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    Chris Eubanks, non è mai tardi

    Chris Eubanks, classe ’96

    Fino ad agosto dello scorso anno le partite di Chris Eubanks provocavano in me un sentimento fatto di ammirazione e frustrazione. Ammirazione per il suo essere un magnifico e istintivo produttore di gioco, per quel mix di grazia e potenza nel suo tennis; ma suscitavano anche rabbia per quel rovescio bello ma tremebondo, per quell’apparente pigrizia e soprattutto per la brutta sensazione che Chris, in fondo, non ci credesse per davvero.
    Poi a partire dalle quali degli US Open 2022 le cose sono cambiate. Da quel momento fino a Delray Beach Eubanks ha messo su un record di 26 vittorie e 10 sconfitte, giocando due tabelloni principali degli Slam e approdando a due finali Challenger, perse con Shelton. Una continuità sconosciuta in carriera per il ragazzo di Atlanta, allenato dall’ex giocatore sudafricano e giovanissimo coach Ruan Roelofse (33 anni).
    E adesso, dopo un paio di settimane complicate, l’exploit del Masters 1000 di Miami con le qualificazioni superate e le vittorie nel tabellone principale contro Coric e Barrere. Exploit che ha assicurato per la prima volta a Eubanks un posto nei primi 100 del mondo.
    Quella di Eubanks è una carriera caratterizzata da un lento, ma costante miglioramento. Una crescita avvenuta nell’ombra, a dire la verità, visto che i primi risultati ottenuti da Eubanks nel 2017 avevano illuso il mondo tennistico statunitense di aver trovato un talento pronto ad esplodere. In quell’anno infatti Chris aveva giocato una grande stagione a livello di College, raggiunto i quarti nel torneo di Atlanta, superato le quali nel Master 1000 di Cincinnati e ottenuto una wild card per il tabellone principale degli US Open. I due anni seguenti avevano però visto Eubanks faticare a emergere nel mondo dei Challenger: nel 2018 il nativo di Atlanta registra un record di 38 vittorie e 29 sconfitte, con il successo al Challenger di Leon come miglior risultato, mentre nel 2019 il record di 27 vittorie e 29 sconfitte è piuttosto deludente con la qualificazione ottenuta nello Slam australiano come unico acuto della stagione.

    Chris Eubanks is now into the top 100 in the @PepperstoneFX #ATPLiveRankings for the first time in his career 👏#partner pic.twitter.com/oxeQ7hl7eQ
    — ATP Tour (@atptour) March 28, 2023

    Ma questa è storia. Il presente sono gli occhi limpidi di Chris che faticano a trattenere le lacrime davanti ai microfoni e le telecamere dei media americani presenti a Miami: “It feels good” ripete, “It feels good” per poi sorridere e dire: “Perché sto piangendo? È così imbarazzante… ma no ci si sente bene”.
    C’è dell’orgoglio dietro il sorriso meraviglioso di Eubanks, l’orgoglio di un ragazzo che a 26 anni può dire di essere fra i migliori 100 giocatori del mondo.
    Antonio Gallucci LEGGI TUTTO

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    Tibo Colson, credere nel “processo”

    Tibo Colson (foto Leo Stolck)

    “How much of the process can you endure without receiving the product? I think you’d have to define your interpretation of ‘the product’ before you answer that”.
    Un giorno lessi queste parole sul profilo Instagram del tennista americano Patrick Kypson e si rivelarono per me una vera folgorazione.Il processo di cui scrive Kypson è una metafora per indicare la carriera di un tennista, mentre il prodotto della carriera di un tennista è… Qui la faccenda decisamente si complica. Cosa è questo prodotto? Cosa c’è oltre la fama, le tv, i punti ATP, i successi, i predestinati e il denaro?Quali storie, battaglie e conquiste personali ci sono dietro i tennisti del sommerso del circuito professionistico? Quanto rispetto e quanto interesse merita la loro carriera da guerrieri solitari quasi donchisciotteschi (e fenomeni della racchetta in giro per il mondo? E come provare a dare loro identità e spessore se non attraverso le loro storie?Eccone appunto una.
    Il belga Tibo Colson ha 22 anni ed è un tennista professionista attualmente posizionato alla 667esima posizione mondiale. Ho scoperto Tibo in occasione di uno degli ultimi ITF dell’anno a Trnava in Slovacchia, torneo dove ha raggiunto la semifinale per poi essere sconfitto dalla promessa spagnola Daniel Rincon. Giocatore aggressivo, Colson, un produttore di gioco che per certi versi mi ha ricordato per tipologia di gioco Lucas Pouille, ma con una maggiore incisività nel servizio.Il 2022 è stato il primo anno della sua carriera in cui ha potuto giocare con una certa continuità, soprattutto a partire da maggio. Continuità che gli ha permesso di risalire la classifica grazie alla vittoria di un ITF in Monzambico, alla suddetta semifinale di Trnava e a tre quarti di finale. E prima del 2022?
    Nel 2017 Colson deve abbandonare la carriera junior. Le sue ginocchia, infatti, sono paragonabili a quelle del 32enne Nadal (secondo uno specialista anzi sono in condizioni anche peggiori). Nel 2018 l’intervento chirurgico è inevitabile. Occorrono quasi due anni per superare una lenta e problematica ripresa, ma finalmente nel 2020 Colson è pronto a giocare la sua prima partita (peraltro vinta) nel circuito professionistico in un ITF a Monastir. Il covid frena però il suo rientro e durante l’anno giocherà solo un altro torneo. Il 2021 non comincia nel migliore dei modi, il dolore alle ginocchia continua e Tibo è in grado di giocare solo quattro tornei e si fa strada il timore di dover ricorrere ad un intervento ad entrambe le ginocchia. In agosto però le cose cominciano ad andare meglio. Pur potendosi allenare al massimo cinque volte a settimana, Colson disputa sino alla fine dell’anno undici tornei a livello ITF, con un record di undici vittorie e undici sconfitte.Arriviamo così al 2022 anno in cui, come dicevamo, Tibo Colson ha raggiunto il suo best ranking ed ha assicurato nuove prospettive alla stagione che sta per cominciare.
    Un paio di giorni fa ho fatto alcune domande a Tibo prima della sua partenza per Doha, dove giocherà il primo torneo della stagione. Ovviamente il suo principale proposito per il nuovo anno è di star bene e di essere in grado di giocare ogni settimana al massimo dell’intensità. Ha aggiunto che appena possibile proverà a giocare i tornei Challenger perché è convinto di esprimersi al meglio contro avversari di livello superiore.Gli ho chiesto cosa ha pensato subito dopo aver vinto l’ITF di Maputo, la sua risposta è stata tutt’altro che banale: “Alla fine è stato un piccolo sospiro di sollievo, ma non è durato molto. Ho dovuto giocare l’intero torneo assumendo antidolorifici. Avrei preferito giocare senza dolore piuttosto che vincere il torneo”.
    Ecco che tornano a frullarmi per la testa le parole di Patrick Kypson sul “processo” e sul “prodotto”, e mi accingo a seguire il “processo” di Tibo Colson perché anche se probabilmente non giocherà uno Slam quest’anno, la sua battaglia personale fatta di tenacia, resilienza e passione per il gioco mi appassiona come poche altre cose nel circuito.
    Antonio Gallucci LEGGI TUTTO