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    200 match ufficiali per Sinner, è al quinto posto per percentuale di vittorie tra i tennisti in attività

    Jannik Sinner (foto ATPtour.com)

    La finale disputata (e purtroppo persa) all’ATP 500 di Rotterdam è stato il match n.200 di Jannik Sinner sul tour Pro.
    Il 21enne di Sesto Pusteria vanta un bilancio di 138 vittorie e 62 sconfitte, con una percentuale di successo del 69% sul totale degli incontri giocati. È un dato statistico estremamente positivo: infatti se andiamo vedere la percentuale di successi  dei tennisti in attività con almeno 200 match giocati, Jannik si piazza al quinto posto assoluto, davanti a giocatori come Zverev, Tsitsipas, Ruud.
    Molto bene anche Matteo Berrettini: il finalista a Wimbledon 2021 infatti staziona all’ottavo posto di questa classifica di rendimento, con un ottimo 65,3% di successi nei 225 match giocati finora in carriera sul tour maggiore.
    Riportiamo la top 10 questo ranking particolare, ma assolutamente interessante:

    1° Djokovic – 83,5% (1249 match, 1043 W – 206 L)
    2° Nadal – 82,9% (1288 match, 1068 W – 220 L)
    3° Murray – 75,4% (954 match, 719 W – 235 L)
    4° Medvedev – 69,8% (397 match, 277 W – 120 L)
    5° Sinner – 69% (200 match, 138 W – 61 L)
    6° Zverev – 68,8% (497 match, 342 W – 155 L)
    7° Tsitsipas – 68,4% (383 match, 262 W – 121 L)
    8° Berrettini – 65,3% (225 match, 147 W – 78 L)
    9° Kyrgios – 64,5% (318 match, 205 W – 113 L)
    10° Ruud – 64,4% (267 match, 172 W – 95 L)
    Poco sotto staziona Andrey Rublev, con il 63,8% di vittorie sugli incontri disputati (la stessa di Dominic Thiem, oggi crollato in classifica al n.96 ma “forte” di un passato molto vincente), più staccati gli altri top10 Fritz (56%) e Felix Auger-Aliassime (60,8%). Buono invece il dato di Roberto Bautista Agut (62,4% su 612 match giocati) e soprattutto di Marin Cilic (64% su 909 incontri ufficiali).
    Eccellente la percentuale di vittorie di Carlos Alcaraz: attualmente è al 75,2%, ma è ancora lontano dalle 200 partite giocate (ne ha disputate “solo” 125). Sarà curioso vedere dove si posizionerà il più giovane n.1 del ranking ATP tra 75 match, quindi molto probabilmente nella prima parte del 2024.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Nakajima (ex Nike) “Nessun tennista ha l’immagine di Roger. Lasciare che abbandonasse Nike per Uniqlo è stata un’atrocità”

    Roger Federer a Wimbledon

    Sono passati diversi anni, ma nello mondo dello sport business non si è ancora spenta l’eco del clamoroso passaggio di Roger Federer da Nike a Uniqlo. Ne ha parlato Mike Nakajima, l’ex direttore del settore tennis alla Nike, all’interno di un libro da poco uscito, chiamato “The Roger Federer Effect”, temo ripreso anche in un’intervista alla CNN.
    Così come i tennisti, anche i principali manager operanti nel mondo tennis affittano una casa vicino all’All England Club durante Wimbledon per tenere riunioni e accogliere i loro atleti. “Lì, gli atleti hanno un rifugio sicuro”, afferma Mike Nakajima, direttore del tennis alla Nike per 29 anni. “Possono venire e stare in giro e nessuno chiede foto o li disturba. Nel 2016 avevamo una casa con la piscina coperta e avevamo anche un campo da tennis sul retro. Era davvero in pessimo stato, abbiamo deciso di rimetterlo un po’ posto perché volevamo restare in quella casa, lo abbiamo decorato con lo swoosh Nike. La ‘casa Nike’ è diventata la seconda casa dei Federer durante quell’edizione. Mirka (la moglie di Federer) e una delle tate sono andate a nuotare con i bambini e Roger ha giocato a tennis con loro sul nostro campo”.
    “Dalla mia camera da letto, potevo vedere il campo da tennis”, continua Nakajima. “Così ho visto Roger dare le palle ai suoi figli. È stato quasi imbarazzante vedere Roger Federer, il più grande giocatore, giocare a tennis su uno dei peggiori campi da tennis che io avessi mai visto! Più tardi, mi ha detto che uno dei ragazzi gli ha detto: “Papà, puoi uscire dal campo così noi possiamo giocare?”. Gli ho chiesto: “Ehi, Rog, quand’è stata l’ultima volta che sei stato buttato da un campo?” Si è limitato a sorridere. Deve essere divertente stare in giro per i suoi figli”.
    “Roger sarebbe stato sicuramente famoso anche da solo. Anche se fosse stato testimonial per qualsiasi altro marchio. Ma è diventato molto più grande grazie alla macchina di marketing di Nike. L’esposizione che Nike può fornire a un atleta è straordinaria. Ovviamente, devi avere successo in campo, cosa che ha avuto Roger”.
    La partnership con Nike si espanse presto in nuovi territori. “Roger è entrato nella moda, incontrando Anna Wintour di Vogue, facendo servizi fotografici per GQ”, ha detto Nakajima. “Federer ha fatto di Wimbledon, il Santo Graal del tennis, la sua passerella. Ha camminato lì con un cardigan della vecchia scuola, un blazer bianco o pantaloni bianchi lunghi. Portava anche accessori abbinati. Era fantastico”.
    Federer è diventato il tennista con più introiti extra campo di tutti i tempi, guadagnando oltre $ 100 milioni all’anno al suo picco attraverso contratti pubblicitari, secondo Forbes.
    “Ha una grande commerciabilità”, continua Nakajima. “Ha un’immagine fortissima, superiore a qualsiasi altro tennista, per come gioca in campo e per come si è sempre comportato fuori. L’ho visto parlare quattro lingue in una singola intervista e cambiare lingua proprio così, in un attimo. Le persone tendono a gravitare verso qualcuno disposto a condividere se stesso. È in grado di attrarre qualsiasi pubblico. E la gente lo ascolta qualunque cosa Roger dica. È totalmente credibile”.
    “Ho avuto il privilegio di incontrare tanti atleti di livello mondiale. È uno dei primi nella mia lista. Il punto di svolta resta la sua gentilezza come persona. Sì, ha molti più soldi e molto di più di tutto. Ma non è cambiato. Il denaro e la fama cambiano molto le persone. Il denaro cambiat il modo in cui si vedono le cose, in cui la gente agisce e parla con le persone. Roger non l’ha mai fatto, per questo è unico e la gente lo percepisce”.
    Per tutti questi motivi e il suo successo in campo, quando Federer ha lasciato Nike nell’estate del 2018 dopo 24 anni, passando alla catena di vendita al dettaglio di abbigliamento giapponese Uniqlo con un contratto di 10 anni da 300 milioni di dollari, è stato uno shock per Nakajima.
    “Non sarebbe mai dovuto succedere. Per noi lasciare andare qualcuno del genere è un’atrocità. Roger Federer è stato un uomo Nike per tutta la sua carriera. Proprio come Michael Jordan, LeBron James, Tiger Woods. È proprio lì con i più grandi atleti Nike di tutti i tempi. Sono ancora deluso. Ma è successo. Non è stata una mia decisione, non ero più lì”.
    Infatti Nakajima ha lasciato Nike all’inizio del 2017 per avviare un’attività in proprio, fondando la società BaseLine Performance Finance, che lavora con atleti e organizzazioni sportive. Parlandone ora a freddo, dopo alcuni anni, così riflette l’ex direttore tennis di Nike: “Roger starà bene, sono felice per lui. Probabilmente avrei fatto la stessa cosa se fossi stato sulla stessa barca. Chi avrebbe potuto rifiutare un contratto da 30 milioni di dollari all’anno? Ma la situazione non sarebbe mai dovuta arrivare a quel punto. Nike sta ancora vendendo milioni e milioni di paia di Jordan. Quando è stata l’ultima volta che ha giocato Michael? Sono passati molti, molti anni. Avrebbero potuto fare la stessa cosa per Roger. Negli anni a venire avrebbero potuto creare scarpe con il logo RF e sarebbero andate a ruba”.
    Cosa farà d’ora in poi lo svizzero? Nakajima ha le idee chiare: “Commentatore? Non riesco a immaginare una cosa del genere. Si, ho letto che c’è una possibilità per Wimbledon, ma sono sicuro che sta pensando anche ad altro. È un ragazzo così esperto e sveglio. Se sei un’azienda, chi non vorrebbe che qualcuno come Roger lavorasse con te? Penso che si espanderà in altre cose, investirà in vari settori e potrà sorprendere. Il suo nome vivrà per sempre come uno dei migliori atleti di tutti i tempi”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Alcaraz: “Segreti? Penso al coraggio con cui gioco”

    Alcaraz posa con il quotidiano “La Nacion” (foto Filipuzzi – LaNacion)

    Scatta oggi l’ATP 250 di Buenos Aires, con Fabio Fognini e Lorenzo Musetti al via per i colori azzurri. C’è molta attesa per vedere il toscano tornare sulla terra battuta dopo i grandi miglioramenti apportati nel suo gioco nella seconda parte del 2022, con un balzo in classifica che gli consente di essere terzo nel seeding in Argentina e quindi già al secondo turno (attende il vincente di Monteiro – Cachin). Tuttavia il pubblico albiceleste non vede l’ora di ammirare sul rosso di Baires l’ex n.1 più giovane dell’Era Open, Carlos Alcaraz, sbarcato per la prima volta – come Musetti – nella capitale argentina. Il fortissimo allievo di JC Ferrero torna finalmente sul tour dopo ben 4 mesi. Il suo ultimo match infatti risale al k.o. sofferto all’indoor di Bercy lo scorso autunno, quando un problema muscolare lo costrinse a saltare le ATP Finals e la Davis. Brutta fine, ma peggior principio… Infatti nemmeno il 2023 di “Carlito” è iniziato bene, visto che un nuovo infortunio muscolare rimediato in allenamento appena prima della trasferta in Australia gli ha fatto perdere anche il primo Slam della stagione. Alcaraz adesso sta bene, e scalpita. Ha tantissima voglia di tornare in campo, giocare e vincere. Il suo obiettivo è chiaro: tornare lassù, al n.1 del mondo, conseguenza di tante vittorie. Tuttavia nell’intervista rilasciata a La Nacion (quotidiano di Buenos Aires), afferma che forse lo scorso anno è arrivato in cima fin troppo presto, con ancora molte cose da migliorare e imparare. Riportiamo alcuni interessanti passaggi dell’intervista di Carlos.
    “Questo sarà il mio primo torneo dopo Parigi-Bercy. Sono passati quasi quattro mesi, ma quando entro in campo penso sempre a vincere, non ad altro” afferma Carlos. “So che non sarà facile dopo tanto tempo senza giocare ai massimi livelli, ma sono venuto qualche giorno prima per allenarmi con buoni giocatori e riprendere quel ritmo”.
    “La verità è che il paradiso (n.1 del ranking, ndr) è arrivato molto più velocemente di quanto pensassi. Dico che ho toccato il cielo con le mie mani, in base ai risultati che ho ottenuto, ma forse non sono arrivato al vertice in termini di livello di gioco o altri aspetti. Insomma, devo continuare a crescere, come giocatore, come persona, è importante crescere in tutti i settori. Sono già salito al vertice ma devo continuare a maturare. I migliori nella storia del tennis, come Rafa, Roger e Novak, non sono mai rimasti fermi e sono migliorati costantemente nel tempo. Spero di fare quei piccoli salti e migliorare il mio tennis, fisicamente e mentalmente”.
    Interessante il passaggio in cui analizza le proprie qualità: “Credo che la fiducia in se stessi sia estremamente importante. Ero convinto di poter ottenere molto presto un buon risultato in un Grande Slam. Ho detto che avrei vinto e grazie a Dio ce l’ho fatta. Ho molta fiducia nella mia squadra, ho molta fiducia nel mio lavoro e in me stesso, e nel livello che stavo mostrando. In generale non fallisci se fai un buon lavoro, se giochi con un buon livello e una buona mentalità. Alla fine i risultati arrivano. Potrebbero arrivare prima o poi, ma arrivano. E a me è accaduto agli US Open 2022. Segreti? Penso al coraggio con cui gioco. Non ho paure, non importa chi sia il rivale. È stato la base per ottenere i risultati che ho già raggiunto. Ho sempre preso tutto in modo naturale per affrontare i migliori. Quell’ambizione mi ha reso quello che sono adesso”.
    Altrettanto importante quest’analisi riguardo al suo modo di giocare. Il fatto di possedere una certa varietà lo rende un tennista con schemi diversi e quindi più difficile da affrontare: “Penso che la creatività sia molto importante perché l’avversario non può prevedere cosa farai. Ci sono giocatori che finiscono sempre per fare lo stesso schema e questo non va bene per arrivare in alto. Oggi studiare le partite e i rivali è importante, e quando ti studiano se sanno che farai sempre più o meno sempre lo stesso, è più facile per loro metterti in difficoltà. Ecco perché la creatività e riuscire a fare un po’ di tutto è un’arma in più. Nel mio caso ho un gioco che mi permette di poter attuare molti schemi, è fondamentale e mi rende imprevedibile“.
    Alcaraz crede che l’esser cresciuto in un contesto tranquillo l’hai aiutato a diventare quel che è oggi: “Venire da una zona tranquilla, da un paesino dove tutti ti conoscono, dove uscivo con i miei amici e dove ci conosciamo praticamente tutti, aiuta. Aiuta a non andare troppo lontano, in modo che la fama non ti dia alla testa, a non fare cose che non ti fanno bene. In generale ho gestito tutto molto bene, con la mia famiglia, con i miei amici, con il mio team… sono persone molto serie, professionali. Ed è anche per questo che sono sulla strada giusta. Considero la fama come qualcosa di naturale, ma alla fine conduco una vita normale, anche se è vero che sono un po’ più famoso di prima. Sono molto vicino alle persone e mi piace continuare così, perché vedo come mi incoraggiano”.
    Un piccolo rimpianto Alcaraz ce l’ha, non aver giocato contro Federer: “Sì, la verità è che mi sarebbe piaciuto tantissimo giocare contro Roger, sarebbe stato un sogno. Ho giocato contro Rafa e contro Novak, non sono riuscito a giocare con Federer. È un peccato. Amavo il suo tennis. Mi piaceva guardarlo giocare. Sono cresciuto guardando le sue partite, giocava in modo incredibile”.
    Alcaraz potrebbe trovare come primo avversario Fabio Fognini se il ligure batterà al 1° turno Laslo Djere. Un’eventuale sfida con Musetti invece potrebbe avvenire solo in finale, visto che Lorenzo è nella parte bassa del tabellone. Tutti abbiamo ancora in mente la straordinaria finale di Amburgo 2022, dove il carrarino superò lo spagnolo regalandosi il successo finora più importante in carriera. La speranza, anche per lo spettacolo che questo incrocio può potenzialmente regalare, è che le sfide tra Carlos e Lorenzo possano diventare un “classico” sulla terra battuta. E non solo.
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    La diversità dei tennisti USA. Gilbert: “I nuovi giovani sono tutti diversi. Finalmente…”

    Sebastian Korda a Melbourne (foto Getty Images)

    La novità più interessante degli ultimi Australian Open è stata certamente il ritorno del tennis a stelle strisce. Alla fine il titolo è andato al più forte, Novak Djokovic, ma è indubbio che gli statunitensi dopo anni di vacche magrissime sono tornati protagonisti. Tommy Paul è giunto in semifinale, due giovani come Korda e il sorprendente Shelton nei quarti. Nonostante il deludente torneo di Taylor Fritz, considerato da molti alla vigilia uno dei possibili “underdog”, i tennisti americani hanno confermato la crescita generale del loro movimento che, anche a livello di quantità, è tornato ad essere importante. Nel ranking ATP di questa settimana infatti c’è un top10 (Fritz), altri due top20 (Tiafoe e Paul) e in totale ben 10 nei primi 50. Ancor più interessante il dato se rapportato all’età dei top50: eccetto il super veterano Isner (37 anni), gli altri sono tutti al massimo 25enni. 
    Oltre all’ottimo numero di giocatori a stelle e strisce nei piani alti della classifica, quello che è interessante sottolineare è la diversità degli stessi giocatori. Tutti tennisti piuttosto offensivi, dotati di un tennis aggressivo alla ricerca del punto vincente, ma con caratteristiche tecniche e peculiarità assai diversificate. Si va infatti dal gioco a tutto campo di Fritz a quello più estemporaneo di Tiafoe, continuando con la progressione di Paul, pulizia d’impatto ed eleganti geometrie di Korda, la continue variazioni “sotto ritmo” di Brooksby, la potenza dirompente di Shelton, la fantasia di Wolf, il super servizio di Opelka, la capacità difensiva e pressing di Nakashima. C’è davvero un po’ di tutto e questo non è affatto scontato per il tennis USA. Uno dei principali “problemi” che ha afflitto le ultime generazioni di giocatori statunitensi è stato proprio la mancanza di diversità, l’aver perseguito un solo modello di gioco: gran fisico, servizio potente e diritto pesante su palla alta. Stop. Un idealtipo che ha certamente funzionato qualche lustro addietro, quando il tennis si stava spostando verso un gioco sempre più aggressivo e di pressione da fondo campo, ma non più sufficiente dal nuovo millennio, quando i migliori giocatori al mondo sono diventati via via sempre più completi, rapidi, flessibili e pronti a passare da difesa ad attacco con un bagaglio tecnico mediamente piuttosto evoluto. Non è un caso da molti anni il tennis di vertice è Europa-centrico: tennisti cresciuti con scuole più reattive al cambiamento, con l’ausilio del tennis sul “rosso” che permette da giovanissimi di affinare meglio la tecnica dovendo affrontare situazioni di gioco meno uguali rispetto ai campi rapidi; con maestri e accademie che hanno maggiormente assecondato le peculiarità di ogni ragazzo, invece di forzarne la direzione tecnica verso un solo modello. Tutti tendono all’efficacia più che alla fantasia, ma lasciando comunque spazio alla differenziazione. Del resto, è la differenza e l’unicità che creano un crack. Un vantaggio competitivo.
    Proprio questo ha parlato Brad Gilbert, ex top10 poi coach e oggi stimato analista di tennistv. Il californiano ha confermato le parole di Shelton in merito alla sua capacità di giocare molto bene anche su terra battuta, e che mediamente i giovani tennisti statunitensi arrivati nei piani alti del ranking hanno un tennis più completo, moderno e soprattutto vario tra di loro.
    “Dopo molti anni, credo che nel 2023 e da qua in avanti potremo (tennis statunitense) fare bene anche in Europa in primavera sulla terra battuta. Prendiamo per esempio Ben: con quel servizio esplosivo, la sua forza nelle gambe e il suo movimento eccellente da fondo campo, Shelton potrebbe essere molto interessante sulla terra battuta”. afferma Gilbert.
    “Sono sicuro di una cosa, e non da oggi: i tennisti americani non sarebbero tornati ai vertici della disciplina finché non fossero diventati abbastanza bravi sulla terra battuta. Non è un discorso di vincere i tornei lì, ma per la qualità del gioco espresso. Troppi dei nostri ragazzi erano solo un servizio e un dritto. Da anni questo non basta più. Ora molti dei nostri ragazzi sono più atletici, quindi possono fare più cose. La cosa bella dei giocatori USA attuali è che giocano tutti in modo diverso. Non sono lo stesso tipo di giocatore, ed è interessante osservarli”.
    “Abbiamo avuto un lungo periodo in cui i nostri ragazzi hanno saltato quasi del tutto la stagione sulla terra battuta”, conclude Brad. “Diversi anni fa avevi forse uno o due ragazzi nei tabelloni dei maggiori tornei in Europa, erano exploit isolati. Credo che nessuno di loro si sentirà solo quest’anno, avrà altri connazionali in gara”.
    Un punto di vista interessante che conferma in pieno la nostra visione. Il tennis si è spostato sempre più verso atleti migliori, con poche debolezze importanti e capaci di rendere lungo tutto l’arco dell’anno. Per tornare ai vertici, anche il “gigante” USA ha dovuto rimboccarsi le maniche e studiare il lavoro fatto (bene) in Spagna, Italia, Francia, nelle migliori accademie e centri di allenamento di alto livello europei. Vedremo se in questa nuova generazione a stelle e strisce ci sarà finalmente un campione Slam, manca da venti anni (Andy Roddick – US Open 2003). Oltre a Fritz, è molto probabile che già alla fine di questa stagione altri tennisti statunitensi siano in top10 o a ridosso, e soprattutto protagonisti nei massimi appuntamenti.
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    Incredibile in Messico: i migliori tennisti del paese boicottano in blocco la Davis

    Miguel Angel Reyes Varela e Santiago Gonzalez

    Tennis di alto livello & Mexico, due parole ormai agli antipodi da moltissimi anni. Sono passati secoli sportivi da quando Raul Ramirez era un tennista di vertice (n.4 nel 1976), o da quando Leonardo Lavalle a metà anni ’80 teneva “alta” la bandiera tricolore con l’aquila negli eventi del Gran Prix, stazionando in top 100. Poi quasi il nulla. Che il movimento tennistico messicano sia ridotto ai minimi termini da molti anni è fatto noto e consolidato. Nonostante il paese nord americano organizzi da anni uno degli ATP 500 più apprezzati ad Acapulco e da qualche stagione sia entrato anche un 250 a Los Cabos (vinto da Fognini, tra gli altri), e che vengano disputati molti Challenger di buonissimo livello nel paese, il movimento nazionale ristagna.
    Motivi? Molti, tutti negativi e concordanti. Innanzitutto gli scarsi investimenti della non certo ricca federazione locale, ben poco impegnata anche nel reperire sponsor e risorse per un rilancio e riorganizzazione del sistema, una mancanza di atleti di ottimo livello (dirottati in altri sport, soprattutto baseball e calcio), e pure una lega nazionale per club che recluta le poche discrete racchette e ben le paga, finendo così per impoverire ulteriormente il numero dei pochi talenti disponibili a sacrificarsi per tentare la scalata nel difficile mondo Pro. Una situazione sportivamente pessima e di difficile soluzione, tanto che dei tennisti messicani si è completamente perso traccia da molti anni. Il miglior messicano nel ranking è Ernesto Escobedo (n.320), nato negli USA e per anni sul tour come statunitense, poi passato al paese di origine dei genitori. Il secondo “miglior” tennista è addirittura al n.625 questa settimana, Alex Hernandez (23 anni). Solo qualche doppista riesce a restare nel tour maggiore. In pratica, un deserto degno di quello aridissimo di Sonora.
    A far tornare il Messico nel radar del mondo tennistico una clamorosa decisione dei migliori tennisti del paese: boicottare in blocco la Coppa Davis. L’ha comunicato via social e alla stampa Santiago Gonzalez, 39enne ancora a buon livello in doppio (attualmente n.27 ATP di specialità). Scrive il nativo di Cordoba: “Dichiarazione ufficiale ai media e al tennis messicano. In allegato i motivi per cui non parteciperemo alla Coppa Davis Messico vs Taipei cinese a Metepec, Stato del Messico, il 4 e 5 febbraio. Firmato: i giocatori della squadra messicana della Coppa Davis. 30 gennaio 2023”. Ecco il comunicato allegato.
    “Per noi è sempre stato un grande orgoglio rappresentare il nostro paese in Coppa Davis (…). Dopo una difficile consultazione tra di noi e diversi tentativi di dialogo con la Federazione messicana di tennis alla ricerca della migliore funzionamento della squadra rappresentativa e della stessa Federazione Messicana di Tennis, non è stata raggiunta alcuna conclusione positiva e, pertanto, abbiamo deciso di non partecipare alla sfida contro China Taipei a Metepec, Stato del Messico. (…). La mancanza di comunicazione, zero pianificazione con la squadra e mancanza di interesse nel migliorare le condizioni di gioco dimostrano che la situazione non è stata affrontata in modo corretto e che gli interessi personali hanno avuto la meglio su quelli strettamente sportivi. L’ITF cerca come priorità che le squadre che disputano la Coppa Davis abbiano i migliori elementi possibili, oltre a soddisfare gli standard ottimali per la più grande competizione sportiva mondiale di tennis per nazioni. È triste che la FMT non abbia gli standard minimi nel trattare e pianificare con i migliori rappresentanti nazionali. L’ITF è consapevole delle nostre ragioni per non far parte di questa serie. Il nostro unico desiderio è cooperare correttamente, lavorare tutti assieme tra giocatori, tecnici, federazione e organizzatori degli eventi. Siamo a disposizione per collaborare ad una programmazione futura degli eventi della nazionale”. Poi la firma di tutti i migliori, Escobedo, Gonzalez, Hernandez, Verdugo e via dicendo, singolaristi e specialisti del doppio. Tutti in pratica.
    Una presa di posizione durissima, con ben pochi precedenti così in blocco e totale del movimento Pro di un paese, che di fatto renderà impossibile – a meno di una mediazione last minute – lo svolgimento della sfida Messico – China Taipei il prossimo fine settimana presso il Club Deportivo la Asunción. A meno che non venga deciso di mandare in campo dei ragazzi per non perdere a tavolino.
    Al momento la federazione, sul proprio account Twitter, non ha commentato la dichiarazione e si è limitata a promuovere le partite, come se niente fosse. In pieno Mexican-Style, “canta che ti passa”… Purtroppo alla fine, i nodi vengono al pettine.
    Torneremo su questo tema parlando della situazione tennistica di un paese tanto bello quanto in difficoltà nel nostro sport.
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    Tsitsipas vs. Djokovic, una finale per la storia, speriamo non scontata

    Stefanos Tsitsipas, seconda finale Slam in carriera

    Melbourne, Rod Laver Arena, ore 9.30, meglio 9.45. Scatterà la prima palla della finale 2023 degli Australian Open, primo Slam della stagione. In palio tra Novak Djokovic e Stefanos Tsitsipas ci sarà molto, molto di più di un “semplice” titolo Major. Se a trionfare sarà il serbo, alzerà il suo 22esimo trofeo di uno Slam, uguagliando il grande rivale Nadal e tornando anche n.1 al mondo nel ranking mondiale, riprendendosi il trono ceduto lo scorso giugno a Medvedev dopo 373 settimane al vertice (non consecutive), record all time. Si riapproprierebbe a tutti gli effetti di quel ruolo di miglior tennista al mondo che, nonostante i brevi periodi passati in cima da Medvedev e Alcaraz nel ranking e da Nadal per titoli Slam, la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori e colleghi complessivamente gli riconosce. Se invece arriverà la sorpresa, la vittoria di Tsitsipas, avremo un nuovo campione Slam, il primo greco ad alzare la coppa di un Major e un nuovo n.1 al mondo. Comunque vada, questa sfida scriverà una pagina importante nella storia del nostro sport.
    È una finale attesa, tra il super favorito della vigilia, arrivato al match per il titolo dopo una corsa incredibile con solo un set perso e la miseria di 50 game ceduti in sei incontri, e il rivale sulla carta più accreditato, forte di tre semifinali “down under”, una condizione fisica strepitosa e di un livello di gioco importante mostrato nel corso delle due settimane. Attesa molto, ma… sarà anche incerta? La risposta è “nì”. Domenica c’è un chiaro, chiarissimo favorito: Novak. La vittoria del greco sarebbe una grandissima sorpresa, lo dicono i numeri, la storia dei loro precedenti e le sensazioni dal campo durante il torneo. Non è scontato che Djokovic vincerà, probabilmente non sarà una passeggiata (come vs. Medvedev nel 2021 o Nadal nel 2019, finali durate solo due ore e dominate in modo assoluto), ma tutto lascia ipotizzare un successo di “Nole”, magari in 4 o forse 5 set. Avventurarsi in pronostici è sempre difficile, proviamo a spiegare quel che ci spinge a questa conclusione, e quel che potrebbe fare Stefanos per far pendere la bilancia dalla sua parte.
    I confronti diretti sono abbastanza impietosi: 10 a 2 per Djokovic, con l’aggravante di 9 vittorie di fila per il 9 volte campione in Australia, le ultime 9. Diverse sfide sono state dure, complicate. L’ultima è stata disputata alle Finals di Torino, in condizioni indoor (dove Novak è davvero fortissimo), Djokovic vinse in modo limpido. Assai più lottata quella disputata pochi giorni prima, in semifinale a Bercy, con il serbo che la spuntò al tiebreak decisivo del terzo set. Negli Slam due confronti, entrambi a Roland Garros, entrambi in cinque set: la semifinale 2020 e la finale 2021, quando Stefanos volò due set in vantaggio prima di subire la rimonta del serbo. È la dimostrazione (forse) che Tsitsipas sulla lunga distanza riesce ad esser più efficace, a recuperare eventuali pause nel suo gioco, ma finora manca ancora la grande W accanto all’head to head nello Slam. Le due vittorie di Tsitsipas vs. Djokovic sono arrivate entrambe sul cemento Outdoor, ma sono match piuttosto datati (2018 e 2019), in due Masters 1000 (Canada e Shanghai).
    Si giocherà sulla Rod Laver Arena, in condizioni praticamente perfette per il tennis di Djokovic, tanto che su quel campo ha perso una manciata di incontri, l’ultimo contro Chung nel 2018. Da allora 27 vittorie consecutive per lui. Dominio assoluto. Novak ama la velocità di gioco di quel campo, il rimbalzo della palla, condizioni che gli consentono di difendere, di ribaltare gli scambi, di attaccare e soprattutto imporre quel ritmo che stritola gli avversari palla dopo palla. Cosa potrà fare quindi Tsitsipas, alla sua seconda finale Slam, per mettere in difficoltà e provare a sconfiggere il più forte nel suo torneo? Dovrà fare un match al limite della perfezione, terribilmente intenso, continuo, offensivo, riuscendo a mascherare la sua debolezza a sinistra con schemi rapidi d’attacco in modo da non finire inchiodato sulla diagonale di rovescio, dove il gap a favore del rivale è enorme.
    Stefanos dovrà innanzitutto servire benissimo. I numeri sono impietosi: per battere un buon Djokovic in uno Slam servono almeno due prime su tre in campo con il 75% di punti vinti. Se il rendimento del servizio sarà inferiore, l’impresa è quasi impossibile. Altrettanto importante sarà la risposta: se Novak potrà impostare lo scambio nella maggior parte dei suoi turni di battuta, avvicinandosi alla riga di fondo e impostando quegli scambi a velocità medio alta, con un po’ di rotazione e sulla diagonale di rovescio, strappare il break per il greco sarà difficilissimo. Quindi Tsitsipas dovrà cercare di rispondere con profondità, per allontanare il rivale dalla riga di fondo e quindi fare un passo avanti per entrare col colpo successivo, con forza e angoli importanti.
    È noto che Tsitsipas abbia sul lato sinistro un punto di relativa debolezza, ancor più quando è costretto ad affrontare uno col rovescio bimane e fortissimo come Djokovic. Per “scappare” da questa situazione a lui sfavorevole, Stefanos deve aver la forza di sfidare il rovescio dell’avversario col suo diritto inside out da sinistra, veloce e profondo abbastanza da impedire a Novak di stringere di più l’angolo della diagonale, venendo così costretto a giocare anche lui un rovescio; quindi riuscire a girare lo scambio con un forte anticipo col diritto lungo linea per forzare Djokovic a tirare un diritto in corsa difensivo, colpo che da super-campione gestisce bene ma con meno sicurezza rispetto ad altre soluzioni. È in pratica lo schema che ha usato con buon successo Federer contro il serbo. Tsitsipas tuttavia non ha l’anticipo di Roger, quindi riuscire a trovare con continuità questa soluzione non sarà affatto facile. Dovrà correre, rincorrere, e trovare magari qualche altro tipo di variazione. Due potrebbero essere: un back di rovescio a volte molto lento e lungo, altre più corto e stretto, per muovere l’avversario in posizioni di campo diverse; oppure rischiare la discesa a rete per uscire dallo scambio, anzi, per non caderci dentro e venirne stritolato. Altro schema tutt’altro che facile, perché servono tempi di gioco ottimali e la scelta di quando forzare.
    La considerazione generale alla fine è una: per provarci il greco dovrà superarsi e forse nemmeno basterà. Il Djokovic ammirato nel torneo sembra fortissimo in ogni situazione tattica, difesa e attacco, colpi di inizio gioco inclusi, e se gioca con questa sicurezza e continuità, riuscirà a trovare la chiave per scardinare ogni tentativo del greco. Anzi, di ogni rivale sul globo. E alzerà meritatamente lo Slam n.22. Probabilmente soffrirà un po’, perché Tsitsipas è un avversario vero, forte, determinato e molto cresciuto e convinto dei propri mezzi. Ma forse non riuscirà a tenere l’acceleratore a tutta per il tempo necessario a staccare “Nole” e tagliare il traguardo per primo. Di sicuro il primo set sarà molto importante: se Novak partisse fortissimo e mettesse la testa avanti vincendo nettamente il primo set, potrebbe essere una mazzata talmente forte da tramortire le certezze del greco e comprometterne la partita.
    Che Vinca il migliore. Speriamo di assistere a un tennis di qualità, degna conclusione di uno Slam ricco di sorprese.
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    McEnroe: “La nuova Davis? Uno spettacolo triste”. Possibile il coinvolgimento di Tiriac dal 2024?

    Coppa Davis

    Il mondo del tennis continua ad interrogarsi sul futuro della Coppa Davis dopo la clamorosa (e pesante) rottura dell’accordo tra ITF e Kosmos, con sicuri strascichi legali e la grande incertezza di quel che ne sarà della più antica competizione nazionale a squadre, per il 2023 e gli anni a venire. Visto che il Presidente dell’ITF David Haggerty aveva legato il suo mandato a questa scommessa evidentemente persa, e che la sua carica sarà rinnovata nella stagione, sembra scontato che la Davis 2023 si svolgerà col formato duramente criticato attualmente in vigore, e che la nuova dirigenza dell’ITF affronterà come prima emergenza un nuovo formato, nuove regole e, forse, un nuovo partner.
    È ancora troppo presto per stilare delle ipotesi, anche se uno dei possibili nuovi presidenti della federazione internazionale potrebbe essere Dietloff von Arnim, capo della Federtennis tedesca e da sempre oppositore della riforma “haggertiana” con la società di Piqué. In quel caso, sicuro un rinnovamento totale.
    C’è chi ipotizza per il rilancio dal 2024 un coinvolgimento di Ion Tiriac, vulcanico personaggio estremamente influente nel mondo del tennis, ex proprietario del torneo di Madrid e uno dei più feroci oppositori della svolta del 2019. Il rumeno infatti, commentando la nuova formula, ha affermato al New York Times: “Cambiando il format della Coppa Davis hanno rovinato 120 anni di tradizione. Dovrebbero essere condannati a vita per quello che hanno fatto. È uno scherzo e un peccato. Hanno rovinato il gioiello del tennis”. Tiriac negli anni ha dimostrato capacità organizzativa e visione. Certamente conosce il tennis come pochi altri essendo stato prima ottimo tennista (soprattutto in Davis, tra l’altro) e poi manager al massimo livello, quindi potrebbe essere un partner assai più affidabile di Kosmos per l’ITF per un rilancio o meglio contro rivoluzione. Tuttavia il parere e approvazione dei giocatori resta un fattore importante, anzi decisivo.
    Della vicenda se ne parla molto tra giocatori ed ex giocatori, oggi commentatori. Questo punto di vista di John McEnroe: “La questione Davis è pesante. Non so se dire che sono impressionato come sia finita, o solo decisamente depresso. Quando ero giovane la Davis era estremamente importante, sono stato incoraggiato a ottenere una borsa di studio da un’università per giocarla, mentre ora sembra che la competizione sia nei reparti per malati terminali. È incredibile come sia andata male la rivoluzione, ma non mi sorprende neanche un po’ perché ascolto storie assurde a riguardo da un paio d’anni, quindi non una è sorpresa che tutto sia fracassato”.
    “Abbiamo assistito a una sorta di mutilazione. È stato uno spettacolo molto triste. Ora ci sono altri eventi e la gente si rende conto che ci sono altre competizioni a squadre che sono molto importanti, tanto che la Davis sembra essere la meno considerata. Anche la Laver Cup è molto più interessante e seguita, e molto ben organizzata. È un vero happening, la Davis non lo è più. Ora hanno organizzato anche un evento in Australia (la United Cup), e ha funzionato bene. Ma adesso di queste competizioni a squadre ce ne sono troppe… Che l’accordo tra Kosmos e Davis sia saltato non mi sorprende affatto, perché non funzionava per nessuna delle due parti. È una cosa nata male e finita peggio”.
    Oltre al presidente della federazione francese, che per primo ha fatto trapelare la rottura dell’accordo tra ITF e Kosmos, dicendosi contento e sollevato (“il tennis si riprende la Davis”, disse), ora arrivano diversi pareri contrari alla rivoluzione del 2019. Tra questi quello di Augustin Calleri, presidente della Federtennis argentina (ma eletto dopo il 2019), che ha dichiarato alla stampa del suo paese nei giorni scorsi: “Il cambio di formato della competizione non rappresenta il tennis. Tutti sapevano che Davis aveva bisogno di un cambiamento, ma c’era un altro modo per generare gli stessi soldi rispettando maggiormente le tradizioni. Sarebbe stato meglio aspettare ancora per votare una modifica e confrontarsi a fondo con le federazioni. Non c’era onestà o trasparenza quando è stata cambiata”. Un parere oggi condiviso da molti, ma è doveroso sottolineare che quando fu organizzata ad Orlando nel 2019 la riunione tra Haggerty e i rappresentanti della maggior parte delle federazioni proponendo il cambiamento, i voti favorevoli alla rivoluzione furono schiaccianti… Sicuramente promesse poi non mantenute, ma anche miopia e scarsa visione per quel che ne sarebbe stato della “povera” Davis.
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    Australian Open: Djokovic è “l’uomo solo al comando”

    Novak con la coppa degli AO21

    “Un uomo solo al comando; la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi”. Con questa storica frase il giornalista Mario Ferretti aprì la sua radiocronaca della Cuneo-Pinerolo, terz’ultima tappa del Giro d’Italia del 1949. Un’affermazione diventata leggendaria, che rubiamo e trasformiamo in salsa tennistica in “Un tennista è nettamente favorito per gli Australian Open; la sua t-shirt è quella del coccodrillo, il suo nome è Novak Djokovic”. Inutile girarci intorno: nonostante “Nole” abbia accusato qualche fastidio alla gamba, è lui il grande, grandissimo favorito per il primo Slam del 2023. Tanti, troppi i motivi che lo issano a futuro campione del torneo a lui più caro. Punta alla decima coppa, mai nessuno si è spinto tanto in avanti nel primo Slam dell’anno. Il suo tennis, un mix superbo di difesa e attacco, a tratti meccanicamente perfetto, è ideale per le condizioni del sintetico australiano. Dal 2008, anno del suo primo successo Slam, proprio a Melbourne, le sue sconfitte si contano sulle dita di una mano: 2009 (ritiro vs. Roddick), 2010 (l. Tsonga, nel suo anno difficile per i tanti cambiamenti tecnici oltre all’attrezzo), 2014 (l. Wawrinka, stellare il torneo di Stan), 2017 (l. Istomin al secondo turno, ma era palesemente in difficoltà) e 2018 (l. Chung, netto in tre set). Poi solo vittorie, battendo soprattutto Andy Murray ma anche Nadal, Medvedev, Thiem, e per la strada anche Federer e tutti i più forti avversari.
    Quando Djokovic arriva in Australia in salute, praticamente non lo batti. Questa è una sentenza, un po’ come Nadal a Parigi. Djokovic quest’anno è ancor più un uomo in missione. Vuole vincere lo Slam n.22, per poi puntare in stagione al ventitreesimo (incredibile a pensarci solo un lustro fa…) Major in carriera. Vuole tornare a vincere soprattutto per riprendersi quel trono da cui è stato scalzato non in campo ma da altro. Riaffermare la propria forza, forte di un finale di stagione scorsa clamoroso, quasi immacolato. Da n.1. Con buona pace di Alcaraz, e nonostante le dichiarazioni di facciata, tutti sanno che il vero n.1 del tennis oggi è ancora lui, Novak Djokovic. “Nole” vuole riprendersi tutto, nel suo torneo, vittoria, coppa, n.1. Tutto. E tutto lascia pensare che nessuno lo fermerà. Tuttavia… nessuno o quasi ipotizzava che potesse perdere allo US21, quando arrivò ad un passo dalla storia con la S grande, quel Grande Slam stagionale scappatogli di mano per troppa tensione. Sta a Novak stavolta esser più tosto di tutto e di tutti. Il suo tabellone è discreto: Dimitrov al terzo turno (Grigor ha giocato spesso molto bene a Melbourne), quindi probabilmente Carreno Busta e nei quarti uno tra Rublev, Rune o Kyrgios. Nick a casa sua può essere minaccioso, forse più un Rune per ora così così. Ma ripeto ancora: dipende da Novak. Se gioca al suo top, lo vedremo dritto in finale tra due settimane. 
    Contro chi? La parte alta è assai interessante, e di non facile pronostico. Rafa Nadal per una volta non ha fatto mani-avantismo, dicendosi felice della sua forma anche se non ha ancora vinto un singolo match nel 2023. Per assurdo il match più tosto è quello d’esordio: Jack Draper è uno dei giovani più migliorati nel 2022, è mancino, ha servizio, sta bene in campo e lotta. Tira forte e non soffrirà la diagonale col diritto mancino di Rafa. Ovviamente Nadal è favorito, ma è un match da prendere subito con il massimo dell’attenzione. Se il maiorchino passa, poi l’ostacolo potrebbe essere Khachanov o più verosimilmente Medvedev nei quarti. Re-match della finale 2022. Ma Daniil ha tanto da dimostrare, perché da mesi soffre e ha sempre pagato in tutti i match duri, punto su punto, con tiebreak e fasi tirate. Ancora nella sua testa aleggiano maligni i fantasmi della finale 2022, che ha un po’ “regalato” proprio a Nadal rimettendolo in pista quando l’iberico era aggrappato al match con l’ultima unghia del mignolo, sospeso nel precipizio della sconfitta.
    È assai più complicato e di difficile pronostico l’altro quarto di finale della parte alta, con Tsitsipas, Auger-Aliassime, Sinner, Norrie, Coric e Cerundolo. Proprio il croato e il britannico potrebbero essere due sorprese e lottare seriamente per un posto in SF contro Nadal. Speriamo possa arrivarci Sinner (o Musetti) ma è certamente lo slot di tabellone più complicato e meno prevedibile. Spesso nel primo Slam dell’anno c’è una grande sorpresa almeno in semifinale, pertanto consigliamo di monitorare attentamente quest’area. Tsitsipas è avvertito…
    Possibili outsider? Non è mai facile puntare su qualche underdog, ancor più nel primo Slam in stagione, con i tennisti ancora da verificare per condizione. Sarebbe bello vedere Zverev in grande ripresa, dopo aver patito un terribile infortunio in campo contro Nadal a Parigi. Nella parte bassa attenzione anche a Fritz, che in United Cup ha confermato di esser ormai un tennista pronto al grande risultato anche negli Slam. Finora il californiano ha raggiunto i quarti solo a Wimbledon 2022; il suo obiettivo sarà cercare la semifinale, affrontando probabilmente Ruud o Matteo Berrettini.
    Degli italiani abbiamo già trattato in altro articolo. Qua solo ricordiamo che Berrettini difende la semifinale 2022, ha un discreto tabellone ma deve stare attento al “solito” ottimo Bautista Agut di inizio stagione, e poi a Ruud, che per ora ha convinto ben poco nei primi match ma in uno Slam, tre su cinque, la musica cambia. Casper ormai è tennista di grande livello, ha disputato due finali Slam nel 2022 e quindi sarà uno dei giocatori da seguire. La speranza è che magari sia proprio un italiano, il vincitore dell’auspicabile derby Sinner – Musetti, ad essere la sorpresa del torneo, e portarsi molto molto avanti. Un sogno, ma con occhi ben aperti, se i due nostri saranno al 100% fisicamente. Ahi, quanto pesa questo fisico così delicato sotto il tricolore…
    Buon Australian Open a tutti
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO