Chi può battere Roger Federer? E’ questa la domanda che accompagna da settimane tutti i tifosi di tennis, in attesa del via di Wimbledon, terzo major della stagione, il più affascinante, il più atteso. A Londra, King Roger si presenta con la corona in testa, forte degli otto trionfi e della magica cavalcata del 2017. La finale persa a Halle contro Coric gli impedirà, in caso di vittoria all’All England Club, di festeggiare quota 100 nel giardino di casa. In terra tedesca, Roger non ha certo impressionato nel suo cammino, lasciando vedere qualche falla che però in qualche modo il genio di Basilea saprà ricucire da qui all’esordio, previsto nel secondo turno, essendo stato l’elvetico accreditato della prima testa di serie (invertito l’ordine del ranking con Rafa Nadal). Proprio Rafa è uno dei rivali più pericolosi. La stagione sul rosso gli ha regalato i ‘soliti’ trionfi: Montecarlo, Roma, Barcellona e soprattutto Parigi, dove ha centrato l’Undecima, entrando nella leggenda. Il maiorchino non vede la finale a Wimbledon da ben 7 anni e non ha mai nascosto una certa insofferenza per l’erba. Anche nelle ultime settimane, ha preferito restare a Manacor ad allenarsi piuttosto che prepararsi al Queen’s, dove era dato inizialmente nella entry list. Se la condizione lo assiste, non trova sul proprio cammino erbaioli incalliti (Rosol, Darcis, Kyrgios, Dustin Brown e Gilles Muller gli ultimi che lo hanno eliminato precocemente) e riesce a sfatare il tabù ottavi, Nadal resta uno degli uomini più pericolosi per Federer, con i due che si troverebbero soltanto in finale, per un ennesimo capitolo da sogno del Fedal.
Soffia il vento slavo: Cilic e Djokovic
Non è mai stato uno dei ‘big four’, ma è quello che forse ci è andato più vicino insieme a Del Potro. Marin Cilic ha una grande occasione, quella di rinverdire i fasti del suo idolo Goran Ivanisevic, che fece impazzire la Croazia intera nel 2001, andando a vincere Wimbledon. Marin è in forma strepitosa, come dimostra il trionfo al Queen’s. Ha l’esperienza dalla sua parte, avendo vinto uno Slam e con altre due finali disputate, l’ultima delle quali lo scorso anno contro Roger Federer. Un match giocato alla pari nei primi scambi, fino alle vesciche che ne hanno fortemente condizionato la resa. Novak Djokovic sembra aver ritrovato in parte lo smalto dei giorni migliori grazie alla rinnovata collaborazione con coach Vajda, l’uomo che l’ha portato sul tetto del mondo. La semifinale a Roma, i quarti al Roland Garros e la finale al Queen’s (dove ha avuto anche un match point contro Cilic) sono la dimostrazione che il RoboNole è sulla strada del ritorno. Manca però il passo più importante e difficile, ovvero quello della vittoria, già assaporata in tre occasioni sul Centrale londinese.
Cavallo pazzo Kyrgios, Zverev e gli altri
L’abusato termine ‘genio e sregolatezza’ per Nick Kyrgios è fin restrittivo. L’australiano, tornato dopo una lunga assenza per infortunio proprio per disputare la stagione sull’erba, passa da momenti in cui è da considerare tra i primi 2-3 giocatori del mondo a gesti folli come quello che gli ha causato una pesante multa per atti osceni durante un cambio campo ad Halle. Dopo Federer e Chardy è il giocatore con il miglior record sull’erba del 2018 e a Wimbledon si è fatto scoprire battendo Nadal nel 2014: se non va fuori giri, può andare oltre i quarti, suo miglior risultato a Londra. Sascha Zverev è sempre alla ricerca della sua prima affermazione in uno Slam, così come Grigor Dimitrov: i due, se in giornata, possono battere chiunque, King Roger compreso. Impossibile non citare Del Potro, se in condizione e sano fisicamente, così come i bombardieri come Anderson, Isner e Raonic. Discorso a parte va fatto per Andy Murray, tornato da pochi giorni in campo dopo un’assenza lunga un anno: lo scozzese, due volte campione a Wimbledon, è comunque una mina vagante pronta a far saltare teste di serie.