Wawrinka (39 anni), Nadal (38), Murray (37), Gasquet (37), Monfis (37) e lo stesso Djokovic (37): c’erano tutti, quest’anno al Roland Garros, i campioni, Grandi anche d’età, i decani del tennis. Un primo turno così al Roland Garros non si era mai visto, c’è da mordersi le mani per non aver comprato il biglietto per il Bois de Boulogne: la prima domenica Gasquet-Coric, Wawrinka-Murray e, a seguire, lunedì, Zverev-Nadal.
La principale curiosità di tutti è se si tratti dell’ultima sfida. Sarebbe tuttavia più interessante chiedersi il motivo che porta questi Grandi a spingersi oltre l’età anagrafica, ad aver sui campi vita dura, spesso durissima, rischiando sconfitte e incidenti. Sono giunti al momento della scelta: andare avanti o fermarsi; sottoporsi ogni volta alla sconfitta amara e mortificante e al giudizio feroce o ricominciare un’altra vita lasciando il tennis, l’essenza; perseverare, continuare ad allenarsi con grande sforzo, nutrendo fiducia in sé stessi, o invece reinventarsi. Nessuno di loro, nelle interviste, nega la difficoltà, eppure restano tenacemente avvinti a quel tennis che li fa ancora sognare e impazzire, amare e logorarsi. Vivono per questi momenti, non importa a che prezzo. Li sognano incessantemente.
Wawrinka, con la sua onesta schiettezza, ha dichiarato: “Io qui sono il più vecchio, non siamo più giovani e abbiamo cercato di dare il massimo. Più gli anni passano, più abbiamo bisogno di lavorare tanto per essere competitivi. Nella mia testa, tuttavia, sono ancora giovane, ragazzo”.
Per gli atleti più tenaci, come dice Etienne Daho nella canzone divenuta spot Renault del RG, é oggi “le premier jour du rest de ta vie” e si vuol prendere la Luna, anche se si hanno già le stelle. Le parole del testo risuonano come un incitamento a dare tutto oggi, spingendosi oltre i limiti: è ciò che fanno questi Grandi sul campo. Pur fiaccati, quando stanno per essere soverchiati dalla stanchezza, quando l’ultimo rimasuglio di vigore sta per spegnersi, riprendono energia e fiducia, le richiamano dal profondo, scandagliano il proprio essere e, con l’imperiosità del campione, gli comandano di reggere, rinascendo come nel primo giorno del resto della loro vita. Di nuovo e per sempre ragazzi, giocano “à tout donner”, come ha detto Gasquet alla fine del suo match vincente.
Certamente affrontare il ritiro rappresenta la sfida più difficile della loro carriera. È un nodo della vita di tutti, non riguarda solo loro, riguarda tutti noi in quanto uomini soggetti a dei limiti. Il momento della pensione è generalmente destabilizzante, e va preparato per poter essere accettato. Per gli atleti in generale, questo momento non arriva lentamente, dopo i sessant’anni. Arriva troppo presto. Con una velocità insospettata, li fulmina come una palla vincente non prevista, li coglie mentalmente impreparati. Per i campioni, smettere è ancora più difficile: flash back martellanti ritornano dall’altra parte della vita come palle che colpiscono al cuore. Tutte le palle dei colpi più belli, quelle a due punti dal match, quelle dei match point dei loro trionfi negli Slam, tutte le palle mancate, che non potranno più vincere, quelle dei rimpianti: tutte insieme arrivano violentemente nella loro testa e li lasciano fermi sul campo, logorati lentamente dal tarlo della irresolutezza. Hanno toccato il cielo con un dito, sono stati al centro del campo, circondati da una folla adorante che ancora li seduce e li ubriaca. Hanno perseguito e raggiunto record, in alcuni casi prima impensabili. Non si arrendono ora facilmente al limite imposto dalla vita, dopo essersi mentalmente formati ad affrontare tutte le sfide, ad essere resilienti. E noi che appassionatamente li seguiamo, viviamo di riflesso questo loro momento e lo alimentiamo di inganni. Li ricordiamo sempre vincenti e contribuiamo, col nostro canto di Sirene, coi nostri cori, a sedurli con le lusinghe di un’eterna vittoria e di un’eterna giovinezza. Celebriamo reiteratamente il loro trionfo, sul campo di Madrid o ammassati sotto il ponte del Foro Italico, mentre loro, di sopra, sfilano malinconicamente.
È proprio ingiusta questa legge della vita: che quando hai passato tutta l’esistenza sui campi da tennis a migliorare i tuoi colpi, quando sei diventato un campione, arriva l’ora di lasciare perché il tuo corpo non ce la fa più a sostenere ritmi competitivi. La mente sa cosa fare ma il corpo, sempre meno, le sta dietro, le gambe non spingono più tanto, non sono scattanti, si infortunano. Hai imparato a reggere la tensione mentale, ma non puoi gestire tutta la stanchezza fisica. Eppure ti piace stare lì, sul campo che è la tua casa, col pubblico che ti dà adrenalina. Il suo supporto e il suo abbraccio ti stimolano a far cose sempre più strabilianti.
È difficile per un 67enne andare in pensione, figuriamoci per uno che ha solo 37 anni! Non si arrendono -Rafa, Nole, Stan, Andy, Richard, Gaël- alla baby pensione! Fino a ieri il preparatore mentale consigliava strategie motivazionali per la resilienza; lo stesso oggi durerebbe fatica a convincerli a lasciare il campo. Hanno dedicato al tennis tutta la vita, spesso sacrificando affetti e vita privata, rischiando infortuni e ora, sulla soglia dei quarant’anni, hanno davanti il vuoto e la solitudine, devono imparare un altro mestiere che li renda felici. Magari quello di marito o padre, finora assenti.
Resta indelebile nella nostra memoria l’addio di Federer a Londra nel settembre 2022, giunto non certo all’improvviso, e intriso di lacrime; le sue, quelle di Nadal che forse prefigurava il proprio, le nostre da casa.
Nel RG dei ricordi legati ai più tenaci, al primo turno gioiamo e soffriamo anche noi con i campioni che al Bois de Boulogne giocano al Philippe Chatrier o al court Suzanne Lenglen. Quest’ultimo, anche in prospettiva dei prossimi Giochi Olimpici, a cui tutti aspirano partecipare, presenta un tetto nuovo, leggero ed elegante, ispirato al plissé della gonna della tennista da cui prende il nome, soprattutto realizzato nei tempi promessi e inaugurato con un emozionante balletto di danzatrici negli inconfondibili panni bianchi della divina ballerina del tennis. Ha la capienza, ma non i tempi, del nostro Centrale del Foro Italico, che resta ancora scoperto.
Qui, in oltre 3 ore di gioco, Richard Gasquet e Borna Coric hanno disputato un match combattutissimo e davvero bello a vedersi. Lo diciamo non “sine ira et studio”, ma non siamo Tacito e avremmo cantato anche noi la marsigliese a squarciagola per incoraggiare Richard che ci regala sempre emozionanti “momenti Gasquet”.
Tra lanci di perle di bellezza, alternati a rapidissimi e artigianali cambi del grip del fondo del manico rinforzato, tra cambi di magliette intrise di sudore e gesti scaramantici con la racchetta, stanco ma mai goffo, Gasquet non sembra voglia stare lí per vincere, ma per giocare quei tocchi che deliziano il pubblico che per lui fa la ola sul Suzanne Lenglen, sotto le bianche vele, gonfie di vento propizio. Al ritmo di “Ri-chard! Ri-chard”, il pubblico di casa sua è in delirio: è infatti la 21esima volta che l’ex enfant prodige, le petit Mozart du tennis français, gioca un RG.
Nella sessione serale al Philippe-Chatrier i 2 campioni sul campo si conoscono molto bene, 6 Slam in 2, 3 a testa; sono giunti insieme nello stesso momento finale di carriera, che vede favoriti tanti ricordi. Murray, esempio di straordinaria perseveranza, è sempre alla ricerca di nuovi stimoli, ha cambiato dopo 20 anni la racchetta perché vuol essere ancora competitivo. Wawrinka, con i suoi 39 anni, a Parigi è il decano; sfodera magnifici rovesci e brekka subito Murray. È una bella competizione fra ex titani del bel tennis: non conta il ranking ma il bel tennis, la sensibilità e varietà di colpi, la creatività che sanno esprimere.
Si soffre, coi Grandi. Nadal -su questa terra rossa ‘recordman’ per le sue14 vittorie- e Djokovic -l’atleta numero 1 per tutti i record conquistati- nel punto in cui pare stiano per crollare, resistono invece per ore, fino all’ultimo colpo, tirando fuori energie insospettabili: Nadal affrontando il “muro” di Zverev, che 2 anni prima era uscito dalla stessa partita sulla sedia a rotelle; Djokovic vincendo 2 partite, più notturne che serali, durate complessivamente più di 9 ore di gioco.
Ammirevoli! Rispettosi del fair di play; grintosi ma senza cattiveria; signorili, applaudono al bel colpo dell’ avversario e chiedono scusa dopo un imperfetto colpo vincente, che tu ti chiedi perché. Cose d’altri tempi, che ricordano la nobile origine di questo sport.
Dimostrano disciplina ed etica del lavoro. E lavorano con passione. Hanno grande rispetto l’uno per l’altro. Nole ha sempre bellissime e non poche parole per i suoi avversari, sia che vinca, sia che perda. Commovente l’abbraccio, a fine partita, tra Wawrinka e Murray, e il loro parlare intimo, oltre il solito: cose private, ha risposto Stan nell’intervista a un curioso Àlex Corretja.
Anche Monfis al RG ha vibrato colpi di grande sensibilità di braccio e con un brillante Musetti, 16 anni di meno, si è battuto da campione, cercando di competere al massimo, applaudito anche dal presidente della Federazione francese Gilles Moretton, nelle vesti di fan: come non comprenderlo?
In campo femminile, le atlete sembrano avere più chance e vivere meglio questa tappa della vita. A inizio torneo, martedì, si è ritirata Alizé Cornet (34 anni) con l’ultimo applauso del suo pubblico. Emozionatissima, dopo 20 anni di tennis e sacrifici, ha confessato di non sapere ancora bene come riempirà il vuoto, forse scriverà romanzi. A 37 anni, invece, Sara Errani vive una nuova giovinezza tennistica, proiettata verso le Olimpiadi, giocando in doppio con Paolini. Il doppio ha vita più lunga e, giocandolo, si può procrastinare la pensione.
Il tempo tuttavia, quasi mai è un signore gentile e il più delle volte bisogna attraversare il dolore, come la consunzione di una lenta malattia, bisogna superare la tentazione, prima di convincersi a cambiare prospettiva. Noi, come Sirene, innalziamo il nostro canto al nostro campione senza cera nelle orecchie e senza funi legate all’albero maestro: vorremmo fermare il suo tempo, ricordandolo nel momento del suo massimo trionfo, lo vorremmo sempre in campo, lontano da un diverso futuro…
Non vogliamo crederlo, ma forse quest’anno, al Roland Garros, è stata l’ultima volta che li abbiamo visti tutti insieme: eseguire, da veri artisti, una sinfonia sul campo, seguendo le note di uno spartito scritto nelle loro più intime corde. Ci hanno dato ancora una volta un grande, emozionante spettacolo, prima di chiudere, malinconicamente, un’ era a cui anche il futuro attingerà per ispirarsi.
Immortali come i grandi sogni che, tenacemente, vivono dentro ognuno di noi.
Gisella Bellantone