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    I 12 siti di Formula 1 più visitati in Italia: la classifica completa!

    Con il mondiale 2018 di Formula 1 in archivio, è tempo di bilanci. Team e piloti, durante la pausa invernale, avranno tempo di ripensare al campionato che si è chiuso ad Abu Dhabi e di preparare al meglio il prossimo anno. Come loro anche per noi di CircusF1 è tempo di fare il punto su questo intenso 2018 e di scaricare a terra le tante novità che abbiamo in serbo per affrontare al meglio la nostra stagione numero 23.

    E’ passato qualche anno infatti da quel lontano 1997, anno in cui pubblicammo il nostro primo sito web e il nostro primo articolo. Durante tutta la stagione 2018, come di consueto, vi abbiamo tenuto compagnia con i nostri LIVE, i nostri commenti, approfondimenti e abbiamo aggiornato puntualmente la classifica mondiale piloti e costruttori.
    Oggi però vogliamo condividere con voi una classifica un po’ diversa: quella dei siti italiani che trattano di Formula 1. Molti di voi infatti ci hanno manifestato l’interesse di conoscere quali siano i siti più visitati nel panorama web italiano. E allora, eccovi accontentati.
    Qui a fianco potete trovare la classifica di 12 siti italiani. Il ranking è su base visite, i dati sono relativi al mese di settembre 2018 e la fonte è Similarweb.
    Il gradino più alto del podio è occupato da FormulaPassion.it che, con 3,89 milioni di visite/mese ha preceduto la versione italiana di Motorsport.com (1,66 milioni) e F1GrandPrix.it (885 mila visite/mese), la sezione dedicata alla Formula 1 di Motorionline.
    Stando sempre a Similarweb, il 4° posto è occupato da Autosprint che, con 661.136 visite ha preceduto il nostro sito (CircusF1.com) che ha totalizzato ben 348.481 visite/mese.
    Dalla sesta alla dodicesima posizione troviamo nell’ordine F1AnalisiTecnica.com, F1InGenerale.com, P300.it, F1Sport.it, F1World.it, NewsF1.it e LiveGp.it con un numero di visite/mese che vanno dalle 142.439 del sito di tecnica di Cristiano Sponton alle 30.494 del sito di Marco Privitera.

    Lasciateci però fare qualche considerazione su questi dati. In primo luogo alcuni dei siti in elenco non trattano solo di Formula 1 ma anche di altri sport motoristici: FormulaPassion, Motorsport, Autosprint, P300 e LiveGp affrontano varie categorie del motorsport e alcuni di questi spaziano anche su tematiche più automotive, a differenza degli altri che “parlano” al 100% di Formula 1, come chiaramente indica anche dal nome del dominio. In secondo luogo la metrica utilizzata, fonte Similarweb, potrebbe differire dai dati che ogni editore conosce e che derivano invece dai sistemi censuari presenti sui siti (es. Google Analytics).
    Proprio per questo, noi di CircusF1, tendiamo a leggere questi dati in modo relativo. Fatte 100 le visite al nostro sito, possiamo dire che generiamo un traffico superiore al 50% rispetto a quello di una testata come Autosprint, 2,5 volte quello di F1AT, 10 volte quello di LiveGp e così via.
    Infine, approfittiamo di questo articolo, per citare ancora una volta chi ha il merito di questo grande risultato per il nostro piccolo blog, ovvero le grandi firme di CircusF1 che, anche quest’anno hanno unito professionalità e passione per raccontarvi l’emozione di questo fantastico mondo che è il Circus della Formula 1.
    E allora un grosso applauso per:
    Laura Di NicolaGreta BassiPaolo PellegriniAlessandro PradaGianluca D’AlessandroMarco CornagliaSimone NencioniMirko RovidaLoris PreziosaAlessandro LivraghiMattia LivraghiSimone BettiniDavide RussoEdoardo SanfilippoNicola ScagliaRosario Giuliana

    Meritano una citazione anche FormulaHumor e Manuela Brigante per i loro contributi!
    Ci siamo dimenticati qualche sito? Scriveteci o lasciate un commento e vedremo di aggiungere, se possibile, i dati mancanti.
    Per saperne di più sulla metodologia di Similarweb, clicca qui. LEGGI TUTTO

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    Porsche e Honda: la scelta dei motori raffreddati ad aria in Formula 1

    Esistono molteplici soluzioni tecniche che, erroneamente, vengono ritenute obsolete, superate, antiquate o, come si dice oggigiorno, “non tecnologiche”. In realtà, si tratta di soluzioni tanto semplici quanto redditizie, sovente impiegate da numerosi decenni ma poi abbandonate e, pertanto, considerate non più all’altezza della moderna tecnologia.

    I motori raffreddati ad aria rientrano in questa categoria, considerati, appunto, ormai vetusti e non adatti a motori ad alte prestazioni. Eppure, le cose non stanno così. Anzi: i motori raffreddati ad aria da competizione hanno palesato prestazioni e affidabilità all’altezza dei più diffusi propulsori raffreddati a liquido.
    In Formula 1, due grandi Case hanno esplorato il territorio dei motori da competizione raffreddati ad aria: Porsche e Honda.  I motori raffreddati ad aria, in passato, hanno trovato terreno fertile anche e soprattutto nella produzione di serie. Basti pensare, solo per citare tre icone della motorizzazione di massa mondiale, alla Volkswagen Typ 1 (il famoso “Maggiolino”), alla FIAT Nuova 500 (1957-1975) e alle Porsche 911 (compresa la 993 lanciata nel settembre del 1993), vetture che, evidentemente, necessitano di ben poche presentazioni.
    Porsche, in particolare, ha fatto del motore raffreddato ad aria un proprio simbolo, ormai (purtroppo) consegnato alla storia del celebre e rinomato Marchio tedesco. Nelle corse riservate alle vetture a ruote coperte (Prototipi e Gran Turismo), la Casa di Zuffenhausen ha vinto, dominato per anni grazie a vetture spinte da propulsori raffreddati ad aria o misti (aria-acqua).
    Su tutte, ricordiamo le Porsche 917 del periodo 1969-1971 (motore tipo 912: 12 cilindri in V di 180° di 4500cc e 5000cc, eroganti rispettivamente oltre 525 CV e 640 CV a 8000 e 8300 giri/minuto), la Porsche 917/30 Can-Am (motore Tipo 912: 12 cilindri in V di 180°, 5347cc, due Turbo Eberspächer, pressione massima di sovralimentazione pari a 1,5 bar, potenza massima pari ad oltre 1100 CV a 8000 giri/minuto) e le Porsche 956 (1982) e 962 IMSA GTP (1984), modelli che negli Anni ’80 dominano il panorama Endurance grazie ai famigerati Type 935/76 e 962/70. Se la 956 Gruppo C presenta un 6 cilindri boxer (2649cc, 2 Turbo KKK K26, oltre 630 CV a 8200 giri/minuto) i cui cilindri sono raffreddati ad aria e le teste ad acqua, la originaria 962 IMSA GTP del 1984 è equipaggiata con un 6 cilindri boxer di 2869cc, sovralimentato mediante un singolo Turbo KKK K36, interamente raffreddato ad aria (cilindri e teste). Le prestazioni sono ugualmente esuberanti: oltre 680 CV a 8200 giri/minuto. Successivamente, le 962 Gruppo C1 adotteranno, a partire dalla seconda metà degli Anni ’80, 6 cilindri boxer raffreddati a liquido di cilindrata maggiorata.  
    Tutte le auto appena citate sono accomunate dal tipo di raffreddamento, ad aria, e dalla modalità con la quale esso si realizza, ossia ad aria forzata. Nelle 917 (parimenti agli altri Prototipi Porsche più o meno contemporanei della 917 o successivi, come ad esempio sulla 935), il raffreddamento ad aria avviene tramite una generosa ventola in fiberglass (vetroresina o fibra di vetro) posta orizzontalmente rispetto al motore e coricata tra le due bancate. Questa è azionata dagli ingranaggi della distribuzione (situati in posizione centrale) tramite apposite coppie coniche. Nella 956, la ventola di raffreddamento dei cilindri è posta davanti al motore in posizione verticale. Nella originaria 962 IMSA GTP, invece, la ventola è nuovamente coricata orizzontalmente tra le bancate (l’aria necessaria al raffreddamento arriva attraverso una vistosa NACA ricavata sul tetto della vettura).
    Il raffreddamento ad aria caratterizza anche le monoposto Porsche di Formula 1. Cinque i modelli impiegati dalla Casa tedesca tra il GP d’Olanda del 1958 ed il GP d’Olanda del 1964. In entrambe le occasioni, è Karel Pieter Antoni Hubertus (Carel) Godin de Beaufort ad aprire e chiudere l’avventura Porsche in F1: nel 1958 porta in gara la versione a guida centrale e con ruote coperte della RSK, nel 1964 è al volante della fida 718. Iconiche le sue vistose vetture iscritte sotto le insegne della privatissima Ecurie Maarsbergen, scuderia che prende il nome dalla città natale dell’aristocratico gentleman olandese. Il pilota dei Paesi Bassi, ancora al volante della 718, troverà la morte nel corso delle qualifiche del GP di Germania 1964 (Nürburgring).
    I modelli Porsche apparsi in Formula 1 sono i seguenti: la RSK a ruote coperte ed abitacolo centrale (3 GP: GP Olanda 1958 e 1959 con Carel Godin de Beaufort e GP degli Stati Uniti 1959 con Harry Blanchard), la Porsche Behra (realizzazione di Valerio Colotti commissionata dal pilota francese Jean Behra; la vettura appare in occasione dei GP di Monaco 1959, Germania 1959, Argentina e Italia 1960. A condurre la vettura, Maria Teresa De Filippis, Jean Behra, Masteg Gregory e Fred Gamble), la 718 (monoposto impegnata con continuità tra il GP di Monaco 1959 ed il GP di Germania 1964; a condurre la vettura in gara – sotto le insegne del Porsche KG, Porsche System Engineering, Ecurie Maarsbergen, Scuderia SSS Repubblica di Venezia e Scuderia Filipinetti –  Wolfgang von Trips, Edgar Barth, Hans Herrmann, Dan Gurney, Carel Godin de Beaufort, Jo Bonnier, Nino Vaccarella, Heini Walter, Gerhard Mitter), la 787 (vettura apparsa solo in quattro occasioni: GP Monaco, Olanda e Germania 1961 e Olanda 1962. I piloti sono Jo Bonnier, Dan Gurney, Edgar Barth e Ben Pon) e, infine, la 804, splendida e filante monoposto con la quale Porsche disputa 7 GP nel 1962 (Olanda, Monaco, Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia, Stati Uniti).

    Grazie a Dan Gurney, la 804 è in grado di vincere il GP di Francia sul circuito di Rouen-les-Essarts (8 luglio 1962) e di conquistare la pole-position del GP di Germania al Nürburgring (5 agosto 1962), corsa che il superlativo pilota statunitense chiude in 3a posizione.
    Dalla RSK alla 787 (auto progettate da Wilhelm Hild), la Porsche si affida al 4 cilindri boxer 547, nato nel 1954 e, ovviamente, raffreddato interamente ad aria forzata mediante una ventola posta verticalmente. Si tratta di un 1500cc aspirato le cui misure di alesaggio e corsa sono pari a 85 mm x 66 mm. Gli alberi a camme sono azionati da alberelli e coppie coniche. Il motore, piccolo, compatto ed interamente realizzato in alluminio, è un tripudio di alta tecnologia. Nel 1961, questo motore è in grado di erogare oltre 165 CV a 8500/9000 giri/minuto.
    Questo motore verrà rimpiazzato, nel 1962, da un altro boxer aspirato, ma ad 8 cilindri: il 753. La Porsche 804, infatti, è azionata dal nuovo flat 8 in alluminio raffreddato ad aria di 1500cc (dal 1961 al 1965, i regolamenti F1 ammettono esclusivamente motori aspirati di cilindrata minima di 1300cc e massima di 1500cc) e alimentato mediante 4 carburatori doppio corpo. I 4 alberi a camme (2 per ciascuna testa) vengono mossi ancora da alberelli e coppie coniche, l’albero motore presenta 9 cuscinetti di banco a guscio sottile, i cilindri sono singoli e con canne cromate, le bielle (lunghe 126 mm) in titanio, l’angolo tra le valvole (2 per cilindro) è di 72°, le valvole di scarico raffreddate al sodio. Le misure di alesaggio e corsa sono pari a 66 mm x 54,6 mm, il rapporto di compressione è di 10:1, la potenza massima attorno ai 185-190 CV a 9200 giri/minuto. L’8 cilindri 753 consente alla Porsche 804 di conseguire buoni risultati (con picchi di eccellenza nelle mani di Gurney), ma, in generale, il binomio 753-804 – frutto del lavoro di Hans Mezger e Hans Hönick – si rivela ancora globalmente e leggermente inferiore rispetto alla miglior concorrenza.
    Al livello sportivo, la Porsche non ottiene quei successi sperati in partenza (nei medesimi anni, Porsche è impegnata nelle corse riservate alle vetture di F2), pur ben figurando in una categoria – la F1 – inedita per la Casa germanica. 1 punto nel 1960 (frutto del 6° posto di Herrmann al GP d’Italia, Porsche 718), 22 punti (23 senza scarti) nel 1961 (ed ottimo 3° posto nella classifica Costruttori alle spalle di Ferrari – 40, 52 senza scarti – e Lotus-Climax, 32), 18 punti (19 senza scarti) nel 1962 e 5° posto nel campionato Costruttori alle spalle di BRM (42, 56 senza scarti), Lotus-Climax (36, 38 senza scarti), Cooper-Climax (29, 37 senza scarti) e Lola-Climax (19). Il miglior pilota è Dan Gurney, capace di conquistare il 4° posto nel Mondiale Piloti 1961 (21 punti, a pari merito con Stirling Moss, 3°, quell’anno al volante di Lotus 18, 18/21, 21 e Ferguson P99 della scuderia RRC Walker Racing Team) ed il 5° posto nel Mondiale 1962 (15 punti). L’impegno ufficiale di Porsche in Formula 1 si esaurisce all’indomani del GP degli Stati Uniti (Watkins Glen) del 1962. Nel 1963 e 1964, sarà la sola Ecurie Maarsbergen a portare in gara in forma privata, con Carel Godin de Beaufort e Gerhard Mitter, la anziana ma ancora valida Porsche 718. Nel 1963, fioccano altri 5 punti, gli ultimi raccolti da vetture Porsche (telaio e motore) in F1.  
    Nel 1968, ci prova Honda a riportare in auge un motore di Formula 1 raffreddato ad aria. Lo fa realizzando la tanto audace quanto controversa RA302. Yoshio Nakamura e Shoichi Sano progettano una vettura estrema, di una bellezza abbagliante, probabilmente tra le monoposto più accattivanti degli Anni ’60 (e non solo). Alla base del progetto della RA302 vi è un concetto tecnico molto semplice: la leggerezza. Nel 1968, la Honda schiera tre diversi modelli: la RA300 ereditata dal 1967, la RA301 e, infine, la RA302. La RA300 e la RA301 si dimostrano vetture competitive ma incostanti. In particolare, lamentano un’affidabilità sempre precaria e un peso eccessivo, ben superiore al peso minimo regolamentare, pari a 500 kg. La RA300 e la RA301 sono azionate rispettivamente dai motori RA273E e RA301E, entrambi 12 cilindri in V di 90°, aspirati e, come da regolamento, di 3000cc.
    La RA302 si discosta radicalmente dai precedenti modelli. La scocca è realizzata in pannelli di magnesio, metallo che conferisce estrema leggerezza alla struttura (la RA302 si attesta al di sotto del peso minimo regolamentare) ma anche una notevole infiammabilità. Un’altra caratteristica risiede nella disposizione delle masse: la vettura, assai compatta (il passo è di 2360 mm, tra i più contenuti: generalmente le altre auto si attestano su passi dell’ordine dei 2400 mm), presenta un abitacolo molto avanzato, facendo sì che il muso risulti particolarmente corto. Una impostazione concettualmente ineccepibile e all’avanguardia che, anni dopo, verrà enfatizzata con l’introduzione delle wing-car, tutte caratterizzate da musi cortissimi e posti di guida assai avanzati. Annegato nel corto muso, trova posto il compatto radiatore dell’olio.
    Allo scopo di risparmiare ulteriore peso, i tecnici nipponici optano per un motore raffreddato ad aria. Si tratta dell’Honda RA302E, un 8 cilindri aspirato in V di 120° (angolo inedito e singolare per siffatto frazionamento) di 3000cc. L’eliminazione dei radiatori del liquido di raffreddamento e del relativo circuito avrebbe fatto risparmiare peso e limitato gli ingombri a beneficio della aerodinamica. A differenza degli efficienti motori Porsche raffreddati ad aria forzata mediante ventola, i tecnici Honda optano per un più classico raffreddamento ad aria – di cilindri e teste – attraverso una serie di semplici prese d’aria dinamiche poste ai lati dell’abitacolo. I cilindri sono alettati. Come sulle moto raffreddate ad aria, è il movimento del veicolo ad alimentare il flusso d’aria che dovrà raffreddare il motore. L’8 cilindri RA302E si rivela potente, tra i più potenti della stagione 1968: i dati indicano oltre 430 CV a 9500 giri/minuto. Il V12 di 60° Ferrari eroga oltre 410 CV a 10,600 giri/minuto. I V12 Honda raffreddati a liquido di pari epoca si attestano anch’essi sui 400-410 CV a 10,000-11,000 giri/minuto.
    I test, tuttavia, lasciano John Surtees – pilota Honda – perplesso. La vettura è ancora acerba, poco stabile, tremendamente ostica da guidare. Il motore, inoltre, tende a surriscaldare. Ma non è il motore a preoccupare, bensì la scocca. Il campione inglese suggerisce di realizzare una versione con scocca in alluminio, più sicura dell’infiammabile magnesio. Honda, però, è decisa a portare in gara la nuova, rivoluzionaria RA302. Surtees si rifiuta di guidare la nuova monoposto. Ma il dado è tratto. Honda sta per lanciare la 1300 (con motore raffreddato ad aria…) ed il GP di Francia, sul temuto tracciato di Rouen-les-Essarts, è una buona occasione per Honda France per intraprendere una vasta operazione di marketing. Saltato Surtees (che prenderà parte al GP al volante della RA301), la scelta ricade su Jo Schlesser, navigato ed apprezzato pilota francese.
    È il 7 luglio 1968. GP di Francia, circuito di Rouen-les-Essarts. Sono previsti 60 giri per un totale di 392,520 km (il bellissimo circuito francese misura 6,542 km). Schlesser qualifica la sua RA302 col 17° e penultimo tempo, ad oltre 8 secondi dalla pole-position di Jochen Rindt (Brabham BT26-Repco, Brabham Racing Organisation). Surtees piazza la sua RA301 al 7° posto, a poco più di 2 secondi dall’austriaco. Le condizioni meteo non sono ideali: piove. Al secondo giro, Schlesser perde il controllo della nervosa Honda RA302 alla curva “Les Six Frères”. L’auto si ribalta, il serbatoio della benzina si danneggia. L’incendio è inevitabile, ulteriormente alimentato dalla scocca in magnesio. Schlesser, intrappolato, è in preda alle fiamme. La corsa continua mentre Schlesser perisce. Surtees, in questo gioco di luci e ombre in casa Honda, termina il Gran Premio al 2° posto, alle spalle di Jacky Ickx (Ferrari 312/68).  
    Honda non molla. Il progetto viene modificato ed un secondo esemplare della RA302 appare in occasione delle prove libere del GP d’Italia, a Monza (8 settembre 1968), identificata come “T-Car #14”. Il pilota designato è ancora Surtees il quale, però, prenderà parte al GP al volante della RA301. Nuovo radiatore dell’olio, nuove prese d’aria, nuovi scarichi (8 in 4 anziché 8 in 2), alette Canard ai lati del muso, ala alta centrale sorretta da una trama di tralicci in corrispondenza del roll-bar (non presente a Monza). La rinnovata Honda RA302 non prenderà mai la via della pista in un GP. I piloti – ad iniziare da un furibondo e scettico Surtees – si rifiutano di guidare una vettura da tutti giudicata eccessivamente pericolosa. Termina nel peggiore dei modi la breve e negativa carriera della Honda RA302. Oggi, possiamo ammirare l’esemplare modificato e mai impegnato in un Gran Premio presso l’Honda Collection Hall.
    L’insuccesso della Honda RA302 e la morte di Schlesser non sono imputabili, ovviamente, al V8 raffreddato ad aria. Una non perfetta tenuta di strada, una scocca particolarmente critica in caso di incidente e l’immancabile fuoco – autentico demone in grado di mietere vittime sino agli Anni ’70 inoltrati – hanno sancito la prematura fine della avveniristica RA302, vettura dall’innegabile potenziale.
    Porsche e Honda: due Case blasonate, due diverse interpretazioni di motori raffreddati ad aria. Motori dalle prestazioni esuberanti (si pensi al biturbo della dominatrice 917/30 Can-Am) che nulla hanno da invidiare ai più diffusi motori raffreddati a liquido. Questione di scelte, alternative. Oggi sarebbe possibile realizzare motori ad alte potenze specifiche raffreddati ad aria? La risposta è sì. Anzi, probabilmente – con tanti anni di ulteriore evoluzione tecnica in cascina, ad iniziare dai materiali – è possibile realizzare motori da competizione raffreddati ad aria ben più efficienti di quelli risalenti agli Anni ’60, ’70, ’80.
    Di seguito, una galleria fotografica.
    Hans Herrmann al volante della Porsche 718 della Ecurie Maarsbergen, Zandvoort 1961.
    2 luglio 1961, circuito di Reims: Jo Bonnier (Porsche 718 #10, Porsche System Engineering) affianca la Ferrari 156 #50 di Giancarlo Baghetti. Dietro, la Lotus 21-Climax di Clark, quindi l’altra 718 condotta da Gurney. Sul velocissimo tracciato francese, le 718 di Bonnier e Gurney danno filo da torcere alle più potenti Ferrari. Bonnier sfiora il podio nelle ultime fasi della corsa, Gurney giunge 2° in volata dietro Baghetti.
    Il 4 cilindri boxer 547 installato sulla celeste Porsche Behra. Spicca la ventola di raffreddamento collocata verticalmente e avvolta dai condotti che portano aria a cilindri e teste.
    Nel 1962, la Porsche schiera la 804. Qui, la monoposto tedesca si mostra in tutta la sua bellezza. Spicca il motore 8 cilindri boxer raffreddato ad aria forzata mediante ventola orizzontale posta tra le due bancate.
    Dan Gurney e la sua Porsche 804 #30 ritratti in occasione del vittorioso GP di Francia 1962. Si apprezzano le linee pulite e moderne della vettura tedesca e la tipica ventola di raffreddamento azionata dal motore in posizione orizzontale. Questa impostazione rimarrà invariata su tutti i Prototipi Porsche Anni ’60 e ’70.
    La originaria Honda RA302, colei che prenderà parte al tragico GP di Francia 1968. Si notano gli scarichi: ogni bancata di 4 cilindri confluisce in un singolo terminale di scarico.
    Jo Schlesser impegnato sul tracciato di Rouen-les-Essarts al volante della ostica Honda RA302. La vettura, di una bellezza estrema, appare compatta e moderna, anche grazie all’eliminazione del radiatore dell’acqua. Si notano le grandi prese d’aria di raffreddamento del motore che scorrono ai lati dell’abitacolo. Sfortunatamente, la vita di Schlesser si interrompe tra le fiamme della sua Honda RA302.

    La breve e controversa carriera sportiva della Honda RA302 termina in quel di Monza. In foto, la rinnovata RA302 parcheggiata ai box e con Surtees alla guida. Infine, la RA302 modificata esposta all’Honda Collection Hall. Le modifiche più vistose riguardano l’aggiunta di alette Canard ai lati del muso, l’ala alta in posizione centrale, nuovi scarichi, nuovi radiatori, nuove prese d’aria di raffreddamento. Gli scarichi, nella versione modificata, confluiscono in due terminali per bancata (ciascuna coppia di scarichi confluisce in un singolo terminale). LEGGI TUTTO

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    Le statistiche ed i record più curiosi sulle pole position

    Il giro perfetto di Lewis Hamilton, che gli è valso la pole position dell’ultimo GP di Singapore, ha inevitabilmente scatenato paragoni e similitudini con altri grandi campioni del passato.E mentre il giro veloce dell’inglese continua a far stropicciare gli occhi agli appassionati, è proprio il passato legato alla pole position a regalarci alcune statistiche e curiosità davvero degne di nota.In Formula 1 è più facile ricordarsi delle vittorie e dei titoli mondiali vinti da un determinato pilota, ma spesso ci si dimentica proprio della pole position, elemento fondamentale per poter costruire il successo in gara.Il tempo fatto segnare dall’inglese ha riaperto la finestra affacciata alla storia delle qualifiche, nel tentativo di poter scorgere e trovare un giro veloce altrettanto eccezionale. E allora perché non fare un “ripasso delle puntate precedenti” sugli svariati record legati alle pole position?
    Allacciatevi le cinture! Si parte per viaggio tra curiosità e statistiche assolutamente imperdibile.

    Il maggior numero di pole
    Abbiamo parlato di Hamilton, e dell’inglese continueremo a parlare. E’ proprio lui, infatti, a detenere il record del maggior numero di pole position conquistate nella storia della Formula 1, con ben 79 partenze dalla prima posizione in griglia.Un primato destinato a crescere, visto lo stato di forma del britannico e della sua Mercedes. Chi avrebbe mai detto, anni fa, che il record di Michael Schumacher di 68 pole sarebbe stato abbattuto nel giro di così poco tempo?E chi, prima ancora che il tedesco riscrivesse la storia della F1, avrebbe immaginato che il Re delle pole, un tale di nome Ayrton Senna, avesse perso la sua leadership costruita con 65 pole?Eppure, al termine del GP di Singapore 2018, la classifica all-time recita così:
    1° – Lewis Hamilton (79 pole)2° – Michael Schumacher (68)3° – Ayrton Senna (65)
    Per scoprire il pilota in attività più vicino ai numeri di questi “mostri sacri”, bisogna scendere “solo” al 4° posto. Ad occupare questa piazza c’è infatti Sebastian Vettel, momentaneamente fermo a 55 ed a -10 da Senna.
    La prima pole della storia
    In una Formula 1 attuale priva di piloti italiani, per i nostri colori c’è comunque una consolazione di natura storica. Infatti, il pilota che conquistò la prima pole position della storia della F1 fu Giuseppe Farina, il quale, a bordo dell’italianissima Alfa Romeo, scattò davanti a tutti in occasione del Gran Premio di Gran Bretagna 1950, vincendolo il giorno successivo alle qualifiche.Dopo l’impresa del torinese, altri 97 piloti hanno avuto l’onore e la bravura di conquistare almeno una volta la pole position nella massima serie. L’ultimo a riuscirci, in ordine puramente cronologico, è stato l’attuale pilota della Mercedes Valtteri Bottas, che ottenne il giro più veloce nel GP del Bahrein della passata stagione. Da quel giorno, nessun altro pilota ha assaporato il piacere della prima pole in carriera.
    I più giovani ed i più maturi
    Sempre a proposito di Giuseppe Farina (tra le altre cose anche primo campione del mondo della F1), è bene ricordare che l’italiano detiene ancora oggi il record di pilota più longevo scattato dalla pole position, riuscendoci all’età di 47 anni e 2 mesi in occasione del GP d’Argentina 1954.Un record che raffigura una F1 non più esistente, in cui è quasi scontato che un pilota di oggi non abbia le carte in regola per poter conquistare una pole alla soglia dei cinquant’anni di età. Eppure, nella lunga storia di questo sport, vi sono stati comunque altri campioni capaci di scattare dalla prima casella a quarant’anni già compiuti. Volete sapere i nomi? Eccovi accontentati:
    – Juan Manuel Fangio (46 anni e 6 mesi al GP d’Argentina 1958)– Jack Brabham (44 anni al GP di Spagna 1970)– Mario Andretti (42 anni e 6 mesi al GP d’Italia 1982)– Nigel Mansell (41 anni e 3 mesi al GP d’Australia 1994)
    Tra i più giovani, invece, il nome di Sebastian Vettel spicca al primo posto della classifica all-time. E’ proprio lui, infatti, a vantare il record di pilota più giovane di sempre in pole, ottenuta nel GP d’Italia 2008 (prima ed unica pole della Toro Rosso) all’età di 21 anni e 2 mesi.In attesa di capire se Max Verstappen riuscirà a stracciare questa impresa (attualmente è l’unico nelle condizioni di poterlo fare), è bene ricordare che, nel podio dei più giovani di sempre, il 2° posto è occupato da un pilota ancora in attività: Fernando Alonso (21 anni e 7 mesi). Sul gradino più basso, invece, spicca uno dei piloti più presenti in F1 come Rubens Barrichello, che nel GP del Belgio 1994 divenne il più giovane di sempre all’età di 22 anni e 3 mesi.
    La costanza premia
    Per quanto riguarda invece il record di maggior numero di pole position consecutive, il detentore del record è un pilota che ha fatto del giro secco la sua qualità migliore: Ayrton Senna.Il compianto campione brasiliano conquistò la bellezza di 8 pole consecutive, partendo davanti a tutti dal GP di Spagna 1988 al GP degli USA 1989.Un record che lo stesso Senna cercò di replicare nel 1991, fermandosi però a quota 7, così come altri campioni dopo lui dal calibro di Alain Prost (1993), Michael Schumacher (tra il 2000 ed il 2001) e Lewis Hamilton >(2015).
    Il più grande rivale di Senna, ossia il “Professore” Alain Prost, può comunque consolarsi con un altro record.Proprio grazie a quelle 7 pole consecutive rifilate nel 1993, il francese vanta il maggior numero di pole consecutive conquistate dal primo appuntamento della stagione. Un record che venne strappato proprio a Senna (che si fermò a quota 6 nel 1988) e che sfiorò soltanto Nigel Mansell, nel suo anno di grazia 1992.
    Non è mai troppo tardi
    Nella carriera di un pilota c’è sempre tempo per poter riassaporare il brivido della pole position prima di appendere il casco al chiodo. Chiedetelo a Kimi Raikkonen, che detiene un curioso record: il finlandese, infatti, ha fatto trascorrere il periodo di tempo più lungo intercorso tra due pole.Il ferrarista, prossimo ormai a lasciare la casa di Maranello a fine stagione, partì dal palo al GP di Francia 2008. Dovettero però passare 8 anni ed 11 mesi prima che “Iceman” tornasse nuovamente in pole, riuscendoci al GP di Monaco 2017.Un arco temporale lungo ben 169 GP, tutti disputati in astinenza da pole. Un’attesa così lunga, prima di Raikkonen, toccò solo a Mario Andretti, che dovette attendere ben 8 anni tra il 1968 ed il 1976, in quel GP del Giappone che decise le sorti del titolo mondiale tra James Hunt e Niki Lauda favore dell’inglese.Al terzo posto di questa speciale classifica spunta il nome di un italiano: Giancarlo Fisichella. L’ex pilota romano dovette aspettare 6 anni prima di tornare in pole al GP d’Australia 2005, dopo esserci riuscito quasi sette anni prima in Austria, nel 1998.
    Più volte in un anno
    Per quanto riguarda il maggior numero di pole ottenute in una singola stagione, anche qui il record spetta ad un attuale pilota della Ferrari. In questo caso, però, si tratta di Sebastian Vettel. Il tedesco colse infatti 15 pole nel 2011, quando ancora era al volante della Red Bull, frantumando il precedente record di Nigel Mansell, stabilito nel 1992 con 14 pole.Prima ancora del “Leone d’Inghilterra”, va precisato che Ayrton Senna rinnovò tale record in due occasioni diverse: dopo aver stabilito 13 pole nella stagione 1988, il brasiliano riuscì a ripetere tale cifra nel 1989.
    Più anni consecutivi
    Tra i record stabiliti da Michael Schumacher in F1, c’è anche quello legato al maggior numero di stagioni consecutive con almeno una pole conquistata: ben 13 campionati, dal 1994 al 2006.Un primato che, allo stato attuale, rischia di essere condiviso. Al secondo posto della classifica all-time c’è infatti Lewis Hamilton, che dal 2007 ad oggi vanta 12 stagioni consecutive con almeno una pole. Considerato lo stato attuale del pilota inglese, viene difficile credere che nel 2019 l’inglese non eguaglierà questo risultato.Tra i campioni capaci di superare quota 10 campionati consecutivi, resta solo Ayrton Senna, che toccò la doppia cifra nel 1994, prima di scomparire tragicamente ad Imola.
    Pole al debutto, o pole dopo un’eternità?
    E’ il sogno di ogni pilota: debuttare in F1 e siglare subito la pole position nel primo GP della propria carriera.Eppure, come spesso accade nella vita, i sogni sono fatti per essere realizzati. Se escludiamo Giuseppe Farina (primo poleman della storia) e Walt Faulkner e Duke Nalon (statunitensi che conquistarono la pole nella 500 Miglia di Indianapolis, quando quest’ultima faceva ancora parte del calendario di F1), soltanto tre piloti sono riusciti a balzare davanti a tutti nelle prime qualifiche della loro vita.Tra questi l’italo-americano Mario Andretti (GP USA 1968), l’argentino Carlos Reutemann (anch’egli nel proprio GP di casa del 1972) ed il canadese Jacques Villeneuve (GP d’Australia 1996).
    Ci sono stati invece piloti che, prima di conquistare la loro prima pole position, hanno dovuto attendere e pazientare moltissimo. L’esempio più concreto è rappresentato da Mark Webber, il quale, prima di ottenere la prima posizione in griglia nel GP di Germania 2009, dovette aspettare ben 131 qualifiche.Soltanto Nico Rosberg (111), Thierry Boutsen (115) ed il nostro Jarno Trulli (119) hanno superato la soglia delle 100 qualifiche prima di ottenere una pole.
    Le piste ed i GP preferiti
    Quale pilota ha ottenuto il maggior numero di pole in uno stesso GP o sullo stesso circuito? In questo caso, il record è condiviso da due super-campioni di questo sport. Sia Michael Schumacher che Ayrton Senna hanno infatti conquistato, rispettivamente, 8 pole nel GP del Giappone e nel GP di San Marino (di conseguenza, 8 pole sui circuiti di Imola e Suzuka).Lewis Hamilton, invece, detiene il record di pole conquistate in più GP diversi, 24 per l’esattezza, così come il record su più circuiti differenti, addirittura 27.
    Lo stesso campione inglese condivide un altro curioso primato con Ayrton Senna: entrambi, con 6 pole a testa, sono i piloti con il maggior numero di partenze al palo ottenute nel GP di casa.
    Un record “made in England”
    Ci sono inoltre due piloti, accomunati dalla nazionalità inglese, che vantano il maggior numero di pole conquistate con più team differenti. Si tratta di Stirling Moss e John Surtees, con 5 pole all’attivo per entrambi.Il primo ci riuscì al volante di Cooper, Lotus, Maserati, Mercedes e Vanwall. Il secondo con Cooper, Ferrari, Honda, Lola e Lotus.
    Pole e vittorie: un binomio non sempre scontato
    La pole position è la base per poter costruire il successo di un pilota in gara. Chi parte dalla prima casella, possiede buone probabilità di vincere anche la domenica. La riprova è il record assoluto di Lewis Hamilton, che per ben 44 volte ha ottenuto la vittoria partendo dalla pole position.Ma non sempre la pole position è garanzia di successo. Vi sono stati casi di piloti che, pur avendo ottenuto il giro più veloce in qualifica, non sono mai riusciti a vincere un GP di Formula 1.Il caso più clamoroso è del neozelandese Chris Amon: pur avendo ottenuto 5 pole in carriera, Amon non riuscì mai a salire sul gradino più alto in Formula 1, ottenendo un 2° posto come miglior risultato di sempre.
    Non solo piloti
    Nella lunga parentesi sulla storia delle pole position non poteva mancare qualche numero sui team.La squadra che vanta il maggior numero di pole nella storia è la Ferrari, partita per ben 219 volte davanti a tutti in griglia di partenza. La scuderia di Maranello, inoltre, è l’unica ad aver abbattuto quota 200 pole.Dietro di lei, soltanto tre team compaiono in tripla cifra nella classifica all-time:
    2° – McLaren (155)3° – Williams (128)4° – Lotus (107)
    La Mercedes è molto vicina alla possibilità di entrare a far parte di questo Pantheon, trovandosi momentaneamente ferma a quota 96.Anche in questo caso, come facilmente immaginabile, sarà solo questione di tempo. LEGGI TUTTO

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