, ho comunicato che ci tenevo a inserire delle piccole regole che secondo la mia esperienza prima da giocatore e poi da coach mi hanno aiutato, le reputo importanti. La prima cosa che vedi quando un ragazzo o ragazza arriva al club è che in mano non ha le scarpe, le racchette, ma il cellulare perché prima di entrare in campo o palestra è urgente mandare il messaggino, il social, la foto, ecc. A tutti coloro che hanno una buona qualità e stanno facendo un percorso di allenamento serio verso l’alto livello sto provando a far capire che quando arrivano al circolo il telefonino deve andare subito in borsa; che si deve arrivare almeno 15 minuti prima dell’inizio del lavoro, facendo il riscaldamento in autonomia seguendo i piani stabiliti; che si saluta sempre per primi il maestro, che ci si comporta all’interno della struttura con rispetto e presenza. Può sembrare una banalità, ma ti assicuro invece non lo è. Anche se solo vuoi fare dell’ottimo sport a livello regionale, devi mostrare impegno e focus, soprattutto per te stesso, perché è qualcosa che ti aiuta a crescere oltre il campo da gioco. È importante che i ragazzi capiscano la differenza tra l’apparenza e la sostanza. Quel che conta non è l’apparire, quella foto o quella giocata che mostri online, ma la sostanza, l’essere concreti e realizzare qualcosa di vero, che dura ed è tuo. Devono capire il valore del lavorare in campo con impegno e determinazione, l’andare a rincorrere una palla e salvarla anche se non conta o è fuori e ripartire subito, sono cose che dimostrano la tua voglia, l’impegno, il volerti dedicare a quel che fai, e oggettivamente è una qualità che nei ragazzi si trova di rado. Magari trovano delle scuse per non farlo… Devi fargli capire che ogni palla è un’occasione che serve a loro stessi. Quanto desiderio hai di colpire quella palla ancora una volta e farti valere? Lavorando su questi aspetti puoi cambiare la loro mentalità, si possono ottenere grandi risultati se riesci a farti ascoltare. E soprattutto, alla fine il risultato lo ottengono loro, perché sono loro che migliorano e crescono come tennisti e come persone. Chi riesce a capirlo non solo si applica di più e ottiene di più, ma si diverte di più, trova un focus superiore rispetto a prima. È bello e importante far capire che non sono gli 11 punti di fine allenamento che determinano se la sessione è andata bene o male, ma come l’hai affrontata e quanto ti sei speso: da come ti sei riscaldato a come hai seguito il programma. Noi tecnici cerchiamo di dare ai ragazzi, ma anche i ragazzi devono dare noi seguendoci e mettendoci impegno”.
    Parli di aspetti molto profondi, legati all’insegnamento e al concetto di miglioramento. Le difficoltà forse sono anche colpa della società in cui viviamo, dell’essere abituati all’avere tutto e subito, senza alcuna pazienza per completare un percorso necessario a crescere, magari sperando di diventare un ottimo giocatore?“Purtroppo il problema spesso deriva anche dai genitori, che magari a casa, al circolo col maestro sino a qualche piazzata davanti a tutti arrivano a dire ‘eh, ma io sto investendo su mio figlio…’. Ma che significa… si investe su di una casa, non su di un figlio! Reputo che a un figlio debba esser data un’opportunità di crescita, e poi se diventa un ottimo atleta abbiamo fatto centro. Ma se non lo diventa e ha fatto un percorso scegliendo le persone corrette che gli fanno capire che ci sono delle regole, dei compiti, un lavoro, un obiettivo, sicuramente col tempo e con il sacrificio qualcosa si ottiene sempre. Di sicuro da un punto di vista umano e personale, che è di pari o superiore importanza rispetto al lato sportivo”.
    Si torna al mantra di tanti coach: il talento da solo non basta“Ma alla fine, cos’è il talento? Non è solo saper giocare un diritto in scioltezza, un rovescio in salto… Il talento per me è qualcosa che hai dentro, è nella serietà di fare tutto al meglio ogni giorno, nello svolgere con costanza un’azione finché non diventa automatica con “impegno gratis”, come mi ha insegnato Sartori al corso da coach. Le sue parole mi sono restate dentro: se vedete dei ragazzi che danno impegno gratis, puntate su di loro, hanno talento”.
    In chiusura, pensi quindi che sia molto importante lavorare sulla testa dei ragazzi, fin da giovani, quanto nel gioco?“Assolutamente. L’ho visto anche nella competizione del Lemon Bowl di pochi giorni fa, con tanti ragazzi di talento ma con comportamenti esagerati o che alla lunga non fanno bene. Lavorare sul riconoscimento delle emozioni è importante, è una cosa che andremo ad affrontare anche con Agnese, insieme ad altri aspetti tecnici (il diritto per esempio). Fa bene la Federazione a puntare sulla figura del mental coach per i ragazzi che mostrano un certo talento e propensione alla crescita. Lavorare sulla testa dei giovani reputo sia fondamentale, allenare la mente è decisivo perché si tende ad essere stressati fin da piccoli, magari rincorrendo risultati o precocità”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Balaso: “Un avvio di 2023 duro e stimolante, darò tutto per la Lube!”

    Un 2022 ricco di soddisfazioni per il libero biancorosso Fabio Balaso, sia sul piano sportivo che su quello personale. Un 2023 tutto da scrivere con la maglia della Cucine Lube Civitanova e due grandi competizioni da onorare, la SuperLega Credem Banca e la CEV Champions League.
    L’atleta veneto ha messo in cascina il terzo Scudetto consecutivo con la Lube, un contratto duraturo con i cucinieri, l’oro iridato e il titolo di miglior libero del Mondiale. Tra l’altro, nell’anno appena concluso, Balaso è convolato a nozze con la sua Sara. Questi sono i passaggi più importanti di un periodo elettrizzante.
    Fabio, parte della carta stampata ti definisce uomo dell’anno! Tu che fai del lavoro una religione, come vivi lo status di uomo copertina?
    “Il 2022 mi ha regalato grandi gioie, sia in ambito sportivo che nella vita personale. Ho raggiunto degli obiettivi che mi ero posto. Non mi sento un’icona e non è stato minimamente scalfito dai successi quel sentimento che mi spinge a dare tutto me stesso in palestra, a preparare le partite con tanta carica, a trasmettere grinta ai compagni. Anzi, cerco sempre di dare il meglio per farmi trovare pronto e fornire il maggior sostegno possibile alla Lube Volley”.
    C’è qualche macchia nel 2022 appena concluso?
    “Con la Nazionale non mi è andato proprio giù l’epilogo della VNL perché un percorso così bello avrebbe meritato un epilogo migliore, mentre con la Lube brucia la recente eliminazione in Coppa Italia contro Milano. Volevamo vincere in casa per raggiungere la Final Four e centrare il nono successo di fila”.
    Ora si volta pagina. Hai un altro anno stimolante davanti a te.
    “L’obiettivo con il Club, naturalmente, è andare fino in fondo ai due traguardi più importanti. Vogliamo fare del nostro meglio in SuperLega e in Champions”.
    Sabato si gioca a Modena, martedì a Lisbona. Un avvio di 2023 tutt’altro che soft!
    “Lo stop con Milano ha avuto il suo peso e trovare stimoli nell’immediato è un bene perché siamo in cerca di un pronto riscatto. Soprattutto a Modena sarà tosta, ma vogliamo proseguire sui binari giusti sia campionato che in Europa”.
    Al PalaPanini ci sarà una Valsa Group in crescita, con gli stessi punti della Lube e la medesima voglia di rivalsa. Come vedi i gialli?
    “Modena ha migliorato il proprio gioco e il team è cresciuto sul piano mentale, appare più consapevole dei propri mezzi, così come lo sono i singoli. Anche loro sono usciti dalla Coppa Italia, ma la sconfitta in casa con Trento non li avrà disinnescati, anzi… Non sarà la stessa Modena che abbiamo sconfitto in casa all’andata. Al PalaPanini servirà un’impresa da Lube per prevalere!”. LEGGI TUTTO

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    Berrettini: “Il 2022 è stato mentalmente difficile, ho messo troppa pressione su me stesso”

    Matteo Berrettini

    Matteo Berrettini è stato intervistato dal media arabnews durante la propria permanenza alla Diriyah Tennis Cup. Il romano ha tracciato un bilancio del suo 2022, assai complicato per i tanti problemi fisici e il covid contratto a Wimbledon, con un occhio rivolto alla prossima stagione. L’azzurro sta lavorando duramente per riuscire mettere il suo fisico al riparo dai problemi che troppe volte l’hanno penalizzato costringendolo a lunghi stop, dai quali è sempre difficile ripartire. Riportiamo alcuni passaggi delle sue dichiarazioni.
    “È stato un anno molto difficile dal punto di vista mentale. Ho iniziato molto bene in Australia, sembrava che fossi nel momento migliore della mia carriera e avevo aspettative molto alte per la parte di stagione sulla terra battuta e sull’erba, ma mi sono infortunato (l’operazione alla mano rientrato dagli Stats, ndr). Ho cercato di sfruttare il tempo libero per ricaricare le batterie e tornare più forte. Ho deciso di sottopormi a un intervento chirurgico e allontanarmi dalla vita sul circuito, che può diventare estenuante. Ho trascorso il mio tempo facendo cose al di fuori del tennis e quindi migliorando aspetti del mio gioco. Quando sono tornato in campo a giugno mi sentivo benissimo, ma aver contratto il Covid a Wimbledon è stato un colpo durissimo, ha segnato un prima e un dopo”. Ricordiamo che Matteo era tornato in campo a Stoccarda sull’erba, vincendo immediatamente il torneo, e bissando il successo al Queen’s di Londra, presentandosi di fatto imbattuto e in grandissima forma – e fiducia – a Wimbledon. Torneo che non ha potuto disputare per colpa del test positivo al virus. Una mazzata terrificante.
    Continua Berrettini, spiegando le difficoltà incontrate nella stagione appena terminata: “Ho avuto troppi alti e bassi perché non sono mai stato bene a livello fisico e di salute. Sto lavorando molto in allenamento per essere più stabile a livello fisico. L’anno scorso ho finito tutti i tornei con una sorta di malessere, credo che fosse anche legato allo stress che è stato generato dai tanti problemi che ho avuto. Penso di aver messo troppa pressione su me stesso cercando di fare punti e rimanere nella mia posizione in classifica. Ora mi sento meglio, ho imparato da quello che ho vissuto. Sono consapevole di avere il livello di gioco per essere tra i primi 10, devo solo essere più costante”.
    Per Matteo il 2022 è stato un anno particolare, irripetibile: “È stato un anno strano a causa dei tornei che Djokovic ha saltato o per la squalifica dei russi a Wimbledon, ma onestamente credo che Carlos Alcaraz meriti di essere il numero 1 e ritengo che il suo esempio sia di ispirazione per gli altri perché ci ha mostrato che è possibile vincere e spodestare Novak e Rafa dalla vetta. Anche Daniil lo ha fatto e Casper è arrivato ad un passo dal vertice. Non vedo motivo per pensare che altri giocatori non siano in grado di raggiungerlo”.
    Ultima nota per Alcaraz, giovane che lo ha impressionato fin dal loro primo scontro: “Ogni volta che penso a tutto quello che Carlos ha realizzato e al poco tempo che gli è servito, mi sembra incredibile. Ricordo che quando lo affrontai sapevo chiaramente che era un grande tennista. Rimasi molto impressionato dal suo fisico, e poi mi ha sorpreso per come è stato capace di mantenere il livello, davvero alto, durante tutto l’anno e dal modo in cui riusciva mentalmente a gestire la pressione”. LEGGI TUTTO

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    Intervista a Wiktorowski (coach Swiatek): “Il grande 2022? Decisivo aver migliorato il servizio e mentalità”

    Tomasz Wiktorowski con Iga Świątek

    Il collega polacco Dominik Senkowski ha intervistato Tomasz Wiktorowski, coach della n.1 al mondo Iga Swiatek, al termine di una stagione straordinaria che ha portato la 21enne di Varsavia a dominare la prima parte dell’anno, conquistare due Slam e svariati record sul tour WTA. Per il coach il miglioramento della sua assistita è stato globale e più rapido di quello che si aspettava, ma i due punti salienti sono stati l’aver costruito un servizio più efficace e una mentalità vincente, ricca di ambizione senza accontentarsi di buoni risultati. Riportiamo alcuni passaggi dell’intervista a Wiktorowski.
    “Mi aspettavo che Iga raggiungesse tali risultati. Non sapevo se sarebbe stato con me o con il prossimo allenatore. Un anno fa conoscevo a malapena Iga personalmente. È strano che ci siamo incrociati, ma è andata così. La nostra collaborazione è iniziata grazie a dei contatti con suo padre, ma non proprio con Iga. Abbiamo parlato forse tre volte prima di incontrarci per un discorso di collaborazione. Non conoscevo lei personalmente ma conoscevo bene il suo tennis, l’ho commentato anche in TV. Questo mi ha aiutato, tanto che iniziando il lavoro insieme avevo già un’idea pronta su quello che dovevo fare per Iga“.
    Il coach esalta lo scatto in avanti dal punto di vista mentale di Iga: “Tutti possono vedere il cambiamento a livello mentale. Tuttavia, non sapremo mai quale viene prima: la gallina o l’uovo. È venuto prima un gioco migliore o un miglioramento mentale? Non mi interessa nemmeno. Sono contento che stiamo facendo tutti un lavoro tale da ottenere risultati come la scorsa stagione. Sono molto contento di come Iga ora prende decisioni in campo, con responsabilità. Produce un gioco più aggressivo, decide bene quando accelerare, come farlo e in quale direzione. Questa decisione è stata assente nella partita contro Sabalenka nelle finali WTA e contro Cornet a Wimbledon, sono state due partite in cui Iga ha giocato senza prendere decisioni. Ha perso solo 9 partite nel 2022, in sette la rivale ha disputato una prestazione migliore, Iga ha meritato di perdere. Nelle due sconfitte con Sabalenka e Cornet no, Iga poteva vincere”.
    Il coach ha lavorato duramente per trasformare Swiatek in una tennista molto più aggressiva e meno attendista. È stato un lavoro che ha portato frutti quasi immediati: “Sono stato fortunato che ciò su cui abbiamo lavorato a dicembre ha portato risultati molto rapidamente. Iga ha dimostrato di essere già una grande giocatrice, aveva solo bisogno di un po’ di ordine e di razionalizzare il suo gioco, e di un allenamento diverso. A dire il vero, non mi aspettavo che riuscisse a mettere in campo così velocemente queste piccole cose: come la correzione dello swing di diritto, la posizione in risposta o il rapporto tra la direzione del colpo. A sua volta, grazie al fatto che i buoni risultati sono arrivati rapidamente, è stato anche più facile per me continuare. Abbiamo creato fiducia e siamo stati in grado di andare avanti sulla base di questo”.
    Entrando più nel dettaglio tecnico, Wiktorowski parla del servizio e degli schemi di gioco. “Continuo a chiedere a Iga di essere sempre pronta a giocare una palla in più. A volte non lo fa quando è a rete: dopo una volée si dimentica di prepararsi per un colpo successivo o di essere pronta per uno smash. Oggi stiamo lavorando e non ci fermiamo più al primo colpo al volo. Da un punto di vista tecnico, il colpo che Iga ha migliorato di più quest’anno è il servizio. Ne ho la conferma dai numeri. Ad esempio, la finale degli US Open Iga l’ha vinta principalmente con il servizio, soprattutto nel primo set. Stiamo lavorando molto sulla palla corta, sia col diritto che di rovescio. Un drop shot viene giocato con una mossa simile a uno slice. Quando Iga si sente sicura, introdurrà un drop shot o mi segnalerà che è pronta ad usarlo. E se non lo fa, lo proporrò io di usarlo maggiormente”.
    Il coach è orgoglioso della continuità di risultati ottenuti da Iga nel 2022. “Sono orgoglioso per come Iga è riuscita portare avanti questa stagione. Ha mantenuto l’alto livello mostrato all’inizio dell’anno. Non ci sono stati grandi cali. Possiamo considerare le partite in cui ha perso, ma ce ne sono state davvero poche. Per tutto il resto è stata in grado di giocare a un livello che prima poteva solo sognare. Iga è stata in grado di trasferire tutta se stessa in campo, e le situazioni sono diverse nell’arco di un’annata. Mantenere quel livello è legato alla capacità di adattamento. Iga ha mantenuto la sua efficacia, adattandosi alle varie condizioni che ha dovuto affrontare, invece di cercare – cosa comune tra i giocatori ed è una trappola – di subirle secondo quel che si aspettava. Sono anche orgoglioso del fatto che abbiamo introdotto una mentalità secondo cui non puntiamo a un risultato decente, ma alla vittoria. Lo abbiamo introdotto in collaborazione con Daria Abramowicz all’inizio dell’anno. Anche questo ha funzionato”.
    Un suo pensiero sul tennis femminile in questo momento. “Tre-quattro anni fa pensavo che avremmo avuto un tennis femminile molto fisico ma anche tecnicamente migliore. Sono sorpreso che le ragazze che non hanno ancora una tecnica di gioco completa riescono ad arrivare alla ribalta. Jabeur ha un tennis molto interessante, anche Garcia. Pegula e Gauff, sono una delle migliori coppie, ma si notano carenze tecniche. Anche la stessa Iga non ancora ha una tecnica completa. Qualche anno fa, mi sembrava che se fossimo arrivati a questo punto del tennis femminile, una tecnica completa era un prerequisito per primeggiare. Il termine ‘tecnica completa’ a mio parere copre tutti i colpi. Nel caso di Iga, questa tecnica è quasi completa, ci stiamo avvicinando”.
    “I miei punti di riferimento? Ho lavorato con molti grandi coach in passato. Ci siamo allenati molto con Wozniacki e Sven Groeneveld. Ho anche studiato Carlos Rodriguez, che mi ha sempre impressionato quando era allenatore di Henin e Li Na. David Kotyza era così rilassato e allo stesso tempo aveva un buon rapporto con Kvitova, tutto era organizzato in campo. Sam Sumyk che lavora con Azarenka ha mostrato un tennis più aggressivo. Mi ha fatto pensare a come Azarenka riesca ad accorciare le distanze dalla palla. Quando Darren Cahill ha lavorato con Halep, ci siamo allenati molto insieme. Lui ha un approccio più analitico. Anche quest’anno abbiamo avuto modo di scambiare due parole. Ho usato due consigli che ho dato a Iga”.
    Un’intervista molto interessante, che racconta nel dettaglio come Swiatek sia riuscita a prendere slancio dopo il ritiro di Ash Barty e scappare via in fuga su tutto il gruppo delle rivali, capitalizzando novità tecniche con una mentalità vincente. Per molti mesi, soprattutto in primavera, Iga è parsa praticamente imbattibile, troppo più veloce, aggressiva a resistente in campo. Il 2023 sarà un’annata ancor più complessa, quella delle conferme dopo un 2022 favoloso. La polacca sembra avere ancora un certo margine su tutte le avversarie, ma molto dipenderà da lei, dalla sua capacità di mantenere quel tennis “energetico” che diventa una sorta di muro difficilissimo da scardinare.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Musetti: “Avere molte soluzioni tecniche è una benedizione, ma può diventare anche una maledizione”

    Lorenzo Musetti

    Lorenzo Musetti ha rilasciato un’intervista al magazine tedesco Tennis Magazin, in cui spazia su vari temi. Molto interessante la parte relativa al suo gioco, in particolare le parole sul suo rovescio. È il colpo più spettacolare e amato dal pubblico, e anche il suo preferito, visto che l’ha sempre sentito in modo totalmente naturale. Conferma il suo amore per Roger Federer, ma se si parla di rovescio il suo cuore batte per quello (strepitoso) di David Nalbandian, anche se a due mani. Riportiamo alcuni passaggi dell’intervista.
    “Il mio idolo d’infanzia è sempre stato Roger Federer, ma quando si parla del miglior rovescio, penso a Nalbandian” rivela Lorenzo. “È vero che gioco il rovescio a una mano, ma il rovescio che mi è piaciuto di più è stato quello di Nalbandian, anche se era a due mani. Secondo me il suo rovescio è stato uno dei più belli del circuito. Ho avuto anche modo di conoscerlo, attualmente è l’allenatore di Miomir Kecmanovic. Siamo amici, ci alleniamo spesso insieme. A volte, quando colpisco un rovescio vincente lungo la linea, immagino di essere David”.
    Ecco la storia del suo rovescio a una mano, in campo arma letale soprattutto quando accelera all’improvviso col lungo linea. Eppure per Lorenzo, non è il rovescio in sé il suo vero punto di forza. “Nessuno mi ha insegnato a colpire il rovescio a una mano, è stata una scelta naturale. Ricordo che la prima volta che ho preso in mano una racchetta ho iniziato a colpire il rovescio a una mano, penso di aver preso la decisione giusta fin dai primi colpi della mia vita e non ho mai voluto cambiarla. A volte, per il gusto di farlo, ho provato a fare il rovescio a due mani in qualche allenamento, ma non ho mai capito come farlo correttamente. Mi piace giocare a sinistra con una sola mano, non cambierei mai. Pro e contro? Penso che con una mano si senta meglio la palla, si abbia più tocco, si può variare molto le giocate, sia cercando il lungo linea che con il cross. Puoi anche giocare con topspin o slice. Non è un colpo facile, non basta il braccio, ci vuole anche grande capacità fisica, stabilità ed equilibrio per giocare il rovescio a una mano, ma credo sia meglio del rovescio a due mani. Quando si è risposta non è facile, soprattutto sui campi veloci, ma io ho sempre fatto così e sono contento. Se è la mia arma più grande? Non direi, credo che il mio punto di forza sia la varietà di gioco, quando cerco di fare più colpi possibili, anche se non sempre funziona per me”.
    Il seguente passaggio è molto interessante, poiché conferma quello che abbiamo osservato sul campo negli ultimi mesi e che ci aveva confessato lo scorso autunno il suo coach Tartarini: il vantaggio dell’avere un bagaglio tecnico enorme può diventare uno svantaggio se non ben gestito. L’aver migliorato e soprattutto razionalizzato molte fasi di gioco è stata la chiave per l’importante scatto in avanti del toscano compiuto negli ultimi mesi. “Avere tutti i colpi può essere una maledizione o una benedizione, ma in questo momento la vedo più come una benedizione. Alla fine, se sai gestire e indirizzare negli scambi tutte le tue abilità puoi ottenere risultati importanti. Sono cose innate, se non ce l’hai naturalmente sono difficili da imparare. Io sono molto felice di avere questa diversità di gioco in campo, anche se a volte può essere una maledizione se la non gestisco bene, ma fa parte del gioco, quindi lo accetto“.
    Tartarini è il suo coach da sempre, Musetti è estremamente felice di averlo a fianco: “Sono cresciuto con lui, abbiamo un rapporto molto speciale che dura da moltissimi anni. Per me è importantissimo averlo al mio fianco, recentemente abbiamo iniziato a lavorare anche con Umberto Rianna. Sento che siamo una grande squadra, siamo preparati per giocare ai massimi livelli”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Thiem: “Spero di tornare competitivo per vincere gli Slam, altrimenti smetterò”

    Dominic Thiem

    Dominic Thiem ha finalmente brillato all’ATP 250 di Gijon, in corso questa settimana in contemporanea al torneo indoor di Firenze. Per suo stesso dire quella contro Sousa è stata la sua miglior prestazione dopo l’infortunio al polso che l’ha costretto a un lungo stop e una difficile riabilitazione. L’avversario non era tra i più temibili, ma è piaciuto assai il tennis del viennese. Erano mesi e mesi che l’austriaco non riusciva a produrre un tennis così consistente, offensivo e carico di quella potenza, intensità ed energia che l’avevano portato ai vertici della disciplina, con la vittoria a US Open e le finali raggiunte a Parigi e Australian Open.
    Intervistato dal quotidiano iberico AS, Dominic ha parlato a 360° del suo momento, di quanto sia stato difficile ritrovare il suo miglior tennis e dei suoi obiettivi. È consapevole che sarà molto difficile, ma vuole tornare competitivo negli Slam, altrimenti crede sia meglio farsi da parte. Ecco alcuni estratti del suo pensiero.
    “Finalmente il polso sta bene. Tornare al 100% mi è costato molto, sono stato molto tempo senza giocare al meglio. Il diritto era sparito, da essere un colpo molto buono era crollato quasi zero, mi ci è voluto molto lavoro per riaverlo. Ora sono su una strada molto buona”.
    Per molti osservatori rovescio era il suo punto di forza, anche se lui non la pensa proprio così: “Il rovescio? Penso che sia migliorato un po’ nell’ultimo mese, il che è importante per me perché anche se il mio rovescio è sempre stato un buon colpo, nella fase migliore della mia carriera costruivo il punto e cercavo più il vincente con il diritto. E dopo l’infortunio tutto questo non ha più funzionato. Quindi ho dovuto chiedere molto di più al rovescio. Era l’unico colpo con cui riuscivo a fare la differenza. Ora che a poco a poco la spinta sta tornando, può essere un’ottima combinazione per me”.
    Ricordano a Dominic che in passato ha battuto Roger, Rafa e Novak cinque volte ciascuno. Passare da quel livello alle sconfitte nei primi turni in così poco tempo deve esser stato difficile da digerire… “Sono momenti molto diversi. La mia carriera è divisa in due, prima e dopo l’infortunio. La prima parte è stata incredibile. Sono stato in grado di battere tutti i migliori, vincere molti tornei, persino un Grande Slam. E poi è arrivato l’infortunio e la mia traiettoria si è fermata. La fase attuale da un certo punto di vista è un’esperienza molto interessante perché devo essere in grado di competere di nuovo con tanti ragazzi in gamba, cercando di arrivare a giocarmela contro i migliori e questo è un bene. Ovviamente le partite e le vittorie contro Federer, Nadal e Djokovic mi stanno aiutando, perché sono state una bella esperienza e mi ricordano che giocatore ero, dove voglio tornare”.
    “Tornare a lottare per uno Slam? È quello che voglio, ho la convinzione di potercela fare. Altrimenti rinuncerei alla mia carriera. Ero in al vertice, tra i primi tre in classifica. Ho la sensazione di essere in grado di lottare ancora per i grandi titoli, per gli Slam e di poter battere chiunque. Altrimenti, tutto questo duro lavoro non avrebbe senso per me. Spero l’anno prossimo di poter tornare a quel livello, ora che sto finalmente bene”.
    Stare tanti mesi senza giocare gli è costato molto, ha perso la motivazione: “Quando giochi male, le cose non vanno, è difficile tenere alta la motivazione e tornare in giorno in campo senza vedere miglioramenti. Per me è stato difficile. Non vedevo molto tennis quando sono stato costretto ai box, era difficile non stare là con gli altri. Tutto questo sembra alle spalle”.
    “Ritiro? No, seriamente non c’ho mai pensato. Sono ancora molto giovane, penso di aver davanti a me altri anni positivi”.
    “Alcaraz? È il più giovane numero uno della storia e vincitore degli US Open da teenager, è un tennista eccezionale. Sta cambiando il tennis, perché a New York e in altri tornei lui era sempre lì, in attacco, andando a rete, giocando ogni punto senza paura e con ritmi altissimi. Penso che questo sia qualcosa di nuovo”.
    Non sarà facile per Thiem ritrovare quella combinazione di intensità, forza e determinazione che l’hanno portato sul trono di New York e super competitivo in tutti i grandi tornei. Anche nei suoi anni migliori, la sensazione che esprimeva il suo tennis è sempre stata quella di una notevole “fatica”. Ha chiesto di tutto di più alla sua testa e al suo fisico per arrivare al livello di Novak e compagni, spremendo ogni goccia di quel che aveva. Tanta forza, abnegazione, ma poca fluidità e tempo sulla palla, quindi per generare velocità c’ha sempre messo forza, fatica, intensità, scambiando fin troppo e quindi facendo chilometri e chilometri. Ha migliorato il suo tennis negli anni, crescendo soprattutto al servizio, ma non è mai davvero riuscito a passare da quel tennis muscolare di pressione e intensità ad un gioco più rapido e meno dispendioso nella ricerca del punto e anche in difesa. Bravissimo nell’arrivare con i suoi mezzi tra i migliori del mondo, ma la storia del gioco insegna che quando hai un tennis che ti spreme così tanto, arrivi a toccare l’apice e poi sei costretto a fermarti, ritrovare quella estrema motivazione per tornare a quei livelli è molto, molto difficile. Glielo auguriamo, perché Thiem nei suoi anni migliori è stato protagonista grandi battaglie contro Roger, Rafa e gli altri, regalando grande spettacolo.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO