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    US Open: Djokovic a caccia della leggenda, chi può fermarlo? (di Marco Mazzoni)

    Djokovic in allenamento a New York 2021

    Domani a New York si alzerà il sipario di US Open 2021, ma sarà molto di più di una “normale” edizione di un Major. Il torneo potrebbe scrivere una pagina indelebile nella storia della disciplina se il n.1 del mondo Novak Djokovic riuscisse a trionfare, completando un Grande Slam che manca dal 1969 (Rod Laver). Sarebbe un’impresa leggendaria, che non è riuscita ai più vincenti dell’era Open: Bjorn Borg, Pete Sampras (che non hanno mai completato nemmeno 3/4 di Slam nell’anno solare), Roger Federer (gli è mancato Roland Garros nel 2004, 2006 e 2007, con le finali perse nel 2006 e 2007), Rafael Nadal.
    Inutile girarci intorno, tutto il torneo maschile girerà intorno a Novak, a “soli” 7 match dal diventare non solo il più vincente con il 21esimo Major ma uno degli sportivi più forti di sempre All-Sport. Una vittoria che lo isserebbe sull’Olimpo dello sport mondiale, insieme a pochi altri immortali (Carl Lewis, Usain Bolt, Muhammad Ali, Eddy Merckx, Michael Phelps, Ingemar Stenmark solo per citarne alcuni di discipline individuali).
    Il serbo inizierà la sua campagna newyorkese martedì contro il giovanissimo danese Rune, ma chi potrà davvero impensierirlo, o addirittura sconfiggerlo? Uno Slam è un torneo di ricco di insidie, è durissimo sul piano fisico, a volte arrivano anche sorprese ed imprevisti (…vero “Nole”, vedi l’edizione 2020?), ma analizzando il momento in modo razionale, la risposta più coerente alla domanda è solo una: il più pericoloso avversario di Djokovic si chiama… Novak Djokovic.
    “Nole” ha davanti a sé un appuntamento troppo grande per mancarlo. Se c’è un aspetto in cui il serbo è oggi nettamente superiore a tutti i rivali in tabellone è quello mentale, della determinazione, della capacità di lottare e soffrire andando oltre il dolore e la fatica pur di farcela. È accaduto quest’anno a Roland Garros, quando (quasi in modo inaspettato) ha tirato fuori una prestazione monstre contro Rafa. Superato lo scoglio più duro, ha rimontato uno splendido Tsitsipas in finale e si è preso lo Slam per lui più difficile. Qua la faccenda ha iniziato a farsi seria, e a Wimbledon ha confermato il suo ruolo di favorito. A Tokyo ha sofferto, è collassato più per colpa del caldo e della fatica che per gli (ottimi) colpi di Zverev. Ha ceduto, ha perso l’opportunità irripetibile di fare addirittura un “Golden” Grande Slam, ma resta l’obiettivo del classico Grande Slam. Con la “fame” che ha Novak, con la sua superiorità tecnica e soprattutto agonistica, sembra difficile che uno tra Medvedev, Zverev, Tsitsipas o Berrettni riesca a superarlo. Per questo riteniamo che il vero avversario di Djokovic sia un suo crollo, fisico o mentale, agevolato da una prestazione eccezionale di un rivale.
    Esiste un precedente pericoloso per Novak, che è giusto ricordare. Nel 2015 Djokovic volava. Tiranneggiava. Quando arrivò Roland Garros, il giorno del sorteggio, un Nadal un po’ sceso in classifica fu inserito nello stesso quarto di tabellone del serbo, allora testa di serie n.1. La smorfia di Rafa in quell’istante era l’anticipo di quel che accadde in campo nel loro match di quarti. Djokovic schiantò il fortissimo rivale, distrutto. Ormai tutti pensavano che la coppa di Moschettieri fosse già tra le mani del serbo. In finale iniziò bene contro Wawrinka, ma all’improvviso qualcosa nel secondo set si inceppò. Le sue gambe iniziarono a farsi pesanti, i colpi meno intensi e precisi. Stan, da vero campione, non si fece pregare: alzò il suo livello al massimo, mettendosi a sparare una gragnola di bordate pazzesche, finendo per rimontare e sconfiggere clamorosamente Novak. Nemmeno dopo aver battuto Nadal, Djokovic riuscì a vincere Parigi e completare il Career Grand Slam. Completò l’impresa l’anno seguente, arrivando tiratissimo sul piano fisico e mentale, sfinito, tanto da crollare e quasi scomparire per il resto del 2016 e tutto il 2017. Ma tornando a quel 2015, a Parigi, il peso della fatica e della grandissima impresa fu troppo anche per le spalle larghissime di Djokovic che, ricordiamo, è un grandissimo agonista e talento, ma produce un tennis assai dispendioso per energie fisiche e mentali. Djokovic sta per affrontare una situazione simile – l’appuntamento più grande della sua carriera – più vecchio e “consumato” rispetto a 6 anni fa, con quel crollo alle Olimpiadi che non può lasciarlo del tutto tranquillo. Per questo pensiamo che il mix di fatica ed enorme pressione potrebbe essergli fatale, diventando il suo vero spauracchio.
    Djokovic è il vero n.1 oggi, rispettato da tutti ma non esattamente “amatissimo”, sarebbe un boccone molto succulento per tutti passare alla storia come colui che ha stoppato la sua corsa verso la leggenda… A questo di certo aspirano Medvedev, Zverev, Tsitsipas, e perché no Matteo Berrettini, che ha giocato contro “Nole” una bellissima finale a Wimbledon e messo alle corde pure a Parigi. Chi tra i rivali potrebbe aver qualcosa in più per provare a batterlo?
    Medvedev è dall’altra parte del tabellone, quindi lo potrà sfidare solo in finale. Ha un buon tabellone Daniil, Isner potrebbe essere il suo rivale più pericoloso, se il gigante imbrocca una giornata top al servizio. Per assurdo, incontrare Djokovic in finale potrebbe essere “troppo tardi”: di fronte all’ultimo passo per la Leggenda, forse nessuno potrà più fermarlo. Per questo forse hanno qualche chance in più coloro che sono nella parte alta del tabellone. L’ingresso nel torneo non è mai facilissimo, ma ipotizzare che uno tra Rune, Struff, Nishikori o De Minaur possa battere il n.1 sembra troppo. Berrettini e Hurkacz sono i due candidati più probabili a sfidare il n.1 nei quarti. Hurkacz possiede un ottimo tennis, ma che abbia l’intensità per superare questo Djokovic sembra difficile; Berrettini ha già dimostrato di poter giocare ad armi pari contro di lui, sia a Roland Garros che a Wimbledon. Sarebbe una partita splendida, che tutti ci auguriamo di poter commentare… Rublev continua a mostrare quel tennis infernale ma anche i soliti limiti contro i migliori; piuttosto Zverev sembra essere davvero salito di livello. È nel miglior momento della carriera, sta molto bene fisicamente e ama questi campi. L’anno scorso è arrivato ad un passo dall’alzare la coppa, rimontato in modo rocambolesco da Thiem. Sul piano tecnico è l’avversario che può fargli più male tra quelli in gara, più di Tsitsipas perché sul “duro” ha in più il servizio ed un gioco con più anticipo, oltre a reggere meglio sulla diagonale del rovescio.
    Tra poche ore scatterà lo Slam della “grande mela”. Abbiamo moltissimi azzurri al via (tutti curiosamente nella parte alta del tabellone!) ma soprattutto l’appuntamento con la storia di Novak. Buon US Open a tutti.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Ciao, e grazie, grande Paolo Lorenzi (di Marco Mazzoni)

    Paolo Lorenzi, classe 1981

    “È stato il viaggio più bello della mia vita. Ogni volta in campo era un sogno diventato realtà”.
    Parole e musica di Paolo Lorenzi, che con la sconfitta nelle “quali” di US Open chiude la sua carriera da professionista.  A quasi 40 anni il senese (nato a Roma) esce di scena con la stessa classe, leggerezza e quel sorriso che ha accompagnato le più grandi vittorie e, ancor più importante, anche le peggiori sconfitte. Sì, perché saper perdere, saper imparare dai momenti difficili analizzando ogni partita con lucidità e umiltà, ed aver la forza di ricominciare con ancor più determinazione e convinzione di potercela fare è merce rara. È esattamente l’abisso che separa la grande persona e sportivo dai mediocri, da chi si lagna di non avercela fatta accampando scuse, non prendendosi responsabilità. Lorenzi è stato un Gigante in tutta la sua lunga carriera proprio per il modo in cui ha saputo viverla, superando montagne invalicabili e andando oltre i propri limiti. Ce l’ha fatta perché ha vissuto tutto questo sentendosi come uno che vive un sogno, uno che ha lottato con tutto se stesso per cavalcare quell’onda che lo attirava più di ogni altra cosa, ripagando la possibilità di vivere il proprio sogno con sudore e fatica. In una semplice parola: Lorenzi è stato un Esempio, per tutti.
    Paolo prima che un ottimo tennista è un grande uomo, l’ha dimostrato in campo e fuori mille volte. È un ragazzo umile, sincero, rispettatissimo da tutto l’ambiente del Tour e sempre benvoluto. Ho avuto il piacere di conoscerlo, bastano poche parole e qualche sguardo per aver la conferma di che razza di persona sia. Colto, arguto, è uno che pensa prima di parlare, pensa veloce e non ti dice mai cose banali. Non uno è che biascica “gioco dove vuole Mister”, no. Lorenzi ha sempre un pensiero interessante, che sia sul tennis o altro. Ogni sua partita è stata una piccola enciclopedia di acume tattico per massimizzare i propri mezzi e mettere in difficoltà l’avversario. In questo sta molta della sua grandezza, umana e sportiva, perché il buon Paolo è stato tutt’altro che baciato dal “talento” tecnico. Ma nonostante tutto possiamo affermare serenamente che ce l’ha fatta. Ha scalato montagne invalicabili, ha sputato sangue nei circuiti minori, diventando enorme in quello Challenger dove ha vinto 21 titoli. Ma è riuscito a dire la sua anche nel Tour maggiore, dove si è tolto l’enorme soddisfazione di vincere a Kitzbuhel e toccare un best ranking di n.33. Impensabile quando fece i primi passi sul tour.
    Non ricordo quando lo vidi giocare per la prima volta, ma avrà avuto già almeno 24 anni, in qualche Challenger in Italia. La prima impressione che ebbi fu a dir poco negativa sul piano tecnico. Col diritto la palla non gli andava proprio, l’apertura del gesto era spropositata, lo forzava a centrare la palla sempre in ritardo e mai con decisione lontanissimo dalla riga di fondo, con traiettorie lente e prevedibili. Per non parlare del servizio, una sorta di catapulta al contrario che lo costringeva a “mettere l’elmetto” per ripararsi dalla bordata in risposta del rivale. Ma lui con l’elmetto c’era nato, perché è sempre stato prontissimo alla pugna, a rimettere ogni palla oltre la rete ed in campo a costo di immolarsi. Questo mi aveva intrigato di lui, l’attitudine e la voglia di sprintare in ogni difesa, come di buttarsi avanti dopo aver sfiancato l’avversario. Era lucidissimo nel capire il momento per l’attacco e la posizione sulla rete era discreta, perché fisicamente pareva “una bestia”, resistente e fortissimo. Il rovescio spiccava, colpito bello pulito, sicuro nel cross e assai pericoloso quando si avventurava in un lungo linea improvviso. In quel lontano 2005 il tennis italiano viveva un bel momento di “stallo”, con i soli Volandri e Starace a tirare la carretta oltre la top 30. Che quel Lorenzi, posizionato oltre il n.250, con tutte quelle lacune tecniche, potesse diventare un “fattore” per il tennis azzurro sembrava ardito. Davvero nessuno si curava di lui.
    Non è importante oggi ripercorrere i tanti passi della sua lunga vita sul tour. È fondamentale invece sottolineare come passo dopo passo Lorenzi sia cresciuto in modo esponenziale, riuscendo a migliorare in modo clamoroso ogni aspetto del suo tennis. Mattone dopo mattone, da un piccolo fortino ha costruito un’Alhambra stupefacente, arrivando a meritarsi il diritto di giocare i grandi tornei, gli Slam, e pure di giocare parecchie partite alle pari contro i migliori. Una su tutte. Lo ricordo nitidamente a Roma contro Nadal sul Centrale. Rafa era “quello vero”, il tiranno del rosso. Paolo l’ha sfidato senza alcuna paura, reggendo in modo misterioso contro il suo diritto, riuscendo a neutralizzare per buona parte del match lo spin allora vigorosissimo del “Rey” e attaccandolo appena possibile. Lorenzi giocò una delle partite più “garibaldine” ed efficienti che io abbia mai visto nella mia vita, tanto che lo sguardo torvo di Rafa in diversi punti persi, e l’aver portato cotanto rivale a dover giocare al 100% per superarlo, vale quanto una grandissima vittoria. Lorenzi quel giorno Monumentale. Ma lo è stato in tantissime occasioni, anche su campi non coperti dalla tv o in Challenger in giro per il mondo.
    Lorenzi è stato come i migliori vini (da senese, poi…), è migliorato invecchiando. Ha preso sempre più fiducia dei propri mezzi, ha lavorato in modo incredibile per affinare corpo e testa, ha limato sino alla fine aspetti tecnici che parevano impossibili da stravolgere. Ha passato oltre 7 anni di fila nei top 100 ed ha raggiunto il best ranking il 15 luglio 2017 (raggiungendo poco dopo gli Ottavi a US Open, miglior piazzamento in uno Slam), a 35 anni “suonati”, se non è classe e testa questa non so cosa lo sia… È stato un esempio per l’intensità che è riuscito ad esprimere in campo, lottando contro avversari troppo più attrezzati sul piano tecnico o fisico, ma senza mai darsi per vinto, entrando sempre in partita con l’idea giusta per provare a vincere. Ha battuto tutto il mondo in lungo e in largo andando a giocare una quantità di tornei enorme, infaticabile, per racimolare punti preziosissimi ad entrare negli Slam e nei grandi tornei.
    Paolo Lorenzi è patrimonio del nostro tennis e del nostro sport. È un ragazzo che coltiva molti interessi, d’ora in avanti potrebbe fare mille cose e ha tutto quel che serve per farle benissimo. Ma mi auguro fortemente che resti nel mondo del tennis, che metta a servizio dei giovani la sua enorme esperienza e capacità di analisi, di lavoro, tattica e mentale. È una vera Treccani 2.0 di come si sopravvive nei mari agitatissimi del tennis Pro, trovando anche nelle peggiori tempeste la rotta migliore per scappare verso il sole. Il tennis azzurro sta vivendo un momento magico, ma proprio nei momenti magici si deve costruire il futuro. Non possiamo assolutamente permetterci di perdere un “ammiraglio” così capace, intelligente e lucido.
    Grazie di tutto Paolo, per la montagne di ore che ho passato ammirandoti in campo, sorprendendomi ogni volta.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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