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    Sinner traccia gli obiettivi: “Ho lavorato bene dopo US Open. Non mi interessano paragoni col passato, la sfida è con me stesso”

    Jannik Sinner, n.4 del ranking ATP (foto Getty Images)

    Jannik Sinner è appena arrivato a Shanghai con un volo interno alla Cina, attorniato anche dagli appassionati locali che l’hanno riconosciuto e fermato per molte foto condivise sui social. Il nuovo n.4 al mondo piace, diverte, è un personaggio assolutamente positivo che appassiona in tutto il mondo. La stampa internazionale ha celebrato ieri e oggi la grande vittoria al 500 di Pechino, “apre nuovi orizzonti all’italiano e nel 2024 per lui il limite è solo il cielo” scrive il bravo collega statunitense Chris Oddo.
    Intervistato dal Corriere della Sera, Jannik ha parlato della sua bella vittoria restando assolutamente con i piedi per terra, ed evitando – con classe – di tornare sulle sterili polemiche del post Davis. Un periodo che Sinner ha speso in silenzio, a lavorare. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, non solo per il grandissimo risultato ottenuto battendo uno dopo l’altro il n.2 e 3 del mondo – Alcaraz e Medvedev – ma soprattutto per il suo tennis ancor più aggressivo, incisivo e spettacolare. Riportiamo alcuni passaggi dell’intervista, i più salienti.
    “Del successo di Pechino vado fiero del modo in cui sono stato in campo. I primi due giorni in Cina non mi sentivo bene per niente, poi i problemi con Evans, un po’ meglio con Nishioka, il vomito con Dimitrov. Ho saputo superare le difficoltà, con Alcaraz e Medvedev stavo finalmente bene. Ho imparato dagli errori e mi sono piaciuto” racconta Jannik. “Errori? Quelli commessi all’Open Usa e prima, quando ho vinto il Master 1000 di Toronto e subito dopo sono uscito al primo turno a Cincinnati. Per me è importante non ripeterli. A Shanghai cercherò di vincere almeno un match…”.
    “Le Finals sono l’obiettivo della stagione, ci siamo quasi. Con il lavoro di quest’anno siamo già avanti, poi ci sarà l’investimento sul 2024. Ci vuole equilibrio, nel tennis. La settimana positiva di Pechino può aprirmi altre porte”.
    Capitolo polemiche Davis, Sinner risponde così: “Non so se ho voglia di parlare di questo però sì, sono contento di come mi sono allenato dopo l’Open Usa. Non è che in due settimane ti inventi niente, eh, voi il lavoro non lo vedete ma c’è: giornate lunghissime, tra campo e palestra, io mi sento bene solo se alla fine sono stanco morto, perché vuol dire che mi sono allenato nel modo giusto. Vincere un torneo non cambia la vita ma convalida la bontà di quello che fai. Ho provato cose nuove e servito una percentuale più alta, ma non basta. E non significa che servirò sempre così. La scelta di non andare in Davis alla fine serviva a quello, la programmazione si fa in base agli obiettivi. La differenza che avverto ancora è fisica: i miei movimenti in campo possono migliorare, volée, servizio, tutto può crescere. Non sono arrivato al picco, proprio no“.
    N.4 del ranking, uguagliato Panatta: “La storia la conosco, però andare oltre i risultati degli altri non mi dice niente. Non mi interessano i paragoni con il passato, cioè: voglio diventare forte io, Jannik Sinner, la sfida è con me stesso e la storia la costruisco per me, per nessun altro. Mi interessa condividere questi momenti con le persone che credono in me, i miei parenti e il mio staff. Solo questo conta. Poi vedremo quanto oltre i miei limiti riuscirò a spingermi”.
    Molto interessante la risposta seguente, sul miglioramento continuo e la conoscenza di se stesso, obiettivo superiore anche al battere Djokovic: “Sono impegnato a conoscere il mio cervello, ma serve tempo. Mi interessa capire il 100% di come funziona il mio, soprattutto nelle difficoltà, quando sono stanco o nervoso. Le settimane dopo New York le ho investite anche sulla mia testa e a Pechino spero si sia notato. A Montecarlo lavoro con Formula Medicine: è un modo diverso di allenare la mente. Proverò a riprodurre il modello a Shanghai, che sarà un test importante, sperando che Pechino non sia stato solo un caso!
    Risposte lucide, coerenti e di alto profilo, che raccontano alla perfezione come Sinner sia una persona di livello, consapevole delle sue forze e debolezze, pronto a dare tutto in campo e palestra per raggiungere grandi obiettivi. Non superare altri, ma superare se stesso.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Egonu: “Non sono Wonder Woman”. La batosta olimpica che aiuta a crescere

    Di Redazione In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Paola Egonu, reduce da un’estate in nazionale piena non solo di impegni, ma anche di emozioni contrastanti racconta a Gaia Piccardi come ha saputo trasformare le sue debolezze in energia positiva, dalla delusione per le olimpiadi alla gioia dell’oro europeo. “I primi giorni di critiche dopo la batosta sono stati duri: ho pensato che fosse impossibile resettare la testa in tempo per l’Europeo” racconta la giocatrice azzurra, anche se poi, analizzando a mente fredda quanto accaduto, dice di essere giunta alla conclusione che l’uscita dai Giochi ai quarti di finale non sia stato solo qualcosa di negativo, ma anche utile per crescere, capire come rialzarsi e andare a conquistare l’europeo. Appena rientrata dalla spedizione olimpica Paola confessa di essersi rifugiata a Manchester, dalla sua famiglia: “Mi sono chiusa per una settimana nella mia stanza, staccando da tutto. Non ho risposto né a messaggi né a telefonate. Ho visto le mie serie tv, ho seguito la fiale maschile tra Francia e Russia (quella femminile l’ho rimbalzata, non ne volevo sapere niente), ho mangiato tonnellate di platano fritto, il mio comfort food, ho parlato con i miei e con mia sorella Angela, che mi conosce come le sue tasche e già a Tokyo mi aveva bombardato di messaggi: stai piangendo, vero? Sono tornata piccola e mi sono fatta coccolare da mamma. Le sue parole sono state un balsamo: non sentirti una schifezza Paola, sono comunque orgogliosa di te. E io lì, stecchita sul divano, intorpidita. Però mi è servito“. Alla fine però Paola ha capito quale lezione trarre dalla sconfitta: “Oh sì che l’ho capita. Ho capito che non dipende tutto da me, che non posso fare tutto io. Quello che so fare meglio nel volley è attaccare: il compito che do a me stessa, cioè, è risolvere le situazioni. Ma non può sempre funzionare: sono l’ingranaggio di una squadra, non sono Wonder Woman. Ecco perché sono convinta che Tokyo sia stata una batosta utile per crescere“. Poi uno sguardo al futuro prossimo, che la vedrà impegnata anche lontano dai campi: “Apprezzo ancora la pallavolo: è la mia vita, lo sarà a lungo. Se mi sento solo pallavolista e va male, però, lo vivo come un fallimento. Invece io sono molto di più di una giocatrice di volley: ho altri hobby e passioni, ho amore da dare, farò altri piercing (ne ho tre) e tatuaggi (13), condurrò una puntata delle “Iene” in tv, per i miei 23 anni regalerò a Noir un altro cagnolino, sarà bianco e lo chiamerò Ice. Sono il volley ma non solo. Ogni tanto lo devo ricordare a me stessa“. (fonte: Corriere della Sera) LEGGI TUTTO