Federico Gaio è stato ospite di Luca Fiorino, telecronista di SuperTennis TV, nel podcast “Tennis ai tempi del Coronavirus”: il giocatore romagnolo, attuale numero 130 del ranking ATP in singolare (a sei posizioni dalla miglior classifica di n.124), ha tracciato un bilancio sulla prima parte della stagione, nella quale si è ben disimpegnato sia in singolare che in doppio (con Salvatore Caruso, infatti, ha raggiunto la finale nell’ATP 500 di Rio), non dimenticando i suoi primi passi nel mondo del tennis e, inoltre, aprendo le porte alla possibilità di istituire un circuito MEF Tennis Events tra tennisti italiani, in attesa che riprenda l’attività internazionale.
L’ipotesi di un circuito MEF Tennis Events: “Mi sembra un’ottima idea, sicuramente ci servirà molto come una specie di riscaldamento. Abbiamo perso sensazione alle partite, questo circuito nazionale potrebbe rivelarsi molto utile. Il problema più grande sarà quello delle trasferte, non sarà affatto semplice spostarsi nel mondo per giocare i tornei: saranno fondamentali le decisioni prese dai vari Governi. Vari tornei nazionali prima del ritorno internazionale sarebbero un bene per tutti“.
Il primo ricordo del tennis: “Le prime immagini che mi vengono in mente sono quelle dei raduni under 10, oppure quelle estive al circolo di Faenza. Sono ricordi belli, è il club della mia città e nel quale mi sono allenato per tutta la mia infanzia: è lì che ho iniziato a giocare“.
Il bilancio dei primi mesi del 2020: “La Top-100 è un obiettivo a livello numerico, non solo mio ma di ogni tennista. Non sono un ragazzo che ad inizio anno parte fortissimo, vado a diesel: nella prima parte di stagione solitamente faccio più fatica, mentre nel 2020 ho cominciato meglio del solito. Ho avuto buone sensazioni a Bangkok e in Sudamerica, adesso avrei avuto pochi punti da difendere e quindi per me sarebbe stato meglio giocare: questa pausa non è arrivata nel momento migliore, ma torneremo più forti di prima“.
Il rapporto con gli altri tennisti azzurri: “Siamo tutti molto uniti anche fuori dal campo. Nei vari tornei c’è qualcuno che magari può essere più o meno vicino, col quale si parla meno anche per la differenza d’età: possono crearsi gruppi anche in base agli allenamenti, ma siamo tutti legati tra di noi. Ad Indian Wells il torneo sarebbe dovuto iniziare il martedì, domenica sera ci siamo ritrovati tutti insieme: Caruso e Cannova avevano preso un appartamento quindi siamo andati a cena da loro, abbiamo mangiato in compagnia ed è stato molto divertente. Tutte le sere eravamo fuori insieme, è una nazionale molto affiatata“.
La finale in doppio a Rio de Janeiro con Salvatore Caruso: “Abbiamo iniziato un po’ per caso a giocare insieme, qualche anno fa, in alcuni tornei Challenger. L’anno scorso ho giocato pochi doppi per cercare di dare più continuità al singolare. Negli ATP 500 ci sono le qualificazioni anche nel doppio, dunque abbiamo sfruttato l’occasione perché avevamo la classifica: siamo entrati come terza coppia, le condizioni ci sono piaciute fin da subito. Una partita dopo l’altro, alla fine abbiamo trovato la nostra tattica: abbiamo sempre affrontato veri doppisti, la nostra arma più forte era dunque quella di giocare il singolare perché metterci alla pari con loro sarebbe stato molto complicato. Scoppiare il servizio, scoppiare la risposta e tirare più forte possibile in diagonale: abbiamo deciso di fare il contrario rispetto a tutti i nostri avversari. Con la nostra pesantezza di palla, siamo riusciti ad arrivare in fondo facendo il nostro gioco. In finale siamo partiti più tesi del solito, col freno a mano, ma nonostante tutto ci siamo trovati sul 7-4 nel supertiebreak: lì abbiamo pensato un po’ troppo e, di conseguenza, ci siamo fatti rimontare“.
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