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    Bianca Cugno, promessa argentina: “Il mio modello è Paola Egonu”

    Di Alessandro Garotta Il volley è ormai dei centennials. Il tempo scorre, e più passa, più ci si accorge di quanto sia inevitabile puntare sulle giocatrici nate dopo il 2000. Tra chi sgomita per farsi strada e chi, invece, il proprio percorso lo ha già cominciato, c’è una categoria di talenti che, compiuti questi step, è ormai in predicato di iniziare un nuovo capitolo: consacrarsi a “crack” di livello mondiale. Potrebbe essere questo il prossimo scenario della carriera di Bianca Cugno, opposta argentina classe 2003 che dallo scorso anno gioca in Francia nelle file del Béziers.  L’abbiamo intervistata per capire a che punto sente di essere nel percorso verso la gloria. Lei, che con i giusti passi è diventata uno dei migliori talenti sudamericani in circolazione.  Foto CEV Bianca, ci racconti qualcosa di lei. “Sono una persona dal carattere forte, ma non lo mostro se non nelle situazioni in cui è necessario. Sono sempre disponibile ad aiutare ed entrare in empatia con quelli che mi circondano. Amo trascorrere il tempo libero insieme alla mia famiglia, ai miei amici e ai miei cani. Mi piace anche cucinare, guardare film o serie, e fare attività sportiva all’aria aperta“. Abbiamo letto che lei è “oriunda”. Quali sono le origini della sua famiglia? “Sì, la mia famiglia è di origini italiane“. Come è nata la sua passione per la pallavolo? “Ho iniziato a giocare nella squadra della mia città (Devoto, n.d.r.) all’età di 6 anni. Era lo sport praticato dalla maggior parte delle mie amiche e, siccome me lo consigliavano, decisi di provarlo. Così andai qualche volta, ma la prima pallonata in testa mi fece cambiare idea. Dopo qualche anno di pattinaggio, ricominciai a giocare a pallavolo senza più abbandonarla“. Chi è il suo modello di riferimento? “Paola Egonu. Mi piace molto il suo modo di giocare ed è una persona che ammiro. Trovo eccezionali le sue capacità e il suo talento pallavolistico“. Come si descriverebbe come giocatrice? In cosa pensa di poter migliorare? “Sono una giocatrice che ama attaccare e assumersi la responsabilità di essere uno dei principali terminali offensivi della sua squadra. Avendo 19 anni, ho ancora grandi margini di miglioramento, per cui devo lavorare duramente, consolidare le abilità in tutti i fondamentali e cercare di perfezionarle“. Cosa pensa quando viene descritta come la più grande promessa della pallavolo argentina? “Al momento cerco solo di continuare a crescere e di aiutare la mia squadra, qualsiasi essa sia. Perciò, questo tipo di considerazione non è un peso, ma una forte motivazione ad impegnarmi ancora di più“. In Argentina ha giocato per l’Universitario Cordoba, l’Estudiantes de La Plata e il Boca Juniors. Quanto sono state importanti per lei queste esperienze? “Sono i tre club che mi hanno permesso di crescere sia dal punto di vista sportivo sia da quello personale. Ho la percezione che in ciascuna di queste esperienze io sia riuscita a fare un salto di qualità“. Come mai a 18 anni ha scelto di lasciare l’Argentina per andare a giocare in Francia?  “Quando mi sono resa conto che il mio rendimento era di un certo livello, ho iniziato a considerare l’idea di andare a giocare all’estero, e nello specifico in Europa, come sogno e obiettivo a breve termine. Così, appena mi si è presentata l’occasione, ho accettato questa sfida senza esitazioni“. Com’è stata la sua prima stagione con il Beziers? “Mi sono divertita quest’anno in Francia. È stata una stagione che mi ha insegnato tante cose. Sono arrivata con grandi aspettative riguardo alla mia crescita come giocatrice e alla possibilità di conoscere la pallavolo e i campionati europei. Alla fine, ho avuto l’opportunità di giocare in quasi tutte le partite, e questo mi ha aperto nuove prospettive e aiutato a migliorare“. Ha notato differenze tra la pallavolo argentina e quella europea? “La differenza è evidente, a cominciare dal fatto che la pallavolo in Europa è considerata uno sport professionistico. Inoltre, il livello e il numero di giocatori stranieri presenti in ogni squadra rendono i campionati molto competitivi“. Quanto è stato difficile adattarsi a una nuova vita all’estero? “Non mi ci è voluto tanto per adattarmi: dal giorno in cui sono arrivata mi sono sentita a casa, soprattutto grazie al club e alle mie compagne di squadra. Durante la mia permanenza in Francia ho trovato un ambiente molto accogliente“. Come sta andando l’estate in nazionale? Quali sono i vostri obiettivi? “Abbiamo iniziato ad allenarci a maggio e ci stiamo preparando per il torneo di qualificazione ai Giochi Panamericani. Questo è il nostro obiettivo principale. Poi, ovviamente, ci piacerebbe raggiungere un buon risultato anche al Campionato del Mondo. A livello personale, voglio dare il mio meglio per la squadra in modo da poter fare grandi cose“. Quali sono i suoi sogni per il futuro? “Mi piacerebbe molto proseguire il mio percorso sportivo a livello internazionale e giocare nei campionati esteri. Queste esperienze mi aiutano a crescere non solo come giocatrice ma anche come persona, permettendomi di conoscere nuove culture, lingue, tradizioni e persone, e trovare nuovi amici a cui sarò legata per sempre“. LEGGI TUTTO

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    Mikaela Stevens pronta all’avventura in Europa: “Voglio far crescere il volley australiano”

    Di Alessandro Garotta Australia, terra lontana almeno venti ore di aereo dall’Italia e tra le nove e le dodici ore avanti rispetto al nostro fuso orario. Un paese fantastico, dove gli sport più famosi e praticati sono il rugby, il cricket ed il surf. Ovviamente si gioca anche a pallavolo, ma il livello dei campionati laggiù non è il massimo della vita. Perciò, sempre più spesso i migliori talenti australiani decidono di intraprendere nuove esperienze in Europa con l’obiettivo di migliorare ed elevare il proprio livello di gioco. Oggi vi portiamo alla scoperta di una di queste giocatrici: Mikaela Stevens, palleggiatrice – classe 1998 – delle Volleyroos, ormai pronta a lasciare la terra dei canguri per inseguire il proprio sogno pallavolistico. Per iniziare, parlaci un po’ di te. Chi è Mikaela Stevens? “Mi definirei una persona solare, estroversa e tranquilla, a cui piace passare il tempo con la sua famiglia e praticare o seguire sport“. Com’è nata la tua passione per la pallavolo? “Da piccola amavo praticare ogni tipo di sport, ma ad un certo punto ho iniziato a nutrire una predilezione particolare nei confronti della pallavolo perché mi piaceva il concetto di squadra e l’idea che praticare questa disciplina ad alti livelli mi avrebbe permesso di viaggiare in tutto il mondo“. C’è un modello a cui ti sei ispirata? “I miei modelli pallavolistici sono state le giocatrici del Team USA, anche se devo ammettere che mi è sempre piaciuto guardare le partite e affrontare da avversaria Nootsara Tomkom della Thailandia perché è una palleggiatrice spettacolare“. Com’è stata la tua carriera dagli esordi fino ad ora? “Ho mosso i miei primi passi come pallavolista tra la scuola e una squadra locale, per poi essere selezionata al centro di sviluppo della nazionale australiana; da qui sono anche stata selezionata per giocare nella nazionale senior. Ora sono in attesa di poter fare uno step importante e trasferirmi in Europa per giocare da professionista“. Foto Instagram Mikaela Stevens Quali sono stati i momenti più belli del tuo percorso pallavolistico? “Vivo i momenti più belli della mia carriera ogni volta che canto l’inno nazionale dell’Australia con la maglia verdeoro. Ricordo con piacere anche l’esperienza al torneo asiatico di qualificazione alle Olimpiadi nel 2020“. Tre parole per descrivere il tuo stile di gioco. “Fisico, divertente e travolgente“. Com’è giocare a pallavolo in Australia? “La pallavolo in Australia cresce piano piano. Ci stiamo impegnando affinché un numero sempre più grande di atlete possa trasferirsi all’estero per diventare professioniste e il nostro programma possa essere completamente finanziato, visto che attualmente i giocatori devono pagare per giocare in nazionale. Fino a questo momento la mia esperienza con le Volleyroos è stata gratificante ma allo stesso tempo impegnativa“. Cosa deve fare la squadra femminile australiana per migliorare la propria posizione nel ranking? “Stiamo lavorando duramente per giocare al massimo livello possibile e migliorare la velocità del nostro gioco, la varietà e la fisicità delle nostre giocatrici. Inoltre, stiamo spingendo un numero maggiore di ragazze a giocare a tempo pieno, e non solo per pochi mesi all’anno prima di iniziare i tornei internazionali“. L’estate 2022 sarà ricca di sfide per le Volleyroos. Come la vedi? “Sono molto felice di scendere in campo per questa nuova stagione con la nazionale perché è dal 2020 che non ho avuto la possibilità di viverne una. Sarà interessante capire a che livello siamo e come si comporteranno le nostre giovani che per la prima volta sperimenteranno il palcoscenico internazionale. Sarà bello anche vedere quanto riusciremo a migliorare come squadra partita dopo partita“. Nella stagione 2022-2023 verrai in Europa per un nuovo capitolo del tuo percorso. Quali sono le tue aspettative? “Non vedo l’ora di poter giocare a tempo pieno, confrontarmi con atlete professioniste e migliorare sia fisicamente sia mentalmente. Non vedo l’ora anche di provare nuovi stili di gioco e metodi di allenamento: spero che queste novità mi possano aiutare a fare passi in avanti nella mia crescita pallavolistica“. E gli obiettivi per la tua carriera? “I miei obiettivi a breve termine sono di giocare da titolare in nazionale e dimostrare di essere una palleggiatrice di forte impatto. Invece, a lungo termine, vorrei aiutare la squadra femminile australiana a entrare nella Top 10 del ranking mondiale ed essere interamente finanziata“. LEGGI TUTTO

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    Cernic tra club, nazionale e l’affetto dei tifosi: “Mi manca già quel mondo”

    Di Roberto Zucca Ci sono quei poster sportivi che dalla camera e dai ricordi non si dovrebbero mai staccare. Sono le istantanee della vita pallavolistica, fatte dei momenti in cui la pallavolo era un’altra cosa. Le folle oceaniche di tifosi affollavano la serie A1, ma anche la A2. Le Polaroid regalavano momenti sfuocati ma bellissimi, i diari si scrivevano o si utilizzavano per incollare l’autografo del campione di turno e la domenica si trascorreva lungo l’emozione della gara delle 18:00, in cui anche il riscaldamento e soprattutto la fine della partita era funzionale al sentimento sportivo vissuto. Di quelle domeniche Matej Cernic deve averne vissute parecchie, tra tante società, vittorie, interviste, amici e avversari incontrati sul campo da gioco. Sabato 30 aprile 2022 un compagno di squadra di Matej decide di dare il via ad un commovente messaggio di addio. Cernic lascia la pallavolo. E pochi minuti dopo il popolo nostalgico che prima affollava il palazzetto e ora i social network, tributa centinaia di post ad uno dei beniamini degli ultimi vent’anni di storia di questo sport: “Sono uno silente. Uno che preferirebbe stare sempre dietro le quinte di questo sport. A parte i compagni, la mia famiglia e la società, nessuno sapeva di questo mio ultimo anno. Un compagno ha simpaticamente fatto la spia sui social, e io ammetto oggi, di non essermi trovato pronto a quella risposta. Il telefono non ha smesso di trillare da sabato, tra messaggi chiamate, notifiche e frasi pubblicate sui social. Per me è stato un mix di imbarazzo e commozione”. È il segno che la pallavolo le ha voluto molto bene Matej: “In un certo senso sì. Ho imparato ad amare l’affetto dei tifosi un po’ tardi, prima lo vivevo con troppa timidezza, che spesso passava per snobberia. Ma non ero snob, tutt’altro. Ho sofferto quella popolarità eccessiva, perché pensavo fosse troppo per me. Ricorda quei bagni di folla dell’Europeo 2005 a Roma? Ecco, forse ho capito a venticinque anni che facessero parte del pacchetto della mia vita pallavolistica. E adesso mi manca già molto tutto quel mondo”. Il messaggio più bello di questi giorni? “Quello di Mino Balestra, che ha dato il via all’onda di affetto arrivata da sabato notte. Ha detto cose a cui un compagno come me aprono il cuore, veramente belle. E poi un messaggio inaspettato di Samuele Papi, che per me è stato un mito. E che mi ha scritto che è stato bello condividere assieme il campo. Lo leggevo e pensavo sono io a doverti scrivere queste cose, non tu!” Quando ha capito che era arrivato il momento dell’addio? “Alla fine del girone di andata. Quest’anno la spalla non mi ha lasciato stare e il dolore, durante il ritorno si è fatto così intenso che non riuscivo più ad attaccare. Sono sopravvissuto con i pallonetti praticamente. E devo ringraziare la mia società, il Volley Club Grottaglie, che mi ha permesso di finire la stagione e che mi ha lasciato giocare fino alla fine”. (Foto: Instagram Matej Cernic) Il momento dell’addio è stato toccante? “Molto, anche se io non me ne rendo ancora conto. Lo speaker ha annunciato questa cosa inaspettatamente ed è stato toccante, sì”. Lo percepisco dalla sua voce. Ma il suo è solo un arrivederci al volley? “Si, anche se adesso mi prendo tutto il tempo per elaborare ciò che vorrei fare in futuro. Sicuramente resteremo in Puglia con la famiglia. Poi capirò se l’impegno che vorrò prendere con il volley sarà magari come allenatore, o come direttore sportivo o un impegno in società. Adesso non riesco a pensarci del tutto. Ho bisogno di uno stacco”. Torniamo indietro nel tempo. Lei è stato l’uomo dei più, lo sa? Partiamo dall’etichetta di più bello. Quando le è pesato? “(ride n.d.r) Savani e Cisolla, solo per citarne due, erano più belli di me! Comunque no, non mi è pesato anche perché non ho certo costruito una carriera sulla presunta bellezza”. Il più talentuoso. “No, anche qui. Le potrei fare il nome di Martino, Rosalba. Io forse, di quella generazione potrei essere stato il più tecnico. Ma non mi faccia dire queste cose, che ho giocato con tanti giocatori incredibilmente più bravi di me”. Il più leggendario. “In che senso?” Su di lei circolano delle leggende. Me ne dica una vera. La tifosa svenuta a Bologna? “Vera. Che scena. Io ero imbarazzatissimo”. Lei che per andare a festeggiare una vittoria con la nazionale si lancia da un terrazzino dell’hotel. “Ma chi gliele ha raccontate queste cose?”. È vera? “(ride n.d.r.) No comment”. Lei è stato un po’ folle negli anni migliori. Lo sfizio che si è tolto con i guadagni della pallavolo. “La barca. Era una bella barca e io amavo pescare. Valeria, mia moglie, mi ha convinto a fare questo investimento perché sapeva del mio amore per il mare. Ma è acqua passata, ho venduto tutto. Resta solo un grande amore per il mare e la pesca”. Mi dica il più forte contro cui abbia mai giocato? “Impossibile. Inizierebbe una sfilza di nomi che non finirebbe più. Anche per gli allenatori. Sono una persona che ha giocato delle partite meravigliose, circondato da una cornice di pubblico incredibile, da compagni e avversari davvero leggendari e da allenatori che mi hanno sempre lasciato qualcosa”. La vittoria più bella? “Atene 2004. La gara contro il Brasile del girone con il set concluso 32-30 per noi. Che emozione. La guardo ogni qualvolta Raisport ritrasmette quelle partite”. (Foto: Instagram Matej Cernic) Chiudiamo con Roma 2005. È il ricordo più bello? “Uno dei più emozionanti. Il pubblico che non smetteva di applaudire e tifare. Noi che vinciamo contro la Russia. Mi sto emozionando anche ora”. So che non ama parlare della sua vita privata. Posso solo chiederle quanto Valeria, sua moglie, è stata importante per la sua carriera? “Lei mi vuole far piangere, però! Io non so se sarò mai in grado di dimostrare a mia moglie quanto sia stata e quanto sia importante per me. Ma lei è certamente stata importantissima per migliorare il Matej uomo e il Matej giocatore, che con lei è certamente diventato più equilibrato. Valeria è stata in grado di regalarmi una serenità che non avevo prima, concretizzata da due bellissime figlie, che sono il frutto di tutto il nostro amore. Io non so se sarò un padre all’altezza del ruolo, ma posso dire che con Valeria e le bimbe sono un uomo molto felice”. (Foto: Instagram Matej Cernic) LEGGI TUTTO

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    Lucille Gicquel: “Nessun rimpianto per la stagione di Cuneo”

    Di Alessandro Garotta Ruolo opposto, professione bomber. Lucille Gicquel è stata una delle grandi protagoniste della Serie A1 femminile 2021-2022: punto di riferimento per la regista Noemi Signorile, l’opposta francese ha disputato un campionato di altissimo livello, guidando l’attacco della Bosca S.Bernardo Cuneo con prestazioni brillanti e tanti punti. In esclusiva ai microfoni di Volley NEWS, Gicquel ha tracciato un bilancio della sua seconda stagione in Italia. Alla fine, non restano soltanto la malinconia e l’amarezza per come si è concluso il percorso di Cuneo nei Playoff: le “Gatte” hanno fatto sognare una città intera con il loro cuore, l’orgoglio, la determinazione e le qualità tecniche. E il talento della numero 11 biancorossa ha contribuito a regalare ai tifosi momenti emotivamente indimenticabili. Foto Danilo Ninotto/Cuneo Granda Volley Partiamo dai quarti di finale dei Playoff Scudetto, in cui Cuneo ha costretto una corazzata come Novara alla “bella”. Ha qualche rimpianto per l’esito di questa serie? “Dopo Gara 1 eravamo deluse, non tanto per la sconfitta ma per la prestazione: non avevamo lottato e giocato ai livelli mostrati durante l’anno. Gara 2 è stata completamente differente perché non volevamo che la nostra stagione si concludesse con un’altra serata negativa. Addirittura siamo riuscite a vincere grazie a una prova corale e al sostegno dei nostri tifosi. Comunque, non ho rimpianti per l’eliminazione perché abbiamo tenuto testa a una grande squadra, lottando fino alla fine con le ‘armi’ a nostra disposizione. Sono davvero orgogliosa del percorso di Cuneo in questa stagione“. Come riassumerebbe la stagione della sua squadra? Qual è stata la vostra miglior partita? “Inizialmente abbiamo dovuto affrontare molte difficoltà: c’erano tante giocatrici nuove e non riuscivamo a trovare ritmo di gioco e sviluppare la miglior sintonia tra di noi in campo. Questo momento è durato all’incirca due mesi. Tuttavia, tra novembre e dicembre abbiamo trovato il giusto equilibrio e cominciato a giocare meglio. Alla fine, penso che abbiamo fatto bene in tante partite. Non saprei individuare le migliori in assoluto; forse quelle contro Conegliano, in cui siamo riuscite a mettere in campo ottime prestazioni contro una grandissima squadra“. Foto Danilo Ninotto/Cuneo Granda Volley C’è qualcosa che Cuneo avrebbe potuto fare meglio? “Sì, in particolare a inizio stagione, e mi riferisco soprattutto alla prima partita contro Roma. Anche in altre occasioni avremmo potuto fare qualcosa di più, ma preferisco sempre guardare il lato positivo delle cose e porre l’accento su ciò che di buono è stato fatto quest’anno“. A livello personale, è soddisfatta delle sue performance? Dove pensa di dover migliorare? “Sono contenta della mia stagione, anche se a un certo punto ho perso un po’ di costanza iniziando a giocare una partita bene e una male. Nella pallavolo c’è sempre qualcosa che si può migliorare. Nello specifico, penso di dover lavorare sulle schiacciate e sugli angoli di attacco, ma anche sulla scelta del giusto colpo nelle varie situazioni di gioco“. Foto Danilo Ninotto/Cuneo Granda Volley Riavvolgiamo un attimo il nastro. Com’è stato il passaggio da Conegliano a Cuneo? “Per me è stato importante fare questo step, perché a Conegliano non avevo avuto tante opportunità di giocare. Devo ammettere che all’inizio non è stato facile, perché il livello del campionato italiano è altissimo e avevo bisogno di tempo per adattarmi alle nuove responsabilità in campo. Poi, però, mi sono divertita molto“. Questa è stata la sua seconda stagione in Italia. Cosa le piace di più del nostro paese? “Mi trovo davvero bene in Italia. La vostra cultura è simile a quella francese, perciò ho trovato tanti punti di contatto. Ciò che mi piace maggiormente dell’Italia è senza dubbio il cibo… Sono una grande ‘food lover’ (ride, n.d.r.). Apprezzo anche i paesaggi e il fatto che ci siano sempre nuove esperienze da provare e nuovi posti da scoprire“. Foto Danilo Ninotto/Cuneo Granda Volley C’è stato qualche piccolo ostacolo o sfida extracampo che ha dovuto affrontare in Italia? “Certo, ho dovuto superare la barriera linguistica. Nonostante che l’italiano sia della stessa famiglia del francese, appena arrivata avevo qualche difficoltà a comprendere quello che veniva detto. Ora, invece, non è più un problema“. Presto sarà impegnata con la nazionale francese. Quali sono le sue aspettative per quest’estate? “Come sempre, sono entusiasta di andare in nazionale. Quest’estate sarà un po’ meno impegnativa perché siamo già qualificate ai Campionati Europei del 2023. Perciò, il nostro obiettivo è di ottenere un buon risultato nella Golden League: puntiamo a raggiungere la Final Four e magari vincerla. Penso che ci sia ancora tanto lavoro da fare per crescere come squadra in vista dei Giochi Olimpici di Parigi, che sono il nostro obiettivo principale“. Foto Danilo Ninotto/Cuneo Granda Volley Quali sono i suoi piani per la stagione 2022-2023? “Non so cosa posso rivelare in questo momento, ma sicuramente il mio desiderio è di restare a Cuneo (ammicca, n.d.r.)”. E il sogno per il prosieguo della sua carriera? “Il grande sogno è di prendere parte alle Olimpiadi nel 2024: è un’opportunità enorme per la mia carriera e non voglio lasciarmela scappare. Inoltre, mi piacerebbe crescere ulteriormente e raggiungere il livello più alto possibile con i club“. LEGGI TUTTO

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    Aleksandra Uzelac, astro nascente della Serbia: “Sono competitiva dentro e fuori dal campo”

    Di Alessandro Garotta Non abbiamo mai ben capito come definire il talento nella pallavolo, né come misurarlo: è qualcosa di vago, astratto, ci sfugge dalle mani come se provassimo ad afferrare un’anguilla. È equivoco, perché quando diciamo che quella giocatrice è un talento, potremmo riferirci a una certa idea di raffinatezza stilistica, alla continuità di prestazioni, oppure alla presenza di un qualche istinto naturale che guida il libero nella difesa prodigiosa, la centrale a muro e la schiacciatrice in attacco. Questo perché il talento è spesso descritto attraverso le sensazioni che suscita in chi lo guarda, piuttosto che una serie di attributi dello stesso: è perciò un concetto altamente soggettivo. Ecco perché parlare di Aleksandra Uzelac oggi come la next big thing della pallavolo mondiale può esporci al rischio di un’euforia che potrebbe sgonfiarsi e scemare già tra qualche settimana, o mese, lasciando il ricordo un po’ imbarazzante di quella volta che non ci siamo saputi controllare. Eppure, questa schiacciatrice serba – classe 2004 – dell’OK Železničar, inserita anche da Daniele Santarelli nelle sue convocazioni per la nazionale maggiore, sembra essere davvero un diamante, neppure troppo grezzo, pronto a rivelarsi in tutta la sua brillantezza. Aleksandra, raccontaci come hai iniziato a giocare a pallavolo. “Dato che mio fratello e mia sorella praticavano sport fin da piccoli, all’età di 3 anni ho iniziato a fare danza. Più tardi, a 10 anni, sono andata al mio primo allenamento di pallavolo ed è stato amore a prima vista: in quell’occasione ho capito cosa avrei voluto fare per il resto della mia vita. Per un po’ ho praticato anche l’atletica ma, siccome crescevo molto velocemente in altezza, ben presto ho deciso di dedicarmi solo al volley“. Quando hai capito che stavi migliorando velocemente? “Ho capito che stavo iniziando a migliorare quando a 13 anni sono stata chiamata per la prima volta nelle nazionali giovanili; successivamente, sono arrivate convocazioni in tutte le varie categorie. Così, con tanto lavoro e grande dedizione sono riuscita a bussare alle porte del grande volley, fino a ritrovarmi ai collegiali della nazionale maggiore della Serbia“. Foto Volleyball World Qual è stato il momento più bello della tua carriera finora? “Lo sport regala a chi lo pratica momenti indimenticabili, tanto che è sempre difficile sceglierne soltanto uno. Probabilmente, ho vissuto uno di questi momenti in occasione della Supercoppa di Serbia che abbiamo vinto ad inizio stagione contro l’Ub: una partita molto equilibrata e combattuta, in cui ho segnato 24 punti“. Come ti descriveresti come giocatrice a chi magari non ha mai visto una tua partita? “Innanzitutto, mi descriverei come una persona che dà la parte migliore di sé nella pallavolo, la cosa a cui tengo di più al mondo. Mi piace molto allenarmi e mettermi alla prova in nuove sfide ed esperienze; amo le partite più incerte ed equilibrate, quelle in cui è necessario dimostrarsi coraggiose. E io lo sono veramente! Ho grande fiducia e consapevolezza dei miei mezzi, e punto a raggiungere i traguardi più importanti“. Hai un idolo o un modello di riferimento nella pallavolo? “Non è mai facile individuare un idolo pallavolistico quando ci sono tante giocatrici forti in circolazione, soprattutto nella nostra nazionale. Comunque direi Ana Bjelica, che è stata un punto di riferimento quando abbiamo giocato insieme (nella stagione 2020-2021, n.d.r.). E naturalmente anche Tijana Boskovic e Maja Ognjenovic“. Che cosa pensi quando vieni descritta come un astro nascente della pallavolo o come la speranza per il futuro della nazionale serba? “È davvero bello sentire che si parla di me in questi termini: è motivo di grande soddisfazione e allo stesso tempo una spinta a fare sempre meglio. In generale, sono una persona a cui piace sentire complimenti, ma per arrivare a questo punto mi sono dovuta impegnare molto“. Foto Volleyball World La scorsa estate hai esordito con la nazionale maggiore in VNL. Com’è stato? “Innanzitutto la convocazione è stata la conseguenza di un percorso fatto di duro lavoro e tanti sacrifici. Come la maggior parte delle pallavoliste, considero giocare in nazionale un sogno, perciò ricevere quella chiamata è stato un onore. Ho provato la sensazione che qualcuno credeva nelle mie qualità e voleva lavorare con me, e questo mi ha dato ulteriori motivazioni per continuare a migliorarmi. L’esperienza in VNL è stata grandiosa, anche perché ho avuto l’opportunità di affrontare giocatrici che vedevo solo in tv. Sicuramente il match con gli Stati Uniti è stato il momento clou e, nonostante la sconfitta, siamo riuscite a fare del nostro meglio e opporre resistenza alla squadra che poi avrebbe vinto l’oro alle Olimpiadi. Sono contenta di aver concluso quella partita come top scorer con 16 punti“. È da poco terminato il tuo secondo anno all’OK Železničar. Come descriveresti questa esperienza? “Durante questa esperienza ho vissuto tanti momenti piacevoli, dentro e fuori dal campo. Andare a giocare in questo club mi ha permesso di crescere velocemente, sia fisicamente sia mentalmente, e alzare il mio livello di gioco. In generale mi è sempre piaciuto allenarmi, ma farlo in un ambiente familiare come quello dell’OK Železničar è ancora più bello. Inoltre, sento la fiducia della dirigenza del club, che sta investendo molto sulla nostra crescita. La mia seconda annata è stata di grande importanza: ora mi sento più sicura in campo, anche grazie ai consigli delle giocatrici più esperte e del mio allenatore preferito, Branko Kovacevic, senza il quale non sarei mai diventata la giocatrice che sono oggi. Cerco sempre di imparare il più possibile da loro“. Quest’anno l’OK Železničar ha trionfato in Supercoppa ed è andato vicino alla vittoria in Coppa di Serbia e campionato. Che stagione è stata? “Come detto, la Supercoppa è stata una delle mie migliori partite in stagione. Invece, nei playoff di campionato abbiamo perso per alcuni dettagli, nonostante avessimo lottato e lasciato tutte le nostre energie in campo. In Coppa di Serbia penso sia stato decisivo l’impatto mentale: la Stella Rossa ha giocato una grande partita quel giorno“. Foto Volleyball World Quali sono i tuoi piani per quest’estate? E per la prossima stagione? “Ovviamente i miei piani estivi prevedono di competere al massimo livello possibile. Sono contenta di aver ricevuto la chiamata dalla nazionale maggiore: ora c’è un nuovo allenatore (Daniele Santarelli, n.d.r.) di cui ho sentito parlare molto bene e mi piacerebbe conoscere la sua opinione sul mio gioco e sulle mie qualità. Inoltre, ci sono tre competizioni con le nazionali giovanili – Europei Under 19, Eyof, Balkanijada – a cui vorrei prendere parte per mostrare quello che so fare. Spero che vada tutto per il meglio. Il tempo per le vacanze e il riposo sarà piuttosto breve, quindi probabilmente quest’anno non andrò al mare, ma sono felice all’idea di trascorrere la mia estate a lavorare e migliorare. Nella prossima stagione, vorrei continuare a crescere, far vedere i miei progressi e dare il mio contributo affinché la squadra vinca e ottenga grandi risultati in tutte le competizioni“. Chi è Aleksandra Uzelac fuori dal campo e quali sono i suoi hobby preferiti? “Anche fuori dal campo sono molto competitiva, voglio essere la migliore in tutto quello che faccio: insomma, amo vincere! Nel tempo libero mi piace trascorrere momenti spensierati con i miei amici e fare nuove conoscenze, mentre il mio hobby preferito è cucinare. Come ogni atleta sa bene, l’alimentazione è un elemento importante ed ecco perché, tenendo conto della mia dieta, mi piace provare a fare ricette nuove ogni giorno“. Foto Volleyball World Qual è il tuo sogno per il futuro? “Il mio sogno è di vincere medaglie d’oro in tutte le competizioni, dagli Europei ai Mondiali, dalle Olimpiadi alla Champions League. Vorrei diventare una delle protagoniste della mia nazionale e mi piacerebbe andare a giocare in Italia o in Turchia“. LEGGI TUTTO

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    La Cina di Filippo Lanza: “Attendiamo all’infinito un campionato che non c’è”

    Di Eugenio Peralta Nel celeberrimo romanzo “Il Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, il tenente Giovanni Drogo aspetta inutilmente per tutta la vita sulle mura della Fortezza Bastiani l’arrivo di un nemico che non riuscirà mai a vedere. Fatte le dovute proporzioni, una sensazione simile a quella che hanno provato quest’anno Filippo Lanza e Luca Vettori nella loro avventura in Cina con la maglia dello Shanghai: certo, l’attesa dei due giocatori italiani non sarà infinita (per fortuna), ma il senso di frustrazione per l’impossibilità di giocare un campionato continuamente rinviato è comunque fortissimo. Acuito ora, per giunta, dal rigidissimo lockdown che sta interessando la metropoli cinese. A raccontarci queste emozioni poco piacevoli, ma anche esperienze ben più positive e gratificanti che l’annata in Estremo Oriente gli ha riservato dentro e fuori dal campo, è proprio Filippo Lanza. La sua intervista parte dal racconto “in tempo reale” delle restrizioni in corso a Shanghai: “Stiamo vivendo una situazione inverosimile – sospira l’ex schiacciatore della nazionale – ma in realtà è un po’ la prosecuzione di quello che accade ormai da più di due anni. Il governo cinese sta combattendo contro questa nuova forma di Covid e dalla fine di marzo ha chiuso tutti in casa senza preavviso per il nuovo lockdown. La gente si è ritrovata in condizioni al limite del pensabile, perché nessuno era pronto a questa vicenda: la mancanza di cibo e di organizzazione sta mandando un po’ tutti in confusione. Nell’ultima settimana, comunque, il governo sta ‘liberando’ progressivamente alcune parti della città, dividendola in tre fasce di pericolosità in base al rischio di contagio: ora in periferia ci sono meno restrizioni e si può uscire almeno per andare al supermercato, un po’ come in Italia nel primo lockdown del 2020“. Foto Instagram Filippo Lanza Dove siete in questo momento tu e Luca? “Noi viviamo dentro il campus in cui ci alleniamo, una struttura che si raggiunge in circa un’ora e mezza dalla città e, diciamo, è un po’ un’isola felice. È un campus molto grande, con spazi verdi e anche un lago intorno a cui ci si può muovere; abbiamo 4 mense con disponibilità di cibo, quindi non ci manca nulla. Possiamo uscire dalle camere, facciamo allenamento due volte al giorno, insomma una vita ‘normale’ come quella che si può vivere in un ritiro della nazionale. Stiamo bene, facciamo tanti controlli e test giornalieri e ci atteniamo costantemente alle disposizioni del governo. Per noi i problemi del lockdown sono un po’ lontani, ma certo è una situazione pesante“. Prima delle ultime restrizioni, com’è andata la vostra esperienza in Cina? “Siamo arrivati a dicembre, e dopo i 14 giorni di quarantena a Tianjin ci siamo trasferiti a Shanghai e abbiamo cominciato a conoscere questa strepitosa città metropolitana. Una città gigantesca, abitata da 26 milioni di persone, che offre di tutto e di più. Il centro è molto lontano dall’idea che noi associamo al concetto di Cina: è una città internazionale, con grattacieli giganti e con tante abitudini ‘occidentali’. Abbiamo passato molto tempo a scoprirla, visto tanti quartieri diversi: vivevamo in un hotel-residence vicino al campus, ci allenavamo durante la settimana mentre il sabato e domenica, che solitamente erano liberi, ci trasferivamo in centro. La città è molto bella, suggestiva, con un sacco di particolarità: capita spesso di imbattersi in un tempio antico in mezzo a palazzi modernissimi, un contrasto che si nota in parecchi quartieri. Anche i cinesi stessi ci hanno stupito: pensavamo di trovare una popolazione molto chiusa nei confronti degli stranieri, invece tutti sono stati molto gentili e disponibili, anche chi non faceva parte del mondo sportivo“. Foto Instagram Filippo Lanza In palestra, invece, com’è stato l’impatto con il volley cinese? “Gli allenamenti all’inizio sono stati complicati, perché loro hanno una cultura completamente diversa dalla nostra, basata sulla quantità più che sulla qualità. C’erano sessioni di allenamento di 3 ore, 3 ore e mezza, che non capivamo e a cui non eravamo minimamente preparati. Siamo stati fortunati a trovare persone che hanno capito e studiato il nostro punto di vista e il nostro metodo di lavoro. Il nostro coach è un allenatore molto giovane (Qiong Shen, n.d.r.), che è stato giocatore e ha avuto anche diverse esperienze con la nazionale, e ha sperimentato metodi di lavoro diversi. Così abbiamo cominciato a dedicare la mattina ai pesi, mentre nel pomeriggio abbiamo aiutato i nostri compagni di squadra insegnando loro esercizi tecnici che noi facevamo in Italia e loro invece non conoscevano. Questo ci ha permesso di differenziare le sessioni di allenamento e lavorare su aspetti di gioco di cui la squadra aveva bisogno. È stato molto bello, perché abbiamo visto tanto interesse da parte loro nel cambiare abitudini: non solo per rispetto nei nostri confronti, ma proprio perché riconoscevano di poter migliorare“. Foto Instagram Filippo Lanza E veniamo al punto dolente: i continui rinvii dell’inizio della stagione. Come si prepara un campionato che non comincia mai? “La cosa più complicata, e che ancora oggi facciamo fatica ad accettare, è il fatto di essere comandati da un potere più alto di noi. C’è sempre qualcuno sopra di te, che sia un giocatore, un allenatore o il capo del campus; si attende sempre la parola di qualcuno più in alto. Questo ha influito tantissimo anche nella nostra attesa del campionato: all’inizio c’era una data, poi è stata modificata per la contemporaneità con le Olimpiadi invernali, poi è slittata ulteriormente perché la nazionale ha fatto un ritiro di un mese, togliendoci anche dei giocatori, e poi è tornato il Covid… È stato un continuo rimandare, non perché non si volesse fare, ma perché c’era sempre qualcuno di più ‘importante’ che prendeva queste decisioni. Per noi è stato terribile dover sempre riorganizzare la nostra mentalità e anche la programmazione fisica per arrivare pronti a un evento che ancora oggi non si sa se mai ci sarà e, eventualmente, in quali date. È stato un costante aspettare questo momento, sicuramente con preoccupazione, perché siamo venuti qua per giocare, ma anche con dispiacere, perché sappiamo che avremmo potuto ottenere degli ottimi risultati ed è stata un’occasione un po’ vanificata“. Previsioni per il futuro? “Difficile farne… Se il campionato non ci sarà, di certo proveremo a tornare. Ci mancano tanto l’Italia, la famiglia e gli affetti: è stato un anno molto bello pieno di nuove esperienze che ci ha fatto crescere sotto tanti punti di vista, però ovviamente casa nostra ci è mancata molto e non vediamo l’ora di riabbracciarla“. LEGGI TUTTO

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    Airi Miyabe: da Osaka a Minneapolis… e ritorno, nel segno del volley

    Di Alessandro Garotta Tra Osaka, da dove proviene Airi Miyabe, e Minneapolis, sede della University of Minnesota, ci sono circa 9.900 chilometri di distanza in linea d’aria e, se esistesse un volo diretto a collegarle, il viaggio durerebbe più di 12 ore. Soprattutto, a separare la città giapponese da quella statunitense c’è un oceano enorme, il più grande al mondo. La giovane schiacciatrice, che recentemente ha terminato la sua esperienza in NCAA, lo sa, così come sa che l’oceano fra le due sponde del Pacifico non è solo geografico.  Infatti, non è facile adattarsi a un nuovo paese, a una cultura diversa. Cambiano tante cose. A volte, tutto. I suoni delle parole, gli odori della cucina, i piccoli gesti quotidiani, il modo in cui il sole avvolge le giornate o, magari, sembra scomparire del tutto. E poi ci sono le cose pratiche (a partire dalla lingua) e quelle legate alla pallavolo. Eppure Miyabe è riuscita a superare tutti gli ostacoli che le si sono presentati dinanzi e ora è finalmente pronta a tornare in Giappone per intraprendere il suo percorso da professionista – come ha raccontato in un’intervista esclusiva a Volley NEWS. Foto University of Minnesota Per iniziare, parlaci un po’ di te – le tue origini, la tua storia, i tuoi interessi. “Il mio nome è Airi Miyabe. Sono nata in Giappone da mamma nipponica e papà nigeriano; ho anche una sorella, che come me gioca a pallavolo. Da piccola amavo leggere e disegnare, mentre non mi piaceva giocare all’aria aperta. La mia famiglia non è il prototipo di ‘famiglia sportiva’, visto che i miei genitori lavorano nella moda, un settore che ha sempre attratto il mio interesse. Ora si capisce meglio perché da bambina preferivo stare in casa piuttosto che uscire a giocare. A livello scolastico ho seguito un percorso classico, in parallelo alla mia carriera sportiva. Tuttavia, dopo il diploma alla scuola superiore, ho coronato il sogno di andare a studiare e giocare negli Stati Uniti: prima ho frequentato un junior college in una piccola città dell’Idaho e poi mi sono trasferita alla University of Minnesota, dove mi laureerò tra poche settimane!“. Come è nata la tua passione per la pallavolo? “Ho iniziato a giocare quando avevo otto anni. Un’amica mi chiese di dare una mano alla sua squadra perché non c’era un numero di giocatrici sufficiente per la partita in programma quattro giorni dopo. Onestamente non volevo giocare a pallavolo, ma non potevo dirle di no. Così, accettai pensando di prendere parte giusto a un allenamento e a una partita. In realtà, poi per non mettere in difficoltà la squadra andai avanti a giocare… E ora eccomi qua: sto per intraprendere la mia carriera da professionista!“. Foto Instagram Airi Miyabe “Should I stay or should I go?“. Davanti al grande dilemma della tua carriera sportiva hai scelto di andare a giocare negli USA. Come mai? “Ho affrontato questo dilemma due volte. Nella prima occasione ero al penultimo anno di liceo e parlai con i miei allenatori dell’intenzione di andare negli Stati Uniti a giocare e diplomarmi. Nessuno era d’accordo, tranne i miei genitori. Anzi, mi risposero di non illudermi e che potevo aspirare a qualcosa di meglio. Così, piansi lacrime amare: non c’era altro che potessi fare… Affrontai di nuovo quel dilemma un paio di mesi dopo essermi diplomata ed andò diversamente, nonostante che ancora una volta l’allenatore e altre persone avessero cercato di convincermi a non andare via. Infatti, piansi di nuovo, ma a differenza della volta precedente decisi di lasciare il Giappone. Non ero del tutto felice, perché non avevo la garanzia che il mio percorso all’estero sarebbe stato un successo. Però, perché non provarci? Sarei andata in un posto dove nessuno mi conosceva o aveva aspettative smisurate su di me… Potevo essere semplicemente Airi. E soprattutto, volevo tornare a divertirmi quando giocavo a pallavolo“. In quali aspetti sei maggiormente migliorata nel tuo percorso al college? “Onestamente, sono migliorata più nella comunicazione che nel gioco: da straniera che non parlava la stessa lingua del resto della squadra, all’inizio era complicato comunicare in modo chiaro con le mie compagne, soprattutto in partita. Inoltre, ho imparato a gestire le mie emozioni al di fuori della mia comfort zone. Perciò, posso dire che, specialmente ad Idaho, sono cresciuta come persona e dal punto di vista mentale“. Foto Instagram Airi Miyabe Quanto sono state importanti per te le esperienze al Southern Idaho College e alla University of Minnesota? “Il Southern Idaho College è stato il luogo che mi ha ricordato quanto la pallavolo fosse divertente. E il primo posto degli Stati Uniti che ho potuto chiamare ‘casa’. Inoltre, l’incontro con Heidi e Jim mi ha davvero svoltato la carriera. Heidi era l’allenatrice nella mia prima stagione; purtroppo, poi è venuta a mancare ed è stata sostituita da Jim, suo marito e precedentemente vice-allenatore. Sono stati loro ad insegnarmi ad amare gli altri e a battersi per la propria gente. Per quanto riguarda la University of Minnesota, non posso che sottolineare quanto abbia apprezzato questa esperienza, che mi ha aiutato a diventare una persona e una giocatrice migliore. Devo ammettere che sono stati anni molto belli, ma anche difficili. Infatti, non mi era mai capitato di piangere in allenamento perché insoddisfatta: tutte le giocatrici qui sono davvero forti e talentuose, e qualche volta è capitato che l’autostima non fosse al massimo. Però, è stata proprio questa dinamica a farmi crescere e a rendermi migliore. E ovviamente sono stati importanti anche gli allenatori, che non hanno mai fatto mancare il loro sostegno. Perciò, nel complesso, darei un voto molto positivo ai miei cinque anni negli Stati Uniti: venire qui è stata la miglior decisione che abbia mai preso!“. Quali sono stati gli ostacoli più grandi che hai dovuto affrontare negli USA? “Come accennato prima, direi che la barriera linguistica è stata senza dubbio l’ostacolo più grande. Per superarla ho dovuto accettare di sbagliare ed essere ‘vulnerabile’. È stato davvero l’unico modo per poterne uscire. Un’altra difficoltà ha riguardato come comunicare agli altri il mio stato d’animo o le mie opinioni. Infatti, i giapponesi spesso sono troppo cordiali e tendono a non dire quello che pensano realmente perché non vogliono ferire i sentimenti altrui; ecco, negli Stati Uniti non funziona così. Perciò, ho lavorato molto su questo aspetto e ancora oggi sto cercando di migliorarlo“. Foto Instagram Airi Miyabe Nella stagione 2022-2023 inizierà un nuovo capitolo della tua carriera: quello da professionista. Quali sono le tue aspettative? “Onestamente, non so bene cosa aspettarmi. Sono eccitata per la nuova avventura ma allo stesso tempo nervosa: è una sensazione mista. Ho giocato negli Stati Uniti, dove la cultura sportiva è diversa, quindi sono un po’ spaventata per come sarò vista dalla gente. Inoltre, ho notato che negli ultimi cinque anni ci sono stati molti cambiamenti nel modo in cui interagisco e comunico in campo. Questo perché cinque anni è un intervallo di tempo lungo. Dunque, c’è un po’ di preoccupazione per lo shock culturale che affronterò tornando in Giappone… È anche vero, però, che sarò vicino alla mia famiglia e finalmente i miei cari avranno l’opportunità di vedermi giocare dal vivo: questo mi rende molto felice“. Come ti descriveresti come giocatrice? Hai un modello di riferimento in particolare? “Sono una giocatrice che porta energia positiva al proprio team. Magari, non sarò la più forte o quella di cui si parla di più, ma farei qualsiasi cosa per portare a casa il punto successivo o la partita. Posso giocare da opposto, da posto 4, come ricettrice, o essere una buona compagna di squadra. So bene che a volte non è facile gestire la competizione interna, ma darei qualsiasi cosa per trasmettere energia positiva e fare il massimo per la squadra, e non solo per me stessa. Non c’è una giocatrice che ammiro o considero come un modello soprattutto perché non mi interessa essere la copia di qualcuno, dentro o fuori dal campo“. Quali sono i tuoi sogni e obiettivi come giocatrice? “Non ho ancora individuato un obiettivo specifico, ma di sicuro mi piacerebbe andare a giocare all’estero! Al momento sono concentrata sulla mia tesi di laurea; poi, quest’estate, farò parte del roster della nazionale giapponese“. Una giovanissima Miyabe in campo contro l’Italia nel 2015 – Foto FIVB Il termine “hafu” – in italiano “metà” – si riferisce alle persone che hanno solo un genitore giapponese e in generale si usa per indicare la comunità multietnica in Giappone. Perché è così difficile essere “hafu”? Ti sono mai capitati episodi di discriminazione? “Ho parlato proprio di questo argomento nella mia prima tesi di laurea! Non è assolutamente facile essere ‘hafu’ e il termine stesso rivela che esiste una questione sociale. Quando viene usato ‘hafu’ in riferimento a noi della comunità birazziale, abbiamo la sensazione che vogliano ricordarci che non siamo completamente giapponesi, e quindi siamo gli ‘esclusi’. Qualcuno potrebbe ribattere dicendo che il significato reale del termine non è esattamente quello o quando è stato coniato non ci hanno pensato troppo, ma il problema del nostro paese è proprio questo! Le persone sono davvero poco consapevoli delle questioni etniche e religiose, e preferiscono non informarsi rifugiandosi nella formula ‘non sapevo che’. Personalmente, sono sempre stata presa in giro per il colore della mia pelle, i capelli e l’altezza. E sono certa che purtroppo questo tipo di razzismo, discriminazione e maltrattamento mi capiterà di nuovo quando tornerò in Giappone“. Eppure ci sono tante star dello sport nella comunità birazziale giapponese: dalla tennista Naomi Osaka al cestista dei Washington Wizards Rui Hachimura, dal pitcher dei Chicago Cubs Yu Darvish all’oro olimpico nel lancio del martello Koji Murofushi. Dunque, cosa può fare lo sport per superare le disuguaglianze sociali? “Prendere posizione, condividere la propria esperienza e cercare di sensibilizzare il Giappone alla tematica del razzismo: questo deve essere il primo passo. So cosa vuol dire sentirsi esclusi e avere difficoltà a sentirsi amati. Quindi, continuerò ad approfondire lo studio di questa tematica per averne una migliore comprensione, e un giorno spero di diventare un modello da ammirare per tutti gli atleti birazziali. Mi piacerebbe aiutarli a trovare un modo per amare se stessi perché è molto più difficile di quello che si possa pensare… Insomma, vorrei trasmettere loro una maggiore consapevolezza di quanto ognuno di noi è speciale!“. LEGGI TUTTO

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    Mikala Mogensen, dalla Danimarca alla Bundesliga per inseguire un sogno

    Di Alessandro Garotta Sci di fondo, bob, salto con gli sci, discesa libera. Da sempre i paesi scandinavi si giocano i gradini più alti del podio negli sport invernali, lasciando agli altri solo le briciole, mentre storicamente hanno fatto più fatica ad imporsi nel mondo della pallavolo dove, ad eccezione della favola svedese a fine anni ’80 e di quella finlandese all’Europeo maschile 2007, non hanno mai portato a casa alcun piazzamento internazionale degno di nota. Sulla scia della Svezia di Isabelle Haak (ottava ai recenti Campionati Europei), però, negli ultimi anni i paesi scandinavi hanno fatto grossi passi avanti nel lavoro con i settori giovanili. Così, sta iniziando a farsi largo una generazione di giovani talenti che, se dovesse mantenere le floride premesse iniziali, potrebbe finalmente portare il volley femminile locale a un livello superiore. Oggi vi portiamo alla scoperta di una di queste giocatrici: Mikala Maria Mogensen, ventenne schiacciatrice danese dell’Holte IF, ormai pronta a lasciarsi alle spalle l’aurora boreale, il sole di mezzanotte e il grande gelo per inseguire il proprio sogno pallavolistico. Nella prossima stagione, infatti, giocherà nella Bundesliga tedesca con la maglia dell’USC Münster. Foto Instagram Mikala Mogensen Mikala, raccontaci qualcosa di te. Com’è nata la tua passione per il volley? “Vengo da una famiglia che affonda le sue radici nella pallavolo. I miei genitori si sono incontrati grazie a questo sport, che pratica anche mia sorella maggiore da quando ha 6 anni. Così, anche per me è stato naturale iniziare a giocare all’incirca a quell’età. In realtà, dopo un paio di anni, ho voluto provare anche altre discipline ma nessuna di questa ha attratto il mio interesse quanto la pallavolo. Penso che mamma e papà fossero molto contenti di questo (ride, n.d.r.). Sono una persona a cui piace lavorare sodo per crescere e raggiungere l’eccellenza: è proprio questo che ha alimentato la mia passione per la pallavolo. È uno sport in cui ci sarà sempre qualche dettaglio da sistemare“. Chi erano i tuoi idoli pallavolistici quando eri piccola? “In realtà, non ho mai seguito più di tanto la pallavolo delle ‘grandi’: essendo uno sport minore in Danimarca, la pallavolo non ha mai avuto giocatrici di riferimento abitualmente ritratte in televisione o sui giornali. Pertanto, era mia sorella il modello da cui prendevo spunto. È una grande lavoratrice sia in campo sia fuori, e così ho voluto seguire le sue orme! Ora giochiamo nella stessa squadra e ancora adesso il suo impegno mi motiva a fare sempre meglio“. Quali sono le tappe principali del tuo percorso di crescita? “Sono sempre stata una ragazza alta e questo mi ha dato un vantaggio fin dall’inizio. Ma penso di aver avuto sempre un buon feeling con la palla… Chissà, forse è questione di genetica! Nel 2016 ho ricevuto la prima chiamata dalle nazionali giovanili, con cui ho giocato fino al 2019 e vissuto tante belle esperienze. Invece, ho debuttato nel campionato danese nell’annata 2017-2018 con l’Ikast KFUM, per poi trasferirmi all’Holte IF dalla stagione successiva. Passare dall’ultima squadra del campionato alla prima è stato uno step molto importante per la mia carriera e mi ha fatto venire ancora più voglia di giocare a pallavolo. Questa scelta è stata ben presto ripagata visto che nel 2019 sono stata convocata in nazionale maggiore“. Foto Instagram Mikala Mogensen Qual è stato il momento più bello della tua carriera? “Penso di aver vissuto il miglior momento della mia carriera l’anno scorso, quando sono stata premiata sia come miglior schiacciatrice sia come MVP del campionato. Questo mi ha dimostrato che il lavoro duro paga sempre!“. Com’è giocare a pallavolo in Danimarca? “In Danimarca abbiamo il ‘Kids Volley’, ovvero una versione semplificata della pallavolo che si gioca su un campo più piccolo e in cui si afferra la palla. Questo permette di iniziare a prendere confidenza con questo sport sin da bambini ed è sicuramente il modo migliore per imparare le basi. In generale, la comunità pallavolistica danese è molto piccola, quindi ci si conosce un po’ tutti. I tornei erano sempre dei momenti che attendevo con grande trepidazione perché avevo modo di vedere le mie amiche che giocavano nelle altre squadre. Comunque, la Federazione sta facendo tutto il possibile per far crescere questo sport, ma al momento bisogna trasferirsi all’estero se si vuole fare carriera. Questo è esattamente il mio piano per la prossima stagione“. Stai vivendo la tua quarta stagione all’Holte IF. Come descriveresti questa esperienza? “Penso che la forza dell’Holte sia sempre stata quella di lavorare come se fosse un club professionistico, pur non essendolo formalmente. In questa società ho imparato a lavorare duramente e a focalizzarmi sugli aspetti da migliorare. Ho imparato che per raggiungere i traguardi più importanti bisogna attraversare anche i momenti difficili. Inoltre, qui ho imparato ad assumermi grandi responsabilità e penso che questo mi aiuterà quando diventerò professionista“. E a livello di risultati, come sta andando? “Fin dall’inizio della mia esperienza all’Holte, nel 2018, abbiamo raggiunto grandi successi nella coppa nazionale e nel campionato. Ho grandi aspettative anche per il finale di questa stagione: dobbiamo scendere in campo e giocare con il cuore per vincere di nuovo il campionato“. Che tipo di giocatrice sei? Come descriveresti il tuo modo di giocare? “Sono molto grintosa ed energica. Sia nel mio modo di giocare sia come atteggiamento. Se non dessi sempre il 110% non sarei me stessa“. Foto Instagram Mikala Mogensen Invece, come te la cavi nel Beach Volley? “Quando è arrivato il Covid-19, io e mia sorella abbiamo deciso di iniziare con il Beach Volley per divertimento, dato che non potevamo praticare sport in palestra. Dopo un mese ci siamo rese conto di avere una grande sintonia e così abbiamo iniziato a partecipare al Tour danese. Siamo andate molto bene, ottenendo una vittoria in un Grande Slam a livello élite. Da qui, l’idea di giocare anche l’estate successiva, ma purtroppo al termine della stagione indoor ho subito una distorsione alla caviglia e perciò non ce l’abbiamo fatta. Tuttavia, siamo già d’accordo di tornare a fare tornei sulla sabbia quest’estate, anche perché è un buon modo per restare in forma“. Quali sono i tuoi obiettivi a breve e a lungo termine? “Il mio obiettivo a breve termine è vincere il campionato danese. Abbiamo lavorato veramente tanto in questa stagione, affrontando anche Covid e infortuni: sarebbe dunque straordinario se la mia carriera in Danimarca si concludesse con un lieto fine. Questo perché dalla prossima stagione mi trasferirò all’estero per giocare da professionista. Una delle decisioni più importanti della mia carriera è stata di iniziare a collaborare – ormai un anno fa – con l’agente Christopher Peña. Si sta impegnando al massimo per aiutarmi a diventare la miglior giocatrice possibile, condividendo tutta la sua esperienza. Non ho intenzione di andare a giocare da professionista tanto per provare… Vorrei avere una lunga carriera nella ‘grande pallavolo’ e che il mio nome non venga dimenticato: sono convinta che non ci sia persona migliore di Chris come sostegno per realizzare il mio sogno“. Un’ultima curiosità: chi è Mikala fuori dal campo? Cosa ti piace fare quando non sei impegnata con il volley? “Mi piace molto viaggiare e provare nuove esperienze culinarie. Ma, ad essere sincera, non esiste una Mikala senza pallavolo. Non ho mai vissuto un giorno della mia vita senza di essa. Sui social network seguo praticamente solo pallavolisti e allenatori, il tempo che dedico allo studio è organizzato in base agli impegni sportivi e la pallavolo avrà un ruolo fondamentale nella mia vita anche in futuro. Quindi, non vedo l’ora di girare il mondo giocando a volley!“. LEGGI TUTTO