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Questione professionismo: “Il calcio femminile sì, Paola Egonu no?” Per Malagò è discriminazione

Di Redazione

Dal 1° luglio 2022, il calcio femminile in Italia diventa professionistico. Una decisione storica, presa dal Consiglio Federale della FIGC lo scorso 26 aprile. Una decisione che potrebbe aprire le porte ad altre discipline e chiudere una questione aperta da anni. Ma anche una decisione che crea non pochi dubbi a, primo fra tutti, Giovanni Malagò. Il presidente del CONI, come riporta il Corriere dello Sport nella edizione odierna, infatti, solleva un paio di problematiche che il calcio femminile, inteso come professionismo, crea.

Innanzitutto, come in ogni contesto, sono i soldi il motore dietro qualsiasi macchina: “Complimenti alla Federcalcio, ma c’è un problema: i fondi stanziati non sono sufficienti neppure per la prima stagione e dunque tutto va a carico delle società. Molti fanno fatica ora già senza obblighi contributivi, figuriamoci col professionismo”.

Il dubbio che molte società possano fallire è portato avanti anche dallo stesso Gravina, presidente della FIGC. Nel 2020 è stato creato un fondo triennale di 12 milioni atto a sostenere gli sport femminili che volessero passare al professionismo, ma: “12 milioni sono un supporto, ma non risolvono il problema. Chiediamo concretezza al governo, perchè il processo è costosissimo”.

In secondo luogo, Malagò parla di discriminazione. L’Italia è una fucina di talenti in molti sport e le competizioni iridate della scorsa estate, Europei e Olimpiadi, lo hanno dimostrato. Il Bel Paese ha portato a casa decine di medaglie, in decine di competizioni, tanto maschili quanto femminili. Ma l’argomento del professionismo potrebbe creare una spaccatura nell’universo femminile che per Malagò risulterebbe inaccettabile:

“Con tutto il rispetto, perché la 21° calciatrice del Tavagnacco deve essere professionista e atlete del calibro di Federica Pellegrini, Paola Egonu e Sofia Goggia no? È impensabile”.

La soluzione potrebbe essere quella di aprire al professionismo anche le altre discipline femminili? E come conciliare questa soluzione con il problema della mancanza di fondi? Alla luce di queste domande, la questione del professionismo nel femminile sembrerebbe ben lontana dall’essere risolta.


Fonte: http://www.volleynews.it/feed/


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