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    Altmaier: “L’ATP deve rendersi conto che i Challenger sono un bel prodotto. Ormai stiamo più in palestra che in campo”

    Daniel Altmaier (foto ATP Monaco)

    Daniel Altmaier è convinto che moltissimi Challenger siano ormai ad un livello e spettacolo pressoché uguale a vari tornei ATP 250, e questo dovrebbe spingere proprio l’ATP a valorizzarli maggiormente creando così maggior valore sia per i giocatori che per i tornei stessi. Inoltre riflette su come la parte fisica sia diventata talmente preponderante da forzare i giocatori a passare più tempo allenando il fisico rispetto al gioco. Il classe ’98 di Kempen ha espresso questi e altri concetti molto interessanti in un’intervista rilasciata a Fernando Murciego di Puntodebreak a latere del 1000 di Madrid, della quale riportiamo i passaggi più interessanti.
    “La differenza tra un top25 rispetto a un top50 è solo nella consistenza. I giocatori che stazionano tra i primi 30 sono più consistenti di quelli tra i primi 50, ma questa differenza è dovuta solo a un paio di tornei in più che riescono a giocare al massimo livello durante l’anno. Nel 2023 ho ottenuto buoni risultati in 7-8 tornei, la differenza rispetto i primi 10 è che loro fanno lo stesso ma in 13-14 tornei. Devi seguire questi passi se vuoi arrivare in alto, il tennis in teoria è così facile ma diventa molto difficile raggiungere quel livello di consistenza”.
    “Madrid mi piace. La prima volta che sono stato qui è stato in vacanza con la mia ragazza, da quel momento ho un ricordo molto bello di questa città, dei giorni trascorsi qui. L’anno scorso ho giocato il torneo per la prima volta e penso che quei ricordi mi abbiano aiutato, anche se mi piacciono molto le condizioni del campo. Tutto mi sembra più familiare, incontro molte più persone, ho buoni amici messicani qui a Madrid. Il tempo trascorso divertendomi fuori dal campo mi aiuta a sentirmi meglio quando gioco”.
    Ecco l’interessante considerazione sui Challenger: “La differenza tra Challenger e ATP per livello di gioco è minima. Lo vediamo, ad esempio, in alcuni giovani che iniziano l’anno gareggiando nei Challenger e, improvvisamente, in un brevissimo lasso di tempo, appaiono nella top50. Diaz Acosta? Darderi? Ce ne sono diversi che sono già molto coinvolti perché hanno un livello altissimo. Tutto è cambiato, il fisico conta più del tennis. Ormai tutti passiamo più tempo in palestra che sul campo da tennis, i ragazzi sono preparati a giocare ogni settimana e a farlo a grande livello. Il risultato di tutto questo processo è un aumento di livello medio, lo vedi da come i migliori nei Challenger non facciano fatica negli ATP, anzi. Proprio per questo i Challenger meritano un’altra attenzione. Sul circuito in ogni settimana c’è una storia diversa, ma è difficile da scoprire per il pubblico quando i Challenger si giocano nelle piccole città. Penso che dovremmo avere accesso anche a queste informazioni per sapere cosa succede in quei posti. È un peccato, l’ATP dovrebbe rendersi conto che anche i Challenger sono un bel prodotto, anche se adesso stanno migliorando molto con la questione social. Sento che stiamo migliorando sempre di più, è vero che questo circuito ha molto più potenziale di quello che arriva alla gente“.
    Una riflessione adeguata e coerente. Negli ultimi anni sono molti i tennisti che dopo aver brillato per una stagione (o anche solo metà) nei Challenger sono sbarcati con successo a livello ATP, prendendosi grandi soddisfazioni. Possiamo citare gli argentini Baez ed Etcheverry, come Marozsan, Tabilo o Kotov. Tra le moltissime strade della possibile rivoluzione del calendario e stagione ATP, anche una miglior distribuzione e valorizzazione delle categorie Challenger e 250 sarebbe auspicabile, mentre il focus sembra centrato quasi esclusivamente sui “famosi” 10 grandi eventi da affiancare agli Slam….
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Pablo Llmas: “Il 2023 è il primo anno in cui non ho perso soldi giocando a tennis. Alcaraz? Amici, ma abbiamo vite diverse”

    Pablo Llamas (foto Segovia Challenger)

    Il nome Pablo Llmas non dirà granché a una larga fetta degli appassionati di tennis. Il 21enne iberico è stato autore quest’anno di una scalata notevole nel ranking ATP, passando dal 371 di inizio stagione all’attuale 131, grazie a buoni risultati a livello Chalennger. Llamas era considerato uno dei talenti più interessanti del tennis iberico, ancor più dopo aver vinto il prestigioso Orange Bowl. Il suo nome è anche legato a quello di Carlos Alcaraz, visto che i due hanno trascinato la squadra giovanile spagnola alla vittoria della Davis Cup junior. Poi il murciano e Llmas hanno avuto due traiettorie assai diverse, dirompente e inarrestabile la scalata di Alcaraz, più sofferta e piena di alti e bassi quella di Llamas, che ha sofferto moltissimo i problemi derivati dal Covid, proprio quando stava iniziando ad ingranare nei Futures.
    Quest’anno il nativo di Jerez de la Frontera ha vinto il Challenger di Segovia, disputato la finale a Vicenza e vinta la prima partita a livello ATP a Lione. È in corsa per un posto alle prossime NextGen ATP Finals, quest’anno non più in scena a Milano ma in Arabia Saudita. Llmas è stato intervistato dal quotidiano AS, ha raccontato uno spaccato di vita interessante col punto di vista di chi naviga nelle retrovie e la chiara ammissione che essendo finalmente entrato tra i migliori 150 al mondo per la prima volta da quando gioca a tennis seriamente riuscirà a chiudere un’annata senza un bagno di sangue economico. Il tema delle difficoltà finanziarie per chi ambisce ad arrivare nel tennis che conta resta il nodo più importante, quel che spesso segna la differenza tra chi ce la fa, e chi invece alla fine molla, nonostante il talento e risultati giovanili importanti. Riportiamo alcuni passaggi dell’interessante intervista a Llamas.
    “Ho iniziato quando avevo quattro o cinque anni a Jerez, nel club Nazaret”, racconta Llamas. “Adesso non lo ricordo bene, ma penso che sia stato a causa di mio fratello Ivan, il più grande, che giocava lì. Mia madre mi regalò una racchetta per giocare e due palline, per vedere se riuscivo a colpirla. L’ho colpita subito e da lì ho detto ‘Ehi mamma, voglio giocare a tennis’, così ho iniziato. Ero abbastanza bravo, ho avuto buoni risultati nelle prime categorie giovanili. Quando avevo 14-15 anni i miei allenatori non potevano viaggiare tanto con me, non potevano darmi quello che volevo. Ho frequentato la Ferrer Tennis Academy, a Jávea, e sono rimasto lì fino all’età di 19 anni. In questo momento il mio allenatore è Agustín Boje e poi José Leal Gómez, ci alleniamo nella Federazione Andalusa”.
    “Il 2018 è andato molto bene, è stato il mio primo anno da junior, anche il 2019 è stato un anno fantastico per me, ho vinto qualche ITF junior, mi sono qualificato per tutti gli Slam. È stato un anno di passaggio ai Futures, ricordo che nel 2020 vinsi il primo e poi arrivò la pandemia. L’avvento della pandemia ha sconvolto la mia carriera, mi ha ferito molto. Prima della pandemia avevo un livello di fiducia molto elevato, avevo appena vinto il mio primo Futures. Ero molto felice, volevo di più. Stare per mesi a casa, senza poter uscire, senza poter fare nulla, è stato pesante, l’ho accusato troppo. Dopo la pandemia crollavo a causa della pressione, la voglia di giocare è scomparsa, sono successe molte cose e allora ero molto lontano dalla mia famiglia. Quando ero giù, non avevo nessuno accanto. È stato un periodo duro. Così ho deciso di partire per affrontare una nuova sfida, darmi una nuova opportunità. Sono venuto a Siviglia, presso la Federazione Andalusa, mi hanno accolto come se fossi loro figlio”.
    “In Andalusia sono rinato, me la sono cavata un po’ da solo, un po’ col supporto di famiglia, allenatori e amici. I miei amici erano a Siviglia, all’università, sono stato con loro quasi tutto il tempo. Ho iniziato ad allenarmi meglio, curando gli infortuni e poco a poco sono salito. Ho vinto partite, ho disputato tre buoni tornei di fila e ho acquisito un po’ più di fiducia. Da lì sono ripartito”.
    Delicato il discorso economico: “Oggi, essendo al n. 130 in classifica, riesco gestire le spese. Questo è il primo anno della mia vita in cui non ho perso soldi giocando a tennis. Come facevo prima? Sono riuscito a sopravvivere grazie ad aiuti, principalmente da parte della Federazione spagnola e di quella Andalusa, che sostiene i miei allenamenti. Mi aiutavano dove potevano, perché la mia famiglia non poteva permettersi di pagare le spese per sostenere l’attività, i viaggi, ecc. Ho provato a prendere risorse da dove potevo. Sponsor? Ho uno sponsor tecnico, ma non mi dà soldi. E adesso ho un marchio di abbigliamento dal quale ricavo qualcosa al mese, nell’ordine di 400, 500 euro. Ora che ho raggiunto un ranking migliore, spero di poter ricavare qualcosa in più”.
    Dopo i trascorsi giovanili è ancora in contatto con Alcaraz, ma non si sentono molto spesso: “Sì, ho il suo numero di telefono e quest’anno ho potuto incontrarlo un po’ di più. Ci siamo visti al Murcia Challenger, poi a Wimbledon la settimana in cui ha giocato l’ATP del Queen’s. Sono andato lì a trovarlo, mi ha dato dei biglietti. Poi agli US Open l’ho rivisto. Parliamo di tanto in tanto, condividiamo alcuni messaggi, ma questo è tutto. So che il rapporto con lui ci sarà sempre, ma capisco la vita che ha. Non posso disturbarlo ogni volta che vince, perché so che riceverà 500 messaggi, credo siano già abbastanza. Abbiamo avuto un bel rapporto da giovani e credo che riusciremo a mantenerlo, ma viviamo due vite diverse ora”.
    L’intervista si conclude con la differenza che Llmas vede tra i livello degli ATP e quello dei Challenger: “C’è un livello superiore, questa è la verità. Tutti i tennisti sono super forti, molto ben preparati e colpiscono la palla fortissimo. Una delle cose che mi manca per reggere quel livello è il fisico. Ci lavoriamo molto adesso. Migliorando il mio fisico farò un ulteriore salto nel mio tennis e ne ho bisogno, perché qui tutti giocano molto bene, colpiscono molto forte, si muovono bene, sono veloci, esplosivi, servono bene… Devi essere in grado di adattarti alle situazioni, saper gestire un momento della partita o un altro, perché è quello che decide il risultato. Tutti colpiscono forte la palla e servono molto bene, quindi è come gestisci il tuo gioco a fare la differenza, non un colpo”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Svajda il suo percorso diverso verso il mondo del tennis Pro

    Zachary Svajda

    Il 20enne statunitense Zachary Svajda la prossima settimana entrerà ufficialmente per la prima volta tra i top 200 del ranking mondiale, grazie ai quarti di finale raggiunti al Challenger di Cary. Non un fatto “clamoroso” per un giovane di discreto talento che quest’anno ha passato le qualificazioni a US Open, ma il sito ufficiale dell’ATP ha sfruttato l’occasione per interpellarlo e raccontare il suo diverso percorso da junior verso il mondo Pro. Infatti Svajda ha scelto insieme alla sua famiglia di non giocare praticamente alcun torneo junior dai 10 ai 15 anni per focalizzarsi totalmente sulla crescita tecnica e fisica, senza competere. Una decisione che potrebbe apparire bizzarra per molti esperti e coach, visto che formazione ottenuta nella competizione è considerata imprescindibile momento di crescita. Tuttavia a casa Svajda non sono esattamente dei profani o sprovveduti: la madre Anita e papà Tom sono infatti entrambi coach presso il Pacific Beach Tennis Club a San Diego, una struttura di tutto riguardo in California.
    “Ci pensavamo quando avevo nove, dieci anni. Semplicemente non vedevamo il motivo di giocare questi tornei junior ogni settimana”, racconta Svajda. “Abbiamo cercato di concentrarci sul miglioramento. So che è diverso perché il gioco nei tornei è sempre differente dall’allenamento. Oltretutto non potevamo permetterci di viaggiare in giro per il mondo giocando gli ITF o altro. Ci siamo detti: tentiamo una strada diversa e proviamo a migliorare ogni giorno, speriamo che entro i 15, 16 anni io possa diventare un buon giocatore e da lì partirò per i tornei”.
    Molti allenatori avrebbero storto il naso, sottolineando l’importanza della partita e dello stress della competizione in giovane età per acquisire esperienza. La famiglia Svajda ha trovato una sua soluzione, facendo allenare il piccolo Zachary ogni settimana con l’ex stella dell’Università di San Diego Uros Petronijevic, che ha vissuto con gli Svajda per due anni ed è stato fondamentale dalla crescita del piccolo. “Ovviamente è un po’ diverso dai tornei, ma è così che ho formato la mia esperienza di partita” ricorda Svajda.
    Un percorso originale, davvero diverso, ma che in fondo con lui ha funzionato. Svajda infatti ha vinto due volte i Campionati nazionali USTA Boys’ 18 a Kalamazoo (2019, 2021).
    La famiglia Svajda ha anche un secondo asso nella manica, il fratello minore Trevor, tre anni più giovane, che ha seguito lo stesso approccio di Zachary. Ad agosto, il diciassettenne Trevor è stato finalista a Kalamazoo e ha gareggiato nelle qualificazioni agli US Open. “Io gli dico sempre di non pensare a me, di seguire la sua strada” afferma Zack, “Qualunque cosa sia, non stressarti inutilmente. A Kalamazoo era nervoso dicendo di sentire la pressione di dover vincere perché io c’ero riuscito. Ho cercato di tranquillizzarlo e ha funzionato, visto che è arrivato in finale, è stato grandioso”.
    Zachary non ha un fisico imponente, il suo punto di forza sono impatti molto puliti da ogni posizione di campo e con ogni colpo, la conferma di quanto abbiamo lavorato sulla tecnica di gioco in giovane età. Colpisce anche per la sua calma e comportamento irreprensibile nel corso delle partite, non mostrando alcuna emozione sia nei momenti buoni che in quelli difficili. “Ogni partita, sia che vinca o che perda, tengo sempre lo stesso comportamento, non mi sento affatto frustrato. Fin da bambino sono sempre stato un tipo tranquillo dentro e fuori dal campo, magari anche per timidezza. Immagino che in un certo senso questo si sia tradotto nel lato tennistico. Non urlo mai niente o non esterno molto. Sto cercando di lavorare per mostrare un po’ più di energia positiva, ma ci vorrà del tempo perché è un comportamento che non mi appartiene. Mi piace semplicemente rimanere calmo e presente, passare al punto successivo. Forse è perché vengo da San Diego, un posto dove si vive in grande relax. Niente mi stressa davvero. Non riesco a ricordare l’ultima volta che ho alzato la voce“.
    Serenità e autocontrollo sono certamente due punti a favore per la sua crescita nel mondo del tennis. Seguiremo con curiosità i risultati di Svajda, a partire dai quarti di finale che lo vedono oggi impegnato a Cary contro il britannico Toby Samuel. Nel live ranking è già n.194 con 314 punti, in caso di vittoria odierna potrebbe avvicinarsi alla posizione n.185.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    L’importanza dei nuovi Challenger in America Latina: i numeri

    Juan Manuel Cerundolo, due vittorie nel 2023

    Questa settimana è in programma a Cordoba in Argentina un ATP 250 e un dato è balzato ai nostri occhi: ben dodici dei tennisti presenti nel main draw del suddetto 250, nel 2022 hanno preso parte al circuito “Dove Men + Care Legiòn Sudamericana”, il tour di 36 tornei (fra Challenger e ITF) che rappresenta una vera e propria officina e rampa di lancio per i tennisti sudamericani.
    Ideato e realizzato per iniziativa dell’ex giocatore Horacio De La Pena nel 2021 per ovviare alla carenza nel continente di tornei che potessero permettere ai giovani tennisti di accumulare esperienza e punti ATP, il progetto “Legiòn Sudamericana” ha già dato dopo due anni buonissimi risultati. Guardiamo un po’ di numeri: nel 2021 si sono disputati 20 tornei Challenger in Sud America e i successi dei giocatori “di casa” sono stati 17 così divisi per nazioni:
    Argentina – 9 titoliCile – 3 titoliBolivia – 2 titoliBrasile, Ecuador, Perù – 1 titolo
    A farla da padrone fra i giocatori è stato invece Sebastian Baez vincitore di 6 Challenger, seguito a debita distanza, da Juan Manuel Cerundolo con tre titoli. Se a questo aggiungiamo che in ben 16 occasioni un giocatore sudamericano ha perso in finale, ben si comprende il peso avuto da questi tornei per la crescita del tennis della Legiòn.
    Passando al 2022 i numeri sono stati i seguenti: su 33 tornei disputati in 22 occasioni la vittoria è andata a un tennista sudamericano. Per 17 volte ha trionfato un argentino, mentre una vittoria a testa hanno totalizzato Brasile, Ecuador, Bolivia, Colombia e Perù. Rispetto alla scorsa stagione si possono notare due differenze. La prima è legata al ridursi dell’emergenza Covid che ha facilitato la partecipazione ai tornei della Legion Sudamericana ai tennisti europei che, infatti, hanno portato a casa 11 titoli (3 per Svizzera e Inghilterra, 2 per la Germania e uno a testa per Spagna, Portogallo e Italia). E l’altra differenza riguarda il dominio argentino: non ci sono stati i cannibali di turno (come nel 2021 lo erano stati Baez e Cerundolo) e le vittorie sono così state spalmate su ben 13 giocatori, a testimonianza dello stato di buonissima salute del movimento argentino.
    Stato di salute del resto confermato dall’inizio della stagione 2023 della Legion Sudamericana con i primi quattro tornei vinti da tre argentini, Juan Manuel Cerundolo (due titoli), Federico Coria e Andrea Collarini.
    Guardando la classifica ATP, però, un paio di considerazioni vanno fatte: a causa del periodo di crisi di Schwartzman e dei limiti di Baez e Cerundolo, al momento non c’è un giocatore sudamericano fra i primi trenta giocatori del mondo. Dei sette giocatori argentini presenti nella top 100 solo due hanno meno di 24 anni, Baez ed Etcheverry. E se prendiamo in considerazione gli altri quattro sudamericani che hanno un posto fra i primi 100 giocatori del mondo, Monteiro, Galan, Varillas e Gomez, la media dell’età si aggira intorno ai ventotto anni.
    Bene, ma non benissimo, direbbe il grande Flavio Tranquillo, anche se i prospetti che stanno venendo su fanno comunque ben sperare il Sud America. Fra i primi 1000 del mondo vi sono una serie di intriganti under 20:
    Gonzalo Bueno (Perù – 18 anni – 551 ranking ATP)Daniel Vallejo (Paraguay – 18 anni – 697 ranking ATP)Ignacio Buse (Perù – 18 anni – 699 ranking ATP),Lautaro Midon (Argentina – 18 anni – 785 ranking ATP)Emanuel Ambrogi (Argentina – 19 anni – 799 ranking ATP)Victor Couto Loreiro (Brasile – 19 anni – 813 ranking ATP)Joao Fonseca (Brasile- 16 anni – 830 rankig ATP)Juan Carlo Prado Angelo (Bolivia – 17 anni – 831 ranking ATP)
    Una cosa è certa: le nuove leve del tennis sudamericano tenteranno di scalare il ranking, facendosi le ossa in quel vero e proprio scrigno di occasioni rappresentato dal circuito “Dove Men + Care Legiòn Sudamericana”.
    Antonio Gallucci LEGGI TUTTO

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    Umarell: lavori in corso dei giovani campioni e finalisti Slam 2022

    Jacub Mensik

    Nel percorso di crescita di un giovane tennista le variabili sono tali e tante che poche cose sono meno preventivabili della futura carriera dei protagonisti degli Slam juniores. Basterebbe chiedere a Omar Jasika, l’australiano che nel 2014 trionfò a New York conquistando il titolo degli US Open e che sul finire del 2017 venne trovato positivo alla cocaina e quindi squalificato per due anni, compromettendo una carriera che comunque stentava a decollare. Torniamo però ad anni più recenti e diamo un’occhiata ai primi passi nel circuito ATP dei vincitori e dei finalisti degli Slam nella stagione 2022. Come dei veri Umarell ci aggireremo “attorno ai cantieri” di questi tennisti, per verificare a quale punto della propria costruzione si trovano.(La scala di valutazione Umarell che adotteremo in questo articolo va dal piano 1 al piano 11, dove uno sta per pianterreno e 11 per terrazzo).

    Bruno Kuzuhara: il detentore del titolo degli Australian Open è attualmente il numero 631 del mondo. I suoi risultati migliori sono arrivati nei tornei ITF giocati ad Antalya in Turchia: due semifinali nella prima parte dell’anno e poi due finali sul finire della stagione. Kuzuhara ha avuto anche un paio di occasioni per misurarsi con i giocatori del circuito maggiore: nel primo turno delle qualificazioni dell’ATP di Atlanta è infatti arrivato ad un passo dalla vittoria contro Steve Johnson, mentre nel tabellone di qualificazioni degli US Open ha battuto l’indiano Ramanathan prima di cedere nettamente a Flavio Cobolli. Un’annata, quella scorsa, non proprio esaltante per lo statunitense nato in Brasile e il nuovo anno non sembra essere cominciato nel migliore dei modi visto il pesante 6-1 6-0 subito per mano di Michael Mmoh nel primo turno delle qualificazioni degli Australian Open. Kuzuhara ha una bella mano, notevoli doti anticipo e due piedi superveloci, ma la sua palla temo sia ancora troppo leggera per ambire a un salto di livello. Credo che la terra battuta sia la superficie su cui, almeno al momento, potrà ottenere i migliori risultati per salire in classifica.Scala di valutazione Umarell: quinto piano

    Jacub Mensik: il finalista degli Australian Open ha da subito cominciato a vincere tante partite nel circuito maggiore (ovviamente quello ITF), con una notevole continuità di rendimento testimoniata da quattro quarti di finale e due semifinali raggiunte nel corso dell’anno. Non sono mancati i picchi di rendimento, però, come testimonia il titolo vinto a Allershausen a Settembre e soprattutto l’incredibile finale di stagione con tre ITF consecutivi vinti a Heraklion (1) e Sharm El Sheik (2) che lo hanno portato a ridosso dei primi 400 giocatori del mondo. Il 2023 è cominciato con un Challenger, quello di Nonthaburi, dove Mensik ha perso al primo turno delle qualificazioni, con una certa dose di rimpianti, contro Lucas Pouille. In certi aspetti del gioco Mensik mi ricorda tanto Karen Khachanov, ma alcuni attacchi con il rovescio in back messi in mostra contro Pouille mostrano che il percorso di crescita del ceco è ben indirizzato per provare a renderlo un giocatore in grado di trovarsi a suo agio in ogni zona del campo.Scala di valutazione Umarell: settimo piano quasi completato.

    Gabriel Debru: il vincitore del Roland Garros si trova attualmente al numero 573 del mondo. Fino al trionfo a Parigi la stagione del transalpino era stata abbastanza anonima con un quarto di finale raggiunto ad Antalya, le quali superate nel Challenger di Aix En Provence e una buona prestazione contro Bonzi al primo turno dello stesso torneo. A giugno è poi arrivato lo slam conquistato in patria e Debru ha trovato maggiore continuità di risultati nel resto della stagione: semifinale a Gubbio, un paio di quarti di finale e due primi turni superati nei Challenger di Cassis e Rennes. Dopo quasi cinquanta partite giocate nel corso dell’anno Debru ha pagato un po’ la fatica chiudendo il 2022 con tre sconfitte consecutive a livello Challenger; ma dopo aver ricaricato le pile, il francese ha raggiunto a Oeiras, nel primo torneo del 2023, il miglior risultato della sua embrionale carriera: un quarto di finale Challenger ottenuto grazie alle vittorie importanti perché sofferte contro Valkusz e Ejupovic, prima di venire sconfitto nettamente da Cem Ilkel. Il tennis difficile e brillante di Debru avrà probabilmente bisogno di tempo per far sì che tutti i pezzi del puzzle finiscano nel posto giusto: Gabriel ama giocare con i piedi vicini alla riga di fondo ed è in grado di produrre gioco e vincenti soprattutto con il rovescio. Utilizza d’istinto schemi ormai in disuso come la discesa a rete direttamente sulla seconda dell’avversario. Ed è proprio questo suo tennis istintivo il suo marchio di fabbrica. Adesso è indispensabile rendere più efficace quel dritto un po’ scomposto per poter dare sostanza ed equilibrio al gioco del francesino che non a caso stravede per Karatsev.Scala di valutazione Umarell: sesto piano

    Gilles Arnaud Bailly: finalista sia a Parigi che agli US Open, il belga ha scelto di ridurre al minimo le sue apparizioni nel circuito ATP. Ha giocato infatti soltanto cinque ITF e un ATP 250, quello di Anversa. Ed è stato proprio in occasione del torneo di Anversa che Bailly ha mostrato il suo talento al mondo mettendo alle strette l’ex top ten David Goffin. Una partita tiratissima in cui si è avuta la sensazione di assistere alla sfida fra Goffin e una sua evoluzione 2.0. Il tennis di Bailly è lineare, geometrico, cerebrale. Un tennis in sostanza goffinesco. Aldilà di questa vetrina d’eccezione ad Anversa, non sono mancati i risultati di Bailly nei pochi ITF giocati. Quattro sono stati i quarti di finale raggiunti da Gilles che però non gli hanno permesso, per un soffio, di entrare fra i prime mille giocatori del mondo. Poco male. Bailly sembra un ragazzo che non conosce la fretta.Scala di valutazione Umarell: quarto piano

    Mili Poljicak: il vincitore di Wimbledon non si è risparmiato nella stagione appena trascorsa. Ha giocato 13 tornei ITF, 6 tornei Challenger e un ATP 250 a Umago. Il croato con il viso da bambinone alla Krajicek si è issato intorno alla 500esima posizione mondiale, in virtù soprattutto dell’exploit nel Challenger di Zagabria dove ha raggiunto la semifinale partendo dalle qualificazioni (battendo gente come Zhang, Gaio, Basic e Gimeno Valer). A livello ITF i migliori risultati sono stati la semifinale a Sheffield e quella appena raggiunta a Monastir. Il suo è un tennis contraddistinto da una potenza devastante dei colpi unita a una buonissima mano quando riesce a entrare dentro al campo. L’incognita piuttosto evidente è invece la mobilità e la copertura del campo, visto che Poljicak, per struttura fisica, sembra condannato a dover comandare lo scambio se vuole portare a casa il punto. Di certo, come ha già dimostrato, per la pesantezza di palla è già pronto per provare a competere nei Challenger, potendo in questo modo migliorare la sua classifica grazie ad un paio di buoni tornei.Scala di valutazione Umarell: sesto piano

    Michael Zheng: il finalista di Wimbledon si è diviso per tutta la stagione fra l’attività juniores e il circuito ITF. Il miglior risultato è stata la finale raggiunta in aprile a Orange Park, partendo dalle qualificazioni e perdendo in finale contro Yibing Wu con il punteggio di 7-6 7-5. Grazie a questo exploit Zheng è entrato fra i primi 900 del mondo. Da questa posizione partirà dunque la stagione 2023 dello statunitense che anche quest’anno non giocherà a tempo pieno nel circuito professionistico, visto che disputerà il campionato NCAA con i Columbia Lions. Zheng è al momento un magnifico, ma acerbo produttore di gioco (proprio per la sua facilità può ricordare il miglior Tomic): gran servizio, propensione a cercare la rete con una leggerezza che sa di classico, capacità di giocare vincenti con apparente facilità da tutte le parti del campo con colpi “puliti” e penetranti. Manca ancora, come è normale che sia per questo tipo di tennista, della continuità di gioco e della consistenza che gli possano permettere di portare a casa le partite con una certa costanza. Vedremo nel 2023 se la splendida facilità di gioco di Zheng comincerà a fondersi con una consistenza da giocatore ATP.Scala di valutazione Umarell: quarto piano

    Martin Landaluce: c’è ancora ben poco da dire sul vincitore degli US Open. Lo spagnolo è un prospetto di 17 anni abbastanza clamoroso più per doti fisiche che tecniche (al momento), ma non ha ancora una classifica ATP avendo giocato solo un Challenger e un ATP 250 dove ha rimediato due nette sconfitte. Nel 2023 cosa sarà in grado di fare?Scala di valutazione Umarell: terzo piano

    Antonio Gallucci LEGGI TUTTO

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    Il record di Ben Shelton, nuovo top 100 ATP

    Ben Shelton

    Il giovane statunitense Ben Shelton è una delle promesse più interessanti del tennis americano e non solo. Con la vittoria appena ottenuta al Challenger di Champaign (USA) il 20enne figlio d’arte ha segnato un record assoluto: è diventato il tennista più giovane a vincere tre tornei Challenger in tre settimane consecutive. Shelton aveva trionfato a Charlottesville, quindi a Knoxville e questa settimana a Champaign, in Illinois.
    Mancino, dotato di un gran fisico e un gioco esplosivo ed offensivo, il figlio dell’ex Pro Bryan grazie a questi ottimi risultati è diventato n.97 nel nuovo ranking mondiale, sbarcando per la prima volta tra i migliori cento al mondo.
    Ben si era rivelato al grande pubblico la scorsa estate, quando al Masters 1000 di Cincinnati sconfisse al primo turno il nostro Lorenzo Sonego in una durissima battaglia; quindi sorprese Casper Ruud battendolo in due netti set, prima di cedere negli ottavi a Cameron Norrie.

    BEN SHELTON 🏆🏆🏆 The 20-year-old becomes the youngest player in #ATPChallenger history to win 3 titles in 3 weeks after beating Vukic 0-6, 6-3, 6-2 in Champaign!@IlliniProTennis | @usta pic.twitter.com/nZr7RDqmJ6
    — ATP Challenger Tour (@ATPChallenger) November 20, 2022 LEGGI TUTTO