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    La battaglia vinta di Filippo Lanza: “In gioco non c’era solo la mia storia”

    Di Roberto Zucca
    È la storia di una fenice quella che riguarda la carriera di Filippo Lanza. Ed è una storia bella da raccontare non solo perché Filippo è stato capace di risorgere dalle sue ceneri, ma per il modo in cui ha saputo trasformarsi da vittima di un’ingiustizia sportiva ad esempio per migliaia di ragazzi che nelle settimane di settembre hanno sostenuto la sua lotta silenziosa, che lo ha portato ad essere il fiore all’occhiello del mercato della Vero Volley Monza.
    “Me lo sono proprio goduto quel bagno di affetto e solidarietà. È stato importante capire che quella storia non era solo la mia ma di altri. E per questo andava affrontata e superata. Ci sono stati, ci sono e ci saranno dei Filippo Lanza ed è giusto combattere per quelli che ci sono e ci saranno. Io l’ho fatto, non dimenticando quale fosse il mio obiettivo, ovvero ricominciare”.
    La vicenda è nota. E lei ha affrontato tutto, scegliendo una linea stoica. Perché?
    “Perché il mio carattere è questo. Non pensi che in privato non ci fossero delle urla silenziose, non ci fossero dei momenti di sconforto. Ma ero stufo di trattarmi male e di farmi trattare male. E Monza è arrivata proprio in quel momento. È presto per dirlo, ma sento che tutto questo sia un nuovo inizio”.
    Foto ufficio stampa Vero Volley Monza
    Monza. Perché?
    “È una società con dei valori, che vanno al di là di quello che è lo sport inteso come vittoria o sconfitta. È un luogo nel quale l’atleta si ritrova compreso in un tutto, fatto di attenzione alla persona e nel quale è importante non solo il campo, ma anche ciò che si fa fuori dal campo. Apprezzo molto il fatto che si lavori sulla tecnica e su questo ho ripreso a fare un bel lavoro in palestra”.
    Per ora manca la costanza nei risultati.
    “Arriverà. C’è stato un cambio di allenatore e questo normalmente può essere destabilizzante all’inizio, ma non nel senso negativo dell’accezione. Intendo dire che si riparte, si lavora in palestra per fare sì che si crei una continuità e un’intesa tra tutti gli attori coinvolti. E su questo si sta facendo tanto”.
    È arrivata la vittoria contro Piacenza. Fa specie che squadre come Trento o la stessa Gas Sales siano un po’ indietro?
    “Questa prima parte di campionato ha dimostrato che le quattro teste di serie degli scorsi anno siano diventate in realtà due. Trento ha sbagliato qualche gara e anche Modena ha fatto più fatica. Il resto è un enorme tutti contro tutti, nella quale potrebbero arrivare i risultati contro chiunque”.
    Foto Ufficio Stampa Vero Volley Monza
    Monza cosa si prefigge? E Lanza?
    “Conquistare l’accesso a una Coppa europea per la prossima stagione e fare un bel campionato, che poi sono le premesse che mi hanno portato a decidere di approdare qui a Monza. Penso che la squadra abbia tutte le carte in regola per proseguire la stagione al meglio. E poi non mi dispiacerebbe ottenere qualche altra vittoria sulla carta inaspettata”.
    Domenica arriva Perugia. Che sentimenti prova Filippo di fronte ad una gara così?
    “Ho concluso la scorsa gara contro Piacenza e già pensavo alla partita di domenica. Mi è capitato così anche quando giocavo a Perugia e dovevo sfidare Trento. È una partita da ex, quindi si ha la voglia di disputarla al meglio e di portare a casa il risultato. Ce la metterò tutta”.
    Ha scritto un messaggio d’addio in cui ha applaudito i tifosi di Perugia. Molti hanno scritto che gli applausi li meritava lei.
    “E questo per un atleta è un attestato di stima importante. Ho lasciato degli ottimi rapporti con i compagni di squadra e ho il ricordo di una tifoseria che mi ha sostenuto. A me basta questo. Il resto ormai è una pagina che ho girato”.
    Foto: Vero Volley Monza
    L’AIP si è schierata molto apertamente nei suoi confronti. C’è stato un bagno di affetto per lei. È una cosa inaspettata?
    “L’AIP sta facendo un grande lavoro di tutela dell’atleta sotto ogni punto di vista. Ed è stato importante ricevere l’attestazione di stima da parte di tanti compagni, ex compagni e amici che in quei giorni mi hanno semplicemente detto di non mollare. Un giorno scriverò qualche riga in più che spero sarà utile a tanti atleti. Adesso è troppo presto”.
    Non pensa che una testimonianza del genere, accompagnata da qualche dettaglio in più, sia il pretesto per scrivere un libro sulla sua vita?
    “No, è prematuro. Non ci ho mai pensato. Credo che manchi ancora qualche tassello per fare sì che tutto finisca dentro le pagine di un libro, che reputo sia un passo importante. Quindi no, ancora no”.
    La sua compagna ha scritto che è stato un anno impegnativo. Quanto conta la vicinanza di persone importanti in questi momenti?
    “Molto. Anche perché nei momenti più duri ti aggrappi solo a persone di cui sai di poterti fidare. Io sono stato fortunato. È un momento in generale difficile per tutti. Anche il solo pensiero di tornare a casa e trovare Costanza ad aspettarmi è qualcosa che mi fa stare meglio”.
    Concludiamo, ripromettendoci di parlare più avanti del suo 2021.
    “Direi di sì. È ancora tutto lontano. Per ora posso dirle di essere più sereno. E felice”. LEGGI TUTTO

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    Arthur Szwarc, il taglialegna di Cisterna: “Sono timido, ma in campo mi esalto”

    Di Redazione
    Così come un bravo “taglialegna” – soprannome affibbiatogli simpaticamente dallo speaker e addetto stampa della Top Volley Cisterna Giuseppe Baratta, e diventato il suo nickname durante le gare casalinghe – fa a pezzi e raccoglie i tronchi a disposizione, così Arthur Swarcz nelle ultime settimane ha fatto a pezzi qualsiasi cifra dei suoi record di punti personali adattandosi ad un ruolo, quello dell’opposto, che non gli appartiene:
    “È stata un’esigenza di cui ho parlato con il coach, che ho accettato pensando solo alla responsabilità richiesta. Sono contento che sia andata bene e sono felice del fatto che il mio apporto sia servito alla squadra. Spero che Giulio (Sabbi, n.d.r.) possa tornare presto in campo per darci il suo contributo. Io tornerò al mio ruolo di centrale e sarò ben felice di farlo”.
    Una giornalista canadese ha scritto recentemente che lei è esplosivo da opposto.
    “(ride, n.d.r.) Lo ringrazio molto e mi fa piacere se dall’esterno si sono percepiti la grinta e l’entusiasmo che ho messo in questo ruolo. In effetti in campo tendo a diventare tale, non tanto per il ruolo che ricopro, ma perché magari tendo ad esaltarmi dopo un punto fatto”.
    Nella vita invece è molto schivo.
    “Sono timido, lo ammetto. Un po’ perché ho ancora difficoltà con l’italiano e non riesco a parlarlo correttamente e un po’ perché di mio appaio così. Questo non significa che non noto l’affetto del pubblico, soprattutto qui a Cisterna, che mi lusinga molto”.
    Cisterna. Secondo anno. Mi dice le differenze rispetto alla scorsa stagione?
    “Siamo più ambiziosi. La società ha allestito un’ottima squadra e speriamo di iniziare a crescere partita dopo partita. Mi piacerebbe raggiungere un bel risultato qui alla Top Volley, perché non solo la società lo merita, ma anche tutta la città e i tifosi che ci seguono sempre”.
    Foto di Paola Libralato
    Per ora il campo non vi ha dato ragione. Cosa manca?
    “Sono convinto che nelle prossime settimane inizieremo a carburare maggiormente. Le prime gare, oltre ad avvertire qualche mancanza in campo, non siamo riusciti a trovare una continuità di risultato. Dobbiamo riuscire a fare partite come quella con Monza sempre, ogni domenica, per portare i punti a casa”.
    La parola “casa” mi fa venire in mente il suo Canada. Quanto le manca Toronto?
    “Il giusto. Qui in Italia mi trovo molto bene, ma la mia famiglia è lontana. Ho avuto modo di stare qualche settimana con loro in estate e siamo stati molto bene. Mio papà ha organizzato delle grandi giornate di pesca e siamo stati molto in famiglia e con gli amici. Insomma, sono riuscito a ricaricarmi per la nuova stagione che mi attendeva qui in Italia”.
    Mi spiega il significato del suo nickname “Woodcutter” (taglialegna)?
    “Dovete chiedere al nostro speaker. Un giorno mi sono presentato in palestra con una camicia a scacchi e lui mi ha detto che assomigliavo ad un boscaiolo canadese. Da qui è partito tutto. Ma ormai i tifosi mi chiamano così e anche io lo trovo simpatico!”. LEGGI TUTTO

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    Trevor Clevenot, anima da capitano: “Ho scelto Piacenza per il suo progetto ambizioso”

    Di Redazione
    Cresce, stagione dopo stagione. E forse la sua carriera è arrivata a una vetta che non aveva mai toccato prima d’ora. Le responsabilità a cui è stato chiamato in questa stagione Trevor Clevenot sono molteplici. La prima è sicuramente quella di essere il capitano della Gas Sales Bluenergy Piacenza:
    “Un ruolo di cui vado orgoglioso. È il mio primo anno da capitano. La vivo in maniera assolutamente serena, perché penso che il lavoro sia sempre lo stesso e se fatto con dovere e con responsabilità una fascia in più non ne cambia il profondo significato. La mia è una squadra di atleti con una storia, un vissuto professionale molto importante. È bello stare in campo con loro”.
    Piacenza dalle due anime. Alle volte disputa partite stellari, altre volte fatica e non poco.
    “Fa parte del gioco e dobbiamo lavorare per non subire dei cali. Stiamo cercando di porre rimedio ad un inizio di stagione non proprio in linea con le aspettative e abbiamo dimostrato di poter giocare delle gare di buon livello”.
    Perché ha scelto ancora Piacenza?
    “Per il progetto ambizioso che mi è stato proposto alla fine della scorsa stagione. La campagna acquisti è stata importante e il lavoro fatto dalla società ineccepibile. E poi a Piacenza sono legati dei begli anni della mia carriera. Qui mi ero trovato molto bene e ho deciso di ritornarci”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Un percorso sempre in crescita. Due stagioni a Piacenza e due a Milano. Che ricordi ha?
    “Al di là dello stop per il coronavirus che è stato durissimo per tutti, il ricordo che ho è di annate in cui ho cercato di dare il massimo. Ho passato gli ultimi mesi a Milano senza potermi allenare, e poi Piacenza mi ha dato la possibilità di trasferirmi qui un po’ prima dell’inizio della stagione. Vorrei andare avanti e pensare che questo momento saremo in grado di buttarcelo alle spalle il prima possibile”.
    Gli anni di Tolosa invece cosa le hanno insegnato?
    “A capire che questa era la vita che volevo. Mi mancano i miei amici, la famiglia, perché non ho avuto modo di stare con loro in estate. In quei momenti pensi che la vita che vuoi fare porta con sé questi sacrifici”.
    Questo virus ha tolto la possibilità di viaggiare. So che lei ama farlo.
    “Sì, mi piace molto. Farlo da giocatore è ben diverso che farlo da semplice turista. L’aria che ho respirato in California, ad esempio la ricordo con molta nostalgia. Quei parchi, il Grand Canyon, tutto meraviglioso”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Il viaggio a Tokyo per le Olimpiadi vorrebbe farlo?
    “Sì, eccome. Ci spero e vorrei prendere parte a tutto questo. So che avrò anche un’altra possibilità a Parigi nel 2024, e giocare nel mio Paese una competizione così importante mi riempirebbe di orgoglio. Lavoreremo nei prossimi mesi con il nuovo assetto per fare sì che tutto possa diventare realtà”.
    Mi racconta un po’ chi è Trevor fuori dal campo?
    “Un ragazzo normalissimo, a cui piace stare con gli amici o con la propria compagna”.
    So che non ama parlare della sua privata. Posso chiederle qualcosa di più della sua compagna?
    “(ride, n.d.r.) Si chiama Sara. Ci siamo conosciuti qui a Piacenza. E siamo felici”. LEGGI TUTTO

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    Sfida in famiglia per Roberto Pinali: “Sono sempre stato più forte di Giulio…”

    Di Roberto Zucca
    Bianco e nero. Due poli opposti, se vogliamo non proprio agli antipodi, ma certamente diversi. Ciò che accomuna questi due fratelli è la pallavolo, di ogni forma e in ogni modo, e un cognome che dice molto sulla vita di entrambi. Giulio è il fratello più famoso, ma Roberto Pinali, che quest’anno veste per il secondo anno la maglia del Motta di Livenza, dichiara di essere il più forte:
    “(ride, n.d.r.) Sì, sono sempre stato più forte di lui! Mi piace misurarmi con Giulio, ma anche giocarci assieme. Capita magari ai tornei in estate, e tra di noi si instaura sempre una competizione goliardica come quando eravamo ragazzini”.
    È orgoglioso del percorso di suo fratello?
    “Molto. È un giocatore molto forte ed è bello vederlo riuscire così bene in quello che fa. So quanta strada e quanto sacrificio ha dovuto fare per essere lì dov’è, quindi ogni suo successo è condiviso e mi riempie di orgoglio”.
    Mi dica cosa ruberebbe a suo fratello a livello di gioco e quale invece pensa sia il suo valore aggiunto.
    “Gli ruberei l’altezza. E la lunghezza e la forza delle braccia. Sono caratteristiche che lo rendono un giocatore molto forte nel suo ruolo. Se parliamo di qualcosa che mi distingue da Giulio direi la grinta. Lui è più razionale, talvolta più elegante. Io sono uno che in campo si mette in evidenza, perché sono più sanguigno, e mi si nota perché faccio più casino!”.
    Secondo anno a Motta di Livenza. Perché ancora la A3?
    “È un campionato stimolante nel quale niente è dato per scontato e dove si gioca giornata dopo giornata. È costituito da squadre molto diverse tra loro e nelle quali ci sono degli ottimi elementi. Per distinguersi ci vuole metodo e buon allenamento, cosa che Motta ha e per questo mi ha convinto a cercare la conferma in questa seconda stagione”.
    Esordio vincente, e Pinali è partito subito con 10 punti. Da chi dovrete guardarvi le spalle?
    “Ci sono delle ottime squadre, e tante come Porto Viro hanno allestito degli organici di livello. È un campionato dove ci vuole resistenza. Poi il fatto che non ci siano retrocessioni non è un motivo per sedersi. Anche perché l’obiettivo di Motta è di puntare alle zone alte della classifica”.
    Diverse squadre del vostro girone sono ferme causa Covid.
    “È un fattore che tutti abbiamo considerato alla ripresa. Ci sono squadre ferme e potenzialmente ogni settimana potrebbero essercene altre. Questo non deve distrarci o influenzarci. Si deve continuare con il lavoro in palestra e incrociare le dita affinché tutto vada per il meglio”.
    Cosa si aspetta dalla sua carriera negli anni a venire?
    “Mi piacerebbe salire in A2, magari con Motta, e fare un buon campionato. Credo che la differenza con la A2 non sia tanta e penso di poter dire la mia anche in una categoria superiore alla A3. In generale sono soddisfatto della strada che ho fatto. Forse avrei potuto pretendere qualcosa di più se avessi scelto di rimanere ancora a Modena, ma volevo giocare e sono contento così. Alla fine anche la B, con l’anno a Portomaggiore, mi hanno dato quella consapevolezza che serviva per capire cosa potevo e non potevo giocarmi in carriera”.
    Volley a parte, cosa c’è nella vita di Roberto Pinali?
    “Studio Architettura e Design Industriale alla San Raffaele di Roma. Avevo iniziato Design del Prodotto Industriale a Bologna, ma era troppo impegnativo farlo a distanza. Ho trovato la quadra e vorrei proseguire nello studio. Non so quanto riuscirei a vedermi in una vita legata solo alla pallavolo”.
    La sua compagna, Giorgia, è una pallavolista. Meglio poter parlare di pallavolo a fine partita?
    “A mio parere sì. Il confronto con lei trovo sia sempre positivo. Avere un’affinità lavorativa con la propria compagna è un qualcosa che avvicina. Io poi non sono uno di quelli che cerca di non condividere le proprie emozioni, le gioie o le proprie amarezze. E Giorgia su questo è sempre un grande supporto”. LEGGI TUTTO

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    Robertlandy Simon: “A Civitanova ho trovato una famiglia”

    Di Roberto Zucca
    Nei suoi occhi ci sono molti sentimenti contrastanti: l’ambizione, la forza fisica e morale, lo spirito di sacrificio, la sofferenza. Veder giocare Robertlandy Simon è un concentrato di emozioni. Non a caso, di quel Paese così nostalgico e fuori dal tempo quale è Cuba, Simon rappresenta un po’ tutto il meglio:
    “La mia storia è una storia lunga, complessa. La mia infanzia non è stata semplice, così come quella di tanti connazionali. La mia vita è stata sacrificante, ma non più di quella di tanti. Arrivo da un paese in cui la povertà ti restituisce la voglia di riscattarti, ma anche il coraggio di non arrenderti e la forza di essere sempre sorridente, perché questa è la vita”.
    Posso chiederle cosa conta davvero per lei nella vita?
    “La famiglia. La loro serenità, il fatto che posso contribuire a farli stare sereni. È la cosa che mi manca di più rispetto alle mie origini e alla mia infanzia trascorsa a Cuba”.
    Di quelli anni ha citato la povertà. Che rapporto ha adesso col denaro?
    “Il denaro è una sicurezza. Ti permette di poter essere utile agli altri, dando magari stabilità e serenità. La più grande soddisfazione della mia carriera è stato poter aiutare la mia famiglia. Non avere il pensiero di non poterti permettere delle cose ti va vivere certamente con maggiore tranquillità”.
    Foto FIVB
    La pallavolo è uno stile di vita. La frase che lei ha postato sul suo profilo Instagram.
    “È una manera. Un modo di vivere, di affrontare la vita. Ho iniziato molto giovane a praticare questo sport e la pallavolo mi ha accompagnato per tutto il mio percorso di crescita. Non so come sarebbe stata la mia vita senza questo sport, perché la pallavolo ne ha sempre fatto parte”.
    Quello stile di vita lo ha portato prima a Piacenza, poi a Civitanova.
    “L’Italia mi ha accolto e in Italia ho vinto tanto, ed è stata una grandissima soddisfazione. Mi sento benvoluto, amato. A Civitanova non ho trovato un team, ma una famiglia. Siamo una squadra che si rispetta ma siamo anche molto uniti. Trascorriamo molto tempo assieme anche al di fuori dal campo”.
    Il segreto di Civitanova: il trio cubano o l’essere una squadra?
    “Essere una squadra. Io, Osmany e Leal siamo parte di un gruppo nel quale ognuno ha il suo peso, le sue responsabilità. Non si vince grazie a noi tre ma si vince con il gruppo unito. Noi portiamo all’interno dello spogliatoio una mentalità latina che è molto simile a quella italiana. Ci piace sentirci parte di un gruppo e poter contare l’uno sull’altro”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Bilancio di questa prima parte di campionato?
    “Abbiamo lasciato un punto per strada e lavoriamo affinché l’affiatamento e il gruppo cresca partita dopo partita. È un bel campionato, che finché potrà andare avanti è davvero molto bello da giocare. La gara contro Ravenna di qualche settimana fa ci ha dato nuovi stimoli e nuove sfide che dobbiamo affrontare, trovando una solida continuità”.
    Cinque stagioni in Italia. Mi dica il compagno di squadra e l’avversario più forte che ha incontrato sulla sua strada?
    “Ce ne sono tantissimi. Un compagno di squadra che mi ha lasciato il segno è stato sicuramente Bruno. Fortissimo, molto tenace, era uno che anche in spogliatoio si sentiva. Sugli avversari le direi tanti, da Anderson a Juantorena. Giocatori così è meglio sempre averli dalla stessa parte del campo”.
    Al di fuori del campo è nota ai più la sua avventura nella ristorazione.
    “Quando ero in Brasile mi sono innamorato delle churrascharie, e così quando sono arrivato a Civitanova sono subito andato a cercare di mangiare brasiliano, ma senza successo. E così ho detto, perché no? Sono socio di un locale che si chiama Madeira ed è proprio a Civitanova. Ora mi piacerebbe lanciarmi nella cucina stellata”
    Tempi duri per la ristorazione?
    “Sono tempi duri per tutti. È dura per la ristorazione perché hai comunque i lavoratori da pagare, nonostante che la sera, ad esempio, ci siano delle restrizioni, e il business ne esce fortemente danneggiato. Speriamo di venirne fuori presto”.
    Il futuro di Simon. Se lo immagina?
    “Per ora sicuramente in Italia. Poi si vedrà. A Civitanova sto molto bene e ho anche delle attività da portare avanti oltre al volley. Quando smetterò di giocare non so, magari allenerò una squadra di ragazzi o sarò un imprenditore, o tutte e due le cose. Chissà!”.
    Per ora la cosa importante è vincere con Civitanova.
    “Quello sempre”. LEGGI TUTTO

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    Marco Vitelli è già di casa a Padova: “Nel DNA della Kioene c’è l’entusiasmo”

    Di Roberto Zucca
    Prendi una piccola società, in una terra, quella d’Abruzzo, in cui non si affaccia solo una scena sempre più ambiziosa di Beach Volley, che lui pratica, ma una squadra di pallavolo che in origine si chiama Virtus Volley Paglieta. È proprio qui che Marco Vitelli comincia la sua ascesa, passando da essere il piccolo Marco che entrava a piccoli passi nella palestra in cui allenava il papà, a diventarne il talento più conosciuto. Da qui in poi i club che lo hanno visto protagonista sono, per citarne solo alcuni, Civitanova, Ravenna ed ora la Kioene Padova:
    “È una squadra che ho scelto perché negli anni addietro ha dato spazio ai giovani. Padova ha investito tanto su alcuni di loro, che hanno saputo distinguersi. Quest’anno ho scelto una società con cui poter fare un percorso alla base del quale ci fossero innanzitutto stima e fiducia”.
    È ciò che le ha garantito mister Cuttini?
    “Sin dal nostro primo colloquio. È riuscito a trasmettermi da subito la sua stima, che è reciproca, e la voglia di fare. Ha saputo convincermi sia con l’entusiasmo che è insito nel DNA di Padova, sia con le responsabilità che sul campo mi ha attribuito”.
    Finora il campo ha dato ragione a Vitelli. Belle prove individuali.
    “Avevo un’eredità pesante, che era quella lasciata da Alberto Polo che qui ha saputo fare molto bene. Sapevo di dover funzionare da subito. Siamo riusciti a portarci a casa alcuni punti e altri li abbiamo lasciati sul campo. Vogliamo invertire la rotta dalle prossime giornate”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Volpato ha detto che Padova è una squadra emozionale.
    “Contro Monza siamo stati trasportati da questo sentimento, ad esempio. Una squadra come Padova dovrebbe però giocare sempre al massimo senza condizionamenti umorali, sempre al 100%”.
    Che significato ha quest’annata per lei?
    “Ha una sua importanza. La scorsa stagione è stata per tutti noi una enorme incompiuta. Nel mio caso ho voglia di prendermi delle rivincite e proseguire un percorso all’insegna della continuità. Sono sicuro che le basi poste fino ad ora daranno i loro frutti”.
    Cresciuto a Paglieta e al Teate Volley e poi subito amore con la Lube. Ha scelto di partire da un punto alto nella sua scalata.
    “Mi ritrovai a sostituire Cester in una partita e il mio esordio fu qualcosa di magico ed inaspettato. Andò talmente bene che a fine gara venni eletto MVP. Da lì partì tutto. E gli anni della Lube sono stati innanzitutto anni di grande formazione. A 18 anni non è semplice gestire quella maglia, le aspettative. Io sono arrivato a Macerata senza pensare al peso che potevo sentirmi addosso, ma consapevole di avere una bella opportunità da sfruttare a mio favore”.
    Il suo anno più bello e spensierato lo leghiamo invece a Ravenna?
    “È un anno che tutto il gruppo ricorda con entusiasmo. Fu bellissimo ritrovarsi nelle zone alte della classifica, ottenere dei successi importanti e dimostrare anche nei playoff che non avevamo paura di niente. Penso alla vittoria contro Perugia ad esempio. La Challenge è stata infine una grande soddisfazione e un premio per il lavoro fatto da tutto il collettivo. È stato davvero un anno importante, a cui penso spesso”.
    Dicono che lei abbia un grande amore: il Beach Volley.
    “È il mio stacco estivo, la mia spensieratezza, la mia ricreazione dalla pallavolo. È legata ad amici come Paolo di Silvestre, Edgardo Ceccoli, Paolo Cappio. Sono gli amici con cui a 14 anni andavo in spiaggia a giocare e con cui sono cresciuto. Il beach è casa ed è una passione che coltivo nel tempo e che penso non lascerò mai”.
    Con chi vorrebbe vincere il Campionato Italiano?
    “Con Paolo Cappio ho intrapreso un bel percorso quest’anno e col coach Simone Di Tommaso, che per me è una persona molto importante, abbiamo in programma di proseguirlo. Direi che la testa è rivolta alla pallavolo, e una parte di cuore è rivolta a proseguire questa strada. Con il sogno di vincere quel Campionato Italiano che mi ha citato”. LEGGI TUTTO

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    Dragan Travica di nuovo tra le stelle: “Pensavano fossi arrivato alla fine, e invece…”

    Di Roberto Zucca
    È nel punto più alto che le stelle acquistano il loro splendore. Se Dragan Travica fosse materia stellare, si troverebbe ora in una costellazione luminosa e lontana, ma incredibilmente vicino a quanto di più autentico si possa immaginare per la carriera di un pallavolista. Travica è l’uomo delle mille vite, delle morali di una favola, delle ceneri da cui risorge una Fenice. E quel ciclo di risalita, partito da Padova con umiltà e spirito combattivo è arrivato ora dritto alla Sir Safety Conad Perugia, nella quale Dragan ha già vinto e ottenuto il primo trofeo della stagione, la Supercoppa:
    “È stato bellissimo, emozionante. Non insegno nulla a nessuno se dico che vincere è qualcosa di esaltante. Ho fatto un percorso, fatto di molte tappe. Non penso tanto al titolo in sé perché non sono uno che si culla sulle vittorie ottenute e i trofei vinti. È la gioia di un momento. Poi c’è tanto altro che voglio vivere e ci sono tanti momenti che in questa carriera voglio raggiungere e scrivere”.
    Il suo ex compagno di Padova Cottarelli ha detto che lei è tornato in cima, esattamente dove doveva stare.
    “Quelle parole mi hanno toccato e commosso. E racchiudono un po’ il significato di un ciclo, quello iniziato a Padova, che mi ha lasciato persone speciali, ricordi indelebili e a cui penso di aver lasciato qualcosa di mio. Ho sempre detto che avrei lasciato quel mondo bellissimo chiamato Kioene solo per un progetto che aveva in sé degli obiettivi diversi. Non una squadra migliore o peggiore, ma per un progetto ambizioso. Sento di essere atterrato in un progetto importante”.
    La sua vita pallavolistica è stata una parabola. Tornata ora in un punto alto dell’asse.
    “È stata una vita di scelte giuste e meno giuste, che nel complesso hanno avuto un significato da cui ho tratto tanti insegnamenti. Ho avuto la freddezza, dopo l’Iran, di ripartire da un foglio bianco e di scrivere da metà foglio, anche se qualcuno ha pensato che fossi già arrivato al finale”.
    Foto Ufficio Stampa Kioene Padova
    Sbaglio se le dico che il suo vero coraggio sia stato quello di saper aspettare?
    “No, non sbaglia. Ho avuto la possibilità di andare via da Padova dopo un anno per andare a Monza, Milano, all’estero. Ma ho scelto di restare perché era giusto continuare un percorso nel quale volevo dare ancora tanto e del quale ho avuto bisogno per ritrovare il giocatore che ero solo qualche stagione prima”.
    È stato in grado di dare un senso a giocatori come Polo, Volpato e Randazzo.
    “Ho lavorato con loro anche per dare un senso a ciò che stavo facendo io. Mi sono ritrovato in uno spogliatoio in cui sono riuscito ad esprimermi, a fare sì che si ripartisse dalle vittorie ma anche dai lunedì dopo la sconfitta. Ci siamo confrontati e abbiamo lavorato sulle forze e le debolezze. È stato importante”.
    Ultimamente si parla molto di cultura della sconfitta. Penso a una Serena Williams, che ha dichiarato che dalla sconfitta si è spesso trovata a dover fuggire.
    “Credo sia normale, o meglio, trovo il pensiero vicino a ciò che è stata la sconfitta per me in alcuni momenti della mia carriera. Ci sono state occasioni nelle quali ci ho messo del tempo per digerire ciò che era accaduto a me e alla squadra dopo aver perso una gara”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Le occasioni di cui parla si riferiscono alla nazionale o ai club?
    “A entrambi. Penso alla finale degli Europei del 2011 che impiegai mesi a dimenticare. Mi capitava di svegliarmi la notte, ritrovandomi dentro un punto da giocare o sognando ancora l’ultima palla. Penso all’eliminazione in semifinale contro Piacenza, con la Lube del 2013. Successe che feci un biglietto e partii subito dopo per un viaggio. Avevo necessità di buttarmi quella stagione alle spalle. Credo che col tempo quel sentimento che scaturisce da emozioni simili diventi più razionale. A 34 anni è necessario imparare ad anestetizzare quel dolore legato al risultato finale di una partita”.
    Per ora a Perugia ha riscosso successo. Da chi è rimasto più colpito?
    “In generale da tutto e da tutti. Ho scoperto l’enorme sensibilità di Leon. È un ragazzo sempre pronto a preoccuparsi per gli altri. E, nonostante ciò che rappresenti nella pallavolo di oggi, ha i piedi completamente a terra ed è una persona dotata di un’incredibile umiltà. Ho scoperto il talento di Russo, che è un centrale che col tempo potrebbe arrivare davvero molto in alto. E infine il carattere e il carisma di Atanasijevic. È un ragazzo che cambia l’umore dello spogliatoio ed è in grado di dare sempre forza al gruppo. Spero davvero di vederlo presto in campo”.
    C’è qualcosa a cui aspira dopo Perugia?
    “Per ora aspiro a fare una bella stagione con Perugia. Il resto verrà da sé”.
    Dopo Perugia, ci saranno le Olimpiadi per molti suoi compagni di squadra. Per lei è un argomento tabù?
    “È un argomento di cui parlo se qualcuno me lo domanda. Ma non ricerco voci, anticipazioni, segnali dal campo o da fuori. Mi piacerebbe poter aggiungere un capitolo finale alla mia storia in azzurro e fare sì che il finale della storia non sia più il nome di Dragan Travica collegato alla vicenda di Rio. Spero di poter avere la possibilità di scrivere un altro pezzo della storia. Se così non fosse, sono soddisfatto di ciò che a livello professionale ho fatto dopo quell’anno. Mi basta questo”. LEGGI TUTTO