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    Marta Levinska: “Vorrei portare la pallavolo lettone a un livello superiore”

    Popolazione? Poco meno di due milioni (il solo comune di Milano, per esempio, conta 1,3 milioni di abitanti). Sport più seguiti? L’hockey su ghiaccio in primis, seguito da basket, atletica, calcio e skeleton. La pallavolo? 7 club nel massimo campionato femminile, 9 in quello maschile, circa 10mila praticanti. Non esattamente l’attività fisica più abituale in Lettonia, terra baltica più celebre per il Beach Volley che per la pallavolo indoor, ma non per questo sprovvista di storie da raccontare. Come quella di Marta Levinska, opposta classe 2001 che dopo un bel percorso con le Arizona State University Sun Devils negli Stati Uniti è tornata in Europa per intraprendere la sua carriera da professionista con il PTT Ankara e portare il movimento lettone a un livello superiore, come ha raccontato in un’intervista esclusiva a Volley NEWS.

    Per cominciare, raccontaci qualcosa di te.

    “Gioco a pallavolo da circa 12 anni, 3 e mezzo dei quali passati negli Stati Uniti con la maglia delle Sun Devils. Ho imparato tanto durante la mia esperienza al college, non solo a livello sportivo ma anche per quanto riguarda la conoscenza dell’inglese e la capacità di ambientarsi alla vita in un altro paese. Gli USA mi hanno insegnato cosa sono il duro lavoro e la disciplina, concetti che mi risultano utili anche nella quotidianità. Al di fuori della pallavolo, mi piace leggere libri (soprattutto fantasy, romanzi rosa e gialli), viaggiare e fare road trip insieme agli amici“.

    Com’è nata la tua passione per la pallavolo?

    “Non è stato amore a prima vista con la pallavolo, tanto che dopo i primi mesi volevo smettere. Poi, però, ho partecipato a un camp e mi sono innamorata di questo sport e delle mie compagne di squadra. Penso che ciò che mi ha attratto maggiormente della pallavolo sia stata la possibilità di praticare una disciplina divertente e dinamica in compagnia: mi piace far parte di una squadra, è qualcosa che mi ha aiutato a crescere come atleta. Quando poi ho capito di avere il potenziale per diventare una giocatrice professionista, ho fissato il mio obiettivo e non ho più pensato ad altro“.

    Foto Julia Jacome/The Sun Devils

    Qual è lo status della pallavolo in Lettonia?

    “La popolarità del volley è sicuramente cresciuta negli ultimi anni. È vero, ci sono sport, come l’hockey e il basket, che attraggono più spettatori; la pallavolo lettone può ancora migliorare da questo punto di vista. Però, c’è una nuova generazione di talento che sta crescendo. Quindi, sono molto fiduciosa per quello che potrà fare la nostra nazionale in futuro“.

    Com’è stato il tuo percorso pallavolistico dagli inizi in Lettonia all’esperienza negli Stati Uniti?

    “Direi che all’inizio della mia carriera ho bruciato le tappe abbastanza velocemente: a 13 anni ho iniziato a giocare nella nazionale Under 15, e successivamente ho vinto i campionati juniores. A 17 anni ho ricevuto il premio di ‘Miglior giocatrice lettone dell’anno’; è stato un riconoscimento importante, che ho raggiunto nel 2020 dopo la vittoria del campionato baltico con la Rigas Volejbola Skola. Quando poi sono andata negli Stati Uniti, ben presto ho capito che il livello era molto più alto e richiedeva una maggiore fisicità, tanto che da quel momento ho lavorato duramente sulla velocità e sulla forza. Inoltre, ho imparato a giocare con astuzia e intelligenza, e a sfruttare maggiormente i miei punti di forza. Dunque, l’esperienza in NCAA mi ha reso una giocatrice migliore sotto tutti i punti di vista e mi ha messo alla prova facendomi diventare più forte mentalmente“.

    Cosa ti ha spinto a trasferirti negli USA per il college?

    “Ho deciso di andare a giocare negli Stati Uniti perché sapevo di trovare un livello di pallavolo molto alto e perché volevo completare gli studi con una laurea prestigiosa. Non mi sentivo pronta per diventare professionista subito dopo il liceo; quindi, la NCAA era la soluzione ideale per me“.

    Foto Thomas Fernandez

    Come valuti la tua crescita durante l’esperienza con le Arizona State Sun Devils? E qual è il ricordo più bello?

    “Andare a giocare ad Arizona State è stata la migliore decisione che potessi prendere perché durante questi anni sono cresciuta molto come persona e come pallavolista. Per esempio, ho avuto la possibilità di sviluppare nuove abilità, come la difesa e il servizio, che mi hanno reso una giocatrice a tutto tondo. È stato un percorso che all’inizio mi ha messo alla prova dal punto di vista mentale perché non è stato semplice adattarsi a un nuovo stile di gioco e, in generale, alla vita in un altro paese. L’ultimo anno è stato di gran lunga il più bello perché la nostra squadra ha raggiunto risultati importanti e raccolto i frutti del duro lavoro svolto in precedenza. Non dimenticherò mai la vittoria in casa contro Stanford: nonostante non partissimo con i favori dei pronostici, abbiamo giocato da squadra attuando bene la nostra strategia e sfruttando al meglio i nostri punti di forza“.

    Quali sfide hai dovuto affrontare negli Stati Uniti e come le hai superate?

    “Ci ho messo un po’ ad abituarmi allo stile di gioco e al sistema americano. Ho dovuto curare tanto gli aspetti della dedizione e della disciplina perché non erano così enfatizzati in Lettonia. Inoltre, all’inizio non è stato facile inserirsi nella squadra perché avevo un background molto diverso rispetto alle mie compagne: ho faticato a trovare la giusta intesa. Tra l’altro, sono arrivata proprio durante l’anno del Covid, quando i contatti con le altre persone erano limitati e bisognava seguire rigidi protocolli. Infine, è stata dura anche adeguarsi a nuovi metodi di allenamento, dal momento che non avevo esperienza e conoscenza per quanto riguarda il lavoro con i pesi: ho svolto un grande lavoro per costruire la mia muscolatura e ho dovuto spingere al massimo per vedere qualche risultato perché inizialmente sentivo di essere più indietro rispetto ad altre compagne di squadra da questo punto di vista“.

    È appena incominciata la tua carriera da professionista. Quali ragioni ti hanno spinto a scegliere la Turchia, e in particolare il PTT Spor Ankara, come prima destinazione?

    “Ho scelto il PTT perché gioca in uno dei migliori campionati al mondo ed è senza dubbio una sfida interessante per me. Il club mi ha fatto una buona offerta e si è dimostrato disponibile nei miei confronti: sapendo che non sarebbe stato facile accasarmi a stagione in corso, ho trovato molto attraente la proposta. Inoltre, ho sentito parlare bene della città di Ankara. Perciò, è stato facile scegliere il PTT come destinazione per fare i primi passi da professionista“.

    Foto Arizona State Sun Devils

    Cosa ti aspetti da questa nuova avventura?

    “Mi aspetto di essere messa alla prova e di elevare il mio livello di gioco. So che non sarà facile visto che è la mia prima esperienza da professionista, ma allo stesso tempo la vedo come una sfida affascinante perché solitamente si cresce di più quando la strada è più ripida. Avrò anche la possibilità di giocare contro alcuni dei club più forti al mondo. Quindi, sono convinta che questa nuova avventura mi possa aiutare a mettere nel mio bagaglio di giocatrice tanta esperienza“.

    Se dovessi descriverti come giocatrice a chi magari non ti ha mai visto giocare, come lo faresti?

    “Mi descriverei come una giocatrice piuttosto aggressiva. Però, mi piace anche giocare di astuzia con colpi che fanno innervosire le avversarie“.

    Quali sono i tuoi obiettivi pallavolistici a breve e a lungo termine?

    “I miei obiettivi breve termine sono di disputare una grande stagione con il PTT Ankara e di mettere in mostra le mie qualità anche a livello professionistico. Invece, a lungo termine, mi piacerebbe giocare nei club più forti del campionato turco e di quello italiano, così come portare la pallavolo lettone a un livello superiore e arrivare in fondo ai Campionati Europei con la nazionale“.

    di Alessandro Garotta LEGGI TUTTO

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    Yasemin Guveli: “Dopo l’infortunio sono diventata una nuova giocatrice”

    Di Alessandro Garotta

    Il talento è quella scintilla luminosa che permette a chi lo possiede di fare cose fuori dall’ordinario, di andare oltre il consentito e, soprattutto, di sognare in grande; la differenza, ai fini dell’ottenimento del risultato, la fa la quantità di convinzione, forza di volontà e spirito di sacrificio che si associano al talento innato. Cosa succede però quando la testa e il talento vanno di pari passo e il futuro sembra tingersi in fretta dei colori giusti, ma un grave infortunio prova a divorare la carriera di una delle giocatrici più talentuose della pallavolo turca?

    La risposta l’ha data Yasemin Guveli, centrale classe 1999 dell’Eczacibasi Dynavit Istanbul che, dopo aver saltato praticamente tutta la stagione 2021-2022 per la rottura del legamento crociato anteriore, quest’anno è tornata a brillare, desiderosa di riprendersi ciò che il destino le ha procrastinato nel tempo.

    Foto Eczacibasi Spor Kulubu

    Yasemin, per iniziare raccontaci come ti sei appassionata alla pallavolo e quali sono i tuoi primi ricordi da giocatrice.

    “Ho iniziato a giocare a pallavolo più per la mia altezza che per un reale interesse. All’inizio mia madre non voleva nemmeno che praticassi questo sport, ma mio padre mi ha sostenuto e mi portava agli allenamenti: ha fatto grandi sacrifici per me, soprattutto nei momenti più difficili. Anche il mio insegnante di educazione fisica alle elementari mi ha sempre incoraggiato a giocare. Ricordo ancora le ore trascorse a lanciare la palla contro il muro perché nel club c’erano giocatrici più brave. Ma a un certo punto una ragazzina si fece male e così mi ritrovai titolare al suo posto. Dopo sei mesi, venni chiamata dall’Eczacibasi“.

    Eri giovanissima quando sei arrivata all’Eczacibasi. Come descriveresti la tua esperienza in questo club?

    “Per me questo club rappresenta una vera e propria famiglia. Mi hanno sostenuto economicamente, mentalmente e moralmente, nei momenti più belli e nei momenti più difficili. È il sogno di ogni giocatrice avere la possibilità di crescere nelle giovanili e poi giocare in prima squadra. Quando ero nell’academy, nutrivo il sogno di esordire con le ‘grandi’ e lavoravo ogni giorno per raggiungere questo obiettivo. Dunque, l’Eczacibasi ha avuto un ruolo fondamentale nella mia carriera: è un club speciale e sono orgogliosa di farne parte. Speriamo di ottenere grandi successi nel prossimo futuro, perché questa società se li merita“.

    Foto Eczacibasi Spor Kulubu

    C’è stato un momento in cui hai capito di essere pronta a giocare da titolare per l’Eczacibasi?

    “Quattro anni fa, quando sono andata in prestito in un’altra squadra del campionato turco (il Karayollari, n.d.r.), ho avuto la possibilità di giocare con maggiore continuità, diventando la miglior centrale a muro della stagione. Dopo questa esperienza sono tornata all’Eczacibasi e ho cercato di sfruttare ogni opportunità. Così, nel 2019 ho giocato il mio primo Mondiale per Club e sono riuscita a fare bene anche in Champions League. Successivamente ho fatto del mio meglio per continuare a migliorare le mie prestazioni sia con il club sia in nazionale“.

    Un brutto infortunio al ginocchio ti ha fatto perdere praticamente tutta la scorsa stagione. Quali erano i tuoi pensieri quando i medici hanno confermato la rottura del legamento crociato?

    “Ero distrutta quando mi è stata comunicata la diagnosi. Sapevo che il recupero sarebbe stato molto lungo; però, avevo buone ragioni per tornare in campo. Così, nonostante tutte le difficoltà, ho cercato di farmi forza accettando quello che mi era successo: il giorno in cui mi ero fatta male, avevo già iniziato a ballare nella mia stanza muovendo le stampelle a ritmo di musica (ride, n.d.r.). Dopo aver fatto ritorno a Istanbul ed essermi sottoposta all’intervento chirurgico, ero positiva riguardo al mio rientro. A quel punto ho pensato soltanto a lavorare, credendo fortemente in me stessa, per tornare più forte di prima. Devo dire che durante il periodo del recupero, ho ricevuto dalle mie compagne di squadra, dai membri dello staff, dalla dirigenza, dai medici del club e dai tifosi un grande supporto, che mi ha fatto stare meglio“.

    A livello mentale è stata dura?

    “Anche se non ero preparata e non avevo mai subito gravi infortuni prima di allora, sono tornata in campo come una Yasemin completamente nuova. Mi hanno detto che sono cresciuta di almeno 5 anni dopo questo stop: in effetti, ho riempito il mio bagaglio di esperienza e ho imparato così tanto che mi sento più forte a livello mentale. Forse non sarei convincente se dicessi che è stata una cosa positiva quella che mi è capitata, ma se oggi ho una convinzione e una motivazione maggiore è anche grazie ai giorni duri che ho vissuto a causa dell’infortunio. Allo stesso tempo, ho colto l’opportunità di guardare le mie compagne e i miei allenatori al lavoro da osservatore esterno: penso che questa esperienza mi abbia fatto capire meglio alcune dinamiche sia dentro sia fuori dal campo“.

    Foto Eczacibasi Spor Kulubu

    Ad ottobre hai pubblicato un post su Instagram con questa frase: “1 yılın ardından yeniden sahada” (“Dopo un anno sono di nuovo in campo”). Quali emozioni hai provato al rientro?

    “Ricordo quel momento come se fosse ieri. Avevo condiviso una foto al termine della mia prima partita di allenamento ed ero talmente emozionata che mi tremava la mano. Dopo tutto quello che avevo passato, quel post simboleggiava la mia vittoria ed era di buon auspicio per il futuro“.

    Passiamo al presente e parliamo della stagione dell’Eczacibasi. Com’è il bilancio finora?

    “La nostra stagione sta andando bene. Siamo una squadra forte e molto equilibrata, ancora imbattuta in campionato: sappiamo quanto sia importante per noi vincerlo e quanto sia importante ottenere il pass per la prossima Champions League. Nel complesso, la nostra forza è di giocare ogni partita con grande concentrazione e motivazione. Così siamo riuscite a sviluppare una mentalità vincente. Inoltre, le lezioni che abbiamo imparato dalle sconfitte al Mondiale per Club e in Coppa di Turchia ci hanno fatto crescere, quindi affronteremo le restanti partite con più sicurezze. Spero che al termine della stagione la squadra sorridente sarà quella con la maglia arancio e bianca“.

    Sei contenta delle tue prestazioni? Dove pensi di poter migliorare?

    “Sì, al momento sono contenta. Ma ciò che mi rende più felice delle mie prestazioni è la determinazione e la forza di volontà nel lavoro in un momento della stagione in cui di solito le giocatrici iniziano ad accusare stanchezza fisica e mentale per il numero elevato di partite giocate. Avevo una grande fame di fare bene dopo il lungo stop, dunque ora sto facendo del mio meglio per dare un buon contributo alla squadra e continuerò a farlo anche nel periodo più intenso della stagione. Dal momento che nel mio vocabolario non esistono espressioni del tipo ‘sono soddisfatta’ o ‘mi sento arrivata’, per me è normale voler dare sempre di più in attacco, a muro, in difesa, dentro e fuori dal campo“.

    Foto Eczacibasi Spor Kulubu

    La prossima estate sarà molto stimolante per la nazionale turca. Ci stai già pensando? Cosa ne pensi di Daniele Santarelli come nuovo head-coach?

    “Sta per iniziare una nuova era per la nazionale turca e, come tutte le giocatrici, sono molto carica. Per quanto posso vedere da fuori, Santarelli è un allenatore con una notevole capacità di comunicazione e grande entusiasmo. Sono convinta che darà un contributo importante sia in termini di stimoli sia di rapporti umani. A me non resta che continuare a fare del mio meglio per poter tornare in nazionale dopo l’assenza per infortunio. Rappresentare il proprio paese è il sogno di ogni atleta. E io voglio indossare di nuovo la maglia della Turchia. Ci saranno tre tornei importanti e – come sempre – la nostra nazionale punta ad andare sul podio e vincere medaglie. Spero che quest’estate il colore delle medaglie sarà oro“.

    Quali sono i tuoi sogni per il futuro?

    “Quando ero piccola, volevo diventare una pallavolista forte e giocare in nazionale. Dopo aver raggiunto questi traguardi, i miei sogni si sono spinti oltre e cerco di coltivarli sempre con grande speranza. Innanzitutto sono consapevole del mio potenziale, dunque vorrei proseguire il mio percorso di crescita e diventare una delle migliori centrali al mondo, una giocatrice che le ragazzine possono ammirare e prendere da esempio. Insomma, vorrei essere un’atleta da cui prendere ispirazione grazie al mio gioco e al mio carattere. Perciò, continuerò a inseguire i miei sogni come se fosse il primo giorno“.

    Un’ultima curiosità: chi è Yasemin Guveli fuori dal campo?

    “Penso che la Yasemin vivace, allegra ed esuberante che vedete in campo sia lo specchio della persona che sono nella quotidianità. Amo trascorrere il mio tempo libero in compagnia dei miei cari per mantenere sempre alto il livello dell’energia. La scultura, la lettura e il disegno – che sono stati ottimi compagni di viaggio durante il mio infortunio – ora sono tra i miei hobby preferiti. Ogni tanto, però, mi piace anche stare un po’ da sola, riflettere e ‘ascoltare la mia testa’, dal momento che sono una persona che vuole sentirsi in pace con se stessa“. LEGGI TUTTO

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    Anastasia Guerra: “Stagione travagliata, ma Perugia merita la salvezza”

    Di Alessandro Garotta

    Un’annata partita male non necessariamente terminerà allo stesso modo: è convinta di questo Anastasia Guerra, capitana e leader emotiva della Bartoccini Fortinfissi Perugia. Con carattere, personalità e abnegazione, la squadra umbra ha rimesso in piedi la stagione allontanandosi sempre di più dalla zona retrocessione, e adesso non ha alcuna intenzione di fermarsi. Per analizzare le differenti fasi che hanno contraddistinto il percorso delle “Black Angels”, abbiamo intervistato in esclusiva proprio la schiacciatrice veneta.

    Per qualità tecniche, ma soprattutto per doti umane, sei uno dei punti cardine di Perugia. Avvalendoci proprio di questo tuo status, qual è la chiave di lettura delle difficoltà che avete manifestato nella prima parte di stagione?

    “Sicuramente dobbiamo tenere in considerazione che non abbiamo avuto due allenatori su tre per gran parte della preparazione: è difficile mettere insieme i primi tasselli e gettare le basi della stagione quando manca una parte dello staff, anche se comunque Matteo Freschi ha svolto un buon lavoro. Inoltre, siamo una squadra giovane con giocatrici straniere alla prima avventura nel campionato italiano. All’inizio ci è mancata proprio un po’ di esperienza, che è maturata lavorando in palestra settimana dopo settimana“.

    Foto LVF

    Nel girone di ritorno sembra che ci sia stato un cambio di marcia per quanto riguarda le vostre prestazioni. Come si giustifica questa svolta?

    “La crescita della squadra negli ultimi mesi è stata sostanzialmente dettata dalla consapevolezza di aver trovato una sorta di equilibrio, cosa che per diversi motivi ci era mancata in precedenza. In questo modo sono migliorate le nostre prestazioni e i nostri risultati“.

    Quanto sono stati importanti gli arrivi di Raymariely Santos e Monika Galkowska dalla finestra di mercato invernale e cosa hanno portato al gruppo?

    “Perdere la diagonale principale a stagione in corso è un po’ destabilizzante, ma siamo state brave a trovare rapidamente l’equilibrio di cui parlavo. Le giocatrici arrivate a gennaio hanno portato una ventata di aria fresca all’interno del gruppo e questo ci ha aiutato a fare uno ‘switch’. Così abbiamo messo un punto al nostro percorso fino a quel momento per poi andare a capo e scrivere qualcosa di nuovo“.

    Foto LVF

    Il club ha sempre ribadito la fiducia verso coach Bertini. Questa fiducia, dalla dirigenza verso l’allenatore e da quest’ultimo verso il gruppo, quanto ha inciso sulla crescita della Bartoccini?

    “La società ha sempre manifestato la volontà di proseguire con questo staff: la scelta di dare fiducia al lavoro di Matteo Bertini, ovvero colui che in qualità di allenatore è chiamato a dirigere tutta l’orchestra, ci ha dato una mano nella ricerca del nostro equilibrio. E non è casuale che questa sia la parola più ricorrente dell’intervista. A mio parere, ci stiamo muovendo nella giusta direzione per centrare l’obiettivo salvezza“.

    Novara, Vallefoglia, Chieri e Conegliano: quattro partite particolarmente impegnative sulla vostra strada. Cosa ne pensi?

    “Certamente saranno partite impegnative; però, le definirei anche divertenti perché affrontare questo tipo di squadre mi trasmette tanti stimoli e mi porta a dare il meglio. Dovremo cercare di focalizzarci soprattutto su noi stesse, un concetto che ho sottolineato più volte nell’arco della stagione. Perciò, prepareremo i prossimi impegni con l’attenzione e la cura dei dettagli di sempre per cercare di esprimerci al meglio nei weekend“.

    Foto LVF

    Fare previsioni non è mai facile. Concretamente, però, quanto è reale per voi la possibilità di difendere i punti di vantaggio sulle inseguitrici Pinerolo e Macerata? Quali saranno gli aspetti fondamentali per far sì che da qui alla fine l’obiettivo salvezza diventi realtà?

    “Come ho detto, dobbiamo rimanere focalizzate il più possibile su di noi. Senza dubbio la vittoria contro Firenze ci ha dato un po’ di ossigeno, ma ritengo che nella pallavolo – così come nella vita – non bisogna mai accontentarsi. Per questo motivo, da qui al termine della stagione puntiamo a mettere in difficoltà le nostre avversarie e raccogliere il maggior numero di punti in ottica salvezza: nonostante che sia stata una stagione travagliata, sarebbe un risultato che ci meritiamo sia come persone sia come squadra“.

    Diamo uno sguardo ai tuoi numeri finora: 181 punti con il 34,96% di positività in attacco, il 33,13% di ricezione perfetta, 15 muri e 8 ace in 19 presenze. Sei soddisfatta del tuo rendimento? Dove pensi di dover migliorare?

    “Sono soddisfatta perché in ogni momento ho dato il 100% per la mia squadra. Purtroppo, però, ho dovuto affrontare alcuni piccoli problemi fisici e acciacchi che non mi hanno permesso di essere al top della forma: questo è il mio unico rammarico. Dal momento che sono una giocatrice che non si pone limiti, penso che ci sia sempre la possibilità di crescere in qualche aspetto del gioco. Dunque, ogni giorno cerco di implementare il mio bagaglio tecnico e migliorare nei vari fondamentali“.

    Foto Oreste Testa/Bartoccini Fortinfissi Perugia

    È la tua seconda stagione a Perugia. Cosa ti sta dando questa piazza? Quali sono stati i momenti più belli di questo biennio?

    “I momenti più belli che ho vissuto a Perugia sono legati ai rapporti che ho instaurato con i membri del club dentro e fuori dal campo. Ho trovato persone di grande spessore umano al punto che mi sento come a casa. Questo mi permette di vivere ogni circostanza in maniera positiva e ricavare il lato positivo anche dai momenti difficili. Negli ultimi due anni sono cresciuta tanto come atleta e come persona, quindi non posso che essere grata a questa piazza“.

    Ultima domanda dedicata al tuo futuro: quali obiettivi ti sei posta per i prossimi anni?

    “In generale sono una persona a cui piace vivere nel presente, nel ‘qui ed ora’; perciò, non sono abituata a fare troppi programmi o a crearmi tante aspettative per un futuro ancora lontano. Ovviamente ho fissato alcuni traguardi personali da raggiungere, ma preferisco non rivelarli anche per scaramanzia. Per adesso il mio obiettivo principale è di raggiungere la salvezza con Perugia. Dopodiché, farò un resoconto e valuterò la soluzione migliore per il mio futuro“. LEGGI TUTTO

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    Yuliya Gerasymova: “Sogno una vita normale in un’Ucraina libera e indipendente”

    Di Alessandro Garotta

    La terribile guerra scatenata dalla Russia in Ucraina con l’invasione del 24 febbraio 2022 e i bombardamenti che continuano da oltre un anno stanno sconvolgendo il mondo, quello dello sport compreso. E coinvolgono in maniera ancora più diretta tutti gli atleti ucraini lontani dalla propria patria e comprensibilmente preoccupati per le conseguenze di familiari e amici che risiedono nel paese dell’est europeo.

    Tra questi c’è anche Yuliya Gerasymova, che – dopo una parentesi con le polacche del Roleski Grupa Azoty Tarnów nella prima parte della stagione – si è da poco trasferita al Rapid Bucarest: in un’intervista esclusiva ai microfoni di Volley NEWS, la centrale ha parlato della sua nuova avventura in Romania e ha raccontato il suo stato d’animo per quello che sta accadendo all’Ucraina.

    Foto Volei Rapid

    Da gennaio sei una giocatrice del Rapid Bucarest: quali sono le tue sensazioni per questa nuova avventura?

    “All’inizio dell’anno mi è arrivata un’offerta dal Rapid e ho colto l’occasione al volo. Sono molto contenta di essere venuta qui. Conoscevo già un paio di ragazze, con alcune avevo già giocato in passato mentre altre le avevo affrontate nelle competizioni internazionali. Inoltre, ho trovato uno staff di allenatori davvero bravi. Nonostante che i metodi di lavoro fossero in parte nuovi, mi sono ambientata velocemente: già dal secondo o terzo allenamento mi sentivo come se avessi sempre giocato in questa squadra“.

    Qual è il bilancio delle tue prime settimane a Bucarest? Quali sono le aspettative e gli obiettivi?

    “Come ho detto, sono riuscita ad ambientarmi velocemente: per un’atleta professionista il processo di adattamento a nuovi sistemi di gioco o programmi di allenamento è qualcosa di normale, che capita spesso durante la carriera. Per quanto riguarda la nostra stagione, purtroppo siamo stati eliminati agli ottavi di finale della Challenge Cup. Dunque, ora stiamo convogliando tutte le nostre energie sul campionato e sulla Coppa di Romania. Penso che ogni atleta che si rispetti scenda in campo solo per un obiettivo: vincere ogni partita e dunque alzare coppe“.

    Nella prima parte della stagione hai giocato in Polonia. Cosa ti porti dietro della tua esperienza al Roleski Grupa Azoty Tarnow?

    “Sicuramente non dimenticherò mai le mie compagne di squadra. Al Tarnow ho incontrato belle persone e ho fatto nuove amicizie. Il campionato polacco è molto interessante e con diverse peculiarità. Ci sono un paio di squadre molto forti, contro cui le possibilità di vincere sono piuttosto basse. Ma per il resto ho trovato tanto equilibrio e quasi tutte le partite che ho giocato sono state combattute“.

    Foto Instagram Yuliya Gerasymova

    Giocare all’estero quest’anno è stata una scelta forzata?

    “Quando ho accettato l’offerta dell’SC Prometey per la stagione 2021-2022, ero orgogliosa e felice di poter tornare a giocare in patria dopo sei anni all’estero. Durante questa esperienza sono stata piacevolmente sorpresa dalla crescita del livello della pallavolo ucraina. Potenzialmente sarebbe potuta crescere ancora di più. Ma poi è iniziata la guerra… Per me, la mia famiglia, i miei amici e le mie compagne di squadra è stato qualcosa di scioccante e frustrante. Ad essere sincera, quando la scorsa estate ho firmato con il Roleski, non avevo nemmeno chiesto informazioni sul club, sugli allenatori e sulle compagne.

    Il mio paese brucia e lotta ogni giorno: c’è una guerra in atto. È davvero difficile tenere alto l’umore, lavorare sodo ad ogni allenamento e rappresentare l’Ucraina dentro e fuori dal campo, essendo a conoscenza di tutte le cose orribili che stanno succedendo nel mio paese. C’è stato anche un periodo in cui riuscivo a parlare con i miei genitori soltanto una volta ogni tre o quattro giorni. Vi assicuro che è qualcosa di terribile“.

    Il 24 febbraio 2022 l’Ucraina veniva invasa dalle truppe russe. Cosa ricordi di quel giorno?

    “Eravamo tutti sotto shock. E a dir la verità io sono ancora in questo stato… Prima di trasferirmi in Polonia per la preparazione estiva, ho avuto la sensazione di essere completamente immersa nella nebbia per tre mesi“.

    Foto CEV

    Com’è cambiata la vita in Ucraina?

    “I miei amici sono ormai sparsi in tutto il mondo: in Lettonia, in Canada, negli Stati Uniti, in Turchia e nei paesi dell’Unione Europea. Nessuno sa quando ci potremo rivedere di nuovo e quando potremo tornare in Ucraina. La mia famiglia è ancora a Odessa. C’è stato un periodo in cui mancava l’elettricità dalle 12 alle 24 ore al giorno e tornava a disposizione solo per 2 o 3 ore. Nella mia città le sirene per gli attacchi aerei sono suonate più di 600 volte quest’anno. Per un paio di mesi sono mancati diesel e benzina. La gente non può lavorare e non sa cosa può succedere il minuto dopo. Dunque, come pensate che sia cambiata la vita degli ucraini?“.

    Cosa è successo alle squadre ucraine di pallavolo?

    “La Federazione sta facendo del suo meglio per cercare di portare un po’ di normalità nel nostro paese. Giocatori e giocatrici stanno dimostrando molto coraggio e grande forza nella volontà di scendere in campo, non solo per vincere il campionato o la Coppa di Ucraina, ma anche per il diritto di vivere una vita normale e pacifica in un’Ucraina libera e indipendente“.

    Com’è nata la tua collaborazione con la fondazione benefica “Children victims of the war”?

    “È nato tutto in modo spontaneo. Volevo rendermi utile e così ho deciso di diventare ambasciatrice di questa fondazione benefica. Finora ‘Children victims of the war’ ha aiutato migliaia di persone, soprattutto le persone che sono rimaste nelle zone maggiormente colpite dalla guerra. Abbiamo consegnato oltre 250 tonnellate di aiuti umanitari, soprattutto cibo e beni di prima necessità come medicine, vestiti caldi e salviette per bambini. Saremmo davvero grati per qualsiasi aiuto e donazione“.

    Quali sono i tuoi sogni per il futuro?

    “Come ogni ucraino, sogno solo la pace! Vorrei vedere sorgere il sole sul mare della mia città natale, in un’Ucraina libera e indipendente. Per quanto riguarda la pallavolo, faccio fatica a pensare oltre questa stagione“.

    Ma ti piacerebbe tornare a giocare in Ucraina un giorno?

    “Proprio oggi leggevo questa statistica: l’80% dei 13 milioni di ucraini che sono stati costretti a lasciare le loro case non vedono l’ora di tornare appena sarà possibile. Io sono una di queste persone: voglio tornare a casa e sapere che la mia famiglia, i miei amici e la mia patria sono al sicuro“. LEGGI TUTTO

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    Myriam Sylla: “Alle critiche non penso più. Sono soddisfatta di me stessa”

    Di Eugenio Peralta

    Una nuova città, una nuova maglia, una nuova avventura. Una nuova Myriam Sylla, a cominciare dal nome di battesimo: esatto, Myriam con la “Y”, e non con la “I” come siamo sempre stati abituati a leggerlo negli ultimi 15 anni e rotti. Nessuna variazione all’anagrafe, il motivo lo spiega la stessa schiacciatrice della Vero Volley Milano e della nazionale: “È che all’inizio con la ‘Y’ mi sentivo troppo diversa, così sui social lo avevo scritto in modo più ‘normale’. Poi invece ho imparato che è bellissimo e ho cominciato a scriverlo come si deve“. Risposta che dice già tutto del carattere, e della maturità, che la campionessa azzurra rivela (o meglio, conferma) nell’intervista concessa in esclusiva a Volley NEWS.

    foto LVF

    Togliamoci subito il pensiero: hai guardato Sanremo?

    “L’ho guardato sì, diversamente dagli altri anni, quando non lo vedevo mai. È stato emozionante vedere Paola scendere quelle scale, è stata molto elegante e devo dire che se l’è cavata molto bene. Penso che da casa tutti noi pallavolisti ci siamo un po’ immaginati nei suoi panni, e non so quanti ce l’avrebbero fatta a reggere davanti a un pubblico del genere“.

    E di tutto quello che è successo dopo, e intorno, all’intervento di Egonu cosa hai pensato?

    “Devo dire che spesso alcune frasi vengono estrapolate dal contesto e ingigantite in tantissimi modi differenti. Ci sono tante sfumature nelle parole e tanti modi di analizzarle; bisogna anche capire che Paola è una ragazza giovane, e in alcuni momenti è istintiva. Poi tutti i commenti e i discorsi sui social… be’, sono sempre gli stessi, sono 28 anni che li sento ed è sempre la stessa storia, anzi si va peggiorando. Sinceramente, mi astengo e vado avanti così“.

    Foto Gabriele Sturaro

    Passiamo alla pallavolo giocata. Milano per te è una grande sfida: sei arrivata in una squadra che “deve” vincere, per come è stata costruita.

    “Non lo so se ‘deve’, ma sicuramente vuole vincere. Noi vogliamo arrivare a realizzare i nostri sogni. È una cosa bella ma… ok, da un lato anche brutta, perché a differenza degli anni scorsi in questa stagione non ho ancora nulla in bacheca e siamo in via di costruzione. Sono cambiate tante cose, perché sono cambiate anche le compagne di squadra: integrarsi e creare un nuovo sistema non è mai facile, ma è sempre molto divertente. Un atleta è sempre più stimolato quando ci sono nuove sfide“.

    La pressione c’è alla Vero Volley, ma c’era sicuramente anche a Conegliano. Quali sono le differenze?

    “Be’, sono passata da una squadra che ha vinto tutto e sta ancora vincendo a livello mondiale a una che sta cercando di affermarsi sempre di più, dopo aver già dato filo da torcere all’Imoco. La pressione c’è da entrambe le parti, ma chi gioca in queste squadre vuole proprio questo tipo di pressione: ci stimola essere sempre un po’ sul filo del rasoio, è il nostro lavoro“.

    Foto Rubin/LVF

    Negli anni sei diventata la giocatrice delle partite decisive, quella che dà il meglio nelle semifinali e nelle finali, quando l’obiettivo conta. È qualcosa di voluto o che riesci a gestire?

    “(ride, n.d.r.) Pensa che all’inizio della carriera mi dicevano esattamente il contrario… Ma secondo te, se avessi questo tipo di potere, non lo avrei usato – ad esempio – per vincere la Coppa Italia? Assolutamente per me non esiste il concetto di risparmiare energie, se gioco male è perché gioco male e basta, io faccio sempre ‘all in’ in tutte le partite“.

    Spesso ti è capitato di essere sostituita e di non avere il “posto fisso”, soprattutto in nazionale. Come si gestiscono queste situazioni a livello emotivo e mentale?

    “È capitato spesso e capiterà ancora, perché credo che il posto sicuro non ce l’abbia nessuno. Non è che io non abbia mai subito la cosa: ci rimango male se vado in panchina o se non vengo schierata. Il fatto è che io ho fiducia in me stessa, conosco Myriam e so che ci metterò tutto l’impegno possibile per arrivare al mio obiettivo. Poi se arriva quello che spero sarò ancora più contenta, altrimenti continuerò a lavorare per far sì che avvenga“.

    Foto Volleyball World

    Tra le giocatrici della tua generazione sei quella che è esplosa più tardi, facendo il definitivo salto di qualità quando avevi 22-23 anni. Cosa è cambiato per te in quel periodo?

    “È una questione di occasioni. Prima ero sempre stata la giocatrice ‘sì, ma…’, quella non abbastanza convincente, anzi a dire la verità per qualcuno lo sono ancora. Poi ho avuto la mia occasione con i Mondiali del 2018, sarà che quell’anno sono successe tante cose importanti nella mia vita, ma era ciò che volevo e ci ho messo tutto quello che potevo per arrivare. Quello è stato l’inizio di tutto per me“.

    Davvero c’è qualcuno che ancora, dopo tutto quello che hai vinto, non ti considera “abbastanza convincente”?

    “Lo sento dire spesso, in realtà. Ma non mi interessa. Quando avevo 25 anni ci rimanevo male, mi chiedevo: ‘Perché la gente non mi capisce?’. Adesso ne ho 28, non posso stare ancora dietro a quelle cose. Non ci penso più, quando torno a casa e mi guardo allo specchio vedo un’atleta che si è fatta un c… così per arrivare a quello che si è guadagnata, tra medaglie e premi individuali. Nessuno mi ha regalato niente e io sono soddisfatta. Poi non si può piacere a tutti, come nella vita: anche Paola, che è un fenomeno, ha gente che la accusa di essere scarsa… figuratevi io!“.

    Un’ultima cosa: qual è stata la persona più importante per la tua carriera, quella che ti ha aiutato di più?

    “I miei genitori sono stati l’esempio di quello che sono io. In campo e fuori, il modo in cui mi comporto, è tutto merito loro in primis. Poi ci sono stati tantissimi allenatori che mi hanno aiutato ad arrivare fino a qui, tante compagne di squadra, è difficile citare una persona sola: per arrivare a fare una carriera così hai bisogno di tante persone buone e brave, ma anche di persone cattive, che ti danno contro. Servono anche quelle“. LEGGI TUTTO

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    Chiara Scacchetti: “La Serie A1 resta il mio sogno nel cassetto”

    Di Alessandro Garotta

    Per descrivere quella che al momento è una stagione positiva per la BSC Materials Sassuolo – ma per farla diventare perfetta servirà tenere duro fino alla fine – si potrebbero prendere tante istantanee che rappresentano le vittorie, o sperticarsi in elogi verso le giocatrici che stanno trascinando la compagine di Maurizio Venco. In questo elenco figurano spesso e volentieri i nomi di Aurora Pistolesi, importante punto di riferimento in attacco (specialmente dopo il grave infortunio occorso a Valentina Pomili), di Linda Manfredini, protagonista di una crescita verticale a ritmo esponenziale, o di giocatrici che non deludono mai le aspettative come Federica Pelloni, Federica Busolini e Giada Civitico. 

    Come qualche volta accade, però, non si parla abbastanza dell’elemento che funge da collante, che si preoccupa di far girare tutti gli ingranaggi all’unisono: ci riferiamo a Chiara Scacchetti, metronomo e leader emotivo della squadra emiliana, che si è raccontata in un’intervista esclusiva ai nostri microfoni.

    Foto Idea Volley Sassuolo

    Per iniziare, ci racconti qualcosa di lei e della sua passione per la pallavolo.

    “Sono Chiara, ho 27 anni e mi definirei una persona solare e scherzosa, ma allo stesso tempo molto decisa e tenace quando si tratta di raggiungere gli obiettivi prefissati. Ormai sono passati 10 anni da quando ho deciso di fare della mia passione per la pallavolo un lavoro. È stato amore a prima vista con questo sport, che nel corso del tempo mi ha aiutato a crescere caratterialmente, andare oltre ai miei limiti e imparare a mettermi a disposizione delle compagne, perché nel volley è fondamentale saper dare una mano a chi ci sta vicino ma soprattutto avere la capacità e l’umiltà di farsi aiutare. Quest’ultima non è una cosa scontata. Infine, ci tengo a sottolineare che grazie a questo sport ho scoperto alcuni lati del mio carattere che mai avrei pensato di avere, come una grande dose di forza e determinazione“.

    Come si è avvicinata al volley?

    “Da piccola guardavo ‘Mila e Shiro’, cartone animato che penso abbia fatto appassionare molte bambine alla pallavolo. Inoltre andavo spesso a vedere le partite di mia sorella e da lì è cominciata la mia avventura“.

    Quali sono state le tappe principali del suo percorso pallavolistico?

    “Ho iniziato con il Minivolley a Rubiera, il mio paese d’origine, per poi entrare nella Scuola di Pallavolo Anderlini di Modena all’età di 13 anni: lì ho vinto il mio primo Scudetto e raggiunto diverse finali nazionali a livello giovanile. Nel frattempo, ho avuto l’onore di indossare la maglia della nazionale in un Campionato Europeo pre-juniores, vincendo il premio individuale di miglior palleggiatrice. Dopo il Mondiale pre-juniores, mi sono fermata per un piccolo intervento alla schiena e mi sono trasferita alla Foppapedretti, dove ho finito la trafila delle giovanili ed esordito in Serie B1.

    Nell’estate del 2013 ho partecipato al Mondiale juniores e nella stagione successiva sono rimasta a Bergamo, militando nella squadra di B1 e terminando gli studi liceali. Nel 2015 mi si sono aperte le strade di Serie A1 e A2, e ho vissuto esperienze formative a Scandicci, Ravenna, Chieri e Roma. Dopodiché sono stata per due stagioni a Montecchio Maggiore, ho fatto un anno a Marsala e ora sono a Sassuolo. Queste tappe mi hanno permesso di fare un percorso alla scoperta di me stessa e conoscere tante persone speciali che sono entrate a far parte della mia vita, arricchendola in modo incredibile“.

    Foto Roberto Muliere/RMSport

    Veniamo alla sua avventura a Sassuolo. Come si trova e cosa le piace maggiormente di questa società?

    “Mi trovo davvero bene! A Sassuolo ho trovato una seconda famiglia e non potevo desiderare di più. Ma soprattutto ho incontrato giocatrici forti, che lavorano duramente e si aiutano a vicenda. Penso che questo sia il mix perfetto per dare il meglio di sé in campo“.

    Originaria di Rubiera, cresciuta all’Anderlini e ora a Sassuolo: lo considera un “ritorno a casa”?

    “Certo, mi piace definirlo così, perché proprio quest’anno è nata una collaborazione tra Idea Volley Sassuolo e Scuola di Pallavolo Anderlini. Sono davvero contenta di poter giocare in Serie A per una squadra che collabora con il settore giovanile in cui sono cresciuta“.

    Si aspettava un campionato così positivo dalla sua squadra? Com’è il bilancio finora?

    “Come ho detto prima, a Sassuolo ho trovato compagne di squadra forti, disponibili, con una grande cultura del lavoro, oltre che uno staff serio, preparato, che ci fa lavorare sodo. Questo l’avevo intuito nei primi allenamenti della preparazione estiva e mi ha trasmesso tanta fiducia fin dall’inizio. Penso che il bilancio finora sia molto positivo, dal momento che stiamo lottando alla pari con le prime del nostro girone per cercare di arrivare alla seconda fase nel migliore dei modi“.

    Come vede il prosieguo della stagione? Quali sono i vostri obiettivi?

    “Sicuramente non è un campionato facile: il nostro è un girone molto equilibrato, in cui ogni partita è una battaglia, e perciò non si può mai abbassare la guardia. Gli obiettivi principali sono di continuare a migliorare il nostro gioco velocizzandolo il più possibile e staccare il pass per i Play Off“.

    Foto LVF

    Quanto c’è di Chiara Scacchetti nel suo salto di qualità in questa stagione e quanto è da attribuire al sistema di gioco?

    “Penso che il nostro punto di forza sia un sistema che ci permette di schierare tre centrali e sviluppare un gioco veloce. Ed essendo una palleggiatrice che ama il gioco al centro, mi sto divertendo molto. Non so quanto ci sia di me nel suo salto di qualità: semplicemente cerco di fare del mio meglio, migliorando partita dopo partita grazie all’aiuto delle mie compagne di squadra“.

    Quali sono secondo lei le caratteristiche fondamentali per una palleggiatrice?

    “Ritengo che una delle caratteristiche fondamentali di chi gioca in questo ruolo sia conoscere a fondo le proprie compagne in modo da metterle nelle condizioni migliori quando devono attaccare. Inoltre, è importante essere disponibili nei confronti delle attaccanti e avere un carattere deciso, soprattutto quando bisogna assumersi la responsabilità delle scelte nei momenti delicati delle partite“.

    Quali sono i segreti per riuscire a gestire al meglio la distribuzione di gioco?

    “Sarebbe fantastico essere a conoscenza di questi segreti in termini assoluti, ma ogni partita fa storia a sé; dunque, bisogna individuare quali sono i punti deboli delle avversarie e quali sono le compagne che possono diventare punti di riferimento in attacco. Sicuramente per fare le scelte migliori, in particolare nelle fasi calde dei match, il palleggiatore deve mantenere sempre la mente lucida“.

    Quali sono i suoi sogni nel cassetto, sportivamente parlando?

    “Vorrei vincere il campionato di A2 per riconquistare l’A1, che resta uno dei sogni nel cassetto a cui tengo maggiormente“. LEGGI TUTTO

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    Rok Mozic senza limiti: “Mi piacerebbe diventare uno dei più forti al mondo”

    Di Eugenio Peralta

    Per fortuna la sua età la ricorda lui stesso durante l’intervista, perché altrimenti si farebbe fatica: a 21 anni appena compiuti (lo scorso 17 gennaio) Rok Mozic sembra già un veterano del nostro campionato per carisma, lucidità e, aggiungiamo, straordinaria padronanza dell’italiano. Dopo essere stato la grande sorpresa della scorsa Superlega, ora il talento di Maribor ne è diventato una delle più solide realtà, con quella WithU Verona che ha dato spettacolo in più di un’occasione. E nella nostra intervista esclusiva non fa che confermare il suo approccio maturo, ma al tempo stesso molto ambizioso, al volley di alto livello.

    Come giudichi la stagione di Verona fino a questo momento? Ti aspettavi questi risultati?

    “Di sicuro abbiamo giocato qualche partita molto buona e qualcun’altra male, d’altronde siamo una squadra giovane. Quando tutto va bene però possiamo dare fastidio a tutti, perché fisicamente siamo tra le squadre più forti del campionato. Diciamo che va bene così, ma non sono ancora soddisfatto: potevamo fare meglio. Dobbiamo guardare sempre avanti alla prossima gara, perché ogni weekend può cambiare tutto in classifica e tutte le ultime 5 partite di regular season possono essere decisive“.

    Foto Verona Volley/Udali

    Hai avuto tante offerte lo scorso anno, ma hai deciso di restare in gialloblu. Ci racconti il perché di questa decisione?

    “Sono contento di essere rimasto a Verona e rifarei la stessa scelta anche oggi. Qui mi sento come a casa, tutti mi vogliono bene, si lavora bene; e poi la squadra è più forte dello scorso anno, questa è stata una condizione chiave. Volevo lottare per i Play Off e per arrivare tra i primi 4. In più sono contento di essere un giocatore importante della squadra, mi sento bene in campo e fuori e voglio lavorare per migliorare, personalmente e come gruppo“.

    Come ti trovi con Rado Stoytchev e cosa hai imparato da lui in queste stagioni?

    “Con Stoytchev ho un buon rapporto, anche se non è sempre facile perché lui non è mai contento di niente, vuole sempre spingere di più. Ma è uno degli allenatori più forti in circolazione, sa bene come si vince e sa come costruire la squadra. La sua presenza è uno dei motivi per cui sono rimasto e certamente mi ha portato a migliorare, anche se sono convinto che tanto dipenda da me: sono ancora molto giovane, ho 21 anni e mettendoci testa e fisico posso crescere molto“.

    Foto Verona Volley/Udali

    Quali sono le tue caratteristiche migliori e le cose in cui invece senti di dover migliorare?

    “Sono sempre stato un giocatore forte in attacco, mentre in ricezione credo di essere migliorato, ma devo crescere ancora. Questo è molto importante per la nostra squadra: io, Gaggini e adesso Magalini dobbiamo essere molto affidabili in seconda linea. La battuta è altrettanto importante, perché se battiamo bene il nostro muro, che è molto forte, può creare problemi a tutti. Quindi sì, devo alzare il livello soprattutto in battuta e ricezione, ma anche provare altre soluzioni in attacco e cercare di non spostare troppo le mani a muro“.

    Con la Slovenia venite da una serie di risultati strepitosi. Senti un po’ la responsabilità di dover raccogliere l’eredità di questo gruppo?

    “Be’, per adesso cerchiamo di giocare ancora con questa generazione fino a Parigi: abbiamo ancora Europei e Olimpiadi, adesso il mondo ha visto quanto siamo forti e dobbiamo dimostrare di poterci arrivare. Di sicuro da qui in poi ci saranno più responsabilità per me, ma servono anche altri giovani: abbiamo un po’ saltato in ciclo, visto che nella nazionale c’è un gap di 6 anni tra me e il più giovane. Certamente non sarà facile sostituire questo gruppo“.

    foto Lega Volley

    Da giovane, se così si può dire, hai ottenuto grandi risultati nel Beach Volley. Pensi di tornare sui campi?

    “Adesso è molto difficile, perché appena finisce la stagione ho solo pochi giorni liberi prima di iniziare il lavoro con la nazionale. Se ci sarà un’opportunità alla fine della carriera vedremo, la porta resta sempre aperta. Ma per adesso mi piace troppo la pallavolo indoor!“.

    Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?

    “Il mio sogno è sempre stato giocare in Superlega, adesso che l’ho realizzato il mio obiettivo è diventare uno dei più forti al mondo! Sogno di vincere lo scudetto, le coppe e naturalmente partecipare alle Olimpiadi, che secondo me è una delle cose più belle per uno sportivo“.

    C’è un giocatore con cui ti piacerebbe scendere in campo?

    “Be’, mi piacerebbe essere nella stessa squadra di De Cecco, ha un palleggio incredibile. Anche se già quando ho visto per la prima volta Rapha sono rimasto stupito per il livello eccezionale di certe finte. In generale per adesso sono contento di scrivere una bella storia con questa squadra, poi in futuro si vedrà…“. LEGGI TUTTO

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    Guido Pasciari e il boom del Sitting: “Al primo collegiale c’erano 8 atlete…”

    Di Agnese Valenti

    La pallavolo vista da un’altra prospettiva, nel senso più letterale del termine. La nascita del Sitting Volley e la sua diffusione anche in Italia, specialmente negli ultimi anni, hanno permesso al nostro sport di esplorare nuove frontiere, aprendo orizzonti inediti alle persone con disabilità, ma non solo. Già, perché il volley in versione paralimpica è una disciplina che coinvolge a pieno titolo anche gli atleti normodotati, permettendo loro di approcciarsi allo sport con un diverso punto di vista e una diversa sensibilità, nel segno dell’inclusione.

    A margine di tutto questo sono arrivati, negli anni, i traguardi sportivi: la nascita di un vero Campionato Italiano, la moltiplicazione delle squadre sul territorio, i successi delle squadre di club anche all’estero e, soprattutto, i grandi risultati ottenuti dalla nazionale femminile, che hanno avvicinato al Sitting anche il grande pubblico. Traguardi tagliati grazie all’impegno delle società e della Federazione Italiana Pallavolo, che da anni si è affidata a Guido Pasciari come referente per la disciplina. E proprio al dirigente federale, che è anche presidente della Fipav Campania, abbiamo chiesto di fare il punto sullo sviluppo del settore.

    Foto Instagram Guido Pasciari

    Lei ha dedicato gran parte della sua vita alla pallavolo: nel 2015 la FIPAV l’ha nominata referente nazionale per il Sitting volley. Com’era la situazione della disciplina paralimpica in Italia all’epoca e com’è invece adesso?

    “La FIPAV è entrata a far parte del movimento paralimpico nel 2013, aderendo al CIP, al Comitato Paralimpico Italiano. All’epoca fu costituita una nazionale maschile di Sitting Volley che iniziò a muovere i primi passi partecipando ai Campionati Europei: non ottenne un grosso risultato, ovviamente per l’inesperienza. Sicuramente, l’importanza di quel passaggio internazionale fu l’avere un ritorno di immagine e aprire la possibilità a nuove persone di avvicinarsi al movimento. Poi nel 2015 la Federazione decise di creare anche la nazionale femminile.

    Non mi sarei mai aspettato di essere chiamato: pensavo di poter dare una mano, ma quando mi fu proposto un ruolo così importante, accettai con grande onore questo incarico e da allora è iniziata per me una nuova vita. Sono un allenatore di pallavolo dal 1974, ma il Sitting Volley mi ha cambiato la vita. È la verità: mi ha dato dei punti di vista differenti, sia per quanto riguarda l’approccio allo sport che l’approccio alla vita stessa. Essere vicino e riuscire a dare una voglia di vivere nuova a persone che hanno affrontato delle difficoltà è per me sicuramente motivo di orgoglio.

    La difficoltà principale che abbiamo dovuto affrontare è stato cercare di espandere ancora di più questa disciplina. In Italia non c’è una grossa cultura dello sport: spesso, le persone con disabilità tendono a restare in casa. Quando si è giovani, quando sarebbe fondamentale praticare sport, molto spesso le famiglie, anche per ‘ignoranza’, preferiscono non far uscire questi ragazzi in un mondo che potrebbe sicuramente dare loro tantissimo. Questo ovviamente vale anche per le istituzioni, come la scuola, in cui una società sportiva o una federazione non possono entrare facilmente per cercare nuovi talenti e poterli avviare verso una disciplina sportiva paralimpica, in quello che potrebbe essere un bacino importante“.

    Foto Federazione Italiana Pallavolo

    La nazionale femminile ha raggiunto obiettivi importanti. Due volte argento ai Campionati Europei, nel 2021 ha concluso le Paralimpiadi di Tokyo in sesta posizione, mentre lo scorso anno ai Mondiali è riuscita a raggiungere il quinto posto. Come sta crescendo questa realtà?

    “Nel 2015 ho iniziato a fare delle ricerche su tutto il territorio nazionale e per il primo collegiale convocato, lo ricordo ancora, c’erano solamente 8 atlete, che probabilmente non sapevano nemmeno a cosa andassero incontro! Ricordo ancora l’immagine di queste atlete in palestra con delle espressioni preoccupate, ma ho provato subito a motivarle raccontando loro del nostro primo progetto: andare alle Paralimpiadi di Rio 2016. Sapevo in cuor mio che sarebbe stata una cosa impossibile, ma dopo tre mesi di allenamenti, mi hanno portato in Cina per tentare la qualificazione.

    Ovviamente, il risultato era pressoché scontato, ma non potremo mai dimenticare la prima vittoria assoluta della nazionale femminile contro l’Egitto. Questa gara è stata l’esempio lampante dell’inclusione nel nostro sport. Dalla altra parte della rete c’erano anche atlete con il velo e alla fine della partita non c’era solo la felicità per la nostra vittoria, ma anche il piacere di abbracciare queste atlete così diverse dalle nostre, ma così simili.

    Dopodiché, ho capito che queste atlete potevano e dovevano fare meglio. Mi sono guardato intorno e ho deciso, assieme al Consiglio Federale, di dedicarmi alla parte organizzativa del settore, e ho preso il meglio che in quel momento c’era. Abbiamo deciso di prendere Amauri Ribeiro (oro olimpico a Barcellona ’92 e attuale allenatore della nazionale femminile di Sitting Volley, n.d.r.), che oltre ad essere un grande campione di pallavolo, aveva già realizzato in Brasile quei progetti che io avevo intenzione di fare anche in Italia. Ci siamo incontrati e subito siamo entrati in sintonia: poi sono arrivati il secondo posto agli Europei, ripetuto anche l’anno scorso, il quarto posto ai Mondiale, e poi la prima partecipazione alle Paralimpiadi, a Tokyo 2020, che ci inorgoglisce molto. Ero il capo delegazione della nostra nazionale e per le atlete, entrare nel villaggio olimpico è stata un’emozione immensa“.

    Foto Federazione Italiana Pallavolo

    Lei ha parlato di “inclusione”. Il Sitting Volley è una disciplina in cui gli atleti non hanno la necessità di utilizzare altri supporti e che è quindi aperto sia a persone con disabilità che anche ad atleti che non hanno una disabilità: potrebbe essere questo un modo per far crescere il movimento?

    “Come Federazione, da 5 anni organizziamo il Campionato italiano, la Supercoppa e la Coppa Italia sia con atleti con disabilità che atleti senza disabilità in campo. Questo è l’aspetto più bello di questa disciplina, che mi emoziona ogni giorno. Nel mio ambito, nella mia piccola società sportiva (Nola Città dei Gigli, n.d.r.) tutti i praticanti della pallavolo, tutti coloro che vengono in palestra, dedicano 10 minuti a giocare a Sitting volley insieme a persone più grandi o a persone con disabilità. L’inclusione è l’aspetto più bello di questa disciplina, perché vedere ragazzine e ragazzini di 14-15 anni interagire con un atleta con disabilità, che magari deve togliersi la protesi per giocare, sono aspetti che ancora mi emozionano e credo che emozionino tutti quelli che fanno parte di questo mondo. È un fattore fondamentale per la crescita di questi ragazzi.

    Io credo che il Sitting, partecipare e vedere questa disciplina, sia una molla che possa aiutare a capire valori importanti. Un altro esempio: recentemente, sono stato chiamato da un gruppo di Scout della mia città, Nola, i quali avevano intenzione di far vedere ai loro ragazzi, sui 15-16 anni, cosa voglia dire praticare uno sport paralimpico. Mi hanno raccontato di voler sperimentare questa disciplina proprio per mostrare che lo sport paralimpico è esempio di inclusione e della possibilità di fare qualcosa oltre i proprio limiti. Sono rimasto veramente affascinato“.

    Foto Federazione Italiana Pallavolo

    Lei ha avuto un’importante esperienza a livello internazionale, che l’ha anche spinta a candidarsi come vicepresidente di World ParaVolley: come valuta quest’attività al di fuori dei nostri confini, a contatto con altre realtà paralimpiche? Quali differenze ha trovato tra la realtà del Sitting Volley italiano e le altre?

    “Io mi sono avvicinato al ParaVolley Europe qualche anno fa. Una volta avviata la disciplina in Italia, ho pensato di far conoscere il nostro movimento anche a livello internazionale. Ovviamente, quando l’Italia si è mossa in questo nuovo mondo, è stata accolta a braccia aperte. Ho l’onore di essere parte del Board del ParaVolley come Marketing Director e l’anno scorso sono stato proposto come vicedirettore del World ParaVolley. La proposta mi ha spiazzato: passare da Nola al World ParaVolley! C’è un pizzico di rammarico per il risultato, ma allo stesso tempo è stata una bella esperienza: non avrei mai immaginato di poter raggiungere un obiettivo così importante. L’Italia è entrata in maniera dirompente nel mondo del ParaVolley mondiale: ormai da un paio d’anni si organizzano in Italia finali di Champions Cup, di EuroLeague, importanti manifestazioni internazionali. Quest’anno la Fipav, oltre agli Europei Maschili e Femminili indoor di Pallavolo, organizzerà gli Europei maschili e femminili di Sitting Volley, che si disputeranno in Veneto nel mese di ottobre. Questo è un altro segnale che attesta la valenza della nostra Federazione“.

    Foto Federazione Italiana Pallavolo

    Come si sta sviluppando il movimento del Sitting Volley a livello territoriale e di club?

    “Come sport, siamo un po’ anomali: siamo partiti dall’alto, dalle nazionali, per poi creare attività di club. Si sta riuscendo a lavorare bene con le squadre: anche amministrativamente per il prossimo anno avremo un tesseramento e un’affiliazione dedicate alle società che vorranno fare esclusivamente Sitting Volley. A luglio abbiamo avuto come ospite il presidente del World ParaVolley e del ParaVolley Europe: vedono che l’attività in Italia va bene e stanno crescendo i numeri delle squadre partecipanti ai vari campionati.

    Come dicevo prima, questo è il sesto anno che organizziamo diverse manifestazioni a livello di club, ma quest’anno abbiamo voluto abbracciare l’attività promozionale ai massimi livelli e, grazie all’aiuto che abbiamo avuto dal mondo Rotary, quest’anno inizierà il primo campionato assoluto promozionale dedicato alla Rotary Cup, una manifestazione che è nata qualche anno fa in Emilia Romagna e che si è sviluppata anche a livello interregionale. Quest’anno, grazie ai bellissimi rapporti del nostro mondo, siamo riusciti a coinvolgere Rotary per organizzare questa manifestazione a livello nazionale e ben 20 squadre da tutta Italia si sono iscritte. Ci sarà quindi questo bellissimo campionato misto, tra uomini donne, atleti con e senza disabilità, persone di tutte le età“.

    Foto Federazione Italiana Pallavolo

    Con i Campionati Europei puntate quindi ad avere una maggiore visibilità come Fipav, ma anche come Comitato Paralimpico.

    “Abbiamo intenzione di pubblicizzare i Campionati Europei di Sitting Volley anche sfruttando l’onda di partecipazione e di supporto per quanto riguarda gli Europei di pallavolo. Organizzare nello stesso anno Europei di pallavolo e di Sitting è il segnale di una grande Federazione. Il suo punto di forza sono i rapporti con il CIP del Presidente Luca Pancalli, che ci è vicinissimo, e senza il quale tutto questo non sarebbe stato possibile, grazie al contributo economico del CIP ma soprattutto al contributo di idee che il Comitato riesce a dare. Io tra i due presidenti, Giuseppe Manfredi e Luca Pancalli, raccolgo tante idee e soprattutto consensi per la nostra disciplina.

    Vorrei concludere con un ultimo esempio. Quando sono tornato da Tokyo qualcuno mi ha chiesto: cosa ti ha colpito nel partecipare ad una Paralimpiade? È stato un grande onore andare da capo delegazione a Tokyo con la mia nazionale. Sono stato 21 giorni in Giappone e quello che ho notato è che… non ho notato la diversità. Lo dico con sincerità: non si deve guardare alla disabilità, ma all’atleta. Non ho visto la diversità, ma ho visto atleti e atlete. Abbiamo vinto 69 medaglie, eravamo a casa Italia, con gli altri campioni che hanno inorgoglito tutti quanti. Le Paralimpiadi sono la massima espressione del bello e dello sport. Nei giorni scorsi ho letto una dichiarazione di Alex Zanardi, che diceva: ‘Quando mi sono risvegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa’. Ecco, questa è la logica olimpica e paralimpica“. LEGGI TUTTO