in

Ferdinand Piëch, chi era il manager che ha reso grande la Volkswagen

Con non se ne va solo un anziano signore di 82 anni, da sempre circondato da un alone di mistero e ammirazione, ma un pezzo fondamentale della storia dell’auto mondiale. Colui che ha trasformato Il Gruppo Volkswagen nel primo costruttore mondiale, partendo dall’iniziale impulso ricevuto dallo zio Ferdinand Porsche da parte di un certo Adolf Hitler per la realizzazione dell’ “Auto del popolo” (in tedesco, Volks popolo wagon auto).

Questione di famiglia

In mezzo, una saga familiare – quella appunto tra i Porsche e i Piëch – fatta di liti, dispetti, veti e controveti per la conquista del potere, di quote, marchi e fabbriche, dove la passione indiscutibile per le automobili si è mescolata ad una indiscutibile passione per le donne e il sesso, a giudicare dai numeri.

Già prima di approfondire il Ferdinand Piëch ingegnere e dirigente di assoluto livello, merita un po’ di attenzione il suo apprezzabile curriculum di “tombeur de femme” nonché di assoluto oppositore alla… Crescita zero. Ha avuto 12 figli il già compianto Piëch, qualcuno dice addirittura tredici, da quattro unioni diverse. Cinque dalla prima moglie Corinna von Planta, due dal rapporto con Marlene Porsche, ex moglie di suo cugino Gerhard, tre dall’attuale consorte, Ursula, più altri due eredi da donne non meglio identificate .

E probabilmente l’ultima passione, quella per Ursula gli è costata l’unica, fatale sconfitta della sua lunga carriera. Ex insegnante di scuola materna, negli anni ’80 Ursula entrò nella sua famiglia come “tata” della numerosa prole di Piëch. Ma presto Ferdinand se ne innamorò, ci andò a convivere fino a sposarla nel 1984. E da quel momento lui figlio di famiglia di indiscutibile tendenza nazista, col papà Anton Piëch e la mamma Louise Porsche, figlia del patriarca Ferdinand, ha avuto un solo sogno, anche per salvaguardare le future generazioni: farla diventare Presidente del Gruppo Volkswagen. Così nel 2012 la fa entrare nel Consiglio di Sorveglianza dove siedono anche i rappresentanti dei sindacati e il ministro presidente della Bassa Sassonia, azionista con il 20 per cento.

Terremoto Dieselgate

Ma proprio quando è vicino al traguardo arriva il a scombinare tutti i suoi piani. I sussurri dicono che le sue dimissioni dal Consiglio di Sorveglianza siano figli di alcuni “spifferi”, cioè che lo stesso Piëch abbia avuto un ruolo importante nello svelare agli americani il segreto del defeat device montato sulla vetture Diesel del Gruppo VW, che alterava i risultati delle emissioni. E che al Gruppo è costato fino oltre 30 miliardi di euro di multe Non ci sono prove, né testimonianze, resta la coincidenza di tempi tra lo scoppio dello scandalo e le sue dimissioni.

Ingegnere con una marcia in più

Al netto dell’epilogo professionale, è indubbio che il dirigente e ingegnere Ferdinand Piëch, pensava era e viveva su un altro pianeta rispetto al resto del mondo. Entrato in Volkswagen, fronte Audi, nel 1972, dopo l’esperienza iniziale dal 1963 in Porsche dallo zio, dove divenne direttore tecnico, Piëch dimostrò immediatamente di avere un’altra marcia, in tutti i sensi. Privo di scrupoli, audace, faceva impazzire tutti. I familiari e gli ingegneri, cui spesso nascondeva i suoi progetti. In Porsche, ad esempio, a soli 31 anni (era nato a Vienna il 17 aprile del 1937) investì due terzi del budget annuale per costruire 25 auto da corsa Porsche 917: design rivoluzionario, 600 cv e motore 12 cilindri raffreddato ad aria. In famiglia lo accusarono di essere un irresponsabile, ma la 917 è diventata in una delle auto da corsa di maggior successo.

Trasferendolo in Audi, pensavano di ridurlo a più miti consigli, ma non avevano fatto i conti con la sua genialità e la sua ambizione. Comprese immediatamente che Audi poteva essere l’ambasciatrice dell’alto livello (non era ancora tempo di premium) e negli anni spinse per lo sviluppo della trazione integrale quattro fino a inquadrare Audi come simbolo di innovazione e tecnologia, quale è diventato ora.

Dalla crisi a un gruppo con 12 brand

Ma è indubbio che i due autentici capolavori di Piëch si fondono in una sola operazione di grandissimo respiro. Quando nel 1993 diventa Amministratore Delegato di Volkswagen, l’azienda è in piena crisi. Costi elevati, problemi di qualità: Ferdinand però non si perde danno. Sostituisce quasi tutto il CdA, riduce i costi del lavoro facendo accettare ai leader sindacali settimane di lavoro piùbreve (pare con l’ausilio di numerose compiacenti …signorine) e ricostruisce per intero tutta la gamma prodotti, ricevendo così la fiducia di azionisti e lavoratori che non subiscono tagli.

Nel 2002 diventa Presidente del Consiglio di Sorveglianza del Gruppo e li continua a “cucire” il suo vero progetto. Cioè costruire il Gruppo automobilistico più importante al mondo. Il passaggio obbligato per raggiungere l’obiettivo è però “fregare” sul cugino Wolfgang Porsche che da quattro anni inseguiva l’acquisizione di Volkswagen senza riuscirci. 

Piëch a questo punto spariglia le carte alleandosi con lo Stato della Bassa Sassonia che detiene il 20% delle quote di VW, respinge ancora le offerte di Porsche ormai in affanno proprio nel tentativo di rilevare VW e nel 2012 centra l’obiettivo di inglobare Porsche nel Gruppo di Wolfsburg. Così, dal niente (si fa per dire), nasce il costruttore che contende a Toyota il primato annuale della produzione automobilistica. Anche perchè nel frattempo VW aveva fatto “spesa” rilevando Seat, Skoda, Seat (con Cupra), Bentley, Lamborghini, Ducati, MAN e Scania (autocarri pesanti) oltre si intende a VW, Audi e Porsche per creare un conglomerato di 12 brand, il più grande, appunto, del mondo.

Ovunque sia Piëch sarà per sempre orgoglioso di quello che ha costruito. E Ursula gliene sarà sempre grata, ammesso che non venga confusa con le attuali beghe dei governi italiani


Fonte: http://www.tuttosport.com/rss/motori


Tagcloud:

Us Open: Serena Williams domina Maria Sharapova

Ferrari, Binotto: “Vogliamo fare bene nella seconda parte di stagione”