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    52 anni dal Grande Slam di Laver. La storia dell’impresa e perché è stato quasi impossibile ripeterla (di Marco Mazzoni)

    Rod Laver vince US Open 1969, completa il secondo Grande Slam

    12 settembre 2021: stasera a Flushing Meadows verrà assegnato il titolo maschile di US Open, quarto Slam stagionale. Non è una finale “qualsiasi”. Novak Djokovic è una sola vittoria da completare quel Grande Slam stagionale che manca da 52 anni. Scaldiamo l’attesa con un flashback storico. Torniamo a quel 9 settembre 1969, esattamente al West Side Tennis Club nel quartiere di Forest Hills – NYC, dove andò in scena la finale maschile dell’88esima edizione di US Open. Rod Laver sconfisse Tony Roche in quattro set, completando per la seconda volta il cosiddetto Grande Slam. Un’impresa epocale, mai più riuscita ad un tennista uomo (Steffi Graf l’ultima nel 1988). Un successo leggendario, che merita di essere raccontato, e compreso. Ma prima, perché il completamento in un anno solare del poker Australian Open – Roland Garros – Wimbledon e US Open si chiama Grande Slam?
    Forse non tutti conoscono la storia del termine “Grande Slam”, oggi in uso non solo nel tennis ma anche nel golf, baseball ed altre discipline. Deriva dal gioco di carte del Bridge: è il colpo massimo che si può realizzare, tredici prese effettuate ai danni dell’avversario. Si parlò per la prima volta di Grande Slam nel tennis nel 1933, grazie al giornalista del New York Times John Kieran. Jack Crawford quell’anno vinse Australian Open, Roland Garros e Wimbledon. Prima di US Open Kieran (giocatore di bridge) scrisse: “Se Crawford vincesse il torneo, sarebbe come segnare un Grande Slam nel bridge”. Il tennista australiano vinse due set della finale di contro Fred Perry, ma fu rimontato fino alla sconfitta. Don Budge nel 1938 fu il primo tennista a completare un Grande Slam, quindi Rod Laver (1962 e 1969). Tra le donne ci sono riuscite Maureen Connolly (1953), Margaret Smith Court (1970) e Steffi Graf (1988). Torniamo ora a quel 9 settembre 1969, 52 anni fa, a New York.

    “L’elicottero e la Leggenda”
    Il cammino di Rod Laver a US Open 1969 non fu affatto una passeggiata. Da un lato era molto vicino a ripetere una grandissima impresa sportiva, dall’altra la sua testa era concentrata sulla famiglia, visto che sua moglie stava per partorire Rick proprio in quei giorni e non c’era modo a quei salire in poche ore su di un aereo e scappare via. Dopo tre turni agevoli, Rod negli ottavi rimontò uno svantaggio di due set a uno contro Ralston, scampando un grande pericolo, quindi nei quarti sconfisse Emerson in quattro lottati set. Anche “Rocket”, il più grande e forte tennista dell’epoca, sentiva la pressione. In semifinale trovò il suo miglior tennis e superò Ashe in tre set, incluso un bellissimo terzo parziale terminato 14-12. In finale trovò Tony Roche, uscito vittorioso da una battaglia epica contro il connazionale Newcombe, terminata  8-6 al quinto, partita più bella del torneo. C’era enorme attesa per la finale, guastata anche dal meteo newyorkese, sempre uggioso e imprevedibile a settembre, ad allungare il torneo. Quel 9 settembre era martedì e non mancò la pioggia. Di tetti mobili a quell’epoca nemmeno l’ombra, tanto che sul centrale piombò addirittura un elicottero (!) a sorvolare per alcuni minuti il campo e così “asciugare l’erba” dopo un ritardo di 90 minuti. Siamo in America, le trovate ad effetto sono sempre dietro l’angolo… Finalmente la finale scattò. La tensione era altissima, anche nel braccio granitico di Laver, che iniziò male sparando un doppio fallo. Seguì una prima palla troppo centrale, seguita a rete e punita da una gran risposta di Roche, prontissimo a scattare dai blocchi e desideroso di stoppare la corsa dell’amico rivale. Una prima slice esterna consegnò a Laver il primo quindici del suo match. La partita avanzò velocemente, servizio e volée erano la religione su erba. Rod aveva strappato un game di servizio a Tony, ma quando servì per il primo set sul 5-3 subì il contro break. Dopo 27 minuti di un match a dir poco “scivoloso”, Laver decise di cambiare le sue scarpe indossando le “Spikes”, con una leggera dentatura per aiutare la presa sul manto erboso ancora molto umido. Non gli bastò per vincere il primo set, perso 7-9 dopo 42 minuti. L’atmosfera era elettrica, si pensava che il campionissimo potesse crollare da un momento all’altro sotto il tennis consistente della “roccia” Roche. Laver cancellò una delicata palla break in apertura del secondo set con un gran tocco. Quel momento fu una liberazione, la tensione iniziò ad allentarsi e salì in cattedra, iniziando a produrre quel tennis offensivo e quasi perfetto che l’aveva reso il più forte. Il braccio mancino di “Rocket” iniziò a mulinare colpi precisi, potenti, “senza alcuna lacuna tecnica” come raccontavano i cronisti dell’epoca. Prese possesso del match, servendo benissimo e rispondendo da campione. Con un crescendo wagneriano regolò Roche 6-1 6-2 6-2. Vinse il suo 11esimo e ultimo Major, ma soprattutto completò il secondo Grande Slam dopo quello del 1962 “da dilettante”. Nel 1963 infatti era passato al tour Pro, niente tornei Slam fino al 1968.L’Era Open iniziò nel 1968, ma è corretto considerare l’impresa di Laver del ’69 come la “vera” chiusura dell’epoca precedente. Dai ’70s nuovi giocatori, con un tennis diverso, più muscolare e moderno, cambieranno le carte in tavola rivoluzionando lo sport della racchetta. Da quel 9 settembre nessun tennista è riuscito a completare il Grande Slam, solo Steffi Graf tra le donne nel 1988. In questi 52 anni abbiamo attraversato varie fasi storiche, molte rivoluzioni tecniche – incluso l’avvento dei nuovi materiali – e campioni epocali. Abbiamo accompagnato le gesta di leggende come Borg, McEnroe, Connors, Lendl, Agassi, Sampras, e oggi quelle di Federer, Nadal e Djokovic; tra le donne Navratilova, Evert, Seles, Serena Williams. Alcuni di loro hanno dominato alcune annate nel senso pieno del termine, sono riusciti a vincere tutti i Majors in carriera, ma non a completare un Grande Slam. C’è riuscito solo Novak Djokovic a cavallo di 2015 e 2016, vincendo di fila tutti i 4 gli Slam. Adesso Novak ci riprova, stavolta nell’anno solare 2021. Chi c’era andato vicino prima di Novak “Djoker” Djokovic?
    Dal 1970 nessun Grande Slam, eccetto Steffi Graf (1988). Ma qualcuno c’è andato vicino. Djokovic ha vinto in fila i quattro Majors, tra 2015 e 2016, con le vittorie a Wimbledon e US Open 2015, Australian Open e Roland Garros 2016. Stessa situazione tra le ragazze per Martina Navratilova (a cavallo tra 1983-84), Steffi Graf (1993-94) e due volte Serena Williams (2002-03, 2014-15). Alcuni commentatori annoverano questi poker tra i Grande Slam, ma per la classica interpretazione dell’impresa i quattro titoli devono essere conquistati nell’anno solare. Roger e Rafa? Nadal non c’è mai andato vicino, avendo trionfato a Melbourne solo nel 2009, ma uscendo clamorosamente di scena vs. Soderling a Parigi negli ottavi. Federer invece c’è andato molto vicino nelle annate 2004 e soprattutto 2006 e 2007, quando vinse tre Slam perdendo (da Rafa) la finale di Roland Garros, quindi ad un solo match dal Grande Slam. Tornando più indietro, Sampras mai ha vinto a Roland Garros; Lendl mai vinse a Wimbledon; Wilander vinse tre Slam nel 1988, gli mancarono i Championships. Connors non ha mai trionfato sul rosso parigino, come McEnroe. Unico il caso di Borg. Nei suoi anni d’oro l’Australian Open si svolgeva a dicembre, ultimo Slam in calendario (per l’esattezza dal 1977 al 1985). Bjorn vinceva a ripetizione Roland Garros e Wimbledon, ma non riuscendo a trionfare a New York finiva per saltare la trasferta down under. Tutto lascia pensare che in caso di successo in America, Borg avrebbe avuto vita facile a Melbourne, dove il livello era indubbiamente inferiore agli altri Majors in quegli anni. Tra le donne, ci andrò molto vicino Martina Navratilova nel 1984: vinse Parigi, Wimbledon e US Open, ma perse clamorosamente a Melbourne in semifinale da Helena Sukova 7-5 al terzo. Addio sogno Grande Slam.Vincere un Grande Slam implica disputare una stagione quasi perfetta, “almeno” da gennaio a settembre. Non facile riuscire a tenere così alta la condizione fisica, tecnica e mentale in uno sport che dagli anni ’70 è diventato sempre più difficile e competitivo. La differenza nelle condizioni di gioco hanno avuto un impatto decisivo nel rendere l’impresa più complicata, ancor più da fine anni ”70 fino ai primi anni 2000, quando le superfici erano davvero diverse tra di loro. Fino al 1974 infatti tre Majors su quattro si giocavano su erba, chi possedeva un tennis ideale ai prati era molto avvantaggiato. Dal 1975, per tre anni, a New York si giocò sulla terra “verde”, più veloce e scivolosa di quella rossa europea; lì Borg perse la grande occasione… Quindi dal 1978, sempre a NY, ecco il primo Slam su hard court. Tre superfici diverse per i quattro Majors. La situazione si complicò ancor più quando gli Australian Open rivoluzionarono il loro torneo. Dopo averlo riportato a gennaio nel 1987 (vinse Edberg sull’erba di Kooyong), nell’88 ecco il nuovo impianto a Flinders Park, con un cemento molto diverso da quello americano. Fu deciso – a malincuore – di archiviare la mitica scuola tecnica “aussie” su erba per rilanciare un movimento in crisi ed un torneo “vaso di coccio” rispetto agli altri Slam. Negli anni l’operazione ha funzionato, oggi l’Australian Open è un torneo pari – se non superiore – agli altri Majors. Quattro Slam, quattro condizioni diverse. Il Grande Slam divenne ancor più difficile.
    Dagli anni 2000 il Grande Slam è tornato ad essere “possibile” anche grazie alle condizioni di gioco, straordinariamente uniformate rispetto all’epoca precedente. Dal 2002 a Wimbledon è stata imposta un’erba “lenta”, grazie ad una diversa composizione del prato, un taglio più alto ed un cambio nel suolo. Oggi ai Championships si scambia eccome, quindi chi è forte sui campi in sintetico non fa affatto fatica ad essere competitivo sui prati. La terra rossa è stata velocizzata, per cancellare maratone impossibili e rendere gli scambi più avvincenti. Alla fine per quasi tutta la stagione si gioca con condizioni abbastanza omogenee, e questo ha fatto sì che da metà anni 2000 si imponesse una nuova scuola tecnica e generazione di giocatori in grado di giocare al massimo praticamente tutto l’anno. Un fattore questo decisivo al far tornare “possibile” anche il Grande Slam. Non è un caso quindi che Novak Djokovic, tennista eccezionale e giocatore più completo e più forte dal punto di vista atletico e mentale, abbia già realizzato un “quasi” Grande Slam e oggi sia ad una sola vittoria da ripetere l’impresa di Rod Laver del ’69.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO