consigliato per te

  • in

    Sinner parla prima di Roland Garros: “Devo migliorare tanto, soprattutto nel fisico. Un sogno? Giocare per un giorno come Federer”

    Jannik Sinner si sta allenando sui campi di Roland Garros a caccia delle migliori sensazioni, per disputare un torneo da protagonista. Inserito nella parte bassa del tabellone con la testa di serie n.8, ipoteticamente potrebbe sfidare Daniil Medvedev, uno dei giocatori finora più ostici per lui. Ha rilasciato un’interessante intervista alla rivista tedesca Tennis Magazin, nella quale parla del suo momento, delle aspettative, dei settori in cui crede di dover migliorare, fisico su tutto. E un sogno “impossibile”…

    “C’è molta pressione in Italia su di noi, ma è normale quando sei così in alto in classifica a un’età così giovane, i tifosi si aspettano molto da te. Tuttavia le aspettative più grandi vengono sempre da te stesso, voglio sempre vincere, voglio sempre migliorare. Quello che dicono gli altri o quello che scrive la stampa viene dopo” afferma Jannik.

    Il suo pensiero in merito alla rivalità con Alcaraz, una delle più attese dal pubblico internazionale: “Speriamo di continuare ad affrontarci, la nostra rivalità può diventare davvero buona. Siamo due bravi ragazzi e anche bravi giocatori che possono raggiungere un livello molto alto. Carlos in questo momento è più avanti nonostante sia più giovane, ha un talento eccezionale. È già fisicamente maturo e ha tutti i colpi”.
    Ecco una risposta chiave, dove pensa di dover migliorare: “Devo ancora migliorare molto, soprattutto dal punto di vista fisico. Se fossi un po’ più forte, alcune cose diventerebbero un po’ più facili per me. Nelle settimane senza torneo faccio molto allenamento fisico, lavoro tanto sul servizio, so di avere del potenziale per crescere, proprio come nel gioco di volo. Onestamente devo migliorare in tutte le aree, vedremo dove sarò tra due anni. So di poter vincere i tornei, l’ho già dimostrato, ma se vuoi vincere i grandi tornei hai bisogno di tante partite ed esperienza. Sconfitte come quella di Djokovic a Wimbledon finiranno sicuramente per essere molto utili”.
    Cahill è un valore aggiunto: “Darren è una bravissima persona, tutta la mia squadra è felicissima di lui, questa è la cosa più importante. Ha allenato molti giocatori diversi, dai giovani ai veterani. Entrambi crediamo che da tutto questo possa venire fuori qualcosa di veramente buono, la fiducia viene sempre prima di tutto per noi”.
    Un suo motto è fare le cose che desidera:  “Se hai voglia di fare qualcosa, fallo. Ho sempre seguito questo motto. Quando avevo voglia di sciare, sciavo. Poi ho iniziato a giocare a tennis perché mi piaceva. A volte il percorso per diventare un top player è fare cose che non vuoi fare. Nel tuo tempo libero, invece, dovresti fare quello che vuoi, cercare di vivere il più liberamente possibile, è importante”.
    Un sogno? “Dev’essere meraviglioso essere Roger Federer per un giorno, giocare a tennis con la sua disinvoltura ed eleganza. Mi stupisce quanto fosse sempre rilassato, sia in campo che fuori. Aveva un grande equilibrio tra allenamento e tempo libero, è sempre stato il mio idolo. Speravo che continuasse a giocare per avere l’opportunità di affrontarlo. Purtroppo non accadrà”.
    Il buon momento del tennis italiano: “Stiamo avendo un grande sviluppo con molti eventi, oltre ai grandi giocatori che abbiamo attualmente. Non dobbiamo dimenticare il numero di tornei ATP Challengers e Futures che abbiamo, questo permette ai nostri di giocare ai livelli più bassi stando in casa tutto l’anno, e quindi facilitare il salto nel circuito ATP. I più giovani ricevono wild card ai tornei in Italia così possono condividere con i migliori e migliorare il mio gioco. La struttura continua a migliorare, ogni volta abbiamo allenatori migliori che possono istruire i tennisti”. LEGGI TUTTO

  • in

    JC Ferrero racconta Alcaraz: “Non so quanti Slam vincerà, ma sono sicuro che lascerà un segno importante”

    Juan Carlos Ferrero con Carlos Alcaraz

    Juan Carlos Ferrero ha parlato del suo assistito Carlos Alcaraz in una lunga intervista concessa al collega francese Cedric Rouquette, nella quale ripercorre gli inizi con un “Carlito” 12enne, passato alla sua accademia per un torneo junior, fino ai giorni nostri, l’essere n.1 del mondo e accostato ai più grandi dell’epoca moderna. Il pensiero di Ferrero è fluido, preciso, analizza le situazioni e risponde in modo chiaro, convinto della forza del suo giovane pupillo e della strada che stanno facendo insieme. Questo è il punto focale della loro avventura finora straordinaria: vanno nella stessa direzione, si fidano l’uno dell’altro e le discussioni sono sempre costruttive verso l’obiettivo di eccellere. Potrebbe sembrare banale, ma non lo è affatto, visto che il rapporto tra coach e giocatore è spesso molto complesso da costruire e mantenere nel tempo. Molto interessante anche il pensiero del campione di Roland Garros 2003 in merito al tennis di oggi: troppa potenza cercando di chiudere il punto senza alcuna flessibilità o capacità tattica. Un gioco monocorde dal quale ha cercato di allontanare il più possibile il suo assistito, che in effetti ha gioco davvero offensivo e vario. Fu bellissimo infatti osservare i due in allenamento nelle mattine delle NextGen Finals 2021: scambi a grande velocità, ma anche continui stop and go. Parlavano, gesticolavano, si muovevano sul campo mimando colpi e schemi di gioco. Venivano provati, definiti, ma anche più volte cambiati, per inserire novità e rendere il suo tennis sempre più completo e imprevedibile. Gli occhi di JC brillavano mentre lo osservava dall’angolo del campo. Forse, immaginava già di vederlo colpire in una finale importante, pregustandosi un futuro radioso.

    “Quando giochi non pensi a fare l’allenatore in futuro” inizia Ferrero, focalizzandosi sul proprio percorso da coach. “Tutto è partito dall’aver fondato e diretto un’accademia (ad Alicante, in Spagna), quando ancora ero in attività. Questo è stato forse il modo ideale per preparare il passo successivo dopo il mio ritiro. Essere il direttore di quest’accademia, vedere i giocatori lì, dare loro consigli, è stato probabilmente un modo per iniziare a essere coinvolto nell’allenamento. Il primo periodo della mia carriera da allenatore è stato con Alexander Zverev, sei mesi nel 2017-2018. È stato bello, un modo per me di tornare sul Tour dopo cinque anni. È stata una grande esperienza e mi ha fatto pensare che avrei dovuto essere coinvolto in un progetto più completo, più difficile, allenare e preparare un ragazzo di grande talento. È stato un bel traguardo, ho potuto preparare le mie conoscenze di allenatore con queste esperienze”.
    Molto decisa la risposta di JC su quel che è diventato il tennis negli ultimi anni: “In questo momento sento che ci sono troppi tennisti che “distruggono” il gioco, non costruiscono il punto. Colpiscono, colpiscono, colpiscono, il più velocemente possibile, per finire il punto. Allo stesso tempo, volevo formare Carlos in un altro modo, stiamo cercando di fare del nostro meglio in questo scopo“.
    Uno dei punti di forza di Alcaraz per Ferrero è il saper giocare in molti modi: “La prima cosa che ho intravisto osservando un giovane Carlos è come poteva essere adattato. È molto difficile trovare un giocatore a cui puoi dire di giocare in modi molto diversi, e poi riesce a farlo in partita. Esempio: per battere Daniil Medvedev nella finale di Indian Wells, abbiamo fatto un piano, e questo piano non era normalmente un piano che Carlos ha sempre. Era un po’ simile, ma non uguale. Carlos è stato in grado di eseguirlo e vincere, anche nettamente. Una delle cose più belle è successa quando aveva 15 anni e già si allenava con giocatori molto più bravi di lui, come Dominic Thiem a Rio de Janeiro. In quel momento Thiem era molto forte, Carlos un ragazzo, ma ha adattato la sua velocità alla velocità di Thiem, che era molto più veloce di quanto normalmente colpisse. Pochissimi possono farlo”.
    Il fatto di essere più imprevedibile rispetto a un Djokovic o un Nadal è un punto di forza, ma pericoloso: “È così bello poter giocare in tanti modi, ma può anche essere una trappola. Quando era più giovane, usava tutte le sue opzioni ma non nell’ordine giusto. In quel momento potevo dire qualcosa di molto preciso a Carlos, ma non avevo idea di cosa sarebbe successo dopo in campo. È difficile giocare con l’ordine giusto quando si hanno tutti questi strumenti. Essendo più maturo ora, più esperto, riesce a mettere tutto insieme e funziona, anche se continuiamo a lavorare. Il suo tennis è lontano dall’essere al 100% del proprio potenziale“.
    Alcuni pensano che Alcaraz sia l’incarnazione del tennista “2.0” perché racchiude punti di forza di Djokovic, Nadal e Federer. Ferrero è cauto, ma… “Lui non ha copiato nessuno, possiamo dire che prendere i migliori esempi disponibili per aggiungerli al tuo gioco, è assolutamente corretto. Il movimento di Federer, la mentalità di Nadal e così via. Cerchiamo di prendere dettagli dai giocatori quando pensiamo che siano super bravi, per aggiungerli al nostro gioco. Ma sai, Carlos ha dovuto sentire in passato che era il nuovo Nadal, ecc… Era molto pesante come aspettativa da reggere. In un certo senso eravamo così orgogliosi, sì, che la gente lo pensasse, ma non era facile per lui e per me sentirlo dire tutto il tempo. L’unica cosa che posso dire è che pensa in grande. Molti giornalisti mi chiedono se può vincere 22 Slam. Non lo so. Quello che so è che è in grado di fare grandi cose per il tennis. Lasciamolo giocare e provare. Se vince il secondo Slam, gli chiederemo quando sarà il terzo. Sarà sempre una grande pressione. Quindi può fare come hanno fatto gli altri? Non lo so, ma sono sicuro che lascherà un segno importante“.
    Si torna al momento in cui i due sono conosciuti: “Aveva 12 o 13 anni quando l’ho visto per la prima volta. Stava giocando nella mia accademia, un torneo che abbiamo. La gente parlava già di lui. ‘C’è un ragazzo che gioca in modo diverso in queste categorie, fa cose strane’. Così sono andato a vederlo. Era così magro, non aveva alcuna forza! Ma si vedevano già le palle corte, amava andare a rete, giocava anche un po’ di chip-and-charge sulle risposte, era diverso perché provava a fare gioco, non solo a vincere. Non era un classico giocatore di 12 o 13 anni. Quello mi colpì subito. Poi dopo qualche tempo arrivò il momento di decidere se allenarlo. È stata una decisione importante da prendere. Era l’opposto di quello che ho vissuto con Zverev in passato. Non era più una vita di jet privati e hotel di alto livello. Ho parlato con mia moglie e la mia famiglia. Una cosa che mi ha aiutato è che viveva a un’ora da casa mia. E il suo manager, Albert Molina, è un ragazzo che conosco da molto tempo. Ho un ottimo rapporto con lui. Costruire un progetto dall’inizio è stato qualcosa di importante per me. La famiglia ha detto OK, siamo partiti. Non sono stato io a chiedere di allenarlo, è stato il manager, è venuto, ha chiesto se il progetto poteva funzionare per me perché sapeva che era qualcosa di diverso da Sascha. Si vedeva che Carlos giocava davvero bene, ma sapevamo di dover costruire tutto, costruire una squadra, preparare la famiglia, ecc. La cosa più importante, da quel momento, è stata che abbiamo costruito una squadra fantastica intorno a lui”.
    La squadra intorno a Carlos è per Ferrero uno dei punti di forza: “Il preparatore fisico e il fisioterapista sono della mia accademia, Juanjo Moreno e Alberto Lledo. C’è anche Alejandro Garcia a Murcia. Albert Molina è il manager. La psicologa è Isabel Balaguer. Juanjo Martinez è il medico. Le persone della mia accademia sono state coinvolte contemporaneamente a me”.
    Ferrero è convinto che il rapporto tra i due sia una delle chiavi del loro successo: “Cervara (coach di Medvedev, ndr) dice che il tennis in sé è la parte più facile del lavoro? Ha ragione. La connessione con il giocatore è decisiva. Allenare deve essere più importante che colpire palle, portare asciugamani, fare esercizi. Devi parlare assolutamente di tutto con il tuo giocatore. Se parli solo di tennis fai un burnout… La nostra relazione, io e Carlos, è così al 100%. Se litighiamo? È normale. Ha il suo carattere, forte. Per essere un buon giocatore, è decisivo averlo. Una cosa che ha veramente è che pensa in grande. ‘Sono in grado di farlo’, questa è la sua mentalità. Mi diceva sempre quando sentiva di essere pronto a vincere qualcosa di nuovo. Ogni passo, mi ha detto. ‘Penso che ora sono pronto’. Me lo disse prima di vincere un Futures quando aveva 15 anni. Quando si è sentito pronto per vincere un Grande Slam, me l’ha detto di nuovo ed è successo”.
    Ferrero pensa che il confronto sia decisivo, senza malizie o voglia di rivalsa da entrambe le parti, anche quando qualcosa non è andato come sperato: “Certamente ci sono cose che so che accadranno in futuro perché ci sono già passato. A volte gli ho detto che avrebbe sbagliato facendo certe scelte. Ha comunque preso la sua direzione e a volte ho dovuto finalmente dirgli ‘Te l’avevo detto’. Ma non se la prende perché tra di noi il rapporto è limpido. Ecco come stanno le cose: lo lascio anche libero di sperimentare le cose perché è ancora così giovane e solo così impara”.
    Da quel che si vede in campo, la curva di apprendimento di Carlos Alcaraz tende davvero all’infinito…
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Flavia Pennetta: “Sinner è ben centrato, Musetti deve ancora capire il suo valore”

    Flavia Pennetta

    Flavia Pennetta ha rilasciato un’intervista a Fanpage nella quale racconta la sua vita di tutti in giorni in famiglia, impegnata nella crescita dei tre figli avuti con Fabio Fognini. Oltre al momento sportivo del marito, l’ex campionessa di US Open 2015 si è soffermata anche su Sinner, Musetti e Berrettini. Riportiamo alcuni passaggi del suo pensiero, sempre interessante.
    “Sono molto contenta della mia vita oggi, anche se non nascondo che con tre figli piccoli a volte ti senti un po’ come… ‘cotta’. La sensazione di non avere molto tempo per te, dopo una vita in cui tutto girava intorno a me. Con i bambini cambia tutto e c’è tanto lavoro. Flavia è passata in secondo o terzo piano, ma cerco di ritagliarmi dei momenti in cui tornare indietro nel tempo e ricordare momenti bellissimi. Nostalgia del tennis giocato? Non rimpiango niente e non vorrei niente di diverso da quello che ho oggi, ma è sempre bello ritrovarsi come giocatrice. Anche come donna e come moglie. Si lavora costantemente sul rapporto di coppia, perché i bambini sono stupendi, ma se non c’è una solidità è difficile. Dicono che i bambini uniscono, ma se non sei una coppia solida e disposta a cambiare questi equilibri, possono anche separare”.
    “Come sta Fabio? Quando cambiano un po’ gli equilibri e l’età avanza, recuperi diversamente, non sei più veloce come prima e fai più fatica. Però dall’altra parte c’è sempre quel talento che non si vede tanto nel circuito. Si vede molta più forza, molta più potenza, con più capacità fisica e meno tecnica. Per questo giocatori come Fabio sono giocatori che divertono molto” commenta Flavia.
    Il discorso si sposta su Matteo Berrettini, in difficoltà in questo 2023 e bersagliato da molte critiche: “Sicuramente tutte le critiche che ci sono trovano il tempo di un giorno e poi spariscono. Noi atleti siamo consapevoli che non si può essere sempre al 100%. La gente non comprende che per noi questo è un lavoro e siamo i primi a voler far bene. Quando andiamo in difficoltà lo percepiamo e chi soffre realmente è il giocatore. Ma siamo abituati ad essere messi sotto torchio. Le critiche per la sua vita privata? Il problema è sempre lo stesso: quando uno inizia a vincere, la gente si entusiasma e dà quasi per scontato che tutto sia dovuto. Ma non è così, perché il tennis è uno sport durissimo. Ti fermi solo due mesi, se ti va bene, ed essere sempre costanti non è facile. Le parole fanno male, te lo dico per esperienza personale. Ti senti accusato, ti vengono dette parole pesantissime perché poi la gente esagera e va fuori di testa. Devi imparare a farti scivolare tutto addosso. Giustamente Matteo ha detto di essere un ragazzo normale e la sua è effettivamente una situazione normalissima. L’ha chiusa lì ed è stato bravo perché ha detto basta subito, non essendoci più nulla da dire”.
    Flavia parla anche degli altri azzurri in alto in classifica: “Sinner è quello più ‘centrato’. Lo apprezzo molto perché ha avuto il coraggio di cambiare determinate cose quando sarebbe potuto rimanere nella sua zona comfort, senza modificare nulla. Lui invece è andato alla ricerca di novità e questa è una gran cosa. Lo vedo lì, c’è poco da dire. Musetti deve ancora realmente capire il suo valore ed essere più sicuro di se stesso. Più ‘valiente’, come si dice in spagnolo. Però ha un gioco bellissimo. Bisogna tenere conto anche delle pressioni che può sentire, dovendo riconfermare l’annata scorsa. Dovrà imparare a farlo. La verità è che sono piccoli, giovanissimi. Quando non sei nessuno e tutto quello che fai non sempre è sotto i riflettori, è più facile. Ma quando diventi un nome la gente inizia a pretendere da te e tutto cambia. Bisogna imparare a fare quel tipo di gestione. È successo a Matteo, è successo a me, a mio marito, a tutti”.
    Chiedono a Pennetta se Camila Giorgi in futuro avrà dei rimpianti per non esser riuscita a modificare il suo tennis e vincere di più, la risposta della brindisina: “Alla fine i rimpianti servono a poco, perché lei sembra molto convinta del suo gioco e del percorso che ha fatto, anche quando molti di noi dicevano che avrebbe dovuto prendere altre strade. Non credo che lei stessa abbia rimpianti. Chi la vede giocare dal di fuori dice ‘se avesse fatto così…’. Ma con i se non si va lontano”. LEGGI TUTTO

  • in

    Djokovic: “Quando mi sento a posto, sono il migliore. Non devo dimostrare niente a nessuno”

    Novak posa con l’ultima coppa degli Australian Open

    Novak Djokovic è la stella dell’ATP 500 di Dubai, al via domani con un main draw molto interessante (presenti gli azzurri Sonego e Arnaldi, il ligure entrato come LL dopo aver perso il secondo e decisivo match di qualificazione, ma terribilmente sfortunato nel sorteggio avendo pescato addirittura il “caldissimo” Daniil Medvedev). In una lunga intervista rilasciata al media locale The National, il serbo ha spaziato su molti temi, da un bilancio della sua lunga e fortunata carriera alla storica rivalità contro Nadal. Rispetta ogni avversario, ma nella sua testa un concetto è chiaro: quando si sente a posto ed è ben preparato, sente di essere il migliore.
    “Certo sempre un equilibrio e ho massimo rispetto verso l’avversario, verso il gioco, l’apprezzamento per il momento e per quello che stai passando. Ma ho molta fiducia in me stesso. Sono consapevole che quando sono pronto e sto bene, su qualsiasi superficie e contro ogni avversario, sono il migliore. Non credo ci sia nulla di arrogante o pretenzioso in questo, non ci vedo niente di sbagliato“.
    I campioni riescono ad allungare sempre più le proprie carriere: “Al giorno d’oggi, Nadal quest’anno farà 37 anni, io 36, LeBron James è vicino ai 40, Federer aveva 40 anni e giocava ancora ai massimi livelli, Tom Brady, Serena, Ronaldo, Messi… è incredibile. È fantastico perché in un certo senso questo ispira anche ai giovani atleti a pensare che possono prolungare la loro carriera, che non pongono limiti mentali solo perché qualcun altro impone loro quel limite, che dopo i 30 sei più o meno è finita, quindi è il momento di pensare alla tua fine. Non c’è davvero fine, nella tua mente”.
    L’intervistatrice chiede a Novak per cosa vorrebbe essere ricordato di più. Djokovic fa una pausa di qualche secondo, quindi afferma: “Direi dedizione e devozione. E tutto ciò che ruota attorno a questo. Sto solo cercando di padroneggiare la mia carriera dedicandomi al massimo, crescendo, migliorando e cercando costantemente il miglioramento. Penso che questo tipo di mentalità, il cercare costantemente di migliorare, migliorare te stesso, il tuo ambiente e, naturalmente, essere d’ispirazione per i giovani atleti di tutto il mondo, sia la cosa che più interessa”.
    Djokovic è tornato brevemente anche sull’annosa questione dell’infortunio patito a Melbourne, cosa che molti rivali hanno messo in dubbio viste l’eccellente prestazioni atletiche del serbo nel corso del torneo. Secca un po’ scocciata la sua risposta: “Ne ho avuto abbastanza di tutto questo. Non ho davvero tempo, energia o volontà per affrontare il giudizio di qualcun altro o dimostrare qualcosa a qualcuno. Ho già accettato il fatto che ci sarà sempre un gruppo di persone a cui non piacerai, a cui non piacerà quello che dici, il modo in cui giochi a tennis o qualsiasi altra cosa nella tua vita privata. Ci sarà sempre un giudizio. Ma diventi più forte da quello. Almeno io cerco di diventare più forte da tutto questo, e lo uso come carburante. Non per sfidarli, ma per alimentare il mio desiderio di essere migliore e più forte”.
    Scontata la domanda sulla “corsa” al migliore tra lui, Rafa e Roger. Articolata la risposta di “Nole, che si dice felice anche se dovesse chiudere la corsa Slam con lo stesso numero di titoli di Nadal: “Sì, sarei soddisfatto ugualmente. Ne vorrei più del mio più grande rivale ma alla fine, quando arriverà quel momento, quando dovrò tracciare un riga e guardare indietro alla storia della mia carriera e a quello che ho raggiunto, anche se mi fermo qui e lui vince altri 10 Slam, dovrei considerarmi complessivamente soddisfatto. Forse ci sarebbe una piccola parte di me che rimpiangerà di non aver avuto più di lui, ma alla fine, quanto è troppo? Qual è il limite?  Me lo chiedo anche perché è un atto di equilibrio come atleta professionista, essendo in uno sport molto impegnativo, è una stagione molto lunga e ci sono molte opportunità: ci sono quattro Slam ogni anno, quindi hai le opportunità. E ovviamente devi avere la mente competitiva, devi avere questa ferocia, l’approccio mentale di un lupo in un certo senso, affamato di sempre di più, perché questo ti spinge, almeno nel mio caso. Ma allo stesso tempo, è necessario equilibrio e e dire, okay, wow, ho raggiunto grandi cose, devi essere orgoglioso, devi essere grato, essere umile al riguardo. Sono entrambi i tipi di personalità con cui devi affrontare e convivere allo stesso tempo”. LEGGI TUTTO

  • in

    Alcaraz si racconta a Vogue: “Vedere Federer era ammirare un’opera d’arte. Dopo la vittoria a US Open ho sentito di aver perso un sogno”

    Carlos Alcaraz su Vogue

    Carlos Alcaraz si è raccontato in una lunga intervista (con annesso servizio fotografico) rilasciata al magazine Vogue. Il giovanissimo campione di El Palmar si è soffermato su molti aspetti della sua vita, giovinezza e carriera attuale. Ha voglia di vincere, imponendo quel suo tennis esuberante, senza alla ricerca del punto e del gran colpo, ma ammette come la vittoria a New York gli sia costata a livello di maturazione. È come se dopo quel successo non si fosse sentito più quel bambino che rincorreva il sogno di sempre, e ripartire è stato difficile. Riportiamo alcuni passaggi dell’intervista.
    “Rafa è qualcuno che ho sempre guardato”, afferma Carlos. “Lo ammiro molto. Ma Federer… la classe che aveva, il modo in cui proponeva il tennis alla gente, era bellissimo. Guardare Federer è come guardare un’opera d’arte. È eleganza, ha fatto tutto magnificamente. Sono rimasto incantato da lui”.
    Nelle pause degli allenamenti, studia anche inglese: “Sono migliorato, ma ho ancora molta strada da fare! Film? Sì! Sylvester Stallone. Sai: Rocky Balboa…”.
    Un altro dei suoi hobby è giocare a scacchi. Proprio come Daniil Medvedev: “Gli scacchi sono un mio grande hobby, li amo. Doversi concentrare, giocare contro qualcun altro, la strategia, dover pensare alle prossime mosse. Penso che tutto questo sia molto simile al campo da tennis. Devi intuire dove l’altro giocatore manderà la palla, devi muoverti in anticipo e cercare di fare qualcosa che lo metta a disagio. Quindi ci gioco molto, mi diverte e penso che sia molto utile”.
    Recentemente è diventato testimonial per l’intimo di Calvin Klein, ma in realtà al momento il mondo della moda non lo affascina così tanto: “Mi vesto in modo molto semplice, e per ora non ci presto tutta quest’attenzione. Nemmeno a cose più costose, come le auto. Se mi piace qualcosa, magari lo compro, è mio padre che si prende cura dei miei guadagni. L’unica cosa per la quale vado matto sono le sneakers Nike”, afferma Carlos”. vado a cercare alcuni modelli vintage difficili da trovare e che sono piuttosto costosi, è roba esclusiva. È questo è il genere di cose che compro, se mi piacciono. Ci sono alcune Jordan, alcune Dunk Low, alcune che Travis Scott ha rilasciato. Voglio avere una grande collezione, questo è il mio obiettivo, comunque. Adesso ne ho circa 20 ma ne avrò molte di più!”.
    Ha parlato dell’importanza della psicologa Isabel Balaguer che lo segue da un po’ di tempo: “Mi ha aiutato molto, ero un po’ …sopra le righe. Non controllavo bene le mie emozioni, mi arrabbiavo di brutto. Quando avevo 15 o 16 anni lanciavo la racchetta in giro, o ne rompevo una, e questo metteva a rischio il mio gioco perché non mi controllavo. Sapevo che dovevo migliorare sotto questo aspetto. Grazie a Isabel sono migliorato molto. Sentirsi sereni durante un anno così impegnativo è fondamentale. E dal mio punto di vista, è fondamentale scendere in campo sorridendo, sentendosi felici. Questo ti aiuta mentalmente. Per me è tutto”.
    Ammette che tornare in campo dopo il grande successo a US Open, essere diventato il n.1 più giovane di sempre, è stato difficile. Ha capito per la prima volta il significato della parola stress, della pressione. Che tutto era cambiato di colpo e doveva trovare dentro di sé nuovi stimoli: “New York è stato incredibile, ma… la verità è che quando sono dovuto tornare in torneo c’è stato un momento in cui ho detto ‘Stress! ..e ora?’. Forse non avevo pienamente compreso quello che era successo. O forse, istintivamente, ho realizzato di aver perso un sogno. Penso che quello che è successo è che quando ho visto che avevo raggiunto ciò che sognavo da quando ero un ragazzino, inconsciamente quell’aspirazione si è come un po’ offuscata. È stato difficile. Perché nessuno si stava divertendo più! Io in campo, no; Juanki no, vedendomi così spento e privo di quel fuoco. Ho pensato, dove vado adesso?”
    Parole molto interessanti, che raccontano come questo formidabile talento stia crescendo in campo e come uomo. Pronto a nuove grandi sfide. LEGGI TUTTO

  • in

    Feliciano Lopez rientra: “Se avrò wild card al Queen’s, sarà il mio ultimo torneo. Come è cambiato il tennis? Tantissimi soldi…”

    Feliciano con Tsitsipas ad Acapulco 2022

    Feliciano Lopez si appresta al suo ultimo “giro di Tango”. Il 41enne mancino di Toledo, da anni anche direttore del torneo Masters 1000 di Madrid, disputerà questa primavera alcuni tornei, prima di appendere la racchetta al chiodo e dedicarsi interamente al lato manageriale dello sport che l’ha accompagnato per tutta la vita. Con una wild card parteciperà al 500 di Acapulco, poi con altri inviti disputerà i tornei di Barcellona e Maiorca. Invece ha scartato l’idea di partecipare al “suo” torneo di Madrid. L’idea sarebbe quella di ritirarsi sull’erba di Queen’s, torneo a lui estremamente caro, dove ha giocato probabilmente il miglior tennis in carriera nonostante l’età avanzata e vinto i suoi ultimi due trofei (2017 e 2019). Ne ha parlato al quotidiano Marca, insieme ad altre considerazioni sul tennis in generale, a suo avviso cambiato terribilmente soprattutto per i tanti soldi in palio.
    “È confermata la mia presenza ad Acapulco, Barcellona e Maiorca. Ho chiesto qualche altra wild card, come al Queens. Se me lo danno a Londra, il mio ultimo torneo sarà lì. Questa è l’idea che ho in testa” afferma lo spagnolo.
    “Alla fine ho scartato l’ipotesi di giocare a Madrid. Dovrei chiedere l’invito e alla fine non so se ne vale la pena. È un anno molto importante per il torneo con il cambio di tabellone, con tutte le cose che dobbiamo fare nella Caja Mágica. Poter lavorare al meglio senza altre distrazioni ha pesato di più che avere un bel saluto dal pubblico, di cui non ho bisogno e non ne ho neanche tanta voglia. La cosa più coerente è lavorare per il torneo con il cambio di format. Ci sono molte sfide da affrontare”.
    “Mi è sempre stato chiaro che volevo ritirarmi da giocatore, con qualche altro torneo di buon livello”, continua Feliciano. “L’anno scorso ho capito che era giunto il momento e ho preso la decisione. E volevo farlo così finché andava bene. Ecco perché sono andato a Maiorca per prepararmi per alcuni giorni. L’anno scorso ho giocato a malapena dopo Wimbledon, non mi stavo preparando ed è per questo che alla fine mi sono infortunato due volte, infortuni tipici dell’inattività. Non avevo mai avuto problemi muscolari nella mia lunga carriera. La gente si sta comportando molto bene con me, sono grato che mi stiano invitando a partecipare ai tornei”.
    Lo scorso anno “Feli” vinse in doppio proprio ad Acapulco in coppia con Tsitsipas: “Ho conosciuto un milione di giocatori nel circuito ma con Stefanos abbiamo legato subito. È un ragazzo timido, parlo con suo padre, conosco Patricio, il suo agente, da tanti anni. Ci siamo incontrati per giocare un doppio e il rapporto è nato così, a poco a poco. Ci siamo divertiti. Oltre ad Acapulco, potremmo giocare a Barcellona e qualche altro torneo per finire il ciclo”.
    Chiedono se si vede in futuro nel box del greco: “A breve o medio termine, non so se mi vedo davvero come l’allenatore di qualcuno. Non è qualcosa che sto considerando in questo momento. Se si presenta l’opportunità di allenare, la valuterei seriamente perché amo il tennis. Ed essere in grado di fornire a qualsiasi giocatore il mio aiuto e la mia esperienza, sarebbe fantastico, è una idea che non scarto affatto”.
    Feliciano Lopez molto probabilmente resterà nella storia del gioco per l’incredibile record di partecipazioni consecutive ai tornei dello Slam: 79! Un numero pazzesco, che lui stesso considera quasi impossibile da battere: “È evidente che il mio record è difficile o quasi impossibile da battere. Sono passati 20 anni senza mai saltarne uno. Sono stato continuo e un po’ fortunato. Ci sono altri record pazzeschi nella mia epoca, come gli Slam dei grandi Roger, Rafa e Novak, non è tanto i 20 o 22 Slam ma tutto quello che hanno dovuto fare e dare per arrivarci. È qualcosa di incredibile”.
    Dall’alto della sua esperienza, Lopez ha attraversato più generazioni e cambiamenti. A suo dire il tennis è cambiato tantissimo, soprattutto per la montagna di soldi che oggi guadagnano i migliori. Leggendo tra le righe delle sue parole, si intuisce che forse a suo dire i soldi sono quasi “troppi”: “Il tennis è cambiato molto negli ultimi 15-20 anni. Ci sono molti più soldi, davvero tanti di più. E nei tornei dello Slam sono più che raddoppiati. I giocatori non hanno bisogno di giocare tanti tornei per guadagnare quello a cui erano abituati prima. Ricordo Federer che giocava in una finale dell’Australian Open e il venerdì successivo giocava a Bucarest sulla terra battuta. E Rafa ha vinto gli US Open e poi si è recato a Cordoba per giocare a 40 gradi. Questi sono esempi che mi sono appena venuti in mente, ma potrei metterne un milione. Erano già i migliori della storia, ma erano disposti a fare cose che forse i tennisti di oggi non fanno. Comunque per me non esiste competizione più bella della Coppa Davis”.
    Proprio sulla Davis ecco l’ultima risposta di Lopez, molto triste per come sia finita la rivoluzione cercata con Kosmos. “Beh, la questione Davis mi ha reso triste, davvero. Mi è dispiaciuto per la competizione. Sono stato un giocatore di Coppa Davis in diversi formati. Ho sostenuto molto il progetto Kosmos inizialmente, è stata l’azienda che ha avuto il coraggio di scommettere su un cambio di format. Le cose non sono andate bene e per vari motivi gli obiettivi non sono stati raggiunti. Questo non è il momento di cercare qualcuno da incolpare, ma di pensare a cosa succederà d’ora in poi con il torneo. L’International Tennis Federation ha un ruolo perché ha venduto una competizione secolare e ora il tutto torna nelle sue mani un po’ screditata e svalutata. L’importante è che la Coppa Davis abbia ancora una volta l’impatto che ha avuto in passato. È la storia del gioco, spero possa riguadagnare prestigio ma serve molta attenzione per il suo rilancio”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Alessandro Bovolenta: “Ho trovato la mia strada, con l’aiuto di mamma”

    Di Roberto Zucca

    Ho avuto un flash a metà intervista, ossia ricordare che la persona dall’altra parte del telefono ha solo diciannove anni. Premetto che la storia del suo cognome potrebbe sviare da considerazioni troppo emozionali o far virare la conversazione sulla vita di una famiglia che, al di là della pallavolo, è nel cuore di tutto il movimento. Occupiamoci, però, dell’essere Alessandro Bovolenta, dell’essere una delle più grandi promesse del nostro volley, dell’aver già dimostrato a tutti – con le nazionali giovanili e con la Consar RCM Ravenna – che la stoffa, il carattere e il talento ci sono.

    E soprattutto, che tutte queste caratteristiche non sono comprese nel cognome che si porta, ma piuttosto si allenano, si affinano: “Con l’aiuto di mamma – afferma fin da subito Alessandro – Questo va detto, perché lei ha sempre tenuto me e i miei fratelli con i piedi per terra. Sì, le soddisfazioni, piccole o grandi, per me sono arrivate. Ho trovato la mia strada, quello che faccio mi piace. Ma lei mi ha sempre detto che dovevo lavorare e divertirmi. Senza pensare al dopo o a tutte quelle cose che si creano quando una persona inizia ad ottenere qualche successo“.

    In questi si giorni si parla molto di Zaniolo, delle persone che lo circondano che spesso non fanno il suo bene e di un grande talento forse bruciato. Le posso chiedere un’opinione da tifoso e da sportivo?

    “Io sono tifoso della Roma dalla nascita, e spero anche di avere l’opportunità di andare a vedere una partita all’Olimpico con Arianna molto presto. Posso dirle che è un ragazzo che ha avuto molto da questa società e forse era arrivato il momento che anche lui desse qualcosa a questa Roma. Quegli atteggiamenti, quei rifiuti, quei comportamenti e quelle provocazioni non sono stati una scelta vincente, tanto più nei confronti di una società e di tifosi che su di te hanno sempre riversato tanto entusiasmo, oltre ad averti supportato. Nello sport ci vuole rispetto e riconoscenza“.

    Foto Porto Robur Costa 2030

    È questo a cui è stato educato?

    “Senza dubbi. Ho avuto la fortuna di trovare, oltre la famiglia, allenatori e figure che mi hanno insegnato il senso di questo sport e la disciplina alla quale bisogna convertirsi, se si vuole fare un certo tipo di strada“.

    Uno di questi è stato Velasco, durante il periodo in azzurro.

    “Lui è un grande motivatore. Ci ha parlato spesso dell’essere professionisti e del cercare di esserlo, pur non dimenticandosi che i traguardi raggiunti sono paralleli all’età che si sta vivendo. Vincere da ragazzi è un incredibile iniezione di entusiasmo e un grande motore. Ma va vissuto tutto con la consapevolezza dell’età con cui si ottiene quel determinato obiettivo. Soprattutto bisogna viversi la propria adolescenza“.

    Lei come ama viverla?

    “Mi piace trascorrere molto tempo con i compagni di squadra. Mi piace condividere i momenti non solo dentro il campo, ma anche fuori. Mi basta poco per essere felice: una cena, un sushi, in compagnia di amici come Mancini, Orioli, con cui ci conosciamo da sempre. Non le cito tutti i compagni, ma dovrei davvero fare il nome di tutti, perché siamo davvero una bella squadra“.

    La squadra. Ravenna. Tanti giovani su cui scommettere?

    “Una bella scommessa. Una squadra che può fare di più, certamente, ma una squadra di ragazzi entusiasti di potersi giocare la serie A2“.

    foto Lega Volley

    Il quinto posto è a pochi punti. Si punta verso l’alto o verso il basso?

    “Da qualche settimana è arrivato anche Swan Ngapeth, che ha certamente potenziato il reparto degli schiacciatori. Dobbiamo cercare di risalire di qualche posizione. La volontà c’è“.

    Siete tra i pochi ad aver fatto realmente sudare Vibo Valentia in casa propria.

    “Loro sono uno squadrone. Ci sono elementi come Orduna e Buchegger che hanno giocato qui a Ravenna e sono fortissimi. Speriamo di riuscire a fare meglio in casa da noi!“.

    Alessandro Bovolenta che campionato sta giocando?

    “Potrei fare molto di più alle volte, mentre altre viene meglio tutto. In generale non posso lamentarmi. Penso sia un anno importante per me. Ho giocato e provato la scorsa stagione a fare qualcosa che non era perfettamente nelle mie corde, così quest’anno ho cambiato ruolo e con Marco (Bonitta, n.d.r.) stiamo impostando un gioco diverso“.

    Sente la pressione di tutto questo?

    “Come dice Coach Battocchio, bisogna certamente giocare per divertirsi. La pressione è per pochi, ovvero per i privilegiati. Quindi anche se la sentissi, ho imparato e imparerò a gestirla al meglio possibile“.

    Alessandro Bovolenta – Foto Porto Robur Costa 2030

    Per lei si dice ci siano grandi squadre pronti ad attenderla. Mi dica quale sente più nelle sue corde in Superlega.

    “Posto che non ci sto minimamente pensando, le dico che Trento sta facendo davvero un bel progetto con gli italiani e mi piace molto. Modena e Perugia sono piazze in cui ha giocato papà, molto belle. La Lube è una grandissima squadra“.

    Lei è tra l’altro molto legato a Ravenna.

    “Per me è casa“.

    Un luogo del cuore di Ravenna?

    “Casa mia. Attualmente vivo in foresteria con altri ragazzi. Quando posso, e quando ho voglia di respirare l’aria di famiglia, mi rifugio a casa. Il mio cuore resta sempre lì“. LEGGI TUTTO

  • in

    Musetti si racconta in Argentina: “Il rovescio a una mano è il colpo più elegante. È un momento storico per il tennis italiano, la gente lo segue moltissimo”

    Lorenzo Musetti

    Lorenzo Musetti in quel di Buenos Aires ha rilasciato un’intervista al collega Sebastian Torok, pubblicata sulle colonne de La Nacion, nella quale si racconta e parla anche del bel momento che sta attraversando il tennis in Italia. Non a caso il titolo del media albiceleste parla di “Rinascimento” del tennis italiano e di “artista vintage” riferito a Musetti, giocatore che affascina moltissimo gli appassionati in Argentina grazie al suo tennis classico e con movenze eleganti. Riportiamo le parti salienti dell’intervista.
    “Questa è la mia seconda volta in Argentina. La prima ero venuto per i Giochi Olimpici Giovanili, nel 2018. In termini di tennis, non fu il massimo perché persi al primo turno, ma ho comunque dei bei ricordi. Abbiamo molte cose in comune tra l’Argentina e l’Italia, c’è un forte legame, le radici, il calcio, il cibo, il modo di vivere i rapporti…”.
    “Mio padre, Francesco, lavora nell’industria del marmo, mia madre, Sabrina, non ha mai lavorato nel settore; lo ha fatto come segretaria. In città tutto ruota intorno al marmo, ovviamente. È la più grande fonte di reddito. Abbiamo la fortuna di avere cave di marmo e siamo famosi in tutto il mondo per questo”.
    Fanno notare a Lorenzo come i numeri in classifica dei migliori azzurri riprendono quelli degli anni ’70, con Panatta, Barazzutti e Bertolucci. Ex giocatori che il toscano rispetta moltissimo: “Ho molto, molto rispetto per Adriano (Panatta), per Corrado Barazzutti, che è stato il capitano della Coppa Davis. Quando sono entrato nella squadra Davis (2021), il capitano era già Filippo Volandri. Noi giovani dobbiamo guardare al passato e alla storia, è giusto che lo facciamo. Al momento stiamo scrivendo nuove pagine di storia nel tennis del nostro paese e siamo molto orgogliosi di ciò che sta accadendo, ma non possiamo dimenticare ciò che è accaduto”.
    In Italia e Argentina, lo sport principale è il calcio, ma il tennis si è ritagliato un posto sempre crescente: “Assolutamente. Adesso ci sono tante persone che seguono il tennis, che si informano, che si documentano e che di tennis, per dirla in qualche modo, si cibano. Abbiamo Jannik (Sinner), Matteo (Berrettini), (Lorenzo) Sonego, Fabio (Fognini) e (Simone) Bolelli. E ci sono tanti altri giovani che sono fuori dalla Top 100 ma vicinissimi ad entrarci. È un momento storico per il tennis italiano e la gente lo sente e lo vive molto. Penso che quest’anno, a maggio, il torneo di Roma sarà incredibile. E il futuro sarà ancora migliore”.
    Per Musetti il successo del tennis azzurro sta in una serie di eventi che si sono ben incastrati: “È una combinazione di fattori. Un pizzico di fortuna, come sempre. Ma penso che la parte più importante sia che la Federazione italiana aiuta molto i team privati dei giocatori e questo era qualcosa che, nella storia, non era stato possibile, perché non avevano molti soldi o perché avevano un’altra strategia di investimento. Nel mio caso, mi hanno aiutato da junior. Inoltre, avevamo la possibilità di crescere a casa nostra, non soffrire il distacco e andare di tanto in tanto al centro nazionale. Mi hanno dato un preparatore fisico, fondamentale per la mia crescita. Nel mio caso era a 40 minuti dal centro nazionale, più comodo che per altri, ma è stato un vantaggio per tutti. Era la combinazione ideale per vivere, crescere, studiare, potenziarsi…”.
    “Il rovescio a mano è il colpo più elegante? Per me sì. Soprattutto quando lo si tira in lungo linea, amo quel colpo. Mi è sempre venuto in modo naturale. In seguito ho lavorato molto per perfezionarlo, ma sicuramente è il colpo più naturale che ho. A volte ho provato a farlo a due mani, ma non in modo serio. Mi è sempre piaciuto molto il rovescio di David Nalbandian, anche se a due mani. È stato uno dei migliori rovesci di sempre, poteva far quello che voleva. Ho avuto l’opportunità di incontrarlo e parlare con David quando stava allenando (Miomir) Kecmanovic, che è uno dei miei amici e ci siamo allenati molte volte insieme. Uno dei vantaggi del rovescio a una mano è l’aver più soluzioni, e quindi poter creare più opzioni di gioco. Il lato negativo è che devi avere una grande mobilità extra e una forza fisica molto importante, soprattutto sulla terra rossa, dove la palla rimbalza molto e molte volte devi colpire sopra la testa”. LEGGI TUTTO