Coppi e Bartali. Anzi, Bartali e Coppi, in ordine non solo alfabetico ma anche cronologico. Dunque, Bartali e Coppi: la tesi e l’antitesi (forse in senso kantiano), il bianco e il nero (forse il bianco e nero di Gino e il bianco e nero e poi anche colori di Fausto), il cattolico e il comunista (non era vero), il pio e lo scandaloso (scandaloso sì, Coppi, ma non per colpa sua, oggi il suo scandalo – adulterio – farebbe ridere), il toscano e il piemontese (questo sì, anche se certe generalizzazioni, pur trattandosi di due generali, sono troppo generiche), il brontolone e il silenzioso (questo sì). Il dualismo più duellato nella storia del ciclismo, che spaccò quel mondo e quel popolo in modo manicheistico: o di qua o di là, o con o contro, anche se proprio loro due furono con all’inizio (nel 1940, compagni di squadra nella Legnano) e con alla fine (tra il 1959 e il 1960, Bartali direttore sportivo e Coppi ancora corridore nella San Pellegrino).
Per questo insuperabile tandem di uomini e campioni, anche un bel tandem di libri. La prima opera, “Coppi e Bartali”, è un pamphlet di Curzio Malaparte (Adelphi, 2009). L’autore di “La pelle” e “Kaputt” spiega tesi e antitesi, superbamente: “Quando Bartali è seduto o disteso è un atleta a riposo. Quando è seduto, immobile e in silenzio, Coppi è una macchina ferma. Quando si riposa, attorno a lui si respira un’atmosfera da fabbrica in sciopero o chiusa per ferie”. E ancora: “Se Bartali emana calore umano, Coppi comunica un sentimento di profonda solitudine”.