Al 107° Grand Départ e al suo 117° anno di vita il Tour de France sperimenta per la prima volta i brevi pomeriggi di agosto, i tramonti improvvisi di settembre, il freddo pungente delle Alpi e dei Pirenei in un periodo dell’anno che non era mai stato suo. Il Covid ha spostato più in là la corsa francese, ma la febbre gialla scorre comunque tra le strade di Nizza, dove la corsa partirà, domani, con una tappa in linea e con una probabile volata che varrà la prima maillot jaune. Un Tour speciale, inedito e inaudito, fatto di bolle difficili da non far scoppiare (una, quella della Lotto-Soudal, è già esplosa, due meccanici sono positivi al Covid e sono stati rispediti a casa), di molta paura e alberghi sequestrati dai team, per paura del contatto con la gente comune. La presentazione è avvenuta dietro grandi paraventi, per impedire ai curiosi di accalcarsi e di alimentare il preoccupante focolaio di Nizza e dell’intera regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Al pubblico sarà anche vietato di salire sui colli delle prime tre giornate di gara. Tutti dovranno usare la mascherina. I corridori no. Loro dovranno fare il loro mestiere. Provare a farlo. Il percorso Il Tour 2020 misura 3470 km suddivisi nelle canoniche 21 tappe. Le prime due, entrambe con partenza e arrivo a Nizza, sono hanno due percorsi contrapposti: per velocisti la prima, per puncheurs alla Alaphilippe la seconda. Le Alpi arrivano presto, già alla quarta tappa, con il traguardo di Orcières-Merlette, cima indigesta anche a Eddy Merckx, bastonato là da Ocaña nel 1971. Il primo fine settimana sarà sui Pirenei (non terribili, niente Tourmalet, nessuna delle due tappe ha arrivo in salita), poi il Massiccio Centrale e il ritorno sulle Alpi: Grand Colombier e soprattutto l’inedito Col de la Loze (la vetta più alta del Tour, 2304 metri) faranno davvero la classifica a cavallo dell’inizio della terza settimana. L’unica prova contro il tempo alla Planche des Belles Filles, è lunga 36 km, gli ultimi 6 di durissima salita. L’arrivo a Parigi il 20 settembre, dopo, in sintesi, 9 tappe piatte, 3 vallonate, 8 di montagna con 4 arrivi in salita, una crono individuale e 2 giorni di riposo. I favoriti Nessuno dei grandi arriva al Tour con il conforto della forma perfetta. L’avvicinamento di Bernal, Roglic, Dumoulin, Pinot, Quintana è stato rovinato da cadute, controprestazioni, dubbi di varia natura. Bernal e Roglic, i due più logici favoriti, non hanno concluso il Criterium del Delfinato per problemi fisici. Dumoulin, compagno di Roglic alla Jumbo-Visma, non sembra quello del 2017 e del 2018. Pinot ha perso male al Delfinato una corsa quasi vinta (bravo però, lì, il colombiano Martinez a sorprenderlo). Quintana volava a inizio anno, una caduta in allenamento a luglio ha spento la sua verve. A livello di squadre, la guerra tra Ineos e Jumbo sarà il cuore della storia. Mancheranno Froome e Thomas, per scelta tecnica: la Ineos è tutta, compreso Carapaz, maglia rosa 2019, per il vincitore uscente Egan Bernal. Altri colombiani volano: da seguire il terzetto della EF Uran, Higuita, Martinez, in grado di fal saltare i piani delle due corazzate. Può fare molto bene lo scalatore sloveno Tadej Pogacar, terzo alla Vuelta 2019 al primo anno da pro. Miguel Angel Lopez si misura per la prima volta con l’alta classifica del Tour. E poi il caro, vecchio, sfortunatissimo e splendido scalatore Mikel Landa. L’incognita Alaphilippe I francesi, che aspettano dal 1985 una vittoria di un loro connazionale, dopo aver ormai scartato l’opzione Bardet e delusi più volte dal fragile Pinot non vedono l’ora di scoprire a che grado di maturazione sia giunto Julian Alaphilippe. Impressionante lo scorso anno, attaccante alla Hinault, chiuse quinto dopo aver a lungo illuso di poter davvero portare la maglia gialla a Parigi. In inverno ha lavorato sulla salita e, almeno questo dicono le prime gare, sembra aver perso un po’ di brillantezza nello scatto secco e nello sprint. Gli mancherà una crono piatta, ma gli arrivi in quota non sono mai davvero impossibili in questo Tour e per lui. La Francia intera è sulla canna della bici di Ju-Ju. Gli italiani Saranno 16 (Italia il quarto paese più rappresentato, la precedono la Francia con 36 al via, la Spagna e il Belgio con 17), val la pena elencarli tutti, per specialità. I velocisti sono Nizzolo (neo campione d’Europa), Viviani, Consonni, Bonifazio, Colbrelli. Gli scalatori Aru, Formolo, Pozzovivo, De Marchi, Rosa e Caruso. I passisti in cerca della fuga giusta Bettiol, Trentin, Oss, Cataldo e Marcato. È un Tour fondamentale per Fabio Aru, alla ricerca di se stesso dopo tre anni da dimenticare: i due giorni in maglia gialla nel 2017 restano i suoi ultimi momenti memorabili. Aru è anche uno dei sette vincitori di almeno uno dei grandi giri in corsa al Tour: gli altri sono Quintana, Dumoulin, Carapaz, Roglic, Bernal e Valverde. I numeri Valverde è il più anziano del Tour (40 anni). Il più giovane è il 21enne ex ciclocrossista Maxime Chevalier. L’età media dei 176 al via è 29 anni e 76 giorni, 180 cm l’altezza media, 68.1 kg il peso medio. La squadra più giovane è la Sunweb (26 anni e 254 giorni), la più anziana la Mitchelton-Scott (32 e 296). Gli esordienti al Tour sono 42. Trenta i paesi rappresentati, due sono le bandierine nuove: quella di Israele grazie a Guy Niv e quella dell’Ecuador con Richard Carapaz. Il corridore tra i partenti che ha corso di più in questa stranissima stagione è Giacomo Nizzolo (5348 km di gara), mentre l’olandese Joris Nieuwenhuis ha all’attivo appena 603 km e solo tre corse completate, tre tappe del Giro della Repubblica Ceca.
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Ciclismo, tra pericolo Covid e incognita favoriti: il Tour al via da Nizza
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