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    Sfida in famiglia per Roberto Pinali: “Sono sempre stato più forte di Giulio…”

    Di Roberto Zucca
    Bianco e nero. Due poli opposti, se vogliamo non proprio agli antipodi, ma certamente diversi. Ciò che accomuna questi due fratelli è la pallavolo, di ogni forma e in ogni modo, e un cognome che dice molto sulla vita di entrambi. Giulio è il fratello più famoso, ma Roberto Pinali, che quest’anno veste per il secondo anno la maglia del Motta di Livenza, dichiara di essere il più forte:
    “(ride, n.d.r.) Sì, sono sempre stato più forte di lui! Mi piace misurarmi con Giulio, ma anche giocarci assieme. Capita magari ai tornei in estate, e tra di noi si instaura sempre una competizione goliardica come quando eravamo ragazzini”.
    È orgoglioso del percorso di suo fratello?
    “Molto. È un giocatore molto forte ed è bello vederlo riuscire così bene in quello che fa. So quanta strada e quanto sacrificio ha dovuto fare per essere lì dov’è, quindi ogni suo successo è condiviso e mi riempie di orgoglio”.
    Mi dica cosa ruberebbe a suo fratello a livello di gioco e quale invece pensa sia il suo valore aggiunto.
    “Gli ruberei l’altezza. E la lunghezza e la forza delle braccia. Sono caratteristiche che lo rendono un giocatore molto forte nel suo ruolo. Se parliamo di qualcosa che mi distingue da Giulio direi la grinta. Lui è più razionale, talvolta più elegante. Io sono uno che in campo si mette in evidenza, perché sono più sanguigno, e mi si nota perché faccio più casino!”.
    Secondo anno a Motta di Livenza. Perché ancora la A3?
    “È un campionato stimolante nel quale niente è dato per scontato e dove si gioca giornata dopo giornata. È costituito da squadre molto diverse tra loro e nelle quali ci sono degli ottimi elementi. Per distinguersi ci vuole metodo e buon allenamento, cosa che Motta ha e per questo mi ha convinto a cercare la conferma in questa seconda stagione”.
    Esordio vincente, e Pinali è partito subito con 10 punti. Da chi dovrete guardarvi le spalle?
    “Ci sono delle ottime squadre, e tante come Porto Viro hanno allestito degli organici di livello. È un campionato dove ci vuole resistenza. Poi il fatto che non ci siano retrocessioni non è un motivo per sedersi. Anche perché l’obiettivo di Motta è di puntare alle zone alte della classifica”.
    Diverse squadre del vostro girone sono ferme causa Covid.
    “È un fattore che tutti abbiamo considerato alla ripresa. Ci sono squadre ferme e potenzialmente ogni settimana potrebbero essercene altre. Questo non deve distrarci o influenzarci. Si deve continuare con il lavoro in palestra e incrociare le dita affinché tutto vada per il meglio”.
    Cosa si aspetta dalla sua carriera negli anni a venire?
    “Mi piacerebbe salire in A2, magari con Motta, e fare un buon campionato. Credo che la differenza con la A2 non sia tanta e penso di poter dire la mia anche in una categoria superiore alla A3. In generale sono soddisfatto della strada che ho fatto. Forse avrei potuto pretendere qualcosa di più se avessi scelto di rimanere ancora a Modena, ma volevo giocare e sono contento così. Alla fine anche la B, con l’anno a Portomaggiore, mi hanno dato quella consapevolezza che serviva per capire cosa potevo e non potevo giocarmi in carriera”.
    Volley a parte, cosa c’è nella vita di Roberto Pinali?
    “Studio Architettura e Design Industriale alla San Raffaele di Roma. Avevo iniziato Design del Prodotto Industriale a Bologna, ma era troppo impegnativo farlo a distanza. Ho trovato la quadra e vorrei proseguire nello studio. Non so quanto riuscirei a vedermi in una vita legata solo alla pallavolo”.
    La sua compagna, Giorgia, è una pallavolista. Meglio poter parlare di pallavolo a fine partita?
    “A mio parere sì. Il confronto con lei trovo sia sempre positivo. Avere un’affinità lavorativa con la propria compagna è un qualcosa che avvicina. Io poi non sono uno di quelli che cerca di non condividere le proprie emozioni, le gioie o le proprie amarezze. E Giorgia su questo è sempre un grande supporto”. LEGGI TUTTO

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    Robertlandy Simon: “A Civitanova ho trovato una famiglia”

    Di Roberto Zucca
    Nei suoi occhi ci sono molti sentimenti contrastanti: l’ambizione, la forza fisica e morale, lo spirito di sacrificio, la sofferenza. Veder giocare Robertlandy Simon è un concentrato di emozioni. Non a caso, di quel Paese così nostalgico e fuori dal tempo quale è Cuba, Simon rappresenta un po’ tutto il meglio:
    “La mia storia è una storia lunga, complessa. La mia infanzia non è stata semplice, così come quella di tanti connazionali. La mia vita è stata sacrificante, ma non più di quella di tanti. Arrivo da un paese in cui la povertà ti restituisce la voglia di riscattarti, ma anche il coraggio di non arrenderti e la forza di essere sempre sorridente, perché questa è la vita”.
    Posso chiederle cosa conta davvero per lei nella vita?
    “La famiglia. La loro serenità, il fatto che posso contribuire a farli stare sereni. È la cosa che mi manca di più rispetto alle mie origini e alla mia infanzia trascorsa a Cuba”.
    Di quelli anni ha citato la povertà. Che rapporto ha adesso col denaro?
    “Il denaro è una sicurezza. Ti permette di poter essere utile agli altri, dando magari stabilità e serenità. La più grande soddisfazione della mia carriera è stato poter aiutare la mia famiglia. Non avere il pensiero di non poterti permettere delle cose ti va vivere certamente con maggiore tranquillità”.
    Foto FIVB
    La pallavolo è uno stile di vita. La frase che lei ha postato sul suo profilo Instagram.
    “È una manera. Un modo di vivere, di affrontare la vita. Ho iniziato molto giovane a praticare questo sport e la pallavolo mi ha accompagnato per tutto il mio percorso di crescita. Non so come sarebbe stata la mia vita senza questo sport, perché la pallavolo ne ha sempre fatto parte”.
    Quello stile di vita lo ha portato prima a Piacenza, poi a Civitanova.
    “L’Italia mi ha accolto e in Italia ho vinto tanto, ed è stata una grandissima soddisfazione. Mi sento benvoluto, amato. A Civitanova non ho trovato un team, ma una famiglia. Siamo una squadra che si rispetta ma siamo anche molto uniti. Trascorriamo molto tempo assieme anche al di fuori dal campo”.
    Il segreto di Civitanova: il trio cubano o l’essere una squadra?
    “Essere una squadra. Io, Osmany e Leal siamo parte di un gruppo nel quale ognuno ha il suo peso, le sue responsabilità. Non si vince grazie a noi tre ma si vince con il gruppo unito. Noi portiamo all’interno dello spogliatoio una mentalità latina che è molto simile a quella italiana. Ci piace sentirci parte di un gruppo e poter contare l’uno sull’altro”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Bilancio di questa prima parte di campionato?
    “Abbiamo lasciato un punto per strada e lavoriamo affinché l’affiatamento e il gruppo cresca partita dopo partita. È un bel campionato, che finché potrà andare avanti è davvero molto bello da giocare. La gara contro Ravenna di qualche settimana fa ci ha dato nuovi stimoli e nuove sfide che dobbiamo affrontare, trovando una solida continuità”.
    Cinque stagioni in Italia. Mi dica il compagno di squadra e l’avversario più forte che ha incontrato sulla sua strada?
    “Ce ne sono tantissimi. Un compagno di squadra che mi ha lasciato il segno è stato sicuramente Bruno. Fortissimo, molto tenace, era uno che anche in spogliatoio si sentiva. Sugli avversari le direi tanti, da Anderson a Juantorena. Giocatori così è meglio sempre averli dalla stessa parte del campo”.
    Al di fuori del campo è nota ai più la sua avventura nella ristorazione.
    “Quando ero in Brasile mi sono innamorato delle churrascharie, e così quando sono arrivato a Civitanova sono subito andato a cercare di mangiare brasiliano, ma senza successo. E così ho detto, perché no? Sono socio di un locale che si chiama Madeira ed è proprio a Civitanova. Ora mi piacerebbe lanciarmi nella cucina stellata”
    Tempi duri per la ristorazione?
    “Sono tempi duri per tutti. È dura per la ristorazione perché hai comunque i lavoratori da pagare, nonostante che la sera, ad esempio, ci siano delle restrizioni, e il business ne esce fortemente danneggiato. Speriamo di venirne fuori presto”.
    Il futuro di Simon. Se lo immagina?
    “Per ora sicuramente in Italia. Poi si vedrà. A Civitanova sto molto bene e ho anche delle attività da portare avanti oltre al volley. Quando smetterò di giocare non so, magari allenerò una squadra di ragazzi o sarò un imprenditore, o tutte e due le cose. Chissà!”.
    Per ora la cosa importante è vincere con Civitanova.
    “Quello sempre”. LEGGI TUTTO

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    Marco Vitelli è già di casa a Padova: “Nel DNA della Kioene c’è l’entusiasmo”

    Di Roberto Zucca
    Prendi una piccola società, in una terra, quella d’Abruzzo, in cui non si affaccia solo una scena sempre più ambiziosa di Beach Volley, che lui pratica, ma una squadra di pallavolo che in origine si chiama Virtus Volley Paglieta. È proprio qui che Marco Vitelli comincia la sua ascesa, passando da essere il piccolo Marco che entrava a piccoli passi nella palestra in cui allenava il papà, a diventarne il talento più conosciuto. Da qui in poi i club che lo hanno visto protagonista sono, per citarne solo alcuni, Civitanova, Ravenna ed ora la Kioene Padova:
    “È una squadra che ho scelto perché negli anni addietro ha dato spazio ai giovani. Padova ha investito tanto su alcuni di loro, che hanno saputo distinguersi. Quest’anno ho scelto una società con cui poter fare un percorso alla base del quale ci fossero innanzitutto stima e fiducia”.
    È ciò che le ha garantito mister Cuttini?
    “Sin dal nostro primo colloquio. È riuscito a trasmettermi da subito la sua stima, che è reciproca, e la voglia di fare. Ha saputo convincermi sia con l’entusiasmo che è insito nel DNA di Padova, sia con le responsabilità che sul campo mi ha attribuito”.
    Finora il campo ha dato ragione a Vitelli. Belle prove individuali.
    “Avevo un’eredità pesante, che era quella lasciata da Alberto Polo che qui ha saputo fare molto bene. Sapevo di dover funzionare da subito. Siamo riusciti a portarci a casa alcuni punti e altri li abbiamo lasciati sul campo. Vogliamo invertire la rotta dalle prossime giornate”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Volpato ha detto che Padova è una squadra emozionale.
    “Contro Monza siamo stati trasportati da questo sentimento, ad esempio. Una squadra come Padova dovrebbe però giocare sempre al massimo senza condizionamenti umorali, sempre al 100%”.
    Che significato ha quest’annata per lei?
    “Ha una sua importanza. La scorsa stagione è stata per tutti noi una enorme incompiuta. Nel mio caso ho voglia di prendermi delle rivincite e proseguire un percorso all’insegna della continuità. Sono sicuro che le basi poste fino ad ora daranno i loro frutti”.
    Cresciuto a Paglieta e al Teate Volley e poi subito amore con la Lube. Ha scelto di partire da un punto alto nella sua scalata.
    “Mi ritrovai a sostituire Cester in una partita e il mio esordio fu qualcosa di magico ed inaspettato. Andò talmente bene che a fine gara venni eletto MVP. Da lì partì tutto. E gli anni della Lube sono stati innanzitutto anni di grande formazione. A 18 anni non è semplice gestire quella maglia, le aspettative. Io sono arrivato a Macerata senza pensare al peso che potevo sentirmi addosso, ma consapevole di avere una bella opportunità da sfruttare a mio favore”.
    Il suo anno più bello e spensierato lo leghiamo invece a Ravenna?
    “È un anno che tutto il gruppo ricorda con entusiasmo. Fu bellissimo ritrovarsi nelle zone alte della classifica, ottenere dei successi importanti e dimostrare anche nei playoff che non avevamo paura di niente. Penso alla vittoria contro Perugia ad esempio. La Challenge è stata infine una grande soddisfazione e un premio per il lavoro fatto da tutto il collettivo. È stato davvero un anno importante, a cui penso spesso”.
    Dicono che lei abbia un grande amore: il Beach Volley.
    “È il mio stacco estivo, la mia spensieratezza, la mia ricreazione dalla pallavolo. È legata ad amici come Paolo di Silvestre, Edgardo Ceccoli, Paolo Cappio. Sono gli amici con cui a 14 anni andavo in spiaggia a giocare e con cui sono cresciuto. Il beach è casa ed è una passione che coltivo nel tempo e che penso non lascerò mai”.
    Con chi vorrebbe vincere il Campionato Italiano?
    “Con Paolo Cappio ho intrapreso un bel percorso quest’anno e col coach Simone Di Tommaso, che per me è una persona molto importante, abbiamo in programma di proseguirlo. Direi che la testa è rivolta alla pallavolo, e una parte di cuore è rivolta a proseguire questa strada. Con il sogno di vincere quel Campionato Italiano che mi ha citato”. LEGGI TUTTO

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    Dragan Travica di nuovo tra le stelle: “Pensavano fossi arrivato alla fine, e invece…”

    Di Roberto Zucca
    È nel punto più alto che le stelle acquistano il loro splendore. Se Dragan Travica fosse materia stellare, si troverebbe ora in una costellazione luminosa e lontana, ma incredibilmente vicino a quanto di più autentico si possa immaginare per la carriera di un pallavolista. Travica è l’uomo delle mille vite, delle morali di una favola, delle ceneri da cui risorge una Fenice. E quel ciclo di risalita, partito da Padova con umiltà e spirito combattivo è arrivato ora dritto alla Sir Safety Conad Perugia, nella quale Dragan ha già vinto e ottenuto il primo trofeo della stagione, la Supercoppa:
    “È stato bellissimo, emozionante. Non insegno nulla a nessuno se dico che vincere è qualcosa di esaltante. Ho fatto un percorso, fatto di molte tappe. Non penso tanto al titolo in sé perché non sono uno che si culla sulle vittorie ottenute e i trofei vinti. È la gioia di un momento. Poi c’è tanto altro che voglio vivere e ci sono tanti momenti che in questa carriera voglio raggiungere e scrivere”.
    Il suo ex compagno di Padova Cottarelli ha detto che lei è tornato in cima, esattamente dove doveva stare.
    “Quelle parole mi hanno toccato e commosso. E racchiudono un po’ il significato di un ciclo, quello iniziato a Padova, che mi ha lasciato persone speciali, ricordi indelebili e a cui penso di aver lasciato qualcosa di mio. Ho sempre detto che avrei lasciato quel mondo bellissimo chiamato Kioene solo per un progetto che aveva in sé degli obiettivi diversi. Non una squadra migliore o peggiore, ma per un progetto ambizioso. Sento di essere atterrato in un progetto importante”.
    La sua vita pallavolistica è stata una parabola. Tornata ora in un punto alto dell’asse.
    “È stata una vita di scelte giuste e meno giuste, che nel complesso hanno avuto un significato da cui ho tratto tanti insegnamenti. Ho avuto la freddezza, dopo l’Iran, di ripartire da un foglio bianco e di scrivere da metà foglio, anche se qualcuno ha pensato che fossi già arrivato al finale”.
    Foto Ufficio Stampa Kioene Padova
    Sbaglio se le dico che il suo vero coraggio sia stato quello di saper aspettare?
    “No, non sbaglia. Ho avuto la possibilità di andare via da Padova dopo un anno per andare a Monza, Milano, all’estero. Ma ho scelto di restare perché era giusto continuare un percorso nel quale volevo dare ancora tanto e del quale ho avuto bisogno per ritrovare il giocatore che ero solo qualche stagione prima”.
    È stato in grado di dare un senso a giocatori come Polo, Volpato e Randazzo.
    “Ho lavorato con loro anche per dare un senso a ciò che stavo facendo io. Mi sono ritrovato in uno spogliatoio in cui sono riuscito ad esprimermi, a fare sì che si ripartisse dalle vittorie ma anche dai lunedì dopo la sconfitta. Ci siamo confrontati e abbiamo lavorato sulle forze e le debolezze. È stato importante”.
    Ultimamente si parla molto di cultura della sconfitta. Penso a una Serena Williams, che ha dichiarato che dalla sconfitta si è spesso trovata a dover fuggire.
    “Credo sia normale, o meglio, trovo il pensiero vicino a ciò che è stata la sconfitta per me in alcuni momenti della mia carriera. Ci sono state occasioni nelle quali ci ho messo del tempo per digerire ciò che era accaduto a me e alla squadra dopo aver perso una gara”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Le occasioni di cui parla si riferiscono alla nazionale o ai club?
    “A entrambi. Penso alla finale degli Europei del 2011 che impiegai mesi a dimenticare. Mi capitava di svegliarmi la notte, ritrovandomi dentro un punto da giocare o sognando ancora l’ultima palla. Penso all’eliminazione in semifinale contro Piacenza, con la Lube del 2013. Successe che feci un biglietto e partii subito dopo per un viaggio. Avevo necessità di buttarmi quella stagione alle spalle. Credo che col tempo quel sentimento che scaturisce da emozioni simili diventi più razionale. A 34 anni è necessario imparare ad anestetizzare quel dolore legato al risultato finale di una partita”.
    Per ora a Perugia ha riscosso successo. Da chi è rimasto più colpito?
    “In generale da tutto e da tutti. Ho scoperto l’enorme sensibilità di Leon. È un ragazzo sempre pronto a preoccuparsi per gli altri. E, nonostante ciò che rappresenti nella pallavolo di oggi, ha i piedi completamente a terra ed è una persona dotata di un’incredibile umiltà. Ho scoperto il talento di Russo, che è un centrale che col tempo potrebbe arrivare davvero molto in alto. E infine il carattere e il carisma di Atanasijevic. È un ragazzo che cambia l’umore dello spogliatoio ed è in grado di dare sempre forza al gruppo. Spero davvero di vederlo presto in campo”.
    C’è qualcosa a cui aspira dopo Perugia?
    “Per ora aspiro a fare una bella stagione con Perugia. Il resto verrà da sé”.
    Dopo Perugia, ci saranno le Olimpiadi per molti suoi compagni di squadra. Per lei è un argomento tabù?
    “È un argomento di cui parlo se qualcuno me lo domanda. Ma non ricerco voci, anticipazioni, segnali dal campo o da fuori. Mi piacerebbe poter aggiungere un capitolo finale alla mia storia in azzurro e fare sì che il finale della storia non sia più il nome di Dragan Travica collegato alla vicenda di Rio. Spero di poter avere la possibilità di scrivere un altro pezzo della storia. Se così non fosse, sono soddisfatto di ciò che a livello professionale ho fatto dopo quell’anno. Mi basta questo”. LEGGI TUTTO

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    Davide Saitta, bentornato al Sud: “Non sottovalutate la Tonno Callipo”

    Di Roberto Zucca
    È stato spesso al centro delle cronache non solo per la sua carriera pallavolistica fatta di vittorie e di soddisfazioni, bensì per l’uomo e la voce che è stato capace di imprimere alle sue battaglie, in primis quella riguardante il diritto alla festività del Natale. Succede infatti che Davide Saitta lo scorso anno scriva una lettera direttamente al Pontefice perché la sua squadra, la Consar Ravenna, è costretta da impegni di calendario a giocare in data 25 dicembre contro la Itas Trentino. Nessun diritto quindi per gli atleti delle due squadre di trascorrere la festività con le proprie famiglie in un giorno, che è anche sofferenza per chi in quelle giornate è costretto dal campionato a dover scendere in campo:
    “Molti mi ricordano per questa battaglia e devo dire che il risultato è stato inaspettato. Papa Francesco ha risposto al mio appello mostrandomi la sua vicinanza e il suo appoggio. Conservo la risposta tra le cose più care e sono grato a coloro che gli hanno fatto ascoltare la mia voce e la mia richiesta”.
    Per molti suoi colleghi il Natale è una festività come altre. Lei ne ha evidenziato in primis il carattere religioso.
    “Indipendentemente dal significato che può avere per chi possiede una fede cristiana o meno, è un appello che ho reputato fare perché come atleta e professionista di questa disciplina sento l’esigenza di trascorrere le festività del Santo Natale con la mia famiglia, andando a messa, e celebrando ciò che la mia religione professa. Non vuole essere un sottrarsi agli impegni previsti dalla pallavolo, bensì un diritto che molti lavoratori hanno ottenuto col tempo”.
    Posso chiederle se il suo rapporto con la fede è stato oggetto di critiche o di malcontento negli anni scorsi?
    “Assolutamente no. C’è stata una fase giovanile in cui la mia esigenza è stata oggetto di scherno da parte di qualche compagno di scuola o delle giovanili, ma nell’ambito dell’innocenza. Quindi non ci sono mai rimasto male per questo”.
    C’è stato qualche fattore o accadimento che le ha fatto incontrare la fede?
    “La famiglia. Faccio semplicemente parte di una famiglia cristiana, che crede in Dio e in Gesù Cristo morto e risorto, e che sulla base di questo ha fondato l’educazione dei suoi quattro figli. Ed io spero di essere allo stesso modo un buon esempio per i miei figli”.
    Foto Ufficio stampa Tonno Callipo Calabria Vibo Valentia
    Intanto congratulazioni. Qualche giorno fa è diventato padre di Giuseppe, il secondogenito di casa Saitta.
    “La ringrazio. Mi spiace non avere la possibilità di stare di più con lui e col resto della famiglia, ma di comune accordo abbiamo deciso che mia moglie Nicoletta rimanga a Brolo con Noemi e Giuseppe e i nonni. Ho avuto il permesso della società di partire dopo la partita di Modena e di andare a trovarlo, anche se con le misure Covid ho potuto vederlo solo alla sera dall’incubatrice. Tutto ciò non ha tolto però l’emozione del momento”.
    Veniamo a Vibo e al perché di questa scelta.
    “Il mio progetto a Ravenna si è concluso senza strascichi, ma con la fortuna di aver militato per due anni in una bellissima realtà. Il presidente Callipo mi ha cercato e voluto, e sono molto contento di aver scelto Vibo perché è una realtà altrettanto bella, fatta da un uomo, Pippo Callipo, che vuole molto bene alla pallavolo e che per questo sport ogni anno cerca di fare il massimo”.
    Vibo è una squadra dalle mille incognite ogni stagione. Saitta potrebbe essere l’uomo della Provvidenza?
    “(ride, n.d.r.) Ci sono anni in cui, come tante squadre non di vertice, ha fatto più fatica ad imporsi ma ha sempre fatto delle ottime squadre. Quest’anno penso di far parte di una squadra tutt’altro che sottovalutabile. Lo abbiamo dimostrato nella partita con Milano, ma penso sia in generale il leit motiv di tutto il campionato. È un tutti contro tutti in cui le sorprese possono arrivare ogni domenica. Adesso ci aspettano sfide importanti e già nei prossimi incontri avremo degli scontri diretti con le nostre concorrenti”.
    Tonno Callipo Calabria Vibo Valentia
    Ha dichiarato che lei ala lotta per la salvezza non crede.
    “No non sono uno che condanna una squadra solo perché non sta tra le prime quattro della classifica. Vibo ha enormi potenzialità così come Padova, Verona, Ravenna hanno allestito squadre competitive. Pensiamo a Verona che a Trento ha fatto una partita stupenda. Capisco che Civitanova, Trento, Perugia e Piacenza hanno fatto un grande mercato, ma il resto della Superlega non è stata certo a guardare”.
    Nella gara contro Milano ha esaltato Aboubacar e Chinenyeze. A Ravenna ha fatto la stessa cosa con Russo e Rychlicki.
    “Non avevano bisogno di me, perché i giocatori che mi ha nominato sono dei grandi talenti. Detto questo il mio ruolo è anche quello di valorizzare delle individualità. Se qualcuno col mio lavoro è riuscito poi ad emergere, mi fa solo che piacere. C’è tanto merito nella carriera di questi ragazzi“.
    Le piacerebbe rimanere nell’ambiente e magari diventare una guida per i giovani di domani?
    “Sì, ma è troppo presto per pensare al futuro. Io sono uno ancorato al presente. Qualche pensiero anni fa lo feci, anche perché mi piacerebbe far fruttare la mia laurea e i miei studi. Penserò però tra qualche tempo al come e al quando”. LEGGI TUTTO

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    La grande occasione di Giulio Pinali: “Ma per me non è l’ultimo treno”

    Di Roberto Zucca
    A Bologna, solo qualche anno fa, Giulio Pinali e suo fratello Roberto indossavano una maglia, quella della Zinella, che nel mondo della pallavolo emiliana ha più di un ricordo storico. Poi la chiamata arrivò dalle giovanili di Modena, per entrambi. E da allora la storia dei due fratelli è nota. Roberto milita in A3 con la maglia di Motta di Livenza. Giulio è rimasto invece nella sua Romagna e ha indossato una maglia, quella della Consar Ravenna, carica di sogni e responsabilità:
    “Ho conosciuto vari atleti che hanno militato a Ravenna e di questa società mi hanno parlato molto bene. Ho trovato la voglia di fare, l’entusiasmo, la spinta per osare quel qualcosa in più che voglio da questa stagione. E ho firmato con piacere buttandomi in questa avventura”.
    Ravenna, negli anni, ha saputo regalare sorprese al campionato. Ci proverà anche quest’anno con Pinali?
    “La volontà c’è tutta. Siamo una squadra molto giovane, ma oserei dire promettente. Ci sono ottimi elementi e altrettanti ragazzi che vogliono fare bene in Superlega. Mi piace vedere che siamo tutti spinti da un grande entusiasmo”.
    Ha dichiarato che l’esordio con Piacenza è stato meglio del previsto.
    “Da parte loro vedevo molta pressione. Hanno cambiato e investito moltissimo sui grandi nomi e sono un’ottima squadra che volendo, potrà occupare le parti alte della classifica. Noi abbiamo pagato l’emozione dell’esordio, ma in Coppa Italia abbiamo avuto la meglio contro di loro. Diciamo che questa Consar può dare fastidio a molti”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Da Ravenna ogni anno ci si può aspettare di tutto?
    “Quando si crea un’alchimia, poi è facile fare bene. Credo sia anche legato al fatto che l’innocenza degli esordi e il non aver nulla da perdere contro squadre molto titolate ti possa portare a fare più di quello che avevi preventivato. Ravenna è sempre stata una piazza ostica. Adesso che mi ci trovo dentro, voglio contribuire anche io a renderla inespugnabile”.
    È stata una scelta irrinunciabile quella di lasciare Modena?
    “È stata una scelta ragionata e ponderata. Anni fa chiamarono me e mio fratello Roberto nelle giovanili e iniziammo un percorso che personalmente mi ha dato molto. Quest’anno volevo una squadra che mi desse la possibilità di giocare e di esprimermi con continuità. Bonitta ha saputo trasmettermi le leve giuste ed eccomi qui. Modena è una parte della mia storia che rimarrà sempre importante”.
    Vedendola da fuori negli scorsi anni è sembrato che lei abbia vissuto molte pressioni.
    “Sono più quelle che pensano di percepire gli altri dall’esterno di quelle che un atleta vive. Ho cercato di fare ciò che mi è stato chiesto e di essere a disposizione nei momenti che lo richiedevano. Se c’erano altre aspettative su di me? Non credo. Ho lavorato tanto e ora voglio cercare di raccogliere i frutti di quel lavoro”.
    Qualcuno ha detto che lei è un incendio che ancora deve esplodere.
    “Beh, credo che ci siano più che altro delle prove a cui devo essere sottoposto. Cercherò di cogliere le occasioni che mi presenteranno davanti. Quello è sicuro”.
    Posso chiederle come vive il tema di Tokyo sì o Tokyo no?
    “Con molta serenità. Comprendo che sia un anno importante per me e ce la metterò tutta per fare sì che le persone che debbano fare delle scelte sul mio conto possano farle in senso positivo. Ma non sono uno che vede Tokyo come l’ultimo treno da prendere. Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni è il valore del tempo. Le Olimpiadi per me rappresentano l’occasione più importante della mia carriera. Cercherò assolutamente di arrivare a centrare quell’obiettivo”.
    Di lei si pensa sia uno tutto casa e pallavolo.
    “Forse perché, anche quando non sono in campo, il pallone mi segue. Forse perché anche con mio fratello, quando ci vediamo, giochiamo spesso e facciamo dei tornei di green volley anche assieme alle nostre compagne? Non so. Sicuramente a casa mia la pallavolo ha avuto un ruolo importante sin dall’infanzia”.
    Eleonora, la sua compagna, le dà filo da torcere in campo?
    “(ride n.d.r.) Ci siamo conosciuti perché suo fratello era un mio compagno di squadra. Diciamo che in campo è una che non si risparmia. Peccato che quest’estate è andata k.o. per un infortunio al ginocchio. Altrimenti ci sarebbe stato da divertirsi”. LEGGI TUTTO

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    Swan Ngapeth è tornato a casa: “Metterò a frutto quello che ho imparato in Italia”

    Di Roberto Zucca
    Il destino, talvolta beffardo, si presenta alla porta di una carriera facendo un giro tale che è difficile prevederne l’esito. È così che da poche settimane il destino di Swan Ngapeth si ritrova ancorato al suo paese d’origine e alla città che meglio lo rappresenta, Poitiers, nella quale Swan ha deciso di proseguire il suo percorso pallavolistico con la maglia dello Stade Poitevin:
    “Ho deciso di accettare la sfida dello Stade dopo essermi confrontato con il tecnico Brice Donat, con cui abbiamo giocato assieme per alcuni anni e che già mi aveva allenato in passato. Ho detto sì con entusiasmo, non solo perché Poitiers per me è casa, ma anche perché possiamo fare tutti assieme un bel campionato”.
    La Ligue A. Noi la aspettavamo in Italia.
    “Dispiace aver lasciato un campionato così bello, che mi ha regalato molte emozioni dentro e fuori dal campo. Dopo l’ultimo campionato a Vibo ho avuto subito il sentore che sarebbe stato difficile rientrare in Italia anche per questa stagione, nonostante ci abbia sperato fino all’ultimo. La mia fidanzata gioca in Italia e mi mancherà non poterla vedere come succedeva quando vivevo lì. Questo però non vuole dire che l’estero è una seconda scelta. Credo che, dopo aver giocato per così tanti anni in un paese e aver trovato amici e compagni di squadra e società con cui mi sono trovato bene, si abbia voglia di continuità”.
    A proposito di amici. Mi ha colpito il rapporto, che lei definisce di fratellanza, con Nimir Abdel-Aziz.
    “Ha fatto un esordio strepitoso con Trento e ho molto tifato per lui. I compagni di squadra vanno e vengono. Le quotidianità spesso si azzerano perché si cambia squadra. Siamo, d’altronde dei viaggiatori, e cambiamo annualmente gran parte del nostro vissuto. Lui e alcuni altri rimangono dei punti fermi”.
    In Francia che ambiente ha trovato?
    “Giovane, sfidante, entusiasta. Sono il terzo più anziano, cosa che non mi era ancora capitata. Quindi un po’ sto diventando grande e un po’ ho scelto di giocare in una squadra anagraficamente più giovane rispetto alla mia età. Penso sia uno stimolo. Ci sono elementi molto validi, penso a Pajenk, Raffaelli, che hanno militato anche nel campionato italiano. Lo Stade potrà togliersi delle belle soddisfazioni”.

    Si è cominciato con le finali di Coppa annullate causa Covid-19.
    “Avremmo dovuto giocare in semifinale contro Tolosa, ma sia loro, sia Parigi avevano giocatori positivi e la Federazione ha deciso di giocare direttamente la finale tra noi e Tours. I nostri avversari però non se la sono sentita di giocare, a causa dell’aumento dei casi di Covid-19. Capisco che purtroppo dovremo convivere con questo virus. Speriamo che il proseguimento del campionato sia meglio delle premesse”.
    Gli obiettivi di Swan Ngapeth per questa stagione?
    “Raccogliere ciò che ho seminato in Italia in tutti questi anni. È un anno particolare, nel quale devo riuscire a mettere tutto quello che di meglio gli anni di Modena, di Latina e Vibo mi hanno lasciato. Sono molto determinato”.
    Ritrova, dopo anni, la vicinanza con la sua famiglia. Quanto ha inciso sulla scelta?
    “Riavvicinarmi a casa è sicuramente positivo per stare vicino alla mia famiglia e agli amici di sempre, anche se ormai mi ero completamente abituato a vivere lontano da casa. La più felice è mia madre che per anni mi ha chiesto ‘Ma perché non torni a casa?’. Non che le madri francesi, quindi, siano molto diverse dalle mamme italiane!”
    Chiudiamo con suo fratello Earvin. Ha ascoltato il suo ultimo disco?
    “(ride, n.d.r.) Altroché! Ho avuto modo di ascoltarlo in anteprima. È un disco molto bello, molto in stile Ngapeth. Se ne parlerà, glielo assicuro!” LEGGI TUTTO