Un piccolo passo per le donne. Un grande, immenso passo per il ciclismo. Una data, il 25 ottobre, che sarà certamente da ricordare, quella della prima Parigi-Roubaix femminile. La Regina delle Classiche allargherà la propria corona anche alle ragazze, stesso giorno e stesso percorso (l’ultima parte, ma buoni 100 km, con almeno 7 tratti di pavé) della gara maschile. È stata la grande sorpresa del nuovo calendario Uci, quello rivisto e riscritto dal coronavirus. «Vogliamo correre anche la Roubaix femminile» spiegava il presidente Lappartient, «perché vogliamo dare visibilità al ciclismo delle donne, e un giorno vorremo dare loro anche una Sanremo e un Lombardia, così come speriamo di reintrodurre il Tour de France». Esistono già Fiandre, Liegi, Amstel, Freccia Vallone. La Roubaix, però, l’Inferno del Nord, è qualcosa di paragonabile ai grandi traguardi dello sport al femminile, come l’ingresso della maratona alle Olimpiadi o, nel ciclismo, le prime scalate sul Mortirolo o sullo Zoncolan. «Queste gare» spiega la specialista azzurra delle Classiche del Nord, Marta Bastianelli, «sono belle perché hanno una storia, hanno il mito dentro. E no, non ci sarà la Foresta di Arenberg, ma non avrei avuto paura». La romana ha vinto il Fiandre nel 2019 «ma non c’è paragone tra i due tipi di pavé. Alla Roubaix il fondo è fatto di rocce vere, entri a 50 all’ora ed esci a 18.
Per anni l’Uci ha tentennato a causa dei possibili rischi. Ma questa gara andava fatta. Una cosa che vorremmo, ora, è avere una corsa in concomitanza con un arrivo di tappa del Giro d’Italia maschile. In un anno in cui, grazie alla nascita del World Tour, anche noi possiamo a tutti gli effetti considerarci professioniste, con garanzie e solidità finora riservate solo agli uomini, è giusto che si metta un piede su un pianeta nuovo, diverso e pieno di fascino». Marta, che è anche madre di una bimba, Clarissa, sarà in ogni caso tra le favorite: «Ricordo la Ronde van Drenthe, che ho vinto con la maglia di campionessa europea nera di fango. È una corsa simile alla Roubaix, con pavé sporchissimo, pianura, tratti nel bosco. Una gara di ciclocross, in pratica. Per uscire vive dal pavé ci vuole una grandissima testa, una grinta speciale».
Il decollo nel giorno più pazzo e intenso che il ciclismo abbia mai avuto. In poche ore, calendario alla mano, saranno concentrate l’ultima tappa del Giro, la sesta della Vuelta con arrivo sul Tourmalet, la Roubaix maschile e quella femminile. «Dopo tutto questo penare, questa incertezza, questo periodo così buio» spiega Elisa Longo Borghini, prima italiana vincitrice di un Fiandre (2015), «la Roubaix è un fiore che spunta dal cemento. E non me l’aspettavo. Quando ho ricevuto il calendario ho pensato a un errore. Ho chiesto al mio team manager, era tutto vero. Della Parigi-Roubaix ne parlavamo con le compagne, ogni tanto, sul bus. Chissà, dicevamo, se la nostra generazione riuscirà a correre una Roubaix? Sognavamo di farla, con tutta l’anima. Non c’è niente di impossibile per le donne. Magari andremo più piano degli uomini, tutto è in proporzione. Ma l’urlo del Velodromo, all’arrivo, io voglio sentirlo. Potessi correrla domani, lo farei. Potessi correre una corsa domani lo farei, anche il circuito della zona industriale di Melzo, eventualmente. Perché siamo stanche dei rulli e dell’immobilità e contiamo i minuti che mancano alle prime gare, alla Strade Bianche del 1° agosto. La nostra Roubaix però è qualcosa di più e porterà la bicicletta in una nuova dimensione».