In estate aveva accettato, lui che è il decano degli allenatori italiani in attività, un ruolo diverso. Cesare Pancotto era vice di Buscaglia sulla panchina di Napoli fino a quando il tracollo di Scafati, un umiliante – 35, non ha portato all’esonero, e alla conseguente promozione del coach marchigiano. Che da questa settimana potrà contare un nuovo play americano. Napoli ha infatti ingaggiato ieri Joseph Young, 30 anni, figlio di Michael, ex bomber Udine, Viola e Fabriano. Ex Indiana, proviene dai greci del Patrasso, con cui era miglior bomber di Eurocup con 2 3.4 punti di media.
Pancotto sono vere le voci su un iniziale diniego alla proposta di subentrare a Buscaglia diventato in seguito un sì?
«Credo di aver sempre fornito risposte chiare di lealtà, di stima e di massima correttezza a livello umano. Ma c’è anche, da parte mia, il dovere verso il club di aiutare ad uscire dalla difficile situazione in cui siamo. Eccomi allora qui, pronto a dare, come sempre ho fatto, il massimo».
La sua scelta non è stata, come spesso capita, una soluzione esterna. Come vive questa realtà?
«Non porto il vento di cambiamento, misto ad entusiasmo, che si respira quando il nuovo coach arriva da fuori. Ho però il vantaggio di conoscere molto bene i meccanismi di questa stagione complicata».
Napoli è in piena zona retrocessione: la sua è una specie di missione impossibile oppure vede degli spiragli?
«Ho una grande motivazione ed altrettanta volontà di portare la Gevi fuori dalle sabbie mobili. C’è la consapevolezza di partire da una buona base di lavoro fatto e di avere alle spalle un club strutturato e pronto ad ogni evenienza».
Che tipo di lavoro l’aspetta?
«Bisogna lavorare su noi stessi, recuperare autostima perché, come dicono dalle mie parti, non sono voci e parole a fare classifica. Dobbiamo isolarci dall’esterno, far fronte alle critiche. Abbiamo sentito dire della squadra: talentuosa, operaia e banda bassotti. Insomma tutto e il contrario di tutto. E’ arrivato il momento che a parlare sia il campo».
Cosa serve per invertire la tendenza?
«La soluzione a questa brutta situazione dobbiamo essere noi stessi. La fortuna la costruiamo noi. Gli alibi non sono utili a nessuno».
Per mettersi la crisi alle spalle incrociare subito Milano non sembra la soluzione migliore, non crede?
«Siamo consapevoli dell’avversaria che andiamo ad affrontare. Cosa cambierebbe se fosse un’altra? Lo ripeto, dobbiamo lavorare su noi stessi ed il primo risultato dovrà essere nella mentalità».
Cosa deve fare Napoli per diventare “pancottiana”?
«Ho detto ai miei giocatori che il basket è e sarà loro. Io, nella mia carriera, ho sempre cercato di fare bene il sarto e cucire un vestito addosso alla squadra. Napoli pancottiana? Serve tempo».
La salvezza è l’obiettivo stagionale?
«Questa nuova realtà societaria è alla seconda stagione di A. Quindi il traguardo da raggiungere dovrà essere il consolidamento che non può che passare dalla salvezza. Napoli è amore, è storia, è passione. Noi dobbiamo moltiplicare le forze per fare in modo che si costruisca un futuro solido passando per un nuovo presente. Siamo chiamati a ribaltare la situazione in cui ci siamo cacciati».
La Serie A è spaccata in due: Milano e Bologna dominano. Alle loro spalle si gioca un altro campionato?
«La Serie A la paragonerei alla Formula 1. Come nelle quattro ruote ci sono i team di punta che hanno macchine superiori, figlie di budget più alti. Poi dietro c’è la bagarre per le altre piazze. Ognuno deve avere la consapevolezza della vettura che ha disposizione e di tutto quello che può e deve fare per migliorare e spingerla al massimo».