consigliato per te

  • in

    Jordan Thompson: “Tornerò al 100% per metà gennaio”

    Di Alessandro Garotta “Si lasciano i ricchi, si lasciano quelli che non avrebbero i soldi per lasciarsi, si lasciano gli innamorati, si lasciano persino quelli che si erano messi insieme per non lasciarsi soli. Si lasciano tutti, è solo questione di quando“. La citazione è di Ester Viola, dal suo divertente romanzo d’esordio “L’amore è eterno finché non risponde”. Prima o poi divorziano tutti: il quando, per Jordan Thompson e l’Eczacibasi Dynavit Istanbul, è arrivato poche settimane fa. Dopo un lungo, quanto estenuante, tentativo di riaccendere una fiamma spenta, come spesso succede ai separati in casa. Infatti, in un comunicato, la società turca ha ufficializzato la separazione consensuale, con ringraziamenti per l’anno e mezzo trascorso insieme, che in sostanza significa soltanto una convivenza fattasi impossibile. Soprattutto per una diversa visione tra l’Eczacibasi e lo staff medico della nazionale statunitense riguardo a un infortunio dell’opposta risalente alle Olimpiadi di Tokyo. Così, per scoprire qualche dettaglio in più, abbiamo chiesto a Thompson di raccontarci meglio cosa è successo.  Jordan, innanzitutto come stai adesso? “Sto molto bene e sono contenta che la mia caviglia potrà tornare al 100% per metà gennaio. Ora mi trovo negli Stati Uniti per sottopormi a un trattamento adeguato e permettere alla mia caviglia di guarire correttamente, in base alle raccomandazioni dei medici della nazionale statunitense, del team di fisioterapisti e di Karch Kiraly“. Dopo una stagione e mezzo, hai deciso di rescindere il tuo contratto con l’Eczacibasi Dynavit Istanbul. Come sei arrivata a questa decisione? “Le condizioni della mia caviglia non stavano migliorando poiché continuavo ad allenarmi e a giocarci sopra per cercare di performare ad alti livelli. Perciò, ho deciso di mettere al primo posto la mia salute a lungo termine, con l’obiettivo di avere una carriera lunga e senza troppi problemi fisici: la soluzione migliore per me era di seguire le raccomandazioni dello staff medico della nazionale, tornare negli USA per la riabilitazione e prevenire lesioni più gravi“. Foto TVF Come mai avevi deciso di restare all’Eczacibasi, nonostante che in squadra ci fosse un altro opposto molto forte come Tijana Boskovic? “Avevo un contratto di due anni e l’Eczacibasi mi aveva comunicato la sua volontà di confermarmi nonostante ci fosse anche Tijana. Le mie aspettative ad inizio stagione erano di aiutare la squadra in ogni modo possibile e crescere partita dopo partita“. Alla fine, come valuti la tua esperienza con il club neroarancio? Hai qualche rimpianto? “L’Eczacibasi è un club di livello mondiale e ho apprezzato la mia esperienza con loro. Forse, essendo giovane, al momento della scelta non avevo analizzato al meglio la situazione. Infatti, la mia posizione naturale è quella di opposto: per esprimere tutto il mio potenziale e continuare a crescere ho bisogno di essere schierata lì. Per il prosieguo della mia carriera, quindi, valuterò le opportunità che mi permetteranno di giocare da opposto titolare in squadre importanti“. Hai un ultimo messaggio per i tifosi dell’Eczacibasi? “Vorrei ringraziarli per il loro continuo sostegno! I tifosi dell’Eczacibasi mi hanno sostenuto e incoraggiato in ogni momento, soprattutto quando ero al lavoro per recuperare dall’infortunio: ho avvertito da parte loro tanto amore e l’ho apprezzato molto“. Quali sono i tuoi piani per la seconda parte della stagione? “Per adesso l’obiettivo è di guarire il prima possibile. Sono pronta a cercare una squadra per la seconda metà di stagione, ma in questo momento è più importante il mio recupero. Voglio tornare ad essere la giocatrice che so di poter essere, e continuare a crescere e migliorare il mio gioco“. Foto FIVB Facciamo un passo indietro e parliamo di Tokyo 2020. Ci racconti com’è stata la tua esperienza alle Olimpiadi? “Quando ripenso alla scorsa estate mi sento davvero orgogliosa di partecipare al programma pallavolistico degli USA, anche se ho vissuto solo una parte del viaggio che ha portato il nostro gruppo a Tokyo: infatti, sono stata chiamata per la prima volta in nazionale senior nel 2019. Fin dalla fase di preparazione ci sono stati davvero tanto lavoro e impegno. Sono felice che alla fine siamo riuscite a fare la storia, e grata di far parte di quel gruppo, che ho cercato aiutare in ogni modo possibile. Ovviamente dopo il mio infortunio ero triste e arrabbiata, ma sapevo di avere comunque un ruolo da svolgere, e non importava se in campo o in panchina“. Quale pensi sia stata la vostra miglior partita a Tokyo come squadra? E a livello personale? “Credo che durante l’arco di tutto il torneo abbiamo giocato molto bene come squadra, ma forse la partita che spicca maggiormente è la finale per la medaglia d’oro contro il Brasile. Sapevamo quanto le giocatrici avversarie avessero talento e la capacità di non arrendersi mai. Ma ripensando al modo in cui abbiamo controllato la partita, sono orgogliosa del nostro approccio e del fatto che non abbiamo mollato mai. Invece, a livello personale, la mia miglior performance è stata quella contro la Cina, una squadra piena di talento che può contare su alcune tra le migliori giocatrici al mondo. Sapendo questo, ero un po’ tesa prima del match. Tuttavia, le mie compagne erano riuscite a trasmettermi così tanta fiducia che una volta in campo mi sentivo libera di poter esprimere il mio gioco: sono davvero soddisfatta di ciò che ho fatto quel giorno“. Foto FIVB Dopo la medaglia d’oro olimpica, hai ancora qualche sogno pallavolistico da realizzare? “Non ho ancora raggiunto tutti gli obiettivi che mi sono prefissata nella pallavolo, anche perché penso di avere ancora ampi margini di crescita. Onestamente, sono convinta che le mie performance alle Olimpiadi abbiano mostrato solo una piccola parte della giocatrice che so di essere. Quindi, mi piacerebbe vivere stagioni di successo a livello di club e partecipare ancora alle Olimpiadi“. Nel 2022 sono in programma i Mondiali. Ci stai già pensando? “Sono entusiasta al pensiero di vivere una nuova estate in nazionale e avere la possibilità di partecipare ai Campionati del Mondo! Penso che sarà interessante vedere come proseguirà la nostra crescita: abbiamo ancora più fame di vincere e sono sicura che continueremo a lavorare duramente per migliorare sia come singoli sia come collettivo“. LEGGI TUTTO

  • in

    Giulia Carraro: “In Francia posso mettere in pratica quello che ho imparato”

    Di Alessandro Garotta Pasta, pizza, caffè: potrebbero essere queste le prime tre cose che vengono in mente se si chiede dell’Italia all’estero. D’altronde si sa, nel Belpaese il cibo è una cosa seria. Eppure, in giro per l’Europa, negli ultimi anni abbiamo esportato anche un’altra merce. Un prodotto in cui dimostriamo di saperci fare come pochi: la pallavolo. Non solo allenatori ma anche giocatrici, come Giulia Carraro del Volero Le Cannet – che ha parlato ai nostri microfoni dei motivi che l’hanno portata a scegliere di nuovo l’estero (dopo la stagione 2014-2015 all’SC Potsdam) e del suo avvio di stagione. Indirizzata dal sapiente lavoro di coach Lorenzo Micelli, la 27enne veneta si è subito messa in luce come una delle migliori palleggiatrici della Ligue A, soprattutto grazie a una buona lucidità in fase di impostazione e alla capacità di spaziare il proprio gioco chiamando in causa tutte le attaccanti. Purtroppo, il suo percorso è stato interrotto la scorsa settimana da un infortunio, le cui conseguenze sono ancora da accertare (l’intervista è stata realizzata in precedenza). Giulia, com’è nata l’occasione di andare in Francia al Volero Le Cannet e cosa l’ha spinta ad accettare questa sfida? “Questa opportunità è nata quando ho detto al mio procuratore che ero alla ricerca di una squadra in cui giocare da titolare. Non ci siamo soffermati solo sull’Italia, ma abbiamo guardato anche all’estero. È arrivata una buona proposta dal Volero, club che punta a vincere il campionato francese e gioca in CEV Cup: alla fine, ho deciso di accettarla e mettermi alla prova“. Cosa si è portata dietro, a livello individuale e sportivo, dalle sue ultime stagioni in Italia? “Negli ultimi anni ho potuto aggiungere tanta esperienza al mio bagaglio di giocatrice. Credo di essere cresciuta, perché in tutte le squadre italiane il livello degli allenamenti è sempre molto alto. Ora posso finalmente mettere in pratica tutto quello che ho imparato“. Foto Christian Besson/Volero Le Cannet Un bilancio dei suoi primi mesi in Francia? “Il bilancio è più che positivo. Per adesso siamo prime in classifica con una sola sconfitta in 11 giornate di campionato. Inoltre, la scorsa settimana abbiamo staccato il pass per gli ottavi di CEV Cup, superando il Minchanka Minsk“. Al di fuori del campo, come procede? “Mi trovo molto bene e sono contenta di come mi sono ambientata. Essendo vicina al mare, spesso nel tempo libero ne ho approfittato per andare in spiaggia, anche perché fino a qualche giorno fa qui c’erano 18 gradi. Quindi cosa potrei desiderare di più? (ride, n.d.r.)”. Quest’anno in Ligue A ci sono ben cinque giocatrici italiane. Come si spiega questo “esodo” verso la Francia? “Suppongo che anche le altre giocatrici (una è la compagna di squadra Francesca Parlangeli, n.d.r.) non abbiano trovato la giusta opportunità per giocare e dimostrare il proprio valore in Italia. Perciò, come me, hanno optato per una soluzione all’estero“. Foto Christian Besson/Volero Le Cannet Qual è il livello della pallavolo francese? “Il livello delle squadre francesi può essere paragonabile a quello delle squadre di medio-bassa classifica in Serie A1, o dell’alta Serie A2 italiana“. Nella sua testa questo tipo di esperienza è solo una parentesi oppure no? “Vediamo… Per adesso sono felice in Francia e la stagione sta andando molto bene. Ma non nego che ho scelto di andare all’estero per trovare spazio e fare esperienza, con l’obiettivo di tornare in Italia un giorno“. Cosa le manca di più dell’Italia? E del nostro campionato? “Sarò un po’ banale, ma ciò che mi manca maggiormente dell’Italia è il cibo; soprattutto la possibilità di andare in un ristorante e trovare anche un semplice piatto di pasta al pomodoro fatto bene. Mi manca anche il clima del campionato italiano, dove ogni partita è un evento e ti senti veramente una star“. C’è qualcosa che possiamo imparare dai campionati esteri? “Secondo me, dovremmo imparare qualcosa in termini di professionalità. Non sto dicendo che le società italiane non siano serie, ma spesso ci sono problemi, per esempio riguardo alla puntualità degli stipendi. Invece, qui non ho nulla di cui preoccuparmi da questo punto di vista perché so già che ogni mese, nel giorno prestabilito, mi viene regolarmente retribuito lo stipendio“. Qual è il suo sogno nel cassetto per il prosieguo della carriera? “Uno dei miei sogni è quello di poter giocare da titolare in una squadra di Serie A1 italiana“. LEGGI TUTTO

  • in

    Emily Londot, giovane stella NCAA: “Ohio State punta alla final four”

    Di Alessandro Garotta Per chi ama andare a scoprire i talenti della Division I di NCAA femminile ancor prima che questi trovino la loro consacrazione nei campionati professionistici, il nome di Emily Londot delle Ohio State Buckeyes non è certo una novità. Pur trattandosi di una classe 2002, è da tempo che circolano voci sulle sue qualità, ma mai come nella sua esperienza al college l’opposta sta giustificando queste attese: dopo essere stata eletta AVCA National Freshman of the Year nella scorsa stagione, anche da Sophomore si sta distinguendo per prestazioni di assoluto livello, peraltro anche in partite pesanti (vedi le sfide contro Washington, Purdue ed Illinois).  Dunque, sembra che gli ingredienti per plasmare una nuova stella della pallavolo americana ci siano tutti. Se poi sarà anche vincente sarà solamente il resto della sua carriera a dircelo, ma il percorso che sta portando Londot – che si è raccontata in un’intervista esclusiva a Volley NEWS – a imporsi come una delle attaccanti più forti del campionato universitario statunitense non potrebbe essere scritto meglio.  Foto Ohio State University Emily, per iniziare raccontaci qualcosa di te. Come ti definiresti? “Sono una persona molto pasticciona, che mostra il suo lato migliore quando rimane fedele a se stessa e a suoi valori, e che cerca di divertirsi in tutto quello che fa“. Come ti sei avvicinata al volley? “Possiamo dire che la passione per la pallavolo nasce in famiglia, dato che mia madre, entrambe le mie sorelle maggiori e molti altri parenti l’hanno praticata. Di fatto, frequento l’ambiente pallavolistico da una vita, da quando ero molto piccola. Una volta che questo sport è diventato la mia più grande passione, ho capito che non c’era nessun altro posto a cui appartenevo“. Quali sono le tappe del tuo percorso di crescita dalla high school al college? “Al liceo (a Utica in Ohio, n.d.r.) ho giocato nel ‘varsity team’ per tutti e quattro gli anni, crescendo passo dopo passo e imparando sempre cose nuove. Nel frattempo ho fatto parte anche del Mintonette Sports Volleyball Club e sono stata chiamata per le nazionali giovanili: queste esperienze sono state importanti, perché mi hanno permesso di migliorare esponenzialmente il mio gioco, e così sono arrivata al college ben preparata. Ma il processo di crescita continua anche alla Ohio State University grazie all’aiuto dei miei allenatori“. Foto Ohio State University Quali sono stati i momenti più belli che hai vissuto con le nazionali giovanili? “Il momento più bello che ho vissuto con il Team USA è stata la vittoria della medaglia d’oro ai Campionati Mondiali Under 18 nel 2019 al Cairo e Ismailia, in Egitto. In generale, tutte le esperienze che ho vissuto nei miei tre anni con le nazionali giovanili sono state qualcosa di straordinario, che conserverò sempre nel mio cuore“. Giocavi anche a basket al liceo. Come mai poi hai scelto di continuare solo con la pallavolo? “Al college ho deciso di continuare a giocare solo a pallavolo perché questo sport è la mia passione più grande. Certo, mi piace anche il basket e conservo nel mio cuore i ricordi delle esperienze cestistiche del liceo, ma il volley è l’ambito in cui vorrei essere coinvolta per il resto della mia vita“. È il tuo secondo anno alla Ohio State University. Quali sono i tratti distintivi di questo ateneo? “La ‘Buckeye nation’ è qualcosa di unico. È un college invitante e dalla mentalità aperta, un posto molto eterogeneo e accogliente. Ovunque vada sento la passione e la vicinanza di tutti coloro che fanno il tifo per noi“. Foto Ohio State University Come giudichi la vostra stagione fino a questo momento (23 vittorie e 5 sconfitte)? “Questa stagione sta andando molto bene per noi. Ogni partita è stata un’occasione per imparare qualcosa di nuovo e migliorare: così abbiamo capito cosa funziona per la nostra squadra e cosa serve per cercare di vincere il più possibile. Ciascuna componente del gruppo ha un rapporto speciale con le compagne e questo è evidente quando giochiamo“. Cosa ti aspetti per la parte finale di questa fall season? “Mi aspetto che la nostra squadra arrivi a fine stagione con la consapevolezza di essere forte e giochi con il cuore tutte le partite rimanenti. Il nostro obiettivo è quello di tornare a Columbus, qui in Ohio, dove le migliori quattro squadre si giocheranno il titolo di campione nazionale“. Che tipo di giocatrice sei? C’è qualcuno a cui ti ispiri o assomigli tecnicamente? “Penso di essere una giocatrice umile, potente, strategica e una buona compagna di squadra. Ho sempre ammirato Kerri Walsh-Jennings per tutti i suoi successi e la sua mentalità basata sul duro lavoro; tuttavia, in campo penso di essere molto simile a Kathryn Plummer“. Foto Ohio State University Qual è il miglior consiglio che hai ricevuto durante il tuo percorso sportivo? “Il miglior consiglio che abbia mai ricevuto è molto semplice, anche se a volte difficile da mettere in pratica: è di divertirsi. Se non ci divertiamo quando facciamo ciò che amiamo, allora forse stiamo sbagliando qualcosa. A darmi questo consiglio è stata mia madre che è stata il mio allenatore e mentore per gran parte della mia carriera pallavolistica. Anche i miei coach all’Ohio State University me lo ripetono sempre prima delle partite perché quando mi diverto in campo riesco anche a fare del mio meglio“. Quali sogni hai per la tua carriera? “Il mio grande sogno come pallavolista è di praticare il più possibile lo sport che amo. Spero anche di poter giocare a livello professionistico e magari partecipare alle Olimpiadi“. Quando un giorno smetterai di giocare e guarderai la tua carriera in retrospettiva, per cosa vorresti essere ricordata? “Voglio che la gente mi ricordi come una giocatrice che lavorava duramente, sorrideva sempre in campo e trasmetteva energia positiva alla sua squadra. Voglio essere considerata come una persona competitiva, ma allo stesso umile in tutti i suoi successi, e come un modello per le ragazze e le pallavoliste di tutto il mondo“. LEGGI TUTTO

  • in

    Dal Gambia alla Slovenia: il sogno (realizzato) di Fatoumatta Sillah

    Di Alessandro Garotta Charles Baudelaire, uno dei più grandi poeti di sempre, era convinto che l’uomo deve voler sognare e soprattutto saper sognare. Avere un sogno equivale ad avere un motivo per cui vivere, un qualcosa a cui credere o dedicarne la propria vita. Tra i sogni che si rincorrono da bambini ci sono anche quelli di diventare sportivi professionisti e – perché no – pallavolisti, di giocare per un grande club oppure per la propria nazionale. Emergere nel mondo del volley, d’altro canto non è per nulla facile, ancor di più per chi è figlio del continente più povero del pianeta, dove tra le tante difficoltà sociali il solo talento e le proprie doti innate non bastano per diventare qualcuno.  Eppure anche in Africa la pallavolo sta cercando di crescere, e lo fa grazie progetti di cooperazione internazionale. Come quello che ha portato l’italiano Roberto Farinelli sulla panchina della nazionale femminile del Gambia. Proprio da qui arriva uno dei talenti più interessanti del panorama mondiale: Fatoumatta “Nenneh” Sillah: in esclusiva ai microfoni di Volley NEWS, l’opposta classe 2002 ha raccontato il percorso che l’ha portata in Slovenia – prima al GEN-I Volley Nova Gorica e ora al Calcit Kamnik – per coltivare il suo sogno.  Foto Calcit Volley Nenneh, raccontaci qualcosa su di te e sul tuo background.  “Sono nata in Gambia, un piccolo paese dell’Africa occidentale. Vengo da una famiglia di quattro persone e sono cresciuta con le mie due sorelle minori e mia madre. Sono molto legata a lei e penso sia la persona più felice che conosca. Invece non ho passato molto tempo con mio padre perché lavora all’estero, anche se torna ogni volta che può. In generale, ho avuto un’infanzia nella media e una buona istruzione“. Come ti sei appassionata alla pallavolo?  “In origine giocavo a calcio. Ricordo che un giorno andai al centro sportivo locale ad assistere a un torneo, quando vidi altri bambini giocare a pallavolo. Incuriosita decisi di avvicinarmi perché mi sembrava divertente. A quel punto il loro allenatore mi venne incontro chiedendo se fossi interessata a entrare nella squadra. E così feci. Per un certo periodo praticai sia il calcio sia il volley, ma poi scelsi di continuare solo con quest’ultimo perché ero veramente contenta dopo i primi allenamenti e avevo capito di voler diventare una pallavolista“. Com’è stato per te giocare a pallavolo in Gambia?  “Ovviamente era divertente, ma la gente non ci prendeva tanto sul serio. Quasi tutti in Gambia sono appassionati di calcio, quindi nessuno segue o presta attenzione alla pallavolo“.  Foto Calcit Volley Cosa hai provato quando è arrivata la chiamata per andare al GEN-I Volley Nova Gorica in Slovenia?  “È stata la sensazione più bella che abbia mai provato, perché è molto difficile che una giocatrice gambiana riesca ad avere un’opportunità come la mia. Perciò, sono davvero grata a coloro che hanno reso possibile tutto questo. Sono venuta qui per migliorare in quello che facevo e avere successo nella mia carriera“. Cosa ricorderai in particolare delle due stagioni a Nova Gorica?  “Appena arrivata, ero un po’ spaventata. Pensavo che sarebbe stato difficile entrare in sintonia con le altre ragazze. Invece, alla fine, si è verificata la situazione opposta. Non potrò mai dimenticare quanto sono state disponibili e di sostegno nei miei confronti: mi hanno aiutato ad ambientarmi, a migliorare come giocatrice e ad aumentare la fiducia in me stessa“. Quest’estate sei diventata una giocatrice del Calcit Kamnik. Come ti trovi e cosa ti piace di più della nuova squadra?  “Finora la mia esperienza qui è stata fantastica. Ho trovato un ambiente con persone oneste, di buon cuore, molto competitive, che lavorano duramente per migliorare“.  Foto Calcit Volley Quali sono le tue aspettative per quest’anno?  “Mi aspetto di crescere partita dopo partita, imparare cose nuove dalle mie compagne e riuscire a mostrare le mie qualità“. Se dovessi descrivere le tue caratteristiche a qualcuno che non ti ha mai visto giocare, come lo faresti?  “Mi descriverei come una giocatrice che gioca sempre con il cuore e dà il massimo ogni volta che è in campo“.  C’è una pallavolista a cui ti ispiri?  “Direi Paola Egonu. Si vede proprio che ama fortemente quello che fa, oltre ad essere molto brava. Le sue giocate, sempre spettacolari, mi spingono a lavorare ancora di più“.  Foto Calcit Volley Quali sono i tuoi obiettivi nella pallavolo?  “A breve termine, vorrei approfittare di ogni occasione in allenamento o in partita per crescere e migliorare. Invece, sul lungo periodo, punto ad aumentare la fiducia nei miei mezzi attraverso le varie esperienze, e comprendere sempre meglio l’importanza dello spirito sportivo e del lavoro di squadra“. Cosa ti piace fare nel tempo libero? Hai altre passioni oltre alla pallavolo?  “In questo momento, non saprei rispondere perché sono totalmente focalizzata sui miei obiettivi pallavolistici. Però, mi piace l’arte e amo scattare fotografie, e appena possibile vorrei approfondire le mie conoscenze in questo ambito“.  Un’ultima curiosità: come nasce il tuo soprannome, “Germano”?  “Me l’hanno dato i miei amici in Gambia, pensando che le persone originarie della Germania siano tutte molto alte e magre, proprio come me“. LEGGI TUTTO

  • in

    Jenna Gray, dal giavellotto al volley: “Non potevo rinunciare a uno sport di squadra”

    Di Alessandro Garotta A tutti noi sarà capitato almeno una volta di chiederci: cosa sarebbe successo se avessimo preso quel treno invece di quello dopo? Se avessimo preso quella strada piuttosto che l’altra? Sarebbe avvenuto qualcosa di fondamentale per la nostra vita? Le cose che ci sono accadute sarebbero comunque successe prima o poi, in quanto scritte nel nostro destino? Certi interrogativi fanno tornare subito alla mente “Sliding doors”, il noto film con Gwyneth Paltrow che gioca sull’eterno interrogativo dei “se” e dei “ma”, sui piccoli particolari che possono cambiare l’esistenza di una persona. E una protagonista perfetta sarebbe stata sicuramente Jenna Gray, palleggiatrice del Dresdner SC “strappata” all’atletica. La 23enne statunitense, infatti, durante la sua esperienza alla Stanford University si divideva tra questi due sport, affiancando gli allenamenti di pallavolo a quelli del lancio del giavellotto, disciplina in cui ha raggiunto il terzo posto assoluto agli USATF Outdoor Championships 2019. Alla fine, però, è arrivata la decisione di proseguire solo con lo sport che più ama, il volley, andando in Germania (dove nel 2021 ha fatto la doppietta Bundesliga – Supercoppa) per coltivare il suo grande sogno: partecipare alle Olimpiadi.  Foto GoStanford.com Jenna, innanzitutto raccontaci qualcosa di te.  “Il mio nome è Jenna Gray e ho 23 anni. Sono cresciuta a Shawnee, nel Kansas, e mi sono laureata alla Stanford University nel 2020. Ho studiato biologia umana con l’intenzione di diventare un’ergoterapista una volta terminata la mia carriera pallavolistica. Attualmente sto vivendo la mia seconda stagione con il Dresdner Sportclub in Germania. Nel tempo libero mi piace cucinare, prendere un caffè con le mie amiche e giocare con il mio gatto“. Come hai iniziato a giocare a pallavolo? E come sei entrata nella squadra di Stanford?  “Mia sorella maggiore è stata una palleggiatrice e io sono cresciuta andando a tutti i suoi allenamenti e tornei. Era nella squadra del suo college, così avevo maturato il desiderio di seguire le sue orme e diventare come lei. A 15 anni venni contattata da Stanford e ricordo ancora la mia incredulità di fronte all’email in cui manifestavano interesse nei miei confronti. Quando visitai il campus, capii subito che era il posto migliore per me“. Quanto è stata importante la tua esperienza a Stanford per la tua carriera?  “Stanford è stata la decisione migliore della mia vita. Mi considero incredibilmente fortunata ad essere stata circondata da compagne di squadra, allenatori, amici e professori che mi hanno spinto e sostenuto per quattro anni. Stanford mi ha trasmesso la passione per l’apprendimento e quell’autostima che mi è immensamente d’aiuto sia in campo sia fuori“. Foto GoStanford.com La pallavolo è soltanto una parte della tua immagine di atleta. Come hai iniziato a praticare il lancio del giavellotto al college e com’è stata la tua esperienza di student-athlete impegnata in due sport?  “Ho iniziato a lanciare il giavellotto al liceo, ma senza mai pensare di arrivare a gareggiare in questa disciplina durante l’esperienza a Stanford. Tuttavia, dopo aver visto i miei voti, uno degli allenatori di atletica mi contattò. Inizialmente gli dissi che non ce l’avrei fatta ad aderire a un secondo programma sportivo, anche perché non sapevo se l’allenatore di pallavolo me lo avrebbe permesso. Dopo la mia stagione da freshman, Kevin Hambly divenne il nuovo coach e responsabile del programma di volley, e così al nostro primo incontro gli chiesi di poter entrare anche nella squadra di atletica. Kevin fu sorprendentemente di grande supporto in questa decisione e mi diede il permesso, a patto che avrei dato la priorità sempre alla pallavolo. E così iniziai ad andare agli allenamenti di lancio una volta alla settimana, fino ad arrivare a 2-3 sessioni al mio terzo anno. Devo ammettere che ci sono stati dei momenti in cui è stato molto difficile coniugare l’impegno sportivo con quello accademico, ma alla fine posso considerarmi fortunata ad essere stata sempre sostenuta e aiutata dalle compagne e dai membri dello staff di entrambi gli sport. Sono davvero grata per aver avuto l’opportunità di competere anche nell’atletica e fare tante nuove esperienze“. Nonostante siano sport molto diversi, c’è qualcosa del lancio del giavellotto che ti è stato utile per la tua pratica pallavolistica?  “Quando mi sono unita alla squadra di atletica, non sapevo veramente cosa stavo facendo. Ho dovuto imparare un sacco di nozioni di base e ci sono stati molti momenti in cui mi sentivo come un piccolo cerbiatto sul ghiaccio. Sebbene fosse frustrante e umiliante, questa esperienza mi ha insegnato a sentirmi più a mio agio anche in situazioni complicate e a gestire le difficoltà del processo di apprendimento. Così da allora ho più fiducia in me stessa e una maggiore predisposizione ad adattarmi ai cambiamenti anche nella mia esperienza pallavolistica“. Davanti al grande dilemma della tua carriera sportiva hai scelto la pallavolo e non il lancio del giavellotto. Come mai?  “La pallavolo è da sempre lo sport che più mi fa battere il cuore. Amo le sue dinamiche e come ogni scambio dia la possibilità di affrontare una nuova sfida. Anche se il lancio del giavellotto mi piace molto, non avrei mai potuto rinunciare a uno sport di squadra: i successi sono più belli quando si possono festeggiare con le proprie compagne“. Foto DSC Volleyball Damen Questo è il tuo secondo anno all’estero. Come ti trovi a Dresda?  “Dresda è una città meravigliosa che offre la possibilità di fare tante attività. Mi piace esplorarla e provare nuove caffetterie dove andare a leggere. Inoltre, ho portato con me il mio gatto, che rende molto più piacevole il tempo a casa dopo gli allenamenti o le trasferte“. Com’è stato per te il passaggio dalla NCAA alla pallavolo europea?  “Il mio trasferimento all’estero non è stato proprio così semplice. Per esempio, qui il gioco è molto più veloce e perciò è stato necessario un po’ di tempo affinché mi adattassi al nuovo contesto. Stesso discorso anche al di fuori della pallavolo. È stato estenuante calarsi in una nuova realtà; anche cose semplici, come guidare o andare a fare la spesa, hanno richiesto più sforzo mentale del previsto“. Qual è il bilancio della tua prima stagione al Dresdner SC? “Sono estremamente orgogliosa della mia prima stagione a Dresda e grata per aver giocato al fianco di compagne straordinarie sia come persone sia nello spingere a migliorarsi sempre di più. Tra le tante nuove sfide della scorsa annata c’è stato anche il Covid-19, ma tutti si sono impegnati per rimanere al sicuro, anche grazie a quarantene e lockdown“. Foto Dresdner SC Come valuti invece le prime partite della stagione 2021-2022?  “Sono veramente soddisfatta di come stiamo lavorando e di quanto siamo già cresciute. Il nostro è un gruppo giovane, quindi penso che il potenziale su cui lavorare sia molto grande“. Quali obiettivi hai per quest’anno?  “L’obiettivo per la stagione 2021-2022 è di difendere il nostro titolo e conquistare altri trofei. Dal punto di vista personale, cercherò di dare il massimo per rendere migliore me stessa e chi mi sta attorno“. In chiusura di questa intervista, ti chiedo quali sono i tuoi sogni per il futuro.  “Il mio sogno sin da quando ero piccola è sempre stato di andare alle Olimpiadi, quindi adesso mi piacerebbe avere l’opportunità di vestire la maglia degli USA. Vorrei anche continuare ad esplorare il mondo e giocare nel campionato italiano e in quello turco“. LEGGI TUTTO

  • in

    Daniela Simonetti: “Dobbiamo tornare a uno sport a misura di bambino”

    Di Eugenio Peralta Violenza sessuale, abusi e molestie nel mondo dello sport: un tema purtroppo ricorrente nelle cronache, ma altrettanto spesso dimenticato e nascosto da un mondo che in passato ha preferito in molti casi evitare di fare i conti con i suoi “fantasmi”. A squarciare il velo di omertà ha contribuito non poco, nel nostro paese, il libro “Impunità di gregge” di Daniela Simonetti, edito da Chiarelettere e recentemente premiato come miglior opera prima al Premio Internazionale Città di Como. Un volume che nasce dall’esperienza ormai pluriennale dell’autrice, giornalista e scrittrice che nel 2017 ha fondato insieme ad Alessandra Marzari, presidente del Consorzio Vero Volley, l’associazione Il Cavallo Rosa-Change the Game, da allora in prima linea nella lotta contro gli abusi. L’abbiamo intervistata partendo proprio dal riconoscimento ricevuto a Como: “Lo considero un riconoscimento molto importante in chiave collettiva – spiega Simonetti – perché dà visibilità a un tema a lungo oscurato. È un premio di grande prestigio, a cui dà forza ancora maggiore la presenza nella giuria di una persona come Dacia Maraini, che ha sempre sposato questa causa. Ne sono molto felice: lo dedico a ragazzi e ragazze che sono state vittime di queste vicende e hanno trovato il coraggio di portare avanti la loro vita, in un mondo che per la prima volta sta guardando a loro appunto come vittime, e niente altro“. Il successo di questo libro dà una speranza in più nella lotta al fenomeno degli abusi? “Sicuramente sì, è stato un libro sofferto e difficile da realizzare, ma credo che sia arrivata al pubblico la richiesta d’aiuto per divulgare un messaggio che è sempre al fianco dello sport, e mai contro. Credo anzi che questo sarà uno dei temi centrali per lo sport nei prossimi anni: senza questa consapevolezza non si potrà andare avanti“. Qualcosa sta cambiando nel mondo dello sport da quando lei ha iniziato la sua attività nel settore? “Credo di sì, ad esempio l’annuncio della FIFA di voler dare vita a un’agenzia contro gli abusi è un segnale molto forte. Anche altri soggetti di primo piano, come FIGC e FC Internazionale, hanno preso iniziative importanti. Nel mondo della pallavolo, il Vero Volley ha adottato una serie di protocolli fondamentali, tra cui quello del doppio coach, perché adolescenti, donne e minori si sentano al sicuro. Ci si sta rendendo conto che la formazione di tecnici, coach e dirigenti su temi come il linguaggio e l’approccio al minore è un tema essenziale per prevenire le violenze; al di là dei casi più gravi, anche linguaggi sbagliati o inappropriati possono avere effetti negativi“. Su cosa, invece, bisogna cambiare registro? “La lotta più difficile è sul fronte delle regole, che stiamo cercando di cambiare. Chiediamo ad esempio l’obbligo per le associazioni sportive di richiedere ai collaboratori il certificato penale; che i tesserati radiati non possano più tesserarsi in altre Federazioni, com’è oggi, che vengano sottoposti a un percorso di recupero, che venga stilata una blacklist. Ma non è facile. Si ha l’impressione che lo sport sia rimasto indietro rispetto alla sensibilità sociale che ormai si sta affermando nel paese e nel mondo. C’è la paura di perdere tesserati, ma in realtà far sentire sicure le famiglie è più efficace che minimizzare e negare. Alcune Federazioni hanno già capito che stare dalla parte delle famiglie aiuta“. Al di là dei rapporti con le istituzioni, però, anche i singoli e il movimento di base sono chiamati ad affrontare il problema… “È importante raggiungere tecnici e dirigenti, ma anche il coinvolgimento di atleti e genitori è essenziale: noi abbiamo cercato di farlo con il manuale ChangeTheGame, destinato proprio alle famiglie. Se da una parte le istituzioni scolastiche hanno il dovere di essere una comunità trasparente e educante, dall’altra anche i genitori devono lavorare in questo senso. Il primo passo da fare è evitare l’agonismo esasperato: lo sport non può essere solo vittoria e finalizzazione, è anche spirito di squadra, lavorare insieme, fortificarsi mentalmente, superare la sconfitta e l’errore. La drammatizzazione del momento agonistico è foriera di tante altre storture“. Anche i media hanno un loro ruolo in questo senso? “Certo, il problema viene da lontano, perché lo sport spesso viene rappresentato come vittoria. Ci sono anche aspetti di umanità, ne abbiamo visti tanti nei recenti Europei di calcio, come il soccorso del capitano della Danimarca a Eriksen o l’abbraccio tra Vialli e Mancini. La cultura della vittoria esasperata finisce per esasperare anche i rapporti tra tecnico e atleta, si è disposti ad andare oltre il lecito pur di vincere, o anche solo pur di essere selezionati. Senza essere troppo retorici, l’obiettivo è tornare a uno sport a misura di bambino, in cui si può essere felici al di là delle vittorie e delle sconfitte: non tutti possono diventare campioni, ma tutti possono essere brave persone“. Dopo il libro, quali sono i prossimi progetti per il futuro? “Innanzitutto sono stati ceduti i diritti cinematografici e televisivi sul libro, quindi speriamo di avere degli sviluppi in questo senso. Nel frattempo, a dicembre uscirà sulle principali piattaforme il podcast ‘No coach’, in cui parleranno direttamente i ragazzi che hanno subito abusi e i loro genitori. Poi stiamo lavorando a una pubblicazione per bambini dagli 8 ai 10 anni, la prima di tre per diverse fasce di età, che mira a dare ai ragazzi ‘le parole del dirlo’: una storia semplice, con tavole disegnate da Marco Rovelli, per spiegare in modo leggero cosa si può e non si può fare. Infine abbiamo vinto un bando del Ministero della Famiglia con il progetto ‘Giochiamo d’anticipo’ per prevenire la violenza nello sport, insieme al CIPM (Centro Italiano per la Promozione della Mediazione) di Paolo Giulini“. LEGGI TUTTO

  • in

    Il ritorno di Beatrice Gardini a Sassuolo: “Qui hanno sempre creduto in me”

    Di Alessandro Garotta Negli ultimi anni la Serie A2 femminile ha saputo regalare sorprese e lampi di talento in diverse occasioni, dimostrandosi una vera e propria fucina di talenti e un palcoscenico ideale per le ragazze che hanno bisogno di “farsi le ossa” prima di esplodere nelle competizioni maggiori. Dunque, non è un caso se anche nel campionato 2021-2022 sono tante le stelle del futuro pronte a brillare. Tra queste c’è sicuramente Beatrice Gardini, che dopo due stagioni positive al Club Italia è tornata a vestire la maglia della Green Warriors Sassuolo: ecco la nostra intervista esclusiva alla schiacciatrice neroverde classe 2003. Beatrice, partiamo da una domanda semplice. Quando ha scoperto il suo talento per il volley?  “Mi sono appassionata alla pallavolo da piccola seguendo le partite di mia sorella, ma solo intorno ai 12-13 anni ho capito di avere buone qualità, visto che ormai giocavo sempre in categorie superiori rispetto alle mie coetanee. Quando poi è arrivata la chiamata dalla Liu Jo Modena, mi sono convinta di poter fare il grande salto e arrivare dove sono ora“.  Come ha iniziato a giocare da schiacciatrice? E cosa le piace di più del suo ruolo?  “Sono sempre stata una schiacciatrice. Inizialmente venivo schierata da opposto perché nella squadra di ‘quelle più grandi’ in cui militavo serviva una giocatrice proprio in quella posizione. Poi mi sono spostata in banda. Mi piace il mio ruolo perché è completo e bisogna essere specializzati in tutti i fondamentali“.  Foto Volley Academy Sassuolo C’è una giocatrice alla quale si è ispirata? “In ambito femminile non mi sono ispirata a nessuna giocatrice in particolare. Però, fin da piccola seguo Osmany Juantorena: è sempre stato il mio idolo“.  In che modo le esperienze alla Teodora Ravenna, alla Volley Academy Sassuolo e al Club Italia hanno contribuito alla sua crescita?  “A Ravenna ho imparato le basi della pallavolo e vissuto le mie prime esperienze, giocando anche in categorie superiori alla mia. Poi a Sassuolo ho iniziato a vivere come un’atleta anche fuori dal campo: dovendo essere indipendente dai miei genitori, ho imparato ad organizzarmi e autogestirmi. Infine, al Club Italia sono cresciuta molto a livello tecnico“.  Foto Volleyball World Nel 2019 ha vinto l’argento ai Mondiali Under 18 e quest’estate è arrivato l’oro ai Mondiali Under 20. Cosa prova una ragazza così giovane ad arricchire il suo palmares con questi titoli internazionali?  “Partecipare alla selezione per una nazionale giovanile nel 2019 era per me già un’emozione grandissima. Poi essere subito convocata e avere la possibilità di giocare in una competizione così importante è stata una delle soddisfazioni più grandi, così come i risultati che abbiamo ottenuto. Sono obiettivi per cui ti prepari e alleni duramente e, quando si realizzano, non sai nemmeno esprimere a parole quanto sei felice“.  Qual è il ricordo più bello del Mondiale U20?  “Sarebbe scontato rispondere la vittoria della medaglia d’oro. In realtà, conservo il ricordo di tutto il nostro percorso, iniziato l’estate precedente, quando la Federazione ha preferito non farci partire per l’Europeo U19 perché lo riteneva troppo rischioso nel bel mezzo della pandemia. Da lì, però, si è creato un legame ancora più forte tra di noi. E il gruppo ha fatto la differenza soprattutto nella semifinale contro la Russia (vinta 3-0, n.d.r.): nonostante la partenza migliore delle nostre avversarie in ogni set, siamo rimaste unite giocando come se fossimo un unico ingranaggio, e alla fine abbiamo sempre avuto la forza di ribaltare il risultato“.  Al termine di due stagioni da protagonista al Club Italia e di una positiva estate in azzurro, cosa l’ha spinta a tornare a Sassuolo?  “Ho scelto di tornare a Sassuolo perché è una società che ha sempre creduto nel mio valore, mi ha fatto crescere quando ero più piccola e aiutato a diventare la giocatrice che sono ora. Considero quindi Sassuolo come la mia seconda casa, un ambiente familiare che mi permette di dare il 100%. E poi poter finire il mio percorso scolastico qui è motivo di grande serenità anche fuori dal campo“.  Foto Volley Academy Sassuolo Quali obiettivi si è prefissata di raggiungere per questa stagione in Serie A2?  “Il nostro obiettivo per questa stagione è di dimostrare che possiamo giocarcela con tutti, anche se sulla carta Sassuolo non è la squadra favorita del girone. Siamo un gruppo molto affiatato e il fatto di poter giocare con compagne che hanno più esperienza mi stimola a fare sempre meglio. A livello personale l’obiettivo di fare il salto di qualità, se non l’anno prossimo, tra un paio d’anni“. In chiusura di questa intervista, ci racconta com’è la Beatrice fuori dal campo? Quali sono le sue passioni?  “Sono una ragazza precisa che ci tiene ad avere un buon rendimento anche a scuola. Non ho passioni particolari oltre alla pallavolo e nel tempo libero mi piace stare con la famiglia o le persone a cui voglio bene“. E il suo sogno nel cassetto?  “Si dice che è bene non svelare il proprio sogno perché altrimenti non si realizza. Perciò, posso solo dire che vorrei fare della passione per la pallavolo il mio lavoro“.  LEGGI TUTTO

  • in

    Srna Markovic riparte dal Radomka: “Qui c’è tutto quello che cercavo”

    Di Alessandro Garotta Le esperienze fortificano, sempre. Anche quando si ha la sensazione che il percorso stia patendo un momento di rallentamento, contestualmente le spalle si allargano e la mente piccona le difficoltà del periodo per permetterci di ripartire con nuova linfa. Come in ogni ambito della vita, il volley chiede educatamente il permesso di essere coinvolto perché non fa eccezione.  Calza a pennello in questo discorso la volontà di scalare montagne e compensare la fatica di un periodo con il panorama di un successo. Srna Markovic ha vissuto tanti frammenti soleggiati e qualche recente parentesi nebulosa in una carriera che, a venticinque anni, ha tanto da raccontare ma altrettanto da scrivere. Ripartita dall’E.Leclerc Moya Radomka Radom in Polonia dopo una stagione complicata alla Savino Del Bene Scandicci, la schiacciatrice austriaca si è raccontata in esclusiva ai nostri microfoni. Srna, partiamo da un bilancio della sua ultima esperienza in Italia con la Savino Del Bene Scandicci. Come è andata?  “È stato un anno complicato e condizionato dal Covid. A Scandicci mi sono trovata bene fin da subito ma, proprio quando stavo recuperando la forma migliore dopo qualche problema alla spalla, mi sono dovuta fermare… Alla fine, sono stata fuori due mesi e ancora adesso avverto le conseguenze che mi ha lasciato questo virus“.  Si aspettava di trovare più spazio in campo?  “Sicuramente mi sarei aspettata più spazio dopo le precedenti esperienze da titolare. Avrei potuto dare una mano in più alla squadra, anche se il lungo stop ha reso tutto più difficile“.  Foto Savino Del Bene Volley Scandicci Quali insegnamenti si porta in valigia dei suoi quattro anni in Serie A?  “A San Giovanni in Marignano ho respirato per la prima volta l’aria della pallavolo italiana, ottenendo buoni risultati e belle soddisfazioni. È proprio a quel punto che ho capito di essere pronta a salire di livello e sfidare le migliori. A Cuneo ho avuto l’opportunità di migliorare come giocatrice e dimostrato che è possibile essere titolare in Serie A1 pur arrivando da un paese straniero non famoso per la sua cultura pallavolistica. È stato poi un onore battere le big del campionato in qualche occasione. Spero che il mio percorso possa dare una motivazione in più a tutte le bambine austriache perché non c’è obiettivo che non possa essere raggiunto. Basta crederci fino in fondo, senza mai arrendersi“.  Quest’anno gioca in Polonia con la maglia dell’E.Leclerc Moya Radomka Radom. Innanzitutto, come si trova nella nuova città?  “Radom è una città piccola ma carina. È situata vicino a Varsavia, una perla piena di storia. Mi piace molto viaggiare e in Polonia ci sono davvero tanti posti da visitare e scoprire“.  Cosa cercava prima di accettare questa sfida e cosa dunque crede di aver trovato sotto un aspetto pallavolistico e umano? “Ero alla ricerca di una nuova esperienza con l’opportunità di conoscere un nuovo paese, una nuova cultura e una nuova pallavolo. In effetti, a Radom penso di aver trovato tutto quello che cercavo. Certamente, dopo quattro anni in Italia, non è facile abituarsi a una realtà diversa, però non ho dubbi che questa stagione mi farà crescere sia come giocatrice sia come persona“.  Foto Instagram Srna Markovic Leggendo il roster del Radomka, salta subito all’attenzione che siete una squadra con tante giocatrici forti ed esperte (tra cui Aelbrecht, Skorupa, Efimienko, n.d.r.). Che aria si respira all’interno dello spogliatoio? E quali sono i vostri punti di forza?  “Penso che l’esperienza sia il nostro punto di forza più importante. Purtroppo, in questo momento alcune giocatrici sono alle prese con infortuni, ma sono sicura che non appena la squadra sarà al completo potrà crescere e mostrare tutte le sue qualità“.  Che campionato ha trovato sotto l’aspetto tattico, tecnico e agonistico? “È un campionato diverso da quello italiano. Si punta meno sulla forza e più sulla tecnica: pian piano mi sto ambientando a un nuovo tipo di gioco. È molto interessante conoscere e sperimentare differenti modi di interpretare la pallavolo. In generale, però, penso che non ci si debba limitare a fare confronti, ma prendere in considerazione ciascun campionato e conoscere le sue peculiarità“.  Ad appena 25 anni, ha un obiettivo oppure un sogno da voler realizzare nella sua carriera?  “Mi considero una grande sognatrice. Negli ultimi anni ho realizzato tanti sogni relativi alla pallavolo, giocando insieme alle migliori atlete di Serie A1. Mi è mancata solo la vittoria del campionato, anche se arrivando da un paese come l’Austria penso di essere già andata oltre alle mie aspettative iniziali. Mi piacerebbe conoscere altri campionati, provare stili di gioco diversi e affrontare con successo nuove sfide piuttosto che rimanere nella mia comfort zone. In questo modo, credo di poter crescere anche come persona ed essere più preparata ai vari eventi della vita, che non sai mai dove ti portano. Ovviamente ciò non esclude che un giorno possa tornare in Italia con l’obiettivo di vincere un trofeo“. Foto Instagram Srna Markovic Una sua grande passione oltre alla pallavolo è la musica classica. Ce ne parla? “Ho tante passioni nella vita: arte, scienze, musica… Sono una persona molto curiosa e mi piace approfondire le mie conoscenze in tutti questi ambiti. Dato che mia madre suonava il flauto e mio papà il piano, per me è stato naturale avvicinarmi alla musica: avevo sei anni quando ho iniziato a suonare il violino. A dodici anni sono entrata al Conservatorio Prayner di Vienna. Ero troppo piccola per rendermene conto, ma ero circondata da quelli che oggi sono alcuni dei più virtuosi musicisti al mondo. Invece, per me la musica è sempre rimasta una passione, anche perché poi ho scelto la pallavolo e non avevo tutte le ore richieste da dedicare al violino. Però, le mie giornate non hanno mai smesso di iniziare con l’ascolto di musica classica e adoro andare a vedere l’opera a teatro: tutto questo mi dà pace ed equilibrio“. Il suo compositore preferito?  “In generale, mi piacciono i drammi, le operette – altrimenti non potrei definirmi una vera viennese (ride, n.d.r.) – e le composizioni per piano di Beethoven e ovviamente Chopin. In effetti, adesso che sono vicina a Varsavia potrò godermi le serate dedicate alla sua musica!“. LEGGI TUTTO