Come largamente annunciato, e un po’ previsto, hanno fermato la corsa: delle scarpe. Le Vaporfly “evolute” della Nike, ora note come Alphafly Prototype, sotto attacco da due anni e da due anni ferme alla dogana dell’omologazione agonistica, le scarpe “magiche” con cui Eliud Kipchoge (con le dovute personalizzazioni, come accade ad altri supporti come le racchette o gli sci) è sceso per la prima volta sotto le due ore nella maratona maschile (anche qui senza ottenere l’omologazione) e quelle, diverse però, con cui Brigid Kosgei ha migliorato la miglior prestazione mondiale della maratona femminile, non potranno essere utilizzate in competizioni ufficiali sotto l’egida della World Athletics (l’ex Iaaf). Troppi vantaggi. Sarebbe un doping tecnologico e una discriminazione intollerabile, simile per certi versi ai costumi “volanti” utilizzati nel nuoto per abbassare decine di record e poi ritirati. La Nike non è contenta ma nemmeno disperata.
World Athletics modifies rules governing competition shoes for elite athletes.— World Athletics (@WorldAthletics) January 31, 2020
Del resto l’azienda dell’Oregon aveva attivato una campagna col botto, senza ritorno: “La scarpa per battere tutti i record”. Quelle scarpe saranno in vendita (e lo sono già) ma in una versione più “umana”. E chi vuole potrà utilizzarle. Mentre l’Alphafly Prototype di Kipchoge, ossia la Vaporfly “evoluta”, non sarà spendibile per “battere tutti i record”. Quindi la Nike potrà felicitarsi: non si è dovuta scontrare contro il muro della non-commercializzazione del prodotto (che costa comunque moltissimo, poco sotto i 300 euro). Kipchoge si è già esposto, assai contrariato: “In Formula 1 la Pirelli fornisce gomme a tutti ma poi vince la Mercedes. Perché? Perché è più forte. E’ il motore che fa la differenza. O la persona. Ed è la persona che corre una distanza, non la scarpa”. Vero. Ma il punto è che la Nike non fornisce a tutti le scarpe e, di più, lo stesso tipo di scarpe. Non esiste l’atletica monomarca o monomodello. O almeno non ancora. E poi quali sarebbero i vantaggi arrecati? Nascerebbero da due aspetti dell’evoluzione tecnologica: la piastra o soletta (solette) in carbonio e dallo spessore, quasi esagerato, dell’intersuola, che è arrivato a 36 millimetri, che consente di inserire più di un’innovazione chimica o tecnologia in grado di migliorare la spinta, restituire elasticità e di conseguenza far consumare meno ossigeno (a muscoli e polmoni). Senza contare quello strano effetto basculante dell’appoggio che ripropone vagamente l’idea di calzatura sportiva e da riposo, molto in voga qualche anno fa, a partire dalla metà degli anni Novanta, che stava dietro alla cosiddetta “Masai Barefoot” (ma da almeno dieci anni tale idea è entrata in crisi). Il mercato del running ha preso quella direzione. Si stanno adeguando al modello Nike molti dei brand di calzature sportive: Hoka One One, New Balance, presto anche Brooks e Saucony. Ma andranno verso il pubblico grande, escludendo i professionisti.
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Atletica, bocciata la scarpa “volante” della Nike
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