consigliato per te

  • in

    Tommaso Rinaldi tra sogni e realtà: “Vorrei Modena per tutta la vita”

    Di Roberto Zucca
    Le voci sul suo conto farebbero perdere la testa ai più. Ma quando ti trovi davanti Tommaso Rinaldi, giovane schiacciatore della Leo Shoes Modena, capisci subito che, oltre ad essere il classico ragazzo della porta accanto senza grilli per la testa, è anche un atleta con molta razionalità e i piedi ampiamente ancorati a terra:
    “È una cosa che mi ha insegnato papà. In questo lavoro avere i piedi per terra senza perdere la testa è una cosa fondamentale per poter affrontare tutti i momenti, dentro e fuori dal campo. Io poi sono proprio agli inizi. Vivo un momento che mi piace definire magico e che spero duri il maggior tempo possibile”.
    Astro nascente. La grande promessa di Modena. Rischia di essere tutto troppo amplificato?
    “Rischia di esserlo se tutto ciò che viviamo non viene, appunto, vissuto senza un minimo di razionalità. Sono arrivato qui con la voglia di fare e ho mosso passo dopo passo per fare sì di poter entrare in questo tempio della pallavolo e far parte di tutto questo. Non mi curo molto di ciò che scrivono, non l’ho mai fatto e non rappresenta un peso. So cosa voglio e questo è l’importante”.
    Foto Modena Volley
    Cosa vuole Tommaso Rinaldi?
    “Modena. La vorrei per tutta la vita. È un’emozione grandissima far parte di questa società. E poi il PalaPanini quando si riempie emana un’energia che non si riesce ad immaginare se non ti trovi in campo e non stai disputando la partita. È indescrivibile”.
    Prima di lei Bruninho, Ngapeth, Christenson mi hanno parlato di quella magia.
    “Capisco che si rimane stregati. Ed è vero. Io Modena l’ho vissuta seduto sugli spalti quando ero più piccolo, seduto in panchina, e ora ho provato cosa significhi stare in campo. Spero che quella magia con tutti i tifosi dentro il PalaPanini sia solo un sogno rimandato di poco tempo”.
    Figlio d’arte. Si è mai sentito tale?
    “Mio padre non mi ha mai fatto sentire ‘il figlio di’. Nel senso che ha saputo starmi al fianco senza chiedermi nulla in più rispetto al fare qualcosa che mi divertisse, mi piacesse. In casa non parliamo solo di pallavolo, anzi, è un confronto molto proficuo su tutto e non mi fanno pesare ciò che mi sta accadendo, o ciò che posso fare in più o in meno nella mia carriera rispetto a ciò che ha fatto mio padre. Per la mia famiglia io sono semplicemente Tommaso, non il giocatore di Modena Volley”.
    Foto CEV
    È vero che si imbarazza ancora quando le chiedono il selfie dopo la partita?
    “(ride, n.d.r.) Come lo sa? Comunque sì, più che l’imbarazzo è l’emozione. Ci sono molte ragazze che giocano a pallavolo, per cui vederci con quella maglia è subito sinonimo di idolatria. E lì mi mostro sempre nel lato più timido. Ci sono anche tanti ragazzi che come me sognano quella maglia e quindi mi fa piacere quando vengono a fare i complimenti dopo la partita”.
    In fondo fanno i complimenti ad un argento europeo Under 20.
    “Che ricordi. Non mi chieda di quella finale però, perché la sconfitta non sono ancora riuscito a digerirla. Ho giocato al massimo delle mie forze ma è stata dura perché molti di noi accusavano già le conseguenze del Covid. Quindi stanchezza, affaticamento. Peccato, vorrei rigiocarla oggi e cambiare la sorte di quel secondo posto”.
    È stata dura riprendersi?
    “Non è un qualcosa che puoi sottovalutare. Oggi sto bene e sono di nuovo in campo, ma non è una semplice influenza che passa con un po’ di paracetamolo. Mi sento fortunato, perché lavoro in un contesto ipercontrollato, ma tanti coetanei che non vengono costantemente monitorati devono abbracciare il valore della prevenzione”.
    Mi dica qualcosa di lei al di fuori del campo.
    “Mi sono diplomato qualche mese fa e quest’anno ho deciso di prendermi un momento per capire se alla pallavolo posso affiancare qualche studio universitario. Vorrei capire esattamente cosa mi piacerebbe fare perché tra allenamenti col club, nazionale, Europei da preparare e il resto avrei fatto una scelta azzardata. Vorrei concedermi la libertà di una scelta ponderata”.
    Quest’anno basta già Modena insomma.
    “Assolutamente. Con qualche traguardo nella testa da raggiungere penso sia più che sufficiente”. LEGGI TUTTO

  • in

    La seconda giovinezza di Enrico Cester: “Per me Vibo vuol dire ripartenza”

    Di Roberto Zucca
    Vederlo battere quella Civitanova che porta con sé il ricordo di sue bellissime quanto altrettanto personali imprese, è stato un momento nel quale tutti si sono resi conto della forza della nuova Tonno Callipo Calabria Vibo Valentia. Una Vibo lucida, a tratti crudele, nella quale anche Enrico Cester si è prestato a fare la sua parte di killer delle grandi di Superlega:
    “Io direi che è una Vibo che si diverte e fa belle cose. Ovviamente il risultato di Civitanova non se lo aspettava nessuno, se aggiungiamo il fatto che davanti ci siamo trovati una squadra veramente agguerrita. Abbiamo fatto il nostro e quando è stato il momento siamo stati capaci di chiudere”.
    Su Instagram ha scritto “Un vecchio Veneto si asciuga i sudori dopo una battaglia. Il finale lo conosciamo tutti”.
    “È stato un bel finale. Ho scoperto i social tardi ma non ne faccio un uso spasmodico, non sono, per dire, il tipo che scrive frasi motivazionali. Anzi, non scrivo spesso perché faccio molta autocritica. Io, della partita contro la Lube, penso non ai muri fatti ma ai primi tempi che non ho messo dentro”.
    Da dove arriva l’idea di vedere il bicchiere mezzo vuoto?
    “Sono così, dentro e fuori dal campo. Non pensi a uno che loda le proprie prestazioni, quanto piuttosto a uno che non è mai contento appieno della propria prova. Si può sempre fare qualcosa di perfetto”.
    C’è qualcosa di perfetto nella sua vita?
    “Valeria, la mia compagna. Lei è la persona a cui non riesco mai a trovare un difetto, nei modi, nei toni, nei comportamenti. Qualunque cosa dica o faccia penso vada sempre più che bene”.
    Sua sorella Erica ha scritto che lei è un uomo di esperienza. È un pensiero che hanno in tanti.
    “Ho 32 anni. Ho un mio vissuto e un mio percorso. Penso anche io di aver fatto qualcosa in questo mondo e riconosco che sia un valore aggiunto. Preferisco però che lo pensino gli altri. Leggere il pensiero di Erica mi fa molto piacere. Se le persone che vengono a vedermi pensano questo è ovvio che il lavoro è stato sicuramente ripagato”.
    Cosa significa Vibo per lei a 32 anni?
    “Il riscatto. Meglio dire, la ripartenza. Arrivo da un’esperienza a Verona in cui volevo trovare più spazio, dopo aver lasciato l’anno prima Civitanova, che è stata la mia casa per quattro stagioni. Volevo rincominciare in un altro posto, con altre basi. Sono felice dell’ambiente che si è creato a Vibo”.
    Si dice che Baldovin sia bravo a creare gli ambienti giusti.
    “È un buon allenatore che si sta ad ascoltare volentieri. Ci siamo trovati tutti con la voglia di fare bene. E lo stiamo dimostrando. Credo che il lavoro di squadra che stiamo facendo sia decisamente buono, se in campo sono arrivati certi risultati”.
    Tonno Callipo Calabria Vibo Valentia
    Trentadue anni. La metà dei suoi anni l’ha passata in serie A. Ci ha pensato?
    “Ho fatto molti pensieri, ogni tanto ho meditato anche di concentrarmi su altro che non fosse la pallavolo, o semplicemente di cambiare vita e stare più vicino a Valeria. Abbiamo delle attività in cui abbiamo entrambi investito tempo e sogni. Mi è capitato di pensare di portarle avanti assieme anche recentemente”.
    Non vorrà dirmi che è già arrivato il momento di appendere le ginocchiere al chiodo.
    “(ride, n.d.r.) Ancora no, dai. Abbiamo una farmacia in cui ho investito dei risparmi vicino a Gallipoli. Mi piacerebbe dare una mano a Valeria, pensare di mettere su famiglia. Progetti di stabilità, ecco tutto”.
    La ripartenza di cui mi ha parlato prima pensa comprenda anche la nazionale?
    “No, penso quello sia un treno ormai passato. Nel ruolo forse saranno fatte scelte che ricadranno su atleti più giovani. Mi fa piacere averne fatto parte e se mi chiedessero di farne parte in futuro accetterei con piacere. Ma credo ci siano dei piani diversi e la concorrenza nel ruolo è tanta”. LEGGI TUTTO

  • in

    “Bisogna saper perdere”: Giorgio Barbareschi, da pallavolista a scrittore

    Di Roberto Zucca
    Vittoria e sconfitta sono concetti che durante la carriera da pallavolista, e per un breve periodo anche di direttore sportivo, hanno costituito gran parte della sua quotidianità. Con questi due fenomeni Giorgio Barbareschi, ex giocatore di Montichiari, Cagliari, Latina, Perugia ed ex DS della Conad Reggio Emilia, ha convissuto, lottato, fatto pace. E sui quali ha scritto un libro, che in poche settimane è diventato un piccolo caso editoriale.
    “Il libro si chiama Bisogna saper perdere (uscito ad agosto 2020 per l’editore Ultra, n.d.r.) ed è una raccolta delle dieci sconfitte più incredibili e devastanti nella storia dello sport. Ho spaziato dal basket, al tennis e alla stessa pallavolo, solo per citarne alcuni. Ho sempre praticato e seguito lo sport a 360°, avevo il sogno di scrivere un libro sin da giovane e una volta conclusa la carriera ho deciso di mettermi all’opera”.
    Flavio Tranquillo, da anni la voce del basket per Sky Sport, ne ha curato la prefazione. Lei lo portò anche a Reggio Emilia, per un incontro con gli atleti durante la sua stagione da direttore sportivo.
    “Penso che Flavio sia uno dei più grandi giornalisti sportivi che esistano in Italia. È stato un onore poterlo conoscere e costruire un rapporto di amicizia. Le contaminazioni tra sport funzionano sempre e quel giorno lo invitai per parlare con i ragazzi del valore del successo. Fu un bell’incontro, che credo sia rimasto nella mente di tutti i partecipanti dell’epoca”.
    Il capitolo sulla pallavolo è dedicato alla Generazione dei Fenomeni e alla sconfitta di Atlanta ’96.
    “Ho raccontato la cronistoria di un gruppo che ha vinto tutto e molto di più. Quest’anno, in occasione del trentennio dai mondiali 1990, ho letto molte celebrazioni, ma in ogni racconto c’è sempre quella seccante postilla della finale con l’Olanda. Ciò che ho voluto ribadire e ho cercato di far capire al lettore è che una sconfitta, per quanto dolorosa come in quell’Olimpiade, non può cancellare i trionfi e il fantastico percorso che quella squadra ha fatto sotto la guida di Velasco e Bebeto. Era un team ineguagliabile, composto da atleti contro cui ho avuto l’onore di giocare e che furono in grado di creare un’incredibile interesse attorno al nostro sport”.
    Ne parlò mai con qualcuno di loro?
    “Conosco molto bene Luca Cantagalli, con il quale ho lavorato a Reggio Emilia, ma per rispetto non ho mai cercato di approcciare l’argomento Atlanta. Quei momenti, se non sono vissuti in prima persona, non si possono comprendere per davvero. Ma mi è capitato di assistere a interviste di Julio Velasco o di Bernardi, in cui hanno fatto capire il fastidio che provano ogni volta che sono costretti ad affrontare quell’argomento”.
    Giani ha dichiarato che non ha vissuto a lungo con lo spauracchio dell’ultimo punto perso.
    “E ha fatto bene, perché quel punto non potrà mai intaccare una carriera straordinaria come la sua”.
    Travica invece mi ha confessato che da una semifinale scudetto persa si è ripreso dopo molti mesi.
    “Capisco il suo pensiero. Anche io ho vissuto molto male alcune sconfitte, ma bisogna riuscire a metabolizzarle e andare avanti. Però apprezzavo di più quelli che si chiudevano in un cupo silenzio piuttosto che quelli, e mi creda ne ho visti parecchi anche in serie A, che entrati nello spogliatoio dopo una partita persa chiedevano dove si andasse a cena o in discoteca. Una sconfitta non può e non deve condurre alla depressione, ma nemmeno essere dimenticata dopo un paio di minuti, altrimenti significa che a quella gara non ci tenevi poi molto”.
    La sua reazione più plateale?
    “Ai tempi della A1 dovetti rinunciare a partecipare al matrimonio di mia sorella a causa di una partita, che finimmo per perdere malamente. Rientrando nello spogliatoio un compagno di squadra fece una battuta scherzosa: mi avventai su di lui e lo presi per il colletto della maglia, con i compagni che dovettero separarci a forza. Era un amico, uno di quelli a cui ero più legato in squadra. L’episodio finì lì e cinque minuti dopo mi scusai con lui. Il mio gesto era ingiustificato, ma in quel momento non riuscivo ad accettare quel tipo di atteggiamento”.
    Ci sono giocatori ma anche allenatori che proprio non digeriscono la sconfitta. Ne ha avuti?
    “(ride, n.d.r) Nei primi anni l’allenatore di una squadra di serie A si buttò a terra in spogliatoio perché era furibondo con noi per un 3 a 0 subito in casa. Era molto teatrale negli atteggiamenti e aveva un carattere molto forte. Tanto che un giorno un compagno gli fece un verso modello Cassano, quando imitava gli allenatori dietro le spalle. Appena il coach lo vide scoppiò un putiferio e dovemmo interrompere l’allenamento per dividerli”.
    Le vittorie, invece, quanto sono difficili da vivere?
    “Molto, a volte anche più delle sconfitte. Perché alla gioia per il traguardo raggiunto segue l’ansia da prestazione di poter fare meglio. Di dover fare meglio. Penso alla generazione di Velasco, per cui dopo ogni trionfo tutti si aspettavano che sarebbero stati in grado di fare ancora di più. Non è solo il pubblico, la società o la federazione che ti chiedono di alzare l’asticella, ma è la tua professione che ti spinge a guardare sempre più in alto”.
    La tennista Schiavone ha scritto recentemente che, dopo il successo al Roland Garros, non è più riuscita a pensare alla vittoria in maniera concreta.
    “Perché non è facile restare con i piedi per terra dopo un successo del genere. È importante non perdere la bussola, non farsi svuotare dall’appagamento. Se una mattina ti svegli e ti accorgi che il punto più alto della tua carriera è ormai alle spalle e non riesci più a spingere al 100%, significa che è l’inizio della fine. Perdere fa male, deve fare male, altrimenti non è sport. Se la sconfitta non ti pesa più come una volta, forse è arrivata l’ora di pensare ad altro”. LEGGI TUTTO

  • in

    Matteo Sperandio rilancia Porto Viro: “Vogliamo finire ciò che avevamo iniziato”

    Di Roberto Zucca
    Tra i cavalieri che fecero l’impresa con la Biscottificio Marini Delta Porto Viro, quella cioè di dominare gran parte della scorsa stagione della neonata Serie A3, lui rappresenta un po’ il Lancillotto della situazione. Matteo Sperandio, da centrale poliedrico e non solo, è alla sua seconda stagione nel club veneto, dove confessa di trovarsi come in famiglia:
    “È una bellissima realtà, fatta di molte persone che amano questo sport e che per una realtà piccola come la nostra danno l’anima. In un mondo come quello di questa pandemia ho visto molte squadre correre ai ripari per la riduzione degli ingaggi o per salvare il salvabile della stagione precedente. A Porto Viro hanno cercato in primis di tutelare e salvare noi. Questo è stato un bel messaggio, per cui ho scelto di proseguire in questa squadra”.
    Fino al rinvio della partita contro Bolzano eravate gli unici a riuscire a giocare con continuità…
    “Eh, purtroppo so di tante squadre ferme a causa dei contagi e mi spiace dover affrontare un campionato in queste condizioni. Noi siamo stati gli unici fin qua ad aver disputato tutti gli incontri previsti, e questo ci ha permesso di iniziare con una bella scia di cinque vittorie che ha galvanizzato la squadra. Penso ad alcune squadre che, ahimè, hanno esordito soltanto la scorsa settimana”.
    L’obiettivo di Porto Viro è ripetersi?
    “Sì. Abbiamo concluso la scorsa annata non per nostro volere, ma per la triste vicenda Covid. Sino a quel momento avevamo disputato un’ottima stagione e quest’anno vogliamo, diciamo, finire ciò che è stato intrapreso”.
    Insomma, obiettivo A2?
    “(ride, n.d.r.) L’obiettivo è portare questa società, questi tifosi che ci seguono anche a distanza con tanto affetto, dove meritano. Mettiamola così. Se dovesse esserci una promozione, è ovvio, saremmo tutti quanti felici di far parte di qualcosa di più della serie A3”.
    È vero che segui anche il marketing della società?
    “Mi occupo di comunicazione e marketing per lavoro, perché fortunatamente il campionato mi permette di avere degli incarichi professionali. Mi piace dire che sono un consulente che supporto la squadra. Sono una persona con le sue idee precise nell’ambito della comunicazione e del marketing. Mi fa piacere se in questo riesco a dare una mano”.
    La mano gliel’hanno chiesta anche quelli dell’AIP?
    “Compatibilmente con i miei impegni. Vorrei fare di più ma il lavoro e la pallavolo non me lo consentono. Di mio c’è stato un grande impegno nella costituzione di questa associazione e nel credere che un organismo così potesse avere una grande importanza nel nostro mondo, una sua valenza e un valore aggiunto”.
    I risultati si iniziano a vedere? Penso ai casi Lanza e Baranowicz.
    “C’è sicuramente più unione di intenti. Si capisce che stiamo andando tutti dalla stessa parte, e non tanto per porci come antagonisti, ma come dei partner che si affiancano al mondo della pallavolo per fare sì che siano introdotte normali tutele per i lavoratori. Perché anche noi, mi piace ricordare sempre, lo siamo”.
    Dicono che a Porto Viro sono in tanti ad essersi tesserati.
    “Siamo in tanti. Quasi il 100%. Per me è un risultato straordinario. In fondo siamo una squadra, siamo professionisti appartenenti allo stesso settore. La partecipazione e la condivisione sono importanti nel mondo del lavoro”. LEGGI TUTTO

  • in

    La battaglia vinta di Filippo Lanza: “In gioco non c’era solo la mia storia”

    Di Roberto Zucca
    È la storia di una fenice quella che riguarda la carriera di Filippo Lanza. Ed è una storia bella da raccontare non solo perché Filippo è stato capace di risorgere dalle sue ceneri, ma per il modo in cui ha saputo trasformarsi da vittima di un’ingiustizia sportiva ad esempio per migliaia di ragazzi che nelle settimane di settembre hanno sostenuto la sua lotta silenziosa, che lo ha portato ad essere il fiore all’occhiello del mercato della Vero Volley Monza.
    “Me lo sono proprio goduto quel bagno di affetto e solidarietà. È stato importante capire che quella storia non era solo la mia ma di altri. E per questo andava affrontata e superata. Ci sono stati, ci sono e ci saranno dei Filippo Lanza ed è giusto combattere per quelli che ci sono e ci saranno. Io l’ho fatto, non dimenticando quale fosse il mio obiettivo, ovvero ricominciare”.
    La vicenda è nota. E lei ha affrontato tutto, scegliendo una linea stoica. Perché?
    “Perché il mio carattere è questo. Non pensi che in privato non ci fossero delle urla silenziose, non ci fossero dei momenti di sconforto. Ma ero stufo di trattarmi male e di farmi trattare male. E Monza è arrivata proprio in quel momento. È presto per dirlo, ma sento che tutto questo sia un nuovo inizio”.
    Foto ufficio stampa Vero Volley Monza
    Monza. Perché?
    “È una società con dei valori, che vanno al di là di quello che è lo sport inteso come vittoria o sconfitta. È un luogo nel quale l’atleta si ritrova compreso in un tutto, fatto di attenzione alla persona e nel quale è importante non solo il campo, ma anche ciò che si fa fuori dal campo. Apprezzo molto il fatto che si lavori sulla tecnica e su questo ho ripreso a fare un bel lavoro in palestra”.
    Per ora manca la costanza nei risultati.
    “Arriverà. C’è stato un cambio di allenatore e questo normalmente può essere destabilizzante all’inizio, ma non nel senso negativo dell’accezione. Intendo dire che si riparte, si lavora in palestra per fare sì che si crei una continuità e un’intesa tra tutti gli attori coinvolti. E su questo si sta facendo tanto”.
    È arrivata la vittoria contro Piacenza. Fa specie che squadre come Trento o la stessa Gas Sales siano un po’ indietro?
    “Questa prima parte di campionato ha dimostrato che le quattro teste di serie degli scorsi anno siano diventate in realtà due. Trento ha sbagliato qualche gara e anche Modena ha fatto più fatica. Il resto è un enorme tutti contro tutti, nella quale potrebbero arrivare i risultati contro chiunque”.
    Foto Ufficio Stampa Vero Volley Monza
    Monza cosa si prefigge? E Lanza?
    “Conquistare l’accesso a una Coppa europea per la prossima stagione e fare un bel campionato, che poi sono le premesse che mi hanno portato a decidere di approdare qui a Monza. Penso che la squadra abbia tutte le carte in regola per proseguire la stagione al meglio. E poi non mi dispiacerebbe ottenere qualche altra vittoria sulla carta inaspettata”.
    Domenica arriva Perugia. Che sentimenti prova Filippo di fronte ad una gara così?
    “Ho concluso la scorsa gara contro Piacenza e già pensavo alla partita di domenica. Mi è capitato così anche quando giocavo a Perugia e dovevo sfidare Trento. È una partita da ex, quindi si ha la voglia di disputarla al meglio e di portare a casa il risultato. Ce la metterò tutta”.
    Ha scritto un messaggio d’addio in cui ha applaudito i tifosi di Perugia. Molti hanno scritto che gli applausi li meritava lei.
    “E questo per un atleta è un attestato di stima importante. Ho lasciato degli ottimi rapporti con i compagni di squadra e ho il ricordo di una tifoseria che mi ha sostenuto. A me basta questo. Il resto ormai è una pagina che ho girato”.
    Foto: Vero Volley Monza
    L’AIP si è schierata molto apertamente nei suoi confronti. C’è stato un bagno di affetto per lei. È una cosa inaspettata?
    “L’AIP sta facendo un grande lavoro di tutela dell’atleta sotto ogni punto di vista. Ed è stato importante ricevere l’attestazione di stima da parte di tanti compagni, ex compagni e amici che in quei giorni mi hanno semplicemente detto di non mollare. Un giorno scriverò qualche riga in più che spero sarà utile a tanti atleti. Adesso è troppo presto”.
    Non pensa che una testimonianza del genere, accompagnata da qualche dettaglio in più, sia il pretesto per scrivere un libro sulla sua vita?
    “No, è prematuro. Non ci ho mai pensato. Credo che manchi ancora qualche tassello per fare sì che tutto finisca dentro le pagine di un libro, che reputo sia un passo importante. Quindi no, ancora no”.
    La sua compagna ha scritto che è stato un anno impegnativo. Quanto conta la vicinanza di persone importanti in questi momenti?
    “Molto. Anche perché nei momenti più duri ti aggrappi solo a persone di cui sai di poterti fidare. Io sono stato fortunato. È un momento in generale difficile per tutti. Anche il solo pensiero di tornare a casa e trovare Costanza ad aspettarmi è qualcosa che mi fa stare meglio”.
    Concludiamo, ripromettendoci di parlare più avanti del suo 2021.
    “Direi di sì. È ancora tutto lontano. Per ora posso dirle di essere più sereno. E felice”. LEGGI TUTTO

  • in

    Arthur Szwarc, il taglialegna di Cisterna: “Sono timido, ma in campo mi esalto”

    Di Redazione
    Così come un bravo “taglialegna” – soprannome affibbiatogli simpaticamente dallo speaker e addetto stampa della Top Volley Cisterna Giuseppe Baratta, e diventato il suo nickname durante le gare casalinghe – fa a pezzi e raccoglie i tronchi a disposizione, così Arthur Swarcz nelle ultime settimane ha fatto a pezzi qualsiasi cifra dei suoi record di punti personali adattandosi ad un ruolo, quello dell’opposto, che non gli appartiene:
    “È stata un’esigenza di cui ho parlato con il coach, che ho accettato pensando solo alla responsabilità richiesta. Sono contento che sia andata bene e sono felice del fatto che il mio apporto sia servito alla squadra. Spero che Giulio (Sabbi, n.d.r.) possa tornare presto in campo per darci il suo contributo. Io tornerò al mio ruolo di centrale e sarò ben felice di farlo”.
    Una giornalista canadese ha scritto recentemente che lei è esplosivo da opposto.
    “(ride, n.d.r.) Lo ringrazio molto e mi fa piacere se dall’esterno si sono percepiti la grinta e l’entusiasmo che ho messo in questo ruolo. In effetti in campo tendo a diventare tale, non tanto per il ruolo che ricopro, ma perché magari tendo ad esaltarmi dopo un punto fatto”.
    Nella vita invece è molto schivo.
    “Sono timido, lo ammetto. Un po’ perché ho ancora difficoltà con l’italiano e non riesco a parlarlo correttamente e un po’ perché di mio appaio così. Questo non significa che non noto l’affetto del pubblico, soprattutto qui a Cisterna, che mi lusinga molto”.
    Cisterna. Secondo anno. Mi dice le differenze rispetto alla scorsa stagione?
    “Siamo più ambiziosi. La società ha allestito un’ottima squadra e speriamo di iniziare a crescere partita dopo partita. Mi piacerebbe raggiungere un bel risultato qui alla Top Volley, perché non solo la società lo merita, ma anche tutta la città e i tifosi che ci seguono sempre”.
    Foto di Paola Libralato
    Per ora il campo non vi ha dato ragione. Cosa manca?
    “Sono convinto che nelle prossime settimane inizieremo a carburare maggiormente. Le prime gare, oltre ad avvertire qualche mancanza in campo, non siamo riusciti a trovare una continuità di risultato. Dobbiamo riuscire a fare partite come quella con Monza sempre, ogni domenica, per portare i punti a casa”.
    La parola “casa” mi fa venire in mente il suo Canada. Quanto le manca Toronto?
    “Il giusto. Qui in Italia mi trovo molto bene, ma la mia famiglia è lontana. Ho avuto modo di stare qualche settimana con loro in estate e siamo stati molto bene. Mio papà ha organizzato delle grandi giornate di pesca e siamo stati molto in famiglia e con gli amici. Insomma, sono riuscito a ricaricarmi per la nuova stagione che mi attendeva qui in Italia”.
    Mi spiega il significato del suo nickname “Woodcutter” (taglialegna)?
    “Dovete chiedere al nostro speaker. Un giorno mi sono presentato in palestra con una camicia a scacchi e lui mi ha detto che assomigliavo ad un boscaiolo canadese. Da qui è partito tutto. Ma ormai i tifosi mi chiamano così e anche io lo trovo simpatico!”. LEGGI TUTTO

  • in

    Trevor Clevenot, anima da capitano: “Ho scelto Piacenza per il suo progetto ambizioso”

    Di Redazione
    Cresce, stagione dopo stagione. E forse la sua carriera è arrivata a una vetta che non aveva mai toccato prima d’ora. Le responsabilità a cui è stato chiamato in questa stagione Trevor Clevenot sono molteplici. La prima è sicuramente quella di essere il capitano della Gas Sales Bluenergy Piacenza:
    “Un ruolo di cui vado orgoglioso. È il mio primo anno da capitano. La vivo in maniera assolutamente serena, perché penso che il lavoro sia sempre lo stesso e se fatto con dovere e con responsabilità una fascia in più non ne cambia il profondo significato. La mia è una squadra di atleti con una storia, un vissuto professionale molto importante. È bello stare in campo con loro”.
    Piacenza dalle due anime. Alle volte disputa partite stellari, altre volte fatica e non poco.
    “Fa parte del gioco e dobbiamo lavorare per non subire dei cali. Stiamo cercando di porre rimedio ad un inizio di stagione non proprio in linea con le aspettative e abbiamo dimostrato di poter giocare delle gare di buon livello”.
    Perché ha scelto ancora Piacenza?
    “Per il progetto ambizioso che mi è stato proposto alla fine della scorsa stagione. La campagna acquisti è stata importante e il lavoro fatto dalla società ineccepibile. E poi a Piacenza sono legati dei begli anni della mia carriera. Qui mi ero trovato molto bene e ho deciso di ritornarci”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Un percorso sempre in crescita. Due stagioni a Piacenza e due a Milano. Che ricordi ha?
    “Al di là dello stop per il coronavirus che è stato durissimo per tutti, il ricordo che ho è di annate in cui ho cercato di dare il massimo. Ho passato gli ultimi mesi a Milano senza potermi allenare, e poi Piacenza mi ha dato la possibilità di trasferirmi qui un po’ prima dell’inizio della stagione. Vorrei andare avanti e pensare che questo momento saremo in grado di buttarcelo alle spalle il prima possibile”.
    Gli anni di Tolosa invece cosa le hanno insegnato?
    “A capire che questa era la vita che volevo. Mi mancano i miei amici, la famiglia, perché non ho avuto modo di stare con loro in estate. In quei momenti pensi che la vita che vuoi fare porta con sé questi sacrifici”.
    Questo virus ha tolto la possibilità di viaggiare. So che lei ama farlo.
    “Sì, mi piace molto. Farlo da giocatore è ben diverso che farlo da semplice turista. L’aria che ho respirato in California, ad esempio la ricordo con molta nostalgia. Quei parchi, il Grand Canyon, tutto meraviglioso”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Il viaggio a Tokyo per le Olimpiadi vorrebbe farlo?
    “Sì, eccome. Ci spero e vorrei prendere parte a tutto questo. So che avrò anche un’altra possibilità a Parigi nel 2024, e giocare nel mio Paese una competizione così importante mi riempirebbe di orgoglio. Lavoreremo nei prossimi mesi con il nuovo assetto per fare sì che tutto possa diventare realtà”.
    Mi racconta un po’ chi è Trevor fuori dal campo?
    “Un ragazzo normalissimo, a cui piace stare con gli amici o con la propria compagna”.
    So che non ama parlare della sua privata. Posso chiederle qualcosa di più della sua compagna?
    “(ride, n.d.r.) Si chiama Sara. Ci siamo conosciuti qui a Piacenza. E siamo felici”. LEGGI TUTTO