Difficile togliersi dalla mente il sorriso beffardo, misto di ironia e delusione, “indossato” da Daniil Medvedev nella press conference post sconfitta alle ATP Finals. Contro Fritz il russo non è riuscito ad invertire la tendenza al ribasso delle sue ultime settimane, sconfitto piuttosto nettamente e pure autore di una serie di teatrini tutt’altro che edificanti… Non sta al 100% fisicamente, ma qualcosa si è rotto dentro di lui, è evidente, e non parlo di tendini o muscoli. Daniil sembra scivolato in un grigiore interiore profondo, un vortice che lo stra trascinando giù verso secche molto pericolose. Lui ha puntato il dito contro le palle, diventate oggetti misteriosi e di qualità talmente scadente da scontentare tutti. Ieri sera Zverev ha spiegato alla perfezione il problema, con dovizia di particolari degna di un tecnico del settore… Materiali diversi, più scadenti e meno performanti, rendono le palle quasi permeabili con una perdita di pressione pressoché immediata, agevolata dalla potenza degli impatti sulle corde dei giocatori, sempre più dediti a picchiare a tutta. E devono farlo, altrimenti ‘ste palle “non vanno”, si gonfiano, perdono elasticità, diventano una sorta di giocattolino inutile che depaupera il tocco e quindi la strategia. Inutile, anzi controproducente, giocare a rallentare, a tagliare, a cambiare di continuo, perché diventa troppo facile per l’altro aggredire e prendersi tutto. La foto esatta di come Medvedev ha governato il suo tennis per anni, diventando nell’ultimo lustro uno dei tennisti più forti, come dimostra la sua vittoria a NY21, le altre finali Slam (anche se tutte perse), il n.1 del ranking e tanti altri successi in ogni angolo del globo. Quel tennis cerebrale e tattico non funziona con queste palle… è un dato di fatto, lui ne è consapevole ed ha affermato che nella – breve – offseason prossima correrà ai ripari cercando di cambiare qualcosa. Basterà?
Solo nel 2025 vedremo cosa e quanto sarà riuscito a cambiare. Ma… resta un grande punto di domanda: sarà sufficiente? Da più lati si implora per un ritorno a palle migliori, diverse, e lo stesso Gaudenzi nei mesi scorsi si è affrettato ad affermare che l’ATP è cosciente dello status quo e che si è a stretto contatto con i produttori per invertire una tendenza che non piace a nessuno. Mettendo anche che le palle tornino ad avere una migliore qualità dal prossimo gennaio o comunque a breve, che restino più performanti e riescano a premiare di nuovo un tennis “tattico”, la questione Medvedev non sembra potersi risolvere solo sui materiali. C’è qualcosa in più, e non c’è palla che tenga.
Daniil per arrivare a diventare quella sorta di “mostro” competitivo, difensore supremo e poi fulmine nell’accelerare con servizio e strappi improvvisi, ha speso tanto. Tantissimo. Forse troppo. Dal 2019 è uno dei migliori su piazza, ci sono stati dei periodi nei quali batterlo sul cemento è stato quasi impossibile. La sua ragnatela di palle varie e diverse, “sgonfie e storte”, poi improvvisamente velocissime, ti si appiccicava addosso e ne restavi avvolto come un insetto, prossimo pasto per il famelico tessitore di quella trama. Medvedev è scacchista vero, anche nella vita, e la sua lucidità nel tessere quelle trame è diventata leggendaria, ma gli è costata fatica, tantissima fatica fisica e mentale. Il contachilometri delle sue gambe è andato fuori scala per le sue infinite rincorse e scambi duri, e anche a livello di stress mentale di neuroni ne ha “bruciati” chissà quanti… Un tennis affascinante, a suo modo anche bello per chi ama la tattica e la profondità degli schemi (seppur esteticamente, vabbé lasciamo fare…), ma troppo logorante. Fatica che in questa seconda parte di stagione sta presentando il conto al russo, un conto molto salato.
Medvedev è persona dotata di intelligenza fina. Quando parla lo fa sempre con parole esatte, esprimendo concetti mai banali. Il suo coach Cervara ha detto più e più volte che ogni chiacchierata con il suo assistito è una sfida perché la sua intelligenza è sorprendente, è capace di mettere in discussione ogni concetto con una profondità di analisi che a volte lo lascia senza parole. A 28 anni Daniil si trova davanti a un bivio decisivo: svoltare o morire, perché se non svolti il burrone è lì che ti aspetta e porterà via. La sua “vita” a queste ATP Finals è appesa al match odierno contro De Minaur. Una partita che dovrà affrontare con altro piglio, determinazione e voglia rispetto a quanto mostrato contro Fritz. “Se perderò andrò in vacanza e va bene così”, ha detto domenica dopo la sconfitta. Forse la delusione l’ha spinto a tanto, probabilmente è talmente disgustato dalle sue prestazioni attuali da desiderare davvero che quest’annata finisca, e quindi chissà che oggi alla fine non ci metta nemmeno tutto quel che ha. Sicuramente dentro di lui c’è voglia di fermarsi, rifiatare e ripartire. Ma poche settimane di stop, e di lavoro per cercare di diventare qualcosa di diverso, forse un tennista meno tattico e più diretto nel cercare l’affondo, sarà sufficiente?
Da Torino, Marco Mazzoni