Alvaro Bautista ha vinto sabato scorso il suo secondo titolo iridato della Superbike. L’ha fatto dominando Gara-1 sul circuito andaluso di Jerez. Il centauro spagnolo doveva aggiungere due punti a quelli già conquistati nel corso di una stagione piena di successi. Doveva farlo per forza perché il suo avversario andava come un treno e puntava a vincere le tre gare in programma nel fine settimana. Due punti in un fine settimana da tre gare sono pochi ma se ci pensi troppo vai in apnea e inizi a immaginare tutto quello che può andar storto. Il problema è cosa dire ad uno che su 33 gare ne ha vinte 24, più 4 podi e il resto di pole e giri veloci è mancia. Approccio Alvaro con un “non ho niente da dirti se non di definire bene quale sia il target della tua gara” e lui, che è più sereno di tutti, mi risponde che correrà cercando il feeling con la moto e che sta pensando solo al prossimo turno di prove e poi alle qualifiche e poi a Gara-1 e così via. Insomma, mentre noi ci preoccupiamo del futuro e delle innumerevoli variabili e conseguenze che questo potrebbe riservarci, il pilota è focalizzato sull’imminente. Eureka. Questo è tutto.
Lavoro, presente, Ducati
È proprio tutto quello su cui per anni abbiamo lavorato: vivere il presente, l’adesso, il momento d’asfalto che passa sotto le ruote della moto. Con la massima percezione sensoriale. Con tutta la concentrazione che una mente educata per trent’anni alle corse può raggiungere mentre compete. Con un fisico che dichiara la propria inequivocabile volontà al successo definendosi in trecentosessantacinque giorni di allenamenti all’anno. E allora mentre noi, infedeli, rimaniamo piantati all’interno del box a fissare gli schermi dei tempi e alle nostre incontrollabili tachicardie, Alvaro Bautista da Talavera de la Reina vola in pista. Cuore, muscoli e cervello