Di Redazione
L’ultima puntata del podcast SandCast, creato dai beacher Tri Bourne e Travis Mewhirter e pubblicato da Volleyball Mag, ha visto come protagonista Adrian Carambula: il nazionale italiano si è raccontato in una chiacchierata di oltre un’ora, focalizzandosi soprattutto sul suo approccio “rocambolesco” al mondo del Beach e sulle sue prime esperienze con la canotta azzurra.
“All’inizio – ha raccontato Carambula – non era una cosa del tipo: ‘Mio Dio, amo questo sport’. Era più tipo: ‘Mi hai appena fatto il c…, domani proverò di nuovo a batterti’. La competizione era quello che contava per me, è questo che mi ha spinto. Sarebbe potuto essere bowling o tennis, ma vivevo vicino alla spiaggia e ci ho provato… Dovevo fare qualcosa di legato allo sport“. Anche il fattore economico è stato però decisivo: “Per me il Beach Volley era prima di tutto un modo per sopravvivere. Sapevo che sarei dovuto diventare bravo in fretta, per cercare di portare a casa qualche soldo“.
Il giocatore nato in Uruguay spiega l’originalità del suo gioco proprio con i suoi inizi da autodidatta: “Fino a quando sono arrivato in Italia a 26 anni non c’era nessuno che mi spiegasse cosa fare. Mi sono arrangiato da solo, in base alle necessità. Ho imparato velocemente che ci sono modi diversi di attaccare, e dovevo trovarne uno o due che mi permettessero di evitare il muro e la difesa avversari“.
Anche il contatto con la Federazione italiana è stato perlomeno singolare: il merito è di Phil Dalhausser, che nel 2014 segnalò il giocatore a Paulao (allora CT azzurro) e organizzò un tryout a Long Beach. “Me la stavo facendo sotto, sapevo che se fosse andata male non ci sarebbe stato modo di riprovare” ammette Carambula, che però in 25 minuti riuscì a conquistarsi i favori del tecnico brasiliano.
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Il racconto dell’azzurro si focalizza però soprattutto sul suo primo evento internazionale, il World Tour di Mosca, di fatto un dentro-fuori: se fosse andata male, la sua avventura azzurra sarebbe finita prima di iniziare e la Federazione avrebbe dato il via libera alla coppia Ranghieri-Caminati. “È stato il massimo della pressione che abbia sentito nella mia carriera. Ma la pressione fa parte del gioco. Se ti concentri su di essa, è finita; se ti concentri sul sentirti preparato e sicuro, e sulla necessità di fare 21 punti prima che lo faccia l’avversario, è fatta. Io mi ero allenato per quello, lo faevo fin da quando ero bambino“.
Così arrivò l’eccezionale rimonta dall’1-6 nel tie break contro Fluggen-Bockermann, che valse la qualificazione al main draw, e l’avventura di Ranghieri e Carambula poté continuare. Il resto è storia: “Forse non sono nato per giocare a pallavolo, ma sono nato per fare sport. Ho ricevuto un dono e dovevo usarlo: mi sono chiesto come potevo contribuire, e ho pensato che avrei dovuto lasciare un segno, che ci sarebbe stato un ‘prima’ e un ‘dopo’ di me in questo sport“. Missione compiuta…
(fonte: Volleyballmag.com)