Un discreto match, contro un avversario (ancora) fuori portata, segna l’esordio tra i professionisti di Leo Borg. Il figlio di Bjorn raccoglie quattro game e si dichiara soddisfatto. “Il mio livello non è così distante da questo”. E giura di non aver mai visto giocare il padre. Vanni agli ottavi, eliminati Ocleppo e Vavassori.
Giornalisti. Telecamere. Troupe televisive. Elettricità nell’aria. Curiosità. Può bastare un cognome per scatenare tutto questo? Certo, se il soggetto in questione è Leo Borg, figlio del mitico Bjorn, vincitore di undici Slam tra gli anni 70 e 80, uno dei più grandi tennisti di sempre, un’icona, un idolo, un punto di riferimento per varie generazioni. Leo Borg non dimenticherà il Trofeo Perrel-Faip di Bergamo (46.600€, Greenset), teatro del suo primo match da professionista, ancora prima di frequentare le forche caudine del circuito ITF, che peraltro diventeranno il suo habitat nei prossimi mesi. La permanenza agonistica di Leo al Pala Agnelli è durata 45 minuti, il tempo di incassare un severo 6-3 6-1 da Chun-Hsin Tseng, detto “Jason”, due anni più grande di lui ma già con notevole esperienza. Col suo pressing da fondo, un tennis ad alta intensità, il taiwanese ha soffocato le trame tutto sommato semplici di Borg, la cui gestualità ricorda quella del padre soltanto nelle fantasie degli appassionati meno giovani. Al contrario, la somiglianza fisica è impressionante. Osservandolo da vicino, si intuisce come mai lo abbiano scritturato per impersonare il padre nel film-cult “Borg vs. McEnroe”. Il piccolo Borg gioca bene, è legittimo aspettarsi una discreta carriera. Fino a dove, non si sa. “Mi piacerebbe diventare numero 1” ha sussurrato nelle risposte-standard confezionate ai giornalisti nella conferenza stampa organizzata nella pancia del Pala Agnelli. Fatto inusuale per un ATP Challenger, necessario se il soggetto in questione – appunto – si chiama Borg. Leo compirà 17 anni il prossimo 15 maggio, ma è già abituato all’interesse di pubblico e appassionati. Nei suoi occhi di ghiaccio non brilla la luce della curiosità, semmai c’è la consapevolezza che questa routine durerà per tutta la carriera. E allora tanto vale abituarsi. Senza neanche passare dagli spogliatoi, giusto il tempo di cambiarsi la maglia e fare un paio di foto con due giovani raccattapalle, eccolo in mezzo a taccuini e telecamere. “È stata un’esperienza molto positiva, mi sono divertito e me la sono goduta. È stata una buona performance” ha detto, alludendo soprattutto al primo set, in cui un solo break ha fatto la differenza. Nel secondo, Tseng gli è scappato via.
“PAPÀ? NON L’HO MAI VISTO GIOCARE”
“All’inizio è stato un po’ difficile gestire i paragoni con mio padre, ma adesso è tutto ok” dice, come a sviare qualsiasi discorso riguardante il papà-campione. “Certo che abbiamo parlato prima di questa partita – continua – mi ha detto di godermi l’attimo, di divertirmi e non pensare alla vittoria o alla sconfitta”. Che poi sono i consigli di sempre, di un padre che sta a debita distanza da un progetto tecnico che trova sfogo presso la KLTK Academy di Stoccolma, laddove si trova la mitica Kungliga Tennishallen, storico impianto laddove papà si è imposto nel 1980. In Svezia è seguito da Rickard Billing, mentre in giro per il mondo c’è lo sguardo rassicurante di Marios Dimakos, tecnico greco dall’aspetto mite, empatico. Lo protegge senza opprimerlo, sembra davvero la persona giusta per accompagnarlo. Adesso torneranno in Svezia, poi di nuovo da queste parti per giocare un altro Challenger, a Pau, laddove usufruirà di una seconda wild card. “Credo che nel 2020 combinerò l’attività junior e professionistica. Tornerò a giocare tornei giovanili, ma spero di fare anche qualche punto ATP, giocando nei tornei Challenger e negli ITF”. Quando gli si chiede cosa ha imparato da questa esperienza, risponde sicuro: “Che non sono troppo distante da questo livello”. Avrà tante altre occasioni, anche se non sembra baciato da chissà quale talento. Di lui colpisce la freddezza, una maturità inusuale per un ragazzo della sua età. Il ghiaccio si scioglie appena quando gli fanno il nome della madre, Patricia Ostfield, che – dice la leggenda – si mise a piangere quando Leo decise di giocare a tennis. “Avevo 6 anni, sinceramente non ricordo – dice, con l’occhio finalmente vispo – però adesso è super-contenta di quello che faccio e mi ripete di divertirmi”. Quanto al padre, sostiene di non averlo mai visto giocare. “In tutta la mia vita non è mai capitato di cercarlo su Youtube o rivedere una sua vecchia partita”. Al contrario, non ha dubbi nell’individuare il suo idolo in Rafael Nadal, per lo spirito con cui scende in campo e “La capacità di combattere su ogni palla”. All’inizio sembrava un po’ scocciato all’idea di rispondere a tante domande, ma col passare dei minuti si è sciolto, sia pur rifugiandosi sui 2-3 concetti che ripete più volte, figli del desiderio di non fornire assist per approfondimenti e domande più o meno imbarazzanti. Ci vorranno ancora parecchi anni prima che possa abbassare le difese. Probabilmente dovrà rendersi conto quali sono i suoi limiti. Per ora è giusto che continui a sognare.
FIGLI D’ARTE KO: ELIMINATO ANCHE OCLEPPO
A proposito di figli d’arte, nell’immediato c’erano più aspettative per Julian Ocleppo, figlio di Gianni , ex numero 30 ATP, che peraltro ha affrontato due volte Bjorn Borg nel circuito (Amburgo 1979 e Milano 1981, sempre mettendolo in difficoltà). Reduce dal miglior risultato in carriera, la semifinale al Challenger di Bangalore, il piemontese si è arreso al ceco Pavel Nejedly in una brutta partita, figlia del lungo viaggio dall’India. Troppi errori e una condotta tattica non troppo lucida, almeno nel primo set, hanno infiocchettato il 6-2 6-4 per Nejedly (che aveva perso nelle qualificazioni ed era stato ripescato grazie al forfait di Nedovyesov). Sotto 6-2 e 3-0, con due break di svantaggio, Ocleppo capiva che il ceco faticava al momento di spingere con il dritto. Recuperava fino al 3-3, poi però perdeva il servizio per la quinta volta e non c’era più spazio per recuperare. Peccato, perché Ocleppo avrebbe avuto le qualità per andare avanti. Chi ha già centrato un posto negli ottavi è Luca Vanni: confermando le buone sensazioni della prima giornata, ha tenuto a distanza il talentuoso Tristane Lamasine, semifinalista nel 2019. Vanni è stato impeccabile fino al 6-3 4-2, poi ha cancellato l’unico momento di distrazione (controbreak e aggancio sul 4-4), infilando l’allungo decisivo che gli garantisce un giorno di riposo prima di sfidare il vincente di Galovic-Couacaud. È terminata l’avventura di Andrea Vavassori: alla seconda maratona consecutiva, il torinese si è arreso a un giocatore fresco ed esplosivo come il ceco Zdenek Kolar: un break al terzo game del set decisivo gli era fatale, ma i rimpianti sono soprattutto per il primo set: Vavassori aveva servito sul 5-4 e si era trovato a due punti dal set, ma non è riuscito a chiudere. Lo sforzo per rimettere in sesto la partita, poi, gli è costato nel terzo. Il tennis di Vavassori è molto elegante ma dispendioso, inoltre manca di un pizzico di “punch” da fondocampo. Quando si trova a palleggiare, è spesso costretto sulla difensiva. Negli ottavi, dunque, ci va Kolar.