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    Storie di Volley: Debbie Green Vargas, da schiacciatrice tascabile a regista geniale

    Di Stefano Benzi
    Quando la pallavolo non era ancora uno sport che teneva in grande considerazione standard fisici di un certo rilievo e il libero non era minimamente tenuto in considerazione da chi stava studiando l’evoluzione del gioco, una ragazzina di 12 anni, magra e gracilissima ma con un’impressionante potenza di salto, si presenta a una selezione per la squadra di pallavolo della sua scuola. La ragazzina si chiama Deborah Green: ha due gambe sottili sottili e un po’ storte e il suo primo allenatore la definisce “una molla impazzita”.
    Ha una storia molto particolare: è nata in Corea del Sud. Suo padre fa parte delle forze della Nato che resteranno a presidiare il paese per molti anni durante la crisi internazionale del 38esimo parallelo. Originario del Tennessee ,il maggiore Green rimane in Asia per diversi anni. Poi si innamora della cameriera della tavola calda dove era solito pranzare quasi tutti i giorni. Si sposano nel 1958 e nasce la piccola Deborah, figlia unica di una famiglia atipica, che in pochi anni respira l’aria cosmopolita della base militare del padre imparando a parlare non solo coreano, ma anche giapponese, inglese e un po’ di spagnolo.
    Quando Deborah è ancora piccolissima, tutta la famiglia si trasferisce negli Stati Uniti, in California. Deborah, in un paese che non ha ancora completamente superato la sua avversità per le etnie asiatiche dopo la Seconda Guerra Mondiale, cresce con qualche disagio in una scuola dove essere americani e bianchi ha ancora una certa importanza. Le vacanze sono sempre alla Hawaai: e qui Deborah fa amicizia con la pallavolo. Un colpo di fulmine. La ragazzina ha un talento incredibile nella gestione dello spazio e atleticamente è un fenomeno: salta come un grillo, arriva ovunque, non ha paura di niente.
    Foto Half-Korean.com
    A dodici anni il primo impatto con una palestra: il suo primo allenatore la prova come universale, all’epoca si chiavano così i giocatori che si alternavano tra attacco e difesa, con pochi schemi e molto senso di improvvisazione. Poi, improvvisamente, la folgorazione: Debbie si trova a dover palleggiare “…e ho avuto la sensazione che si trattasse di una magia – aveva raccontato la sua allenatrice di allora in un documentario – aveva un talento incredibile, innato per andare incontro a qualsiasi traiettoria, anche la più sporca, per trasformarla in un appoggio perfetto”.
    La schiacciatrice tascabile, strepitosa in ricezione, comincia ad allenarsi per diventare palleggiatrice. Si allena per mesi e mesi arrivando ad alzare una frequenza di palloni impressionanti, anche venticinque al minuto. E finito l’allenamento Deborah rinforza le sottilissime leve con tappeti elastici e salti da fermo. In due anni rimane piccola, mingherlina, ma con due braccia fatate e due mani d’oro. Il papà, di fronte a giocatrici che si affacciano alle high school con un fisico da fenomeni, le racconta di un giocatore di football, Mercury Morris, running back di velocità formidabile che arrivava a malapena all’1.75: un nano per gli standard del suo sport. È l’esempio del quale Debbie ha bisogno.
    Perché nonostante tanti allenamenti Debbie rimane piccola, anche se cresce enormemente sotto l’aspetto del temperamento e della forza agonistica: diventa una leader. A soli sedici anni è capitano della sua rappresentativa scolastica, viene selezionata per la rappresentativa nazionale e vive il suo riscatto. Una ragazza che ha sempre vissuto le sue radici con un certo disagio diventa un punto di riferimento nazionale.
    La pallavolo sta cambiando: nessuno guarda alla potenza dell’opposto, o alle statistiche: tutto ruota attorno alla personalità dell’alzatore. Debbie si allena sei ore al giorno per diventare la migliore alzatrice possibile: salta più delle sue schiacciatrici e si inventa schemi e soluzioni a ogni partita. Talmente tanti che il tecnico della sua squadra universitaria a un certo punto le chiede di ridurre le potenziali azioni offensive a non più di cinque moduli, perché le compagne non riuscivano a reggere il suo ritmo.

    È tra le prime giocatrici a capire che il servizio è un’arma: a forza di tentativi perfeziona il suo jump set battendo ogni anno il record di ace. Vince due titoli USC, chiude la stagione 1977 con le USC Trojans dominando il titolo AIAW con 38 vittorie e appena 7 set persi. La sua efficacia al servizio è del 94%, gli ace sono non meno di quattro a partita, almeno uno a set. Arriva la nazionale: quando nel 1980 gli USA boicottano i giochi di Mosca Debbie non si dà pace. Piange a dirotto per due giorni e due notti. E decide di lasciare la pallavolo. Ma al terzo giorno è in palestra, si allena da sola per sette ore di fila fino a quando il custode della palestra non le dice “vattene a casa, Debbie”.
    Appuntamento rinviato al 1984 a Los Angeles: gli Stati Uniti sono d’argento, solo nel 2008 la nazionale americana riuscirà a fare altrettanto. Le americane perdono solo dalla Cina di Lang Ping. Una beffa: la squadra cinese viene battuta 3-1 nel girone eliminatorio ma domina la finalissima, 3-0. Nel 1988 le Olimpiadi sono a Seul. Debbie sarebbe la testimonial perfetta… ma il nuovo CT dice che “è poco versatile” e la lascia a casa. Debbie, che nel frattempo ha sposato Joseph Vargas, monumentale atleta della nazionale statunitense di pallanuoto, decide che è il momento giusto per allargare la famiglia. Nasce Nicole, la sua prima figlia. E comincia a pensare che giocare non sia poi l’unica cosa da inseguire con ostinazione. Arriva anche Dana e la pallavolo non è più l’unica cosa che conta.
    Foto Half-Korean.com
    Rifiutando qualsiasi corte da parte di club europei e asiatici, i giapponesi erano pronti a pagarle oro una stagione da allenatrice, Debbie Green mette su casa a Santa Barbara. Si iscrive all’università a Long Beach, facoltà di psicologia e comunicazione, si laurea e allena mattina, pomeriggio e sera guidando per 23 anni il programma di volley del suo ateneo. Vince quattro titoli nazionali e si ritira nel 2009 proprio quando sua figlia Nicole entra a far parte del programma della squadra nazionale. E qui c’è un episodio che merita di essere citato, anche se sfocia nella leggenda…
    Accompagnando la figlia a un camp a Colorado Springs, il CT Hugh McCutcheon le chiede se abbia voglia di dare una mano, se voglia entrare nel programma come consulente. Ma Debbie, che dimostra la metà dei suoi anni e continua ad allenarsi come una ragazzina, gli risponde che non ha più voglia di passare in palestra otto ore al giorno per sei giorni la settimana. McCutcheon deve rassegnarsi, ma si toglie una soddisfazione: le appoggia una palla per vedere il suo tocco, quello che i commentatori americani avevano definito il suo “magic flow”. Debbie, schiena al tecnico, si gira di scatto, si porta sotto la palla e alza un pallone perfetto, che sembra dipinto.
    A palla ferma, si dice che il CT le abbia chiesto se non avesse voglia di giocare ancora un po’… LEGGI TUTTO

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    Non solo NCAA: ecco come funziona la pallavolo nei college americani

    Di Redazione
    Nei college americani, la pallavolo è uno degli sport più popolari. Più indoor che Beach e più femminile che maschile, ma con numeri importanti, se si pensa che le istituzioni universitarie che sponsorizzano la pallavolo femminile sono più di 1800, oltre 200 per quella maschile e circa 170 per il beach.
    Ad ogni modo si tratta di numeri indicativi, poiché ogni anno diverse università decidono di aggiungere nuovi programmi di pallavolo indoor femminile, beach volley o pallavolo maschile: quest’ultimo in particolare può essere definito come lo sport in maggiore crescita, considerando che solo un paio di anni fa era classificato come un “emerging sport” nella lega NAIA e non era ancora nemmeno approvato ufficialmente. Ancora tutto da vedere invece per quanto riguarda il Beach Volley maschile, che solamente quest’anno vedrà le prime università iniziare a competere in questa disciplina, che si prospetta diventare popolare tanto quanto quella femminile, fresca di ufficializzazione anche nella lega dei Junior Colleges.
    Ma andiamo a capire meglio cosa si intende quando parliamo di leghe sportive universitarie americane, dato che differiscono parecchio dalla ripartizione dei campionati italiani. Negli Stati Uniti esistono diverse leghe sportive dei college alle quali le varie università devono essere affiliate per poter competere nei diversi sport (sono oltre 30 gli sport sponsorizzati): l’appartenenza ad una lega piuttosto che a un’altra non è legata solo a parametri sportivi, ma dipende molto anche da fattori che poco hanno a che vedere con lo sport, come la dimensione del college, per citarne uno.
    La lega più conosciuta, la National Collegiate Athletic Association (NCAA), comprende le università di 4 anni più grandi e con più risorse; di conseguenza è anche la più competitiva, dato che le scuole che ne fanno parte hanno la possibilità di mettere a disposizione un numero più alto di borse di studio rispetto alle scuole che competono in leghe minori. Questo in linea molto generale, le variazioni per i singoli sport sono notevoli.  All’interno della stessa NCAA c’è una suddivisione tra Division 1,2 e 3: le Università nella Division 3 non hanno possibilità però di offrire borse di studio per merito sportivo.
    L’altra lega sportiva molto popolare è la National Association of Intercollegiate Athletics (NAIA) che comprende i college di dimensioni più ridotte, ma rimane comunque molto ampia e competitiva; anch’essa è suddivisa in Division 1 e 2 (non per tutti gli sport).
    La lega che raggruppa i college di due anni detti Junior o Community College si chiama National Junior College Athletic Association (NJCAA) e come le altre è ripartita in Divisione 1,2 e 3. A differenza di quanto si può immaginare, la NJCAA rimane una lega di buon livello sportivo che offre un grande numero di borse di studio e si presta ad essere un trampolino di lancio per chi ha intenzione di continuare la carriera nelle università di quattro anni. Oltre a queste tre leghe più conosciute, ci sono anche numerose leghe minori come ad esempio la CCCAA, che comprende i Community Colleges della California.
    All’interno delle Divisions le squadre universitarie sono raggruppate in gironi detti “Conferences” per la regular season, dalle quali le migliori si qualificano poi al National Tournament, ovvero le finali nazionali. Tutto questo si svolge in appena quattro mesi: per la pallavolo femminile da settembre a dicembre, nel semestre chiamato Fall (escluso quest’anno in cui il campionato è stato posticipato al semestre successivo a causa dell’emergenza Covid); per il Beach e per l’indoor maschile da febbraio a maggio, nello Spring Semester. Nonostante i tempi siano più ridotti rispetto ai tipici campionati di otto mesi italiani, il numero di partite giocate rimane più o meno lo stesso perché negli Stati Uniti si giocano più partite a settimana (anche per cercare di ottimizzare le trasferte, che sono decisamente più lunghe rispetto a quanto siamo abituati noi in Italia).
    Ma torniamo indietro e andiamo a scoprire il percorso sportivo degli americani. Un po’ come noi italiani, anche negli USA i giovani pallavolisti giocano nei club giovanili e disputano i vari campionati regionali e nazionali. L’unica differenza è che negli Stati Uniti anche le squadre delle scuole superiori sono molto competitive, quindi gli atleti più talentuosi si ritrovano a dividersi gli allenamenti tra club e squadra della scuola. Successivamente, approdati all’università, le attività con i club cessano e i giocatori competono solamente nelle varie leghe degli atenei che frequentano.
    In questo modo, se un atleta, non solo di pallavolo, ma di (quasi) ogni altro sport, vuole continuare la propria carriera sportiva è in un certo modo “obbligato” a frequentare l’università. Alcuni sport come il basket, il football, il baseball, il calcio (soccer per gli americani) e pochi altri dispongono anche di una lega professionistica che offre la possibilità agli atleti di continuare a giocare; altrimenti, come nel caso della pallavolo, se un atleta volesse continuare a portare avanti la carriera sportiva, una volta completati gli studi universitari è costretto a spostarsi oltreoceano per venire a giocare in Europa, in Asia oppure in Sud America.
    Questo almeno per la pallavolo indoor maschile e femminile, mentre nel Beach Volley il campionato americano è tra i più competitivi al mondo e per questo ci si aspetta che i numeri dei college che offrono Beach Volley continuino a crescere in maniera esponenziale. Solo recentemente si è iniziato a ri-parlare di una lega professionistica di pallavolo femminile negli Stati Uniti che dovrebbe (il condizionale ormai è d’obbligo) partire a febbraio 2021.
    (fonte: Sportlinx360) LEGGI TUTTO

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    NCAA femminile: tabellone a 48 squadre, si comincia a gennaio

    Di Redazione
    Il consiglio della NCAA ha approvato lo spostamento alla primavera 2021 di tutte le attività sportive originariamente previste per la stagione autunnale, a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia di coronavirus. Per quanto riguarda la pallavolo femminile, la stagione regolare prenderà il via il 22 gennaio e si concluderà il 10 aprile, mentre la fase finale è in programma dal 23 al 25 aprile, in sede ancora da definire (originariamente era prevista in dicembre a Omaha).
    La novità sta nella composizione del tabellone, che sarà a 48 squadre invece delle abituali 64: 32 si qualificheranno automaticamente dalle singole conference, le altre 16 saranno selezionate dal Consiglio (la selezione si terrà l’11 aprile, subito dopo la conclusione del campionato). “Non la vedo come una penalizzazione – ha detto T.J. Meagher, direttore della Division I, a Volleyball Mag – anzi, credo che ci stiano permettendo di eleggere un campione legittimo. Ricordiamoci che altri sport come baseball e softball non avranno un campione per il 2020“.
    Alcune conference hanno comunque già autorizzato la ripresa dell’attività e diverse università sono già tornate in campo nelle scorse settimane.
    (fonte: Ncaa.com, Volleyball Mag) LEGGI TUTTO

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    Da Middleborn a Seliger-Swenson, tanti nomi nuovi per il campionato USA

    Di Redazione
    Continua a crescere l’elenco delle giocatrici che da gennaio 2021 parteciperanno negli USA alla lega professionistica femminile organizzata da Athletes Unlimited. È già ufficiale l’adesione al progetto di Samantha Middleborn, centrale che aveva abbandonato l’attività agonistica nel 2019 dopo due stagioni in Italia a Chieri. Insieme a lei dovrebbe far parte del “roster” anche la palleggiatrice Samantha Seliger-Swenson, il cui trasferimento al Radomka Radom è saltato all’ultimo: la giocatrice ha aggiornato il proprio profilo Instagram con la nuova destinazione.
    Come riportato dai media portoricani, inoltre, si uniranno ad Athletes Unlimited due liberi originari del paese caraibico: l’ex nazionale Nomaris Velez e la collega di ruolo Dalianliz Rosado. Nel caso di quest’ultima, l’annuncio è stato confermato dalla University of Minnesota, l’ateneo in cui è cresciuta. Le due portoricane raggiungeranno nel campionato americano la connazionale Aury Cruz.
    (fonte: Athletes Unlimited, The Gondol, Rumbo al Camerino) LEGGI TUTTO

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    La Lega americana prende quota: arriva anche Lauren Gibbemeyer

    Di Alessandro Garotta
    Anche Lauren Gibbemeyer ha firmato con Athletes Unlimited. Conclusa l’esperienza biennale con la maglia dell’Eczacibasi VitrA Istanbul, la centrale sarà tra le protagoniste della neonata Lega Professionistica statunitense, che si svolgerà a Nashville, dal 26 febbraio al 4 aprile 2021. La conferma è arrivata nel corso della presentazione del campionato di softball di Athletes Unlimited – che si giocherà dal prossimo 30 agosto a Rosemont – a cui hanno preso parte da remoto anche le già annunciate Kristen Tupac, Deja McClendon, Erica Handley, Cassidy Lichtman, Molly McCage e Amanda Peterson.
    Altra novità degli ultimi giorni per il campionato USA – in questo caso già ufficializzata – è l’inserimento di Sherridan Atkinson, opposta classe 1996 che nelle ultime due stagioni aveva giocato a sua volta in Turchia con le maglie di Galatasaray e Nilüfer. LEGGI TUTTO

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    Paige Tapp torna in campo: giocherà nel campionato USA

    Di Redazione
    Si aggiunge una nuova atleta al campionato professionistico degli Stati Uniti organizzato da Athletes Unlimited, che prenderà il via a gennaio 2021. Ed è un nome per nulla scontato: quello di Paige Tapp, centrale del 1995 e sorella gemella della nazionale Hannah. Tapp era sparita dai radar dopo aver rinunciato, all’inizio della scorsa stagione, al contratto con la Lardini Filottrano, e la sua ultima esperienza ad alto livello resta quella del 2018-2019 con l’Allianz MTV Stuttgart.
    Curiosamente, ha già garantito la propria partecipazione al campionato “made in USA” anche Nia Grant, la centrale ingaggiata da Filottrano nella scorsa stagione proprio per sostituire Tapp. All’elenco si è iscritta inoltre Sareea Freeman, opposta con un’esperienza anche in Turchia nello Yesilyurt.
    (fonte: Athletes Unlimited) LEGGI TUTTO

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    Anche Cursty Jackson ed Erin Fairs nel campionato USA di Athletes Unlimited

    Foto Facebook Cursty Jackson

    Di Redazione
    Altre due conferme ufficiali nel “roster” del campionato professionistico USA organizzato da Athletes Unlimited, che inizierà a gennaio 2021. Dopo gli annunci di nomi importanti come quelli delle nazionali Larson e Lowe, la lista delle atlete partecipanti si arricchisce anche della centrale Cursty Jackson e della schiacciatrice Erin Fairs, passata anche dall’Italia a San Giovanni in Marignano.
    La novità più significativa è senza dubbio quella di Jackson, ormai nota con il cognome da sposata di Le Roux (suo marito è il centrale della nazionale francese Kévin), che dopo aver giocato in Francia, Azerbaijan, Germania, Giappone e Turchia tornerà in patria per riprendere l’attività agonistica dopo la maternità. Nello scorso mese di aprile, infatti, la giocatrice statunitense ha dato alla luce il piccolo Dwayne Curtis.
    (fonte: Athletes Unlimited) LEGGI TUTTO

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    Jaden Agassi, a caccia di un diverso “Grande Slam” (di Marco Mazzoni)

    Mentre il tennis sta muovendo i primi passi verso una vera ripartenza, forse negli USA in agosto, proprio dagli States arriva una storia curiosa, che solo sfiora il mondo della racchetta ma di sicuro incuriosisce. Il network sportivo americano ESPN ha prodotto un piccolo speciale su Agassi. Stavolta il mitico Andre è un personaggio di […] LEGGI TUTTO