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    Robredo si ritirerà al 500 di Barcellona. “Se potessi tornare indietro, farei scelte diverse. Oggi poca tattica in campo”

    Tommy Robredo

    Tommy Robredo ha gravitato negli ultimi anni nei tornei minori, sceso in classifica e affrontando ragazzi che potevano essere suoi figli (farà 40 anni il prossimo 1° maggio). Fino a poco fa tuttavia, guai a parlargli di ritiro. Intervistato nei Challenger, anche dopo brutte sconfitte per un ex top10, rispondeva quasi stizzito alla solita domanda… perché dovrei smettere, se ancora mi diverto? Il periodo difficile della pandemia e la paternità hanno cambiato le cose, tanto che il catalano ha deciso di appendere la racchetta al chiodo dopo il torneo di Barcellona, a cui è molto legato e che disputerà grazie ad una wild card. È stato intervistato dal quotidiano nazionale AS, con alcune dichiarazioni interessanti sulla propria carriera e sul mondo del tennis in generale. Ne riportiamo alcuni estratti.
    “15 anni fa non mi potevo immaginare di arrivare così avanti… A quel tempo i colleghi andavano “in pensione” assai prima, difficilmente si superavano i 30 anni, ora molti lo fanno quando ne hanno quasi 40 anni. Tutto è migliorato: ci sono i preparatori fisici, i medici… Mi sono preso molta cura di me stesso da qualche anno“.
    “Perché oggi il ritiro? Diverse cose che si uniscono. Non mi sento più a posto né fisicamente né mentalmente, e poi c’è la mia posizione in classifica. Inizi a perdere e tutto questo pesa, il fuoco si spegne. Ho accettato che sarebbe successo, ma ho giocato perché mi piaceva. ‘Finché non trovo qualcosa che mi soddisfa di più, non ci rinuncerò’, mi dicevo. La pandemia ha accelerato tutto. Sono stato a casa con mia figlia, e non voglio perdermi perché sono in giro in torneo la prima volta che mi chiamerà papà, il primo gattonare, quando cammina… Volevo smettere l’anno scorso, ma non volevo che il mio ultimo match lo dovessi giocare da solo. Volevo vedere mio padre, mia madre, mia moglie e mia figlia sugli spalti, ecco perché sono arrivato fino ad oggi”.
    “Il mio momento migliore? Non ne trovo uno in particolare, ma direi nel 2006 o nel 2007, quando ero quinto o sesto al mondo. Per assurdo credo che oggi sono un giocatore migliore di allora, ma la sfortuna del tennista è che a 17 o 18 anni inizi a fare il professionista e non sai niente della vita. È come se fossi il direttore di un’azienda e ti arrivassero botte e problemi da tutte le parti, devi adattarti e farlo in fretta. E quando hai 30 o 35 anni e vai in pensione, è allora che conosci davvero il mondo e sapresti come gestire quelle cose che hai subito in gioventù. Cosa cambierei in particolare? Farei quasi tutto in modo diverso. Meno tornei, li preparerei meglio, sceglierei questo allenatore, l’altro fisioterapista, ecc. Andrei a vivere da qualche altra parte… Con l’esperienza si impara, penso che la stessa cosa accada nella vita”.
    Ha già iniziato una carriera come coach: “Adesso alleno un ragazzo di 16 anni e lo guiderò, ma non significa che gli vada bene perché quello che potrebbe andare bene per me non necessariamente andrà bene per lui. Vedremo”.
    Secondo Robredo, il tennis di oggi è peggiore rispetto a quello dei suoi momenti d’oro. Nessuna nostalgia, ha una spiegazione a questa preferenza: “Non credo che oggi ci sia meno talento di qualche anno fa, quello no. Se analizzi i giocatori migliori di adesso, ma anche una larga fetta di loro, alle fine trovi qualcuno che va più diretto al vincente, un altro ha più servizio o gioca dentro il campo… C’è ancora oggi varietà, ma quel che manca è la tattica, sono pochissimi i tennisti che lavorano il punto, che fanno correre l’avversario, che cercano il punto debole. I giovani colpiscono vincenti da ogni parte del campo, a volte pensi ‘come ci riescono’… Sono un guerriero dei tempi antichi. Mi piace giocare a Risiko più che tirare direttamente una bomba per spaccare lo scambio. Mi piace la tattica, la maggior parte dei giocatori ne usa poca e tira solo forte”.
    Viste le sue parole, facile capire chi sia oggi il suo preferito: “Medvedev è spettacolare: serve tremendamente bene, risponde benissimo e tutti i colpi sono profondi. Ha una bella mano, gioca anche di volo e recupera il campo, Tsitsipas è intelligente, usa più tattiche, sa come usarle. Rublev invece è molto solido. Zverev ha talento, ma troppi alti e bassi. Sinner è un giocatore straordinario, può arrivare molto in alto, come Alcaraz. Non so se sarà il numero uno, due, sette, ma vedi qualcosa di diverso in lui. Quello che possiamo fare adesso non è mettergli addosso il marchio di “nuovo Rafa”, ma solo di essere Alcaraz”.
    Nessun fastidio per esser stato all’ombra di Nadal, anzi: “Geloso di Nadal? Nient’affatto. Avendo avuto un campione così in Spagna si parla di più di tennis, quindi ci sono più sponsor, più soldi e interesse… Quando ho iniziato, in un Grande Slam se ti eliminavano al primo turno vincevi 6.000 euro e ora sono 60.000. E questo grazie a Nadal e Federer, uno come me può solo ringraziarli, anche se ci ho perso tante volte”.
    Una bella intervista, ad un tennista molto corretto, estremamente lucido e positivo, che per anni ha tirato la carretta raggiungendo ottimi risultati. Chiuderà la carriera con 12 tornei vinti, su cui spiccano i successi al “Godò” di Barcellona nel 2004 e il Masters 1000 di Amburgo nel 2006. Negli Slam ha raggiunto i quarti agli Australian Open, US Open e ben 5 volte a Roland Garros. Gli è mancato proprio l’acuto in uno Slam, una semifinale, ma vinto la Davis con il team iberico.
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    Coric torna ad Indian Wells: “Niente racchetta per sette mesi. Dico ai giovani, attenti al proprio corpo”

    Borna Coric, finalmente torna in campo

    Il Masters 1000 di Indian Wells quasi sicuramente dovrà fare a meno di Novak Djokovic, ma di sicuro riabbraccia Borna Coric. Proprio in California il croato ha ottenuto uno dei migliori risultati in carriera, la semifinale del 2018 (sconfitto dopo una dura battaglia da Roger Federer). Nel novembre di quell’anno toccò il best ranking, n.12. Il suo gioco era in piena evoluzione, anche quel diritto che sempre l’aveva fatto penare iniziava a diventare più stabile ed efficace. Poi sono iniziati mille problemi fisici, che l’hanno costretto a continui alti e bassi. A Rotterdam 2021 quasi non riusciva più a servire, per questo ha scelto di sottoporsi ad un delicato intervento alla spalla. Di lui si erano perse praticamente le tracce, ma la sua voglia di tornare è stata più forte del dolore e di una lunga riabilitazione.
    Nel main draw del torneo ha pescato lo spagnolo Davidovich Fokina, uno tosto ed in buona forma, non sarà un rientro agevole. Ma per Borna già esser di nuovo in torneo è un grande successo. L’ha intervistato Tennis Major, una lunga chiacchierata in cui Coric racconta i momenti difficili molto altro. Ecco alcuni passaggi del suo pensiero.
    “Come mi sento? Non posso paragonare questa sensazione a nient’altro, dal momento che questa è la prima volta che sono stato costretto a farsi da parte per un anno intero. La mia ultima pausa così lunga risale a quando avevo 12-13 anni e ho subito un intervento chirurgico al polso. Ho ripreso gli allenamenti il 1° novembre, ancora senza servire. Le cose ora vanno molto meglio, è una sensazione splendida essere qui”.
    Il dopo intervento non è andato liscio come sperava, ma non ha mai avuto davvero paura di non farcela: “Quando un atleta professionista subisce la chirurgia, non è mai garantito che torni come prima. Ho avuto complicazioni dopo l’intervento chirurgico, perché il dolore è stato presente più a lungo del previsto. Parlando da questo punto di vista, forse c’era da aspettarselo, ma in quel momento mi sembrava di essere piuttosto in ritardo con la mia riabilitazione. Non mi sentivo sicuro, stavo servendo con leggerezza e sentivo ancora dolore, insieme a uno spasmo muscolare, che mi era stato detto che a quel punto doveva essere sparito. I dubbi si sono insinuati, ma sapevo che dovevo fare la mia parte ogni giorno in modo da poter tornare al posto in cui ero, fisicamente e dal punto di vista del servizio. Il medico che ha eseguito l’intervento mi ha detto che c’era una possibilità che potessi essere pronto per gli US Open. Quando è arrivato quel momento, non avevo ancora preso in mano una racchetta, quindi era normale avere dei dubbi… ce la farò? Per fortuna, ora sto bene”.
    Il suo fisioterapista è stato fondamentale in tutto il processo, non solo dal punto di vista medico: “Il mio fisioterapista Yiani Louizos, sottolineo sempre il suo contributo. Senza di lui, di certo non sarei qui dove sono ora. È molto devoto, un esperto nel suo campo, e ha sempre scelto le parole giuste da dirmi. Non è stato facile, perché la riabilitazione è durata dagli otto ai nove mesi con molti alti e bassi: faceva male, non faceva male e così via… Yiani ha gestito tutto molto bene e non mi ha abbandonato in un momento in cui non c’erano garanzie per il futuro. È rimasto con me, ha creduto nel nostro lavoro e nella mia capacità di tornare al 100% fisicamente e che la mia spalla sarebbe stata migliore di prima. Anche quando non ci credevo, lui ci credeva, e mi rassicurava, spingendomi a mettermi all’opera anche quando non ne avevo voglia. L’etica del lavoro non è mai stata un problema per me, ma sono abituato alla pratica del tennis e agli allenamenti pesanti. E poi, all’improvviso, tutto ciò che ho dovuto fare per due ore è stato muovere delicatamente la spalla su e giù e avanti e indietro. È stato davvero impegnativo per me mentalmente”.
    Coric rientra con un nuovo team: “Il mio nuovo allenatore è Mate Delic (ex numero 150 del mondo), siamo solo io, Yiani e lui. Mate mi ha aiutato negli ultimi quattro anni, da quando ha smesso di giocare a livello professionistico. Mate ed io ci conosciamo da molto tempo, lui mi conosce davvero nei dettagli: il mio gioco e come sono, la mia personalità. È relativamente nuovo nell’allenamento, ma siamo ottimi amici e ho sentito che era il momento giusto per lavorare insieme”.
    Ecco il passaggio più interessante dell’intervista. Coric si rimprovera di non aver fatto tutte scelte giuste in passato, e ammonisce i giovani a non lasciar correre certe situazioni, soprattutto sul lato fisico, perché possono diventare molto problematiche quando meno te lo aspetti… “Guardandolo dalla mia prospettiva attuale, mi dispiace di non essere stato in grado di formare una squadra migliore quando ero più giovane. D’altra parte, è un circo molto popolato – tante persone, tanti allenatori – quindi è davvero difficile valutare chi sia il vero affare e chi non va bene. Non posso davvero incolpare me stesso, soprattutto perché ero molto giovane, ma me ne pento comunque. Ecco perché ritengo che per i giovani giocatori sia fondamentale essere consapevoli di dove potrebbero nascondersi i problemi futuri. Ad esempio, se avessi fatto una scansione adeguata della mia spalla quando avevo 18 anni, non credo che si sarebbe arrivati ​​a questo. Se avessi saputo cosa stava succedendo alla mia spalla, avrei fatto gli esercizi di conseguenza. Sono quasi sicuro che questo non sarebbe successo, o sarebbe successo in dieci anni, e ho problemi alla spalla da quando avevo 23 anni. Il corpo di tutti ha un punto debole e la mia è sicuramente la spalla. Non me ne sono preso cura nel modo giusto quando ero più giovane. Il tennis è uno sport molto impegnativo in termini di programmazione: ho capito qual era il problema quando avevo 23-24 anni, ma non ho mai avuto il lusso di prendermi 10-12 settimane di pausa per dedicargli tutta la mia attenzione. E poi peggiora”.
    “Ormai non mi pongo più obiettivi. Nel 2018, quando ero arrivato molto in alto, certo che ne avevo. Poi le cose sono girate male, ho rischiato di smettere, ho convissuto col dolore. Quindi, basta programmi di lungo termine. Quello che posso dire è che questa pausa mi ha fatto capire quanto amo il tennis, mi è mancato così tanto. Negli ultimi sette o otto anni mi è sembrato di essere schiacciato, con tutta la pressione e le aspettative. Quindi, in un certo senso, quello che è successo è stato positivo, perché ho avuto la possibilità di resettare, rinnovare la mia passione e rendermi conto di quanto mi godo la mia vita di tennista”.
    Coric compierà 26 anni il prossimo 14 novembre, è ancora un tennista estremamente giovane. Rientrare dopo i suoi problemi non sarà affatto facile, ma gli auguriamo tutto il meglio.
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    La prima intervista di Simone Anzani dopo il rinnovo con la Cucine Lube

    Prima di approdare alla Lube Simone Anzani era già un vincente, ma in questi due anni è maturato, è diventato padre di una bellissima bimba e ha messo le mani su titoli prestigiosi internazionali e nazionali conquistando l’ambiente dentro e fuori dal campo.
    Avevi le idee chiare sul rinnovo?
    “La mia è stata una scelta facile. Quando ho appurato che c’era la possibilità di vestire ancora la maglia biancorossa tutto è avvenuto con naturalezza. Parliamo di una delle migliori società, anche a livello internazionale, che negli ultimi anni ha vinto praticamente tutto. Mi trovo nel team perfetto al momento giusto. Il rinnovo è una nota d’orgoglio per me, significa che ho lasciato il segno. Intendo farlo anche nel prossimo futuro”.
    Ti sei calato perfettamente nella realtà biancorossa e ne sei diventato un pilastro. Cosa incarna per te l’hashtag ‘Noi Siamo Lube’?
    “Questa frase non racchiude solo l’aspetto sportivo, ma anche quello aziendale. Nel suo discorso di inizio anno il patron Fabio Giulianelli ci ricorda sempre che la Lube scende in campo per vincere. Chi entra in questa grande famiglia sa che le pressioni sono tante e che per alleviarle bisogna conquistare titoli. Quindi, è inevitabile collegare a questo motto il concetto di vittoria”.
    Hai assimilato bene i dettami del patron…tante vittorie e salti imperiosi, ma fuori dal campo tieni sempre i piedi per terra. Come riesci a mantenere l’umiltà?
    “Fin da quando ero piccolo mi hanno insegnato che i risultati arrivano con il lavoro sodo. Non mi reputo un talento e, quindi, ho bisogno di lavorare con assiduità. I piedi vanno tenuti sempre ben saldi a terra fuori dal campo, perché ci vuole un attimo a perdere di vista la realtà cadendo rovinosamente. Siamo umani e non si può giocare sempre al top, ma ciò che conta è dare il massimo sapendo di aver sudato le classiche sette camicie”.
    Questo ragionamento è anche alla base dell’alchimia biancorossa? La Lube ha raggiunto obiettivi pazzeschi con un gruppo ben assortito.
    “Il lavoro e la capacità di sacrificarsi in questo team non mancano mai, sono all’ordine del giorno. Alla Lube non conta partecipare, ma è fondamentale inseguire la vittoria dando tutto. Il focus è prevalere sui rivali, la strada obbligata è il lavoro costante che passa anche per la capacità di vendere sempre cara la pelle”.
    La Cucine Lube è in lizza per lo Scudetto e la Champions League! Quali sono i tuoi piani?
    “Abbiamo qualche mese davanti prima di pensare alle fasi calde. Per il momento lavoriamo nel migliore dei modi, ragionando step by step, partita dopo partita. Quando arriveranno gli appuntamenti che contano ci faremo trovare pronti e carichi per lottare fino alla fine”. LEGGI TUTTO

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    Riccardo Piatti: “Io gli parlo delle partite che perde. Quelle che vince sono sue, quelle che perde sono mie”

    Riccardo Piatti con Jannik Sinner

    Jannik Sinner è partito ieri, 26 dicembre, per l’Australia insieme al suo collaudato team: Dilibor Sirola, Claudio Zimaglia e Riccardo Piatti. L’esperto coach comacino ha rilasciato una lunga e molto interessante intervista ad Enzo Anderloni su Supertennis. Ne riportiamo alcuni passaggi significativi (consigliamo di leggerla tutta, ne vale la pena), che spiegano il rapporto tra l’allenatore e Jannik, il loro lavoro, gli obiettivi su cui si concentrerà per la crescita e consolidamento nel 2022. Piatti si dice molto fiducioso per la prossima stagione, l’unica condizione è lavorare, programmarsi bene e continuare ad imparare, soprattutto dalle sconfitte.

    “A inizio 2021 pensavo che un obbiettivo potesse essere di qualificarsi per il masters e per riuscirci doveva riuscire a giocare tra le 50 e le 60 partite o anche di più. Per il 2022 il discorso è analogo: giocare ancora 55/60 partite, puntando a qualificarsi per le Finals. Se lui riesce a fare quel numero di match, considerato il livello di tornei cui partecipa, è in automatico tra i primi 8 del mondo”.
    “Io gli parlo delle partite che perde. Quelle che vince sono sue, quelle che perde sono mie. Lui nel 2021 ha perso 22 partite in 26 tornei. Ha vinto 4 titoli e giocato la Davis, in cui non ha mai perso. Per esempio: la prima sconfitta dell’anno è stata quella con Shapovalov agli Open d’Australia. Su quella gli ho detto: per me nel momento importante hai risposto da troppo lontano. Dovevi rispondere da più vicino e poi aprirti il campo. Seconda sconfitta, con Bedene (a Montpellier): hai aspettato troppo che sbagliasse lui; dovevi spingere per andare avanti. Con Medevedev (sconfitta nei quarti a Marsiglia): dovevi attaccare. Gli faccio la mia analisi di come sono andate le cose e lui mi deve fare la sua. Sulle vittorie si dicono due parole a caldo e poi non se ne parla più. Dalle sconfitte si impara”.
    “Abbiamo imparato tanto anche dal fatto che Jannik ha giocato 13 tornei del tutto nuovi per lui. In posti dove non era mai stato. Più la Coppa Davis. Questo ha un valore enorme per il prossimo anno, perché saranno situazioni che lui saprà già gestire. Quando arriverà a Wimbledon, almeno saprà già dove sono gli spogliatoi (ride). Sa già come funziona l’organizzazione. Quando arriverà a Madrid saprà già che si gioca in altura e che cosa significa. Nel 2021 ha perso con Popyrin perché non era ovvio per lui che in altura si deve giocare in un modo simile a quello dei tornei indoor, anche se ci si trova sulla terra battuta. Lui a Madrid ha giocato come ha giocato a Barcellona, anche quella una prima volta per lui. Barcellona e Madrid sono due tornei sulla terra battuta e in Spagna ma le condizioni sono diversissime e richiedono due modi diversi di giocare. E’ per questo che aver giocato 13 tornei del tutto nuovi è stato un fattore molto importante e molto utile. E se ti dico che queste prime volte sono arrivate a Miami, Barcellona, Madrid, al Queen’s Club, a Wimbledon, Atlanta, Montreal, Cincinnati, Indian Wells, Parigi Bercy e alle Nitto ATP Finals è facile capire che peso possa aver avuto la novità quest’anno e quanto sarà diverso il 2022 sulla base di questa esperienza”.
    “La sconfitta con Tiafoe? E’ stata importantissima. Avesse vinto sarebbe salito al n.7 nella Race e sarebbe arrivato con tanti punti a Parigi/Bercy mettendo sotto pressione gli altri. Invece l’ha persa. Ma ha capito perché l’ha persa. E la prossima volta non la perde più, di sicuro non così. Magari potrà capitargli di perdere ancora da Tiafoe ma non in quel modo”.
    “Jannik può battere i primi, o giocare al loro livello, ma non è ancora a quel livello. Lui secondo me è già a un livello superiore a Ruud e Hurkacz che gli sono davanti in classifica (anche se sulla terra battuta Ruud è più tosto e Hurkacz lo è altrettanto sul cemento all’aperto). Jannik è più forte di Hurkacz sulla terra e di Ruud sul cemento e indoor”.
    “Stiamo lavorando molto sul servizio. E sul fatto di essere ancora più aggressivo nel gioco. Cambiare di più la palla, aprirsi il campo e venire a rete. Deve far pensare di più l’avversario”.
    “L’unico problema che vedo per il prossimo anno è la programmazione. Bisogna essere molto accorti: se Jannik gioca tante partite dovrà fare pochi tornei perché deve poter riposare e allenarsi. La cosa migliore che lui ha fatto nel 2021, purtroppo andando controcorrente, è stato non andare alle Olimpiadi. Non ci è andato, tengo a ripeterlo un’altra volta, perché è stato molto onesto: non era pronto per andare alle Olimpiadi. Mentre era pronto, e si sentiva pronto, per giocare la Coppa Davis. Infatti si è espresso nel modo che tutti hanno visto. Tennisti come Sinner non possono giocare sempre”.
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    Zverev: “Il miglior coach avuto? Ferrer, oltre a mio padre. Lendl? Non andavamo d’accordo”

    Alexander Zverev

    Alexander Zverev ha chiuso il 2021 con il grande successo alle ATP Finals, dove ha sconfitto uno dopo l’altro Medvedev e Djokovic, i primi due nel ranking. Una vittoria che conferma la sua ottima seconda parte di stagione e lo candida a un ruolo di protagonista nel 2022. Sarà l’anno buono per il suo primo successo in uno Slam? Sasha ha parlato a Tennis Magazine tedesco, rilasciando interessanti dichiarazioni su più temi.
    Ha confermato di essere assolutamente tranquillo relativamente alle accuse di molestie ricevute dalla sua ex fidanzata, “La verità verrà fuori, io so come sono andate le cose”, preferendo parlare di tennis giocato. Nel 2021 crede di esser migliorato nell’efficacia del servizio. I numeri e le impressioni dal campo confermano il salto di qualità del tedesco con la prima e la seconda palla. Quando Zverev prende ritmo con la prima di servizio, diventa a tratti ingiocabile, tutto il suo tennis scorre più veloce e soprattutto offensivo. Con la seconda palla ancora rischia di stazionare in una posizione meno avanzata, scambiando troppo e rischiando di forzare qualche errore soprattutto col diritto, ma il suo tennis è diventato più rapido come tempi di gioco.
    Uno dei passaggi più interessanti dell’intervista è relativo ai molti coach avuti nella sua pur giovane carriera. Passandoli in rassegna, Zverev premia David Ferrer. I due hanno lavorato per un breve lasso di tempo, ma i consigli dell’ex top 10 iberico sono stati a suo dire fondamentali.
    “Con Juan Carlos Ferrero ho condiviso momenti importanti, ma oltre a mio padre che è stato sempre fondamentale credo che David Ferrer sia stato il miglior allenatore che ho avuto nella mia vita. Ma purtroppo lo scorso anno ci siamo dovuti fermare a causa della situazione Covid e non siamo riusciti a ripartire. È l’unico con cui direi ‘dai, riproviamoci’. È una persona speciale, mi ha lasciato molto”. Ferrer ha lavorato con Zverev da metà 2020 fino a gennaio 2021, periodo durante il quale il tedesco ha raggiunto la sua prima finale Slam agli US Open 2020, persa di un soffio contro Thiem, e soprattutto il suo gioco ha fatto uno scatto in avanti in termini di consistenza e aggressività.
    Pessimo invece il ricordo del periodo passato con Ivan Lendl, considerato da molti – Andy Murray in primis – un super coach, ma che invece con Zverev non ha legato. “Lendl era più interessato a parlare di golf e del suo cane che di tennis. Non ha funzionato bene, non è un segreto. Non è mai scattata una buona chimica tra di noi. Abbiamo visto le cose in modo diverso sul campo, durante gli allenamenti. Credo di capire il mio sport, ho una personalità. Non sono uno che dice sì e amen a tutto. Controbatto anche le opinioni molto spesso, chiedo sempre perché la vedi in quel modo e a volte dico, io la vedo diversamente. Non puoi unirti alla mia squadra e capovolgere la mia vita e la mia carriera solo perché hai un’opinione diversa dalla mia”.
    Sasha ha parlato anche del suo rapporto con Federer: “Abbiamo un rapporto eccellente adesso, le cose sono migliorate con la tournée fatta qualche anno fa, come nelle giornate passate in Messico con quel pubblico pazzesco… E anche in Laver Cup. Quando  ero affiliato al suo team 8 invece le cose non andavano così bene, ma non è colpa sua, semmai dei manager che curavano i miei interessi. Ora tutto è ottimo tra di noi”. Infatti Zverev, dopo alcuni anni in cui i suoi interessi erano curati dall’agenzia creata da Federer, ha interrotto i rapporti proseguendo la sua strada da solo.
    Nonostante la stima infinita per Federer che considera “quello che gioca a tennis meglio di tutti, probabilmente nella storia del gioco”, il tedesco non ha dubbi su chi sia il più forte complessivamente. “So che molti fan del tennis sono più per Roger o Rafa, ma non puoi discutere contro le statistiche. Novak ha vinto il maggior numero di Slam, con Roger e Rafa, ma è stato il numero uno al mondo per più settimane di chiunque altro e ha terminato la stagione da numero uno più di Sampras. Ha vinto il maggior numero di titoli Masters e molto di più. Non puoi sempre andare contro i numeri e dire che Roger o Rafa sono migliori perché siamo stati tutti loro fan fin dalla tenera età. Se vuoi esser obiettivo e guardare ai risultati, Djokovic è il migliore”.
    Proprio contro Djokovic il tedesco vanta un bilancio di 4 vittorie e 7 sconfitte, mentre contro Medvedev ha pareggiato i conti a 6 con la vittoria in finale a Torino. Vedremo cosa ci dirà il 2022, se sarà davvero l’anno della consacrazione di Zverev.
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    Ferrero: “Alcaraz incide in ogni momento della partita, è incredibile”

    Carlos Alcaraz alle NextGen ATP Finals

    Juan Carlos Ferrero ha parlato del suo giovane pupillo Carlos Alcaraz al media greco Gazzeta, esaltando le qualità del classe 2003, soprattutto la sua capacità di essere incisivo in ogni fase del match e contro ogni tipo di avversario. Ecco alcuni passaggi dell’intervista.
    “Obiettivo per il 2022? Mantenere il livello di gioco che ha raggiunto nell’ultima parte della stagione, essere competitivo contro i migliori tennisti, quindi lavorare sulla sua prestazione. Con questo, potrà avvicinarsi ai primi 15 della classifica mondiale”.
    “Il suo diritto è il colpo che i suoi avversari temono di più. Tuttavia, penso che abbia anche molta varietà nel modo in cui colpisce la palla, questa è un’altra delle sue grandi armi. Può passare da un colpo in spinta molto potente a un back o una variazione in modo incredibilmente naturale. Ha imparato a incidere in ogni momento della partita, è qualcosa di straordinario”.
    “Non vedo all’orizzonte una nuova epoca come quella dei Big 3, anche se penso che i tennisti di oggi siano più equilibrati di prima. È difficile avere tre giocatori che vincono tutto per così tanto tempo, non credo che lo rivedremo. Vedremo tennisti ai vertici per anni, come Medvedev, Zverev o Tsitsipas, ma anche giovani come Sinner o Korda. Speriamo che anche Carlos possa raggiungere quel livello”.
    “Oggi il tennis va molto più veloce di prima, la condizione fisica è fondamentale e i social hanno decisamente stravolto questo sport, è un grattacapo in più. Ai miei tempi non ci preoccupavamo delle pubbliche relazioni, avevamo molti meno contatti, ma la nostra quotidianità ci dava la possibilità di pensare molto di più al tennis. Oggi i ragazzi sono coinvolti in più fattori e la gestione complessiva non è facile”.
    “Confronto con Nadal? È inevitabile ma diciamo sempre che Carlos è Carlos, ha il suo percorso, il suo lavoro e il suo livello. Ovviamente Rafa è uno dei suoi idoli e ha imparato molto guardandolo giocare. È molto competitivo, ha quella mentalità e sa come comportarsi in campo. Se ricorda Rafa in qualcosa non è nel suo tennis, semmai nel linguaggio del corpo. E la passione li accomuna, è fondamentale per il resto della sua carriera”.
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    Fontang: “Felix è un ragazzo educato e con la testa sulle spalle”

    Fontang con Auger-Aliassime

    Con la stagione ATP terminata, i tennisti non impegnati nella Davis tirano il fiato, rimettono a posto testa e fisico pensando già alla trasferta australiana che come sempre darà il via al nuovo anno. Il coach di Felix Auger-Aliassime, Frederic Fontang ha rilasciato una interessante intervista al portale TennisActu, dove racconta il 2021 del suo assistito (che segue dal 2016) e le prospettive per il nuovo anno. Chiaro l’obiettivo: mettere una coppa, finalmente, in bacheca. Quella del vincitore dopo 8 finali perse.

    “È bello essere in vacanza. Dopo il torneo di Stoccolma, abbiamo concluso la stagione. Felix avrebbe dovuto giocare in Coppa Davis ma considerando quanto ha giocato nell’anno e il fatto che aveva un’infiammazione al ginocchio, aveva bisogno di riposo. Quando il giocatore che alleni ha fatto una buona stagione, vai in vacanza di buon umore”.
    Per Fontang, l’aver mancato le Finals per poco, non è una grande delusione: “Lo sapevamo che non ce l’avremmo fatta, anchg se per poco. Tsitsipas era in difficoltà dopo il suo ritiro a Bercy, quindi avevamo in mente la possibilità di prendere il posto Sinner. Devo ammettere che Jannik Sinner merita di essere entrato, in casa poi. Felix è riuscito a entrare nella Top 10 ed è stato un grande passo avanti per noi”.
    “Dopo aver aggiunto Toni Nadal alla nostra squadra all’inizio della stagione, sapevano che avrebbe fatto un salto in avanti. All’inizio non è stato facile me l’idea era quella di dotarlo di una consistenza maggiore. La grande soddisfazione è la costanza avuta nei tornei del Grande Slam, con una vera crescita: ottavi in Australia, quarti a Wimbledon e semifinale agli US Open”.
    Lavorare con Toni Nadal è stato un momento di crescita anche per il coach: “Toni aveva già avuto risultati eccezionali con il nipote. Abbiamo assorbito il più possibile dall’esperienza. I risultati non c’erano all’inizio ma non si possono fare collegamenti diretti. Ci ha dato indicazioni per lo sviluppo, ha confermato la mia metodologia e aggiunto novità grazie al metodo Nadal. La delusione in stagione viene dai risultati nei Masters 1000, troppe sconfitte nei primi turni. L’obiettivo ovviamente resta conquistare un primo torneo dopo diverse finali giocate”.
    Ecco il tasto dolente… perché non è ancora riuscito a vincere un torneo?
    “Il tennis c’è. Lo aveva già anche a Rio durante la prima finale contro Djere. E’ stata la prima per entrambi e la partita si è giocata in tre set. Dopo di che ha perso contro i Top 10 o tennisti forti. L’aspetto mentale ed emotivo ora è più pesante. Ha comunque fatto 8 finali. Dobbiamo creare le condizioni perché ciò accada e lui ha delle cose da imparare nella gestione mentale delle sue finali. Sta sviluppando strumenti che gli permetteranno di farlo. All’inizio dell’anno, contro Dan Evans, non ha fatto una buona finale dal punto di vista tattico. È importante capire che quando ci sono difficoltà da affrontare, devi metterti ad imparare”.

    Chiedono se ha l’impressione che Felix sia diverso domenica mattina prima di una finale…
    “Realmente no… Prima di ogni partita ci sono piccole fluttuazioni. Rispetto alle sue finali non abbiamo avvertito alcun nervosismo particolare. Essendo un giocatore giovane e molto aggressivo, le sue opzioni sono un po’ più lente da sviluppare rispetto a chi ha un tennis più definito, il suo è ancora in evoluzione. Ci vuole un po’ più di maturità ed esperienza ed è lì che ha fatto davvero molta strada, sono fiducioso per il prossimo anno, l’obiettivo è continuare a fare bene negli Slam, vincere il primo torneo e possibilmente cercare di arrivare alle Finals nel 2022”.
    Il coach è molto contento di Felix come persona: “L’aspetto più importante di Felix è la sua educazione. Ho conosciuto i suoi genitori e posso vedere la forza della sua educazione. I fondamenti ci sono perché l’istruzione è stata molto ben fatta. Ha la testa sulle spalle, è una persona posata. Cos’è il talento? Ci sono molte definizioni. La miglior qualità di Felix è quella di essere calmo e lavorare ogni giorno. Per un allenatore della mia età è bello poter interagire con un ragazzo così, discutere di filosofia, politica, geopolitica. È fantastico! È una persona interessante che ha interessi oltre al tennis. Discussioni? È molto raro. La serenità è nel nostro carattere. Momenti di tensione ce ne sono sicuramente, normale quando si lavora insieme, ma si risolve col confronto senza diventare uno scontro. L’allenatore è lì per tenere la rotta. Il giocatore vuole vincere e noi allenatori lavoriamo per far arrivare i risultati”.
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    Camila Giorgi intervistata a Tenerife: “Col tennis ho una splendida relazione, ma complicata”

    Camila Giorgi

    Camila Giorgi è una delle stelle in campo al WTA 250 di Tenerife. Il collega Fernando Murciego l’ha intervistata per il media iberico puntodebreak, una chiacchierata a 360° che va oltre al puro torneo, toccando il suo rapporto col tennis, col padre, con le sue varie attività extra tennistiche. Riportiamo alcuni passaggi dell’interessante intervista.
    “Mi piace molto la Spagna, ho vissuto per un periodo a Valencia, Villena e Palma di Maiorca. Della Spagna amo i costumi, il cibo, mi piace tutto, è sempre molto bello tornare”
    “Dopo il successo al 1000 di Montreal? Tutto è rimasto lo stesso per me. Ovviamente è una cosa molto bella vincere un torneo del genere, ma nella mia testa mi dicevo: ‘Devo continuare a lavorare per vincere di più’. È stato molto bello, ma nel tennis devi sempre continuare, non c’è molto tempo per festeggiare perché dopo pochi giorni hai già un altro torneo. Si festeggia in quel momento, e via, poi si guarda avanti”.
    Le ricordano che in dicembre compirà 30 anni, Camila non ha ancora una idea su quando appenderà la racchetta al chiodo: “La verità è che non lo so. È chiaro che continuerò per altri anni ma non so per quanto tempo ancora. Amo lo sport, amo questo ambiente, il corpo mi dirà quando è il momento di fermarsi e cambiare tappa nella vita. Al momento sto bene così”.
    Qualche anno fa fece scalpore una sua dichiarazione, in cui affermava che il tennis fosse solo il suo lavoro. Oggi riflette così in merito al suo rapporto col tennis: “È un rapporto molto bello, ma allo stesso tempo complicato. Tempo fa dicevo che era il mio lavoro, perché ovviamente è il mio lavoro, ma è un lavoro che mi piace, che amo, ma a volte hai quei giorni brutti e quegli alti e bassi che rendono tutto molto complicato. In quei giorni devi aver la forza per restare lì, nonostante tutto. Per fortuna la mia famiglia mi ha sempre insegnato che dopo il tennis ci sono altre cose, c’è una vita, gli amici e altre passioni. Dopo il tennis mi piacerebbe fare altro, ci sono tappe per tutto”.
    Le chiedono se ha amiche sul tour, Camila risponde così: “L’atmosfera è molto buona, mi piace, ma tutti i miei amici fanno altri tipi di lavoro. Li ho incontrati in tutto il mondo e questa è una delle cose che mi piace di più. Quando finisco di allenarmi ed esco per il fine settimana con i miei amici, mi piace che si parli di altre cose, di altri progetti, di cose che non sono tennis. Sono tutti artisti, sono strettamente legati all’arte, appena possiamo scappiamo a vedere i musei. Sul tour siamo qui per gareggiare, è normale, ma penso che ci sia un buon rapporto tra noi. Sono una persona molto socievole, amo parlare con tutti. Certo che buone relazioni anche nel tennis”.
    Non poteva mancare la domanda sul rapporto col padre, con in quale condivide da tutta la vita il lavoro il campo. Per Camila, suo padre è insostituibile: “Prima di tutto, è mio padre. Nessuno ti sosterrà come tuo papà, nessuno crederà così in te, l’idea di cambiare allenatore non mi è mai passata per la testa. Per me è il migliore anche in campo perché vede tutto, è un saggio di sport, non solo nel tennis. Mi ha portato da zero ad essere 26° al mondo, quindi non capisco molto bene le critiche, dovrebbero valorizzare molto di più il lavoro che ha fatto con me. Adoro lo sport grazie lui, questo è l’insegnamento che mi ha dato, quindi starò con lui fino alla fine della mia carriera, non lo cambierò mai. La cosa più curiosa delle critiche che riceve, è che tutte quelle persone che se la prendono con lui, poi quando lo vedono di persona non dicono niente, questa è la cosa più triste”.
    Continua sul rapporto quotidiano col padre Sergio: “Dal mio punto di vista è un rapporto che negli anni è migliorato, con il passare del tempo ci siamo conosciuti meglio. Una volta che conosci te stesso, sai com’è l’uno e com’è l’altro, il rispetto è massimo. L’allenamento è il lavoro, stabile, sai cosa devi fare in campo, e dopo essere stato un allenatore in campo quando si finisce di lavorare, diventa papà. È un rapporto molto completo, mi sento fortunata ad averlo. Penso che non potrei mai stare con un altro allenatore perché so che non lo fanno per amore, lo fanno per qualcos’altro e questo non mi piace”.
    Le chiedono sul tema “caldo” di questi giorni, la vaccinazione obbligatoria per la trasferta 2022 in Australia. Per “Cami”, nessun problema: “Sono vaccinata, quindi non ho problemi. Già quest’anno c’erano molte restrizioni, abbiamo dovuto anche vivere nella bolla, credo che alla fine sarà simile. Per me, se si può giocare, va bene. Devi essere felice e grato di poter gareggiare, per fortuna il calendario 2022 sarà già più completo e molto più organizzato. Non è giusto lamentarsi. Djokovic? Non ne ho idea, io penso a me stessa e nessun altro, andrò a giocare e sono felicissima di farlo”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO