consigliato per te

  • in

    Roma, l’orma di Elisa Malomo: “Casa dolce casa”

    Roma Volley Club Femminile

    Di Redazione
    Dopo la prima puntata, dove si parlava del numero di maglia, ecco il secondo appuntamento di questa rubrica della società capitolina.
    “Casa dolce casa”. Quante volte, varcando la porta di ingresso della vostra abitazione, vi sarà capitato di pronunciare queste parole; al rientro da una giornata estenuante o semplicemente iniziata col piede sbagliato, magari scaraventando tutto a terra e gettandovi a capofitto su una superficie morbida a portata di mano. Quante volte avete ricercato quel senso di protezione e serenità che solo la vostra casa era in grado di darvi. Quattro mura e un tetto: un posto sicuro in cui rifugiarsi, dove recuperare le energie prima di riuscire e affrontare il mondo là fuori. Oggi più complesso che mai. La chiamiamo “casa”, come hanno iniziato a fare i latini tanti secoli fa, ma in realtà con questo nome possiamo indicare luoghi diversi, purché ci facciano sentire protetti. Un negozio a cui siamo affezionati, l’appartamento di una persona con cui siamo cresciuti, un ristorante che frequentiamo da quando abbiamo memoria oppure, per i più romantici, la nostra automobile, instancabile compagna di avventure.
    Anche la nostra città di nascita, perché no. Ma se si chiedesse a uno sportivo cosa identifica con il termine “casa”, ci sarebbero buone probabilità per cui la risposta sia “la mia palestra”. Perché? Non è semplice da spiegare, ma è sicuro che una volta provato non si torna più indietro. “La palestra” è quella in cui si entra in un modo, e se ne esce in un altro; quella in cui quel che succede è spesso un segreto, alla stregua di un “Fight Club”. Un luogo che apre le porte della vita, che è capace di prenderci per mano e accompagnarci durante tutte le fasi della crescita umana, sportiva e professionale, il luogo, se non l’unico, dove si entra veramente in contatto con l’altro, il prossimo, il diverso da noi. Ed è così, con un pizzico di magia, che un luogo apparentemente ordinario assume quel valore inestimabile, quella caratura per cui diventa a tutti gli effetti un luogo da proteggere e difendere: la nostra vera “casa”. Per questo, e una serie innumerevole di motivi, senza ci si sente fragili, tristi, incompleti. Dopotutto, vivreste voi senza una casa?
    (Fonte: comunicato stampa) LEGGI TUTTO

  • in

    Roma Volley Club Femminile: prima puntata de “L’ORMA” con Elisa Malomo

    Di Redazione
    “Non so proprio che numero scegliere”. “Tranquillo, con molta probabilità sarà lui a scegliere te”. Questo è l’incipit di una delle tante storie di uno sportivo alle prese con la scelta del numero di maglia. Inciso sul dorso a caratteri cubitali: tanto grande da far sembrare infinitamente piccolo il nome fatto di sole lettere che si staglia poco sopra. In quello spazio occupato dal segno grafico è così evidente la sua caratura. Diffidate da chi vi dice che è solo un mero fattore di riconoscimento in campo, è molto di più. Quel numero sarà un compagno di vita e, in quanto tale, innescherà una serie innumerevoli di emozioni concatenate che vi si attaccheranno addosso come una seconda pelle: rabbia, stupore, gelosia, rammarico, rimpianto, determinazione, gioia. Vi accompagnerà ovunque, davanti a una rete, un canestro, una porta, una pista. Sarà un amico e, in quanto tale, sarà speciale averlo accanto quanto doloroso vederlo allontanare quando le contingenze lo imporranno.
    Il cambio di società o di squadra è una di quelle occasioni. Si arriva con l’emozione di un gruppo, un ambiente nuovo, ma una delle prime impressioni quasi impossibile da contenere sarà: “chissà se qualcuno ha il mio stesso numero di maglia, speriamo di no”. Nel peggiore dei casi, dovrete abituarvi a convivere con un numero diverso: e da mero segno grafico diventerà man mano qualcosa di sempre più rilevante. Un tradimento verso quello precedente? No. Perché la cosa bella dello sport, al di là della sua magia, del vortice di sensazioni in cui ti risucchia, è che tutte le maglie da gioco/allenamento/tornei entrano a far parte di una collezione privata da utilizzare nelle più svariate occasioni. Così che quel numero da cui avete dovuto allontanarvi e che vi ha accompagnato nei momenti più importanti della vostra vita può tornare ad essere indossato in qualsiasi occasione.
    Per questo, e una serie innumerevole di altri fattori, quella cifra stampata sulla maglia da gioco non è solo un numero. Siamo noi atleti, noi uomini: con tutte le nostre fragilità corazzate dai nostri punti di forza. E il numero di maglia, è un grande punto di forza. Se vi si chiedesse di pensare a Francesco Totti o Cristiano Ronaldo, cosa immaginereste per prima cosa? Certo, le rispettive squadre in cui giocano, ma poi arriverebbe l’istantanea dei numeri 10 e 7 stampati sulle loro schiene. Numeri che sono entrati nell’immaginario collettivo facendo il giro del mondo. Perché il numero è un elemento universale, non necessita del vocabolario. Singola o doppia cifra, non ha bisogno di spiegazioni se non quella che gli diamo noi. Vi diranno 23 e penserete a Michael Jordan o a LeBron James, 24 e vedrete il volto di Kobe Bryant, 46 e vi sfreccerà davanti agli occhi la silhouette di Valentino Rossi alle prese con una delle sue prodezze. Ma allora, che cosa è un numero? È identità pura. Un credo.
    E anche se non si mette al dito e non necessita di un sì per consacrare il suo ingresso nella vita di ciascuno di noi, un numero è per sempre.
    (Fonte: comunicato stampa) LEGGI TUTTO