50… Brividi al pronunciare la cifra tonda, caro “vecchio” Andre, amico immaginario di tante battaglie on court , in tv e a bordo campo. Interprete straordinario di un tennis che hai contribuito fortemente a cambiare nella sua storia e radicare nella mia passione. Auguroni, Campione. Proprio nel giorno del tuo compleanno, trovo lo spunto per raccontare qualcosa della tua storia, che già hai tracciato in modo mirabile in “Open”, la più bella biografia sportiva dei nostri tempi. Chi ancora non l’avesse letta, approfitti delle pause di questa stramaledetta pandemia per divorarla, non ve ne pentirete.
Quando si rilegge il grande libro della storia del nostro sport, è facile esaltare i campioni considerandoli “epocali”. Epocali per le loro vittorie, quasi sempre. Ma se vogliamo parlare di qualcuno che veramente ha portato qualcosa di nuovo nel tennis, qualcuno che ha segnato una discontinuità con tutto quello che si era visto prima di lui, ecco che Andre Agassi è il nostro uomo, è davvero un atleta Epocale.
Con Andre Agassi si arriva forse al momento di massima rottura nella storia del tennis moderno. L’impatto del Kid di Las Vegas è stato rivoluzionario, epocale nel senso pieno del termine. Agassi ha imposto un modello nuovo di gioco, ha portato velocità di palleggio ed angoli prima sconosciuti, un atteggiamento così aggressivo e vincente (anche dal punto di vista dell’immagine e del marketing) da diventare lo standard del futuro. E non è un’affermazione azzardata dire che la maggior parte dei tennisti attuali non sarebbero quello che sono senza aver sfruttato l’eredità tecnica e la scuola che è nata dal gioco di Andre.
Un tennista che per mille motivi non è stato il più vincente di sempre, anche se è l’unico ad aver centrato una sorta di Career Golden Slam, ossia l’aver vinto tutte le principali competizioni nell’era Open: i quattro grandi Slam, il Master, l’Oro olimpico e la Coppa Davis. Il suo tennis era imperfetto anche se micidiale. Il suo fisico aveva delle qualità incredibili, come la coordinazione, equilibrio e la velocità fine dei piedi, ma anche limiti di potenza e soprattutto resistenza (perché spesso male allenato…). E a livello mentale non è nemmeno paragonabile alla granitica determinazione e lucidità del rivale Sampras. Troppo complessa la sua personalità, forse “violentata” dagli eccessi a cui il padre lo sottopose da bambino nella feroce visione di farlo diventare un campione; troppo difficile il suo gioco, che ha cercato per anni di imporre allo stato puro senza alcun compromesso, senza mai aggiustarsi alle esigenze del rivale e nemmeno sostenuto dalla miglior condizione fisica. Non è un caso che abbia tratto il meglio dal suo talento a fasi alterne e quando divenne più maturo, nello stupendo biennio 1994-1995, giovane e molto ben guidato da Brad Gilbert; e poi nella fase finale della carriera, quando resuscitò letteralmente dall’inferno della droga e della depressione, trovando quell’equilibro che lo portò di nuovo al n.1 del mondo oltre i trent’anni.
La sua vita è stata davvero una sorta di favola, tra un’infanzia difficile, un’adolescenza ancor più complicata ed una maturità arrivata tardi e con pesanti schiaffi ricevuti. Sarebbe facile costruire un bel racconto solo sull’infinito campionario di eccessi, stranezze, cadute, vittorie e sconfitte di Andre. Meglio sottolinearne l’aspetto tecnico, il suo impatto devastante sul gioco e la pesantissima eredità che ha lasciato nello sport della racchetta. Infatti i giocatori moderni sono quasi tutti figliastri, più o meno riusciti, del suo modo di stare in campo, costruiti fin da piccoli per attaccare dal fondo anticipando la palla, picchiando più forte possibile alla ricerca delle righe e del vincente. Un modo di stare in campo che Agassi ha perfezionato durante la permanenza all’Academy del discusso Bollettieri, che con metodi d’insegnamento innovativi e poco ortodossi ne esaltò le attitudini aggressive. La violenza che sprigionava spingendo con dritto e rovescio è un’assoluta novità, un vero attacco dal fondo senza compromessi, un ritmo travolgente sempre in progressione.
Muove i primi passi sul tour nel 1986, irrompendo nel mondo sportivo l’anno seguente, sfoggiando un paio di calzoncini di jeans! Trovata pubblicitaria choc che esaltò il carattere di questo ragazzo magro, peloso, che ogni giorno se ne inventava una per sorprendere con il suo look. Giocava con orecchini vistosi, unghia tinte e colorazioni di capelli fluorescenti, a scimmiottare le rockstar delle band glam rock che impazzavano sulla West Coast in quegli anni. Una bestemmia per il bon ton del gioco, uno shock commerciale per l’industria dell’abbigliamento sportivo che ben presto capì e si accodò. Gli fu subito cucita addosso l’etichetta “l’immagine è tutto”, che faticherà a togliersi di dosso; in realtà colleghi, tecnici ed addetti ai lavori intuirono che stava per accadere qualcosa di grosso. La conferma non tardò ad arrivare. Al Roland Garros 1988 avanzò nel tabellone scioccando il mondo sportivo con un gioco ed un atteggiamento irresistibile, perdendo solo in semifinale contro il Wilander dominante di quell’anno. Era sbocciato un campione, un personaggio assolutamente nuovo, diverso da tutto quello che il tennis aveva proposto in oltre un secolo di storia.
All’inizio Agassi non riesce a dare continuità alle sue vittorie. Troppo rischioso il suo gioco e molto forti i rivali. Spreca varie occasioni negli Slam. Soprattutto non trova equilibrio, tanto che il clamoroso successo a Wimbledon 1992 sarà uno splendido episodio, confermato da Agassi che raccontò di non aver affatto preparato quel successo, ma che fosse arrivato di puro istinto, in modo totalmente inaspettato. In lui ardeva un istinto troppo dominante, che lo annebbiava sul piano tattico. Il vero Agassi sboccia nel ’94 di fronte ad una birra bevuta a Miami con Brad Gilbert, appena ritiratosi dal tour. Chiare e precise le parole di Gilbert: “se giochi contro Sampras nello stesso modo con cui affronti Chang perderai”. I due legano. Andre si era lasciato da poco col team Bollettieri, troppo logoro il loro rapporto, e si affida allo stratega Brad, uno che vinceva “sporco”, con la testa. Proprio quello che manca ad Agassi per issarsi al vertice.
Nell’estate di quell’anno inizia la seconda carriera di Andre, una cavalcata vincente lo porta a trionfare agli US Open partendo dalla 24esima posizione, battendo tutti i migliori. E’ una furia in campo. Fisicamente non è mai stato così allenato, corre in sicurezza anticipando ogni fendente sempre in perfetto equilibrio, ma è più disciplinato dal punto di vista tattico. Accelera da tutte le posizioni del campo, serve meglio e soprattutto “pensa” prima di lasciar andare il braccio, producendo un tennis meno spregiudicato e non più dominato dal cieco istinto. Continuerà a vincere, diventerà n.1 del mondo, arrivando alla finale degli US Open ’95 stremato dopo un’estate di soli successi. Di fronte Sampras, tanto per cambiare. La finale sarà l’ennesima perla della loro infinita rivalità, che stava producendo episodi memorabili. Un match caricato a mille dai media, che all’inizio non tradisce le attese. Infatti i due danno vita ad un primo set di qualità mai vista, con un contrasto di stile perfetto tra gli attacchi a tutto campo di Pete e le risposte, winners e passanti di Andre. Il tiebreak si conclude a favore di Sampras con un durissimo scambio dal fondo vinto da Pete con una sbracciata taglia gambe. Agassi è senza fiato, l’occhio è sbarrato. In quel preciso istante si chiuse quella parte della sua carriera, è stato lo stesso Andre a confessarlo.
Tornerà ad odiare il tennis, proprio come quando da bambino ne era schiavo contro il suo volere. La sua vita ed il suo matrimonio con la Star del cinema Brooke Shields va a rotoli, cade in depressione, preda della droga. Crolla al 141esimo posto nel ranking, ma ha la forza di rialzarsi. Il giorno di natale 1997 non è a far baldoria in famiglia o con gli amici, lo notano aggirarsi per i giardini di Las Vegas correndo e sputando sangue con l’amico di una vita Gil Reyes, il suo trainer. E’ sovrappeso, vinto ma non sconfitto. Ha voglia di tennis, e riparte da zero, sottotraccia, con l’umiltà del pugile che ha subito un k.o. violento, ma che s’è rialzato. Agassi lentamente rinasce, inizia la sua terza carriera, quella di un uomo e tennista completamente nuovo.
Preparato fisicamente come un vero atleta, ha l’intelligenza di cambiare il suo tennis, abbassando il rischio dei suoi colpi senza snaturarsi. Da macchina sparapalle impazzita alla ricerca continua e presuntuosa della riga vincente da ogni posizione, si trasforma in colpitore in progressione ad altissime velocità. Non cerca sempre il vincente ma punta a sfiancare l’avversario a forza di colpi anticipati ad un 80% del suo potenziale, avvalendosi del giusto acume nel lasciar andare il braccio al momento giusto, sostenuto da una condizione fisica mai avuta in carriera. Segnatevi questa definizione, perché sarà né più né meno lo standard del campione di oggi. Vincerà altri Slam, tornerà n.1, coronando una carriera inimitabile e diventando uomo rispettato e stimato da tutti. Crea una fondazione per scolarizzare bambini emarginati che diventerà la sua missione.
Vive intensamente questa nuova opportunità con a fianco la seconda moglie, la campionessa Steffi Graf conosciuta al Roland Garros 1999, il torneo del destino dove coronò il sogno del Career Grand Slam e rinacque sportivamente al massimo livello. I tempi in cui cercava a Parigi il primo McDonald’s per alimentarsi o non sapeva cosa fosse il Louvre sono lontani. In questa favola umana e rivoluzione tecnica, il colpo che più l’ha contraddistinto è stato la risposta al servizio, passata alla storia come la migliore di sempre. E questo non tanto per la tecnica esecutiva straordinaria, ma per la filosofia del tutto nuova con cui l’ha elevata a colpo vincente. La sua risposta è qualcosa di unico, innato, la somma del genio, di una percezione della palla e della sua traiettoria misteriosa; di una coordinazione da ginnasta combinata all’esplosività di un pugile. Il gesto è breve, personalissimo, soprattutto con il rovescio, eseguito in assoluta efficienza ed efficacia, senza minimi attriti. Una frustata piatta a trovare il vincente, oppure una rasoiata bassa che muore appena sotto la rete per affossare le volée dei serve & volley che allora lo sfidavano, uscendone sconfitti. E’ un mix di qualità da campione: polso d’acciaio, tempo perfetto sulla palla, occhi da falco per una risposta motoria immediata, coordinazione tale da riuscire a rispondere fuori equilibrio con una zampata felina di puro polso. Non solo è un punto vincente, ma è una sentenza: nessuno ha mai risposto così. Le principali imprese di Agassi furono costruite sulla risposta, proprio nell’epoca dominata da servizi micidiali che affrontava con coraggio e sfrontatezza, tenendo i piedi sulla riga di fondo campo, a sfidare anche psicologicamente il rivale.
Quando si ragiona sul più forte tennista di tutti i tempi, Agassi non viene quasi mai preso in considerazione. Ma sommiamo tutto quello che Agassi ha rappresentato per il tennis moderno… Vittorie in tutti i tornei, su tutte le superfici; l’impatto modaiolo che ha sdoganato il tennis verso lidi prima sconosciuti, avvicinando un mondo giovanile che prima lo considerava troppo ingessato e poco “cool”; una carriera durata 20 anni, da ragazzo scapestrato a sereno padre di famiglia; e soprattutto pesiamo la rivoluzione tecnica introdotta dal suo tennis, che è seconda per importanza soltanto all’avvento dei materiali tecnologici. In fondo non ha senso parlare del più forte di tutti i tempi, per mille motivi, ma certamente pochissimi atleti hanno segnato lo sport della racchetta come Andre, perché dopo di lui il tennis non è più stato lo stesso.
Tanti Auguri e grazie per le mille emozioni che mi hai regalato, caro Andre.
Marco Mazzoni