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    Davis Italia, il cuore non basta. La “foto” di una stagione (di Marco Mazzoni)

    Il doppio azzurro in Davis a Malaga

    “Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso”. Nelson Mandela aveva maledettamente ragione. Per vincere è necessario sognare e non arrendersi mai. Purtroppo a volte sognare, lottare fino all’ultima palla mettendoci cuore, testa e gamba non basta. È quello che è accaduto al nostro team azzurro di Davis a Malaga ieri contro il Canada. Un Canada fortissimo, ricco di talento e qualità, che con merito è arrivato a giocarsi la Coppa Davis 2022 contro l’Australia. Non è più la “Insalatiera” di un tempo, questo formato rinnovato continua a non convincere appieno, ma quando si gioca per il proprio paese e i giocatori ce la mettono tutta, beh, la magia e il pathos sono assicurati e ti regalano tra le emozioni più forti una stagione.
    Tre grandi partite anche ieri, nelle quali è spiccato un Sonego monumentale, bravissimo e vincente. Il nostro tennis ha ritrovato un vero gladiatore, un tennista a dir poco sottovalutato che quando sta bene fisicamente gioca con coraggio e supera limiti, ostacoli, esaltando tutto e tutti. Un dieci è un vero persino basso per descrivere che razza di prestazioni è riuscito a giocare. Ha sovvertito pronostici, ha spostato montagne. “Sonny” spettacolare. Musetti ha affrontato il tennista più forte della sfida, poco da dire. Questo Felix Auger-Aliassime è ormai un top 10 forte, solido, davvero difficile da affrontare e scardinare. Era necessaria una prestazione super, al limite della perfezione, Lorenzo non c’è riuscito. Viene da un periodo molto intenso, nel quale è cresciuto moltissimo e ha imparato tanto. Con questa sconfitta avrà altro materiale sul quale lavorare e ripresentarsi in futuro più pronto per sfide così impegnative. Il doppio… è stato un film nel film. Un cambio di formazione last minute, con una coppia non collaudata che nonostante tutto se l’è giocata sino alla fine, con un vantaggio con concretizzato. Delusissimo Fognini dopo la sconfitta. Ha ragione. Fabio è un Campione di razza come spirito, è uno che vuole vincere, che fiuta le occasioni e che riesce anche a coglierle. Questa era una partita da vincere, i complimenti fanno solo male. È stato bravissimo a non cercare alcuna scusa, sanguinando sportivamente perché se qualche fase si gioco fossa andata diversamente, oggi sarebbe stata finale e contro i “canguri” partivamo alla pari, forse anche un filo favoriti. Fognini è un Patrimonio del nostro tennis, non ce lo dimentichiamo e conserviamolo ancora finché avrà voglia, perché ne abbiamo maledettamente bisogno. Berrettini è solo da applaudire. Lontano anni luce dalla sua miglior versione, e poi il doppio non lo gioca con frequenza, ma ha dato quel che aveva, c’ha provato da campione con testa e cuore. Non è bastato.
    Testa e cuore. Più di un pizzico di sfortuna. Infortuni. Sconfitta. Delusione ma anche una spinta per il futuro, che deve essere azzurro. Che sarà sempre più azzurro. “La sconfitta brucia e sarebbe stupido dire il contrario. Deve bruciare e questo deve servirci per il futuro”. Lucide e perfette le parole di Filippo Volandri, bravo e per nulla fortunato capitano di questo bel gruppo. L’amara conclusione dell’avventura in Davis 2022 per il team azzurro non è altro che una foto un po’ crudele ma realistica di quel che è stato il 2022 per i giocatori italiani. Una stagione molto importante, di costruzione, di consolidamento, di crescita, con risultati importanti ma segnata da troppi intoppi e problemi per essere davvero vincente e superlativa. Infortuni a non finire, qualche sconfitta difficile da digerire, alti e bassi che non ci hanno portato ai risultati che sognavamo. 
    Non giriamoci intorno. Molti sognavano che nel 2022 avremmo vinto uno Slam. Dopo la fantastica cavalcata di Matteo a Wimbledon l’asticella di è alzata. I sogni sono diventati obiettivi. Berrettini, Sinner, Musetti, tutto il gruppo come squadra. Solo se si è ambiziosi si arriva a toccare il cielo. Basta stucchevoli maniavantismi, abbiamo talento e qualità, un sistema che funziona, una base solidissima, dirigenti validi, coach eccezionali, talento diffuso. Siamo forti. Dobbiamo crederci e puntare al massimo.
    Ambiziosi, ma dobbiamo anche essere realisti: la competizione è massima, vincere deve essere un obiettivo ma non è per niente facile. Serve sempre un pizzico di buona sorte che fornisce la spinta ulteriore a farcela. Anzi, più che buona sorte, sarebbe utile che la “malasorte passasse da altre parti”… diciamola così. Alla fine non abbiamo vinto lo Slam, non abbiamo vinto la Davis, ma per la somma di tutti questi motivi, sarebbe sbagliato considerare il 2022 una stagione non positiva per il nostro tennis. Abbiamo vinto tornei. Abbiamo avuto per la prima volta un semifinalista agli Australian Open. Musetti ha vinto un 500 battendo il futuro n.1 più giovane della storia e in autunno è esploso giocando un tennis così bello che tutto il mondo ce lo invidia. Sinner ha portato l’immenso Djokovic al limite a Wimbledon e a US Open è arrivato ad un passo dal battere nei quarti il futuro campione, se avesse vinto, chissà… Il tutto in una stagione a dir poco martoriata per Jannik, tra il cambio di rotta tecnico e troppi stop fisici; come per il Matteo Nazionale, che non ha giocato metà stagione e quando l’ha fatto è stato sempre super competitivo. Abbiamo una piccola valanga azzurra di giovani NextGen pronti ad entrare nella top 100 e crescere ancora. Abbiamo un team di Davis che ha maturato esperienze importanti e pur non avendo vinto si presenterà il prossimo anno ancor più esperto, agguerrito e affamato.
    Questi sono solo alcuni elementi un primissimo bilancio a caldo di una stagione positiva, che da domani andremo ad analizzare nel dettaglio, con le pagelle dei vari giocatori, interviste esclusive, bilanci statistici e molto altro ancora, proiettandoci verso un 2023 tutto da vivere insieme. Una stagione 2022 con alti e bassi, picchi straordinari e qualche crollo. Un’annata sportiva ricchissima, indimenticabile nel bene e nel male. Contraddittoria, che ci ha esaltato e, sì, fatto anche parecchio incazzare… Ma teniamo ben in mente il mantra di Nelson Mandela: “Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso”. I nostri ragazzi in Davis, dall’infortunato Berrettini alla grinta e carattere infinito di Fognini, dalla lucida fermezza di Volandri all’indomabile volontà di Sonego e via dicendo, hanno dimostrato in questa settimana che non si arrenderanno. Mai.
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    Ranking ATP e giovani nati dal 2000: chi è cresciuto di più nella stagione 2022

    Lorenzo Musetti, uno dei nati dal 2000 più migliorato quest’anno

    Con la stagione ATP quasi conclusa (restano alcuni Challenger), è interessante analizzare la classifica dei giovani nati dal 2000 rispetto alla stessa settimana dello scorso anno, per valutare chi è salito maggiormente, chi non ha rispettato le attese di crescita e chi invece si è proprio fermato o quasi. Ecco la lista dei giovani nati nel nuovo millennio che hanno terminato la stagione in top100, con la differenza in classifica rispetto al 22 novembre 2021. Ovviamente guida questa graduatoria il fenomenale Carlos Alcaraz, che ha chiuso il 2022 da più giovane n.1 di sempre, con un eccellente +31 rispetto ad un anno fa.
    Carlos Alcaraz – 19 anni – n.1 (+31 posizioni)
    Felix Auger-Aliassime – 22 anni – n.6 (+5)
    Holger Rune – 19 anni – n.11 (+92)
    Jannik Sinner – 21 anni – n,15 (-5)
    Lorenzo Musetti – 20 anni – n.23 (+36)
    Sebastian Korda – 22 anni – n.34 (+7)
    Jack Draper – 20 anni – n.42 (+223)
    Sebastian Baez – 21 anni – n.43 (+54)
    Brandon Nakashima – 21 anni – n.47 (+21)
    Jenson Brooksby – 22 anni – n.48 (+8)
    Jiri Lehecka – 21 anni – n.81 (+60)
    Chun-Hisin Tseng – 21 anni – n.88 (+100)
    Ben Shelton – 20 anni – n.97 (+476)
    Questa la fascia dei top 100. Andando a vedere la fascia 100-200, troviamo i moltissimi azzurri che quest’anno sono cresciuti arrivando in posizioni importanti del ranking: Luca Nardi e Francesco Maestrelli (19 anni), Flavio Cobolli, Giulio Zeppieri e Luciano Darderi (20 anni), Francesco Passaro, Matteo Arnaldi e Mattia Bellucci (21 anni). Per questa fascia di ranking entro la top200, faremo un’analisi dettagliata tra una decina di giorni, alla conclusione della stagione Challenger 2022.
    Tornando ai dati degli attuali top100 nati dal 2000, oltre ad Alcaraz, impressionante è stata la crescita di Holger Rune, ad un passo dalla top10, ma anche i balzi notevolissimi di Jack Draper (finalmente in salute, ha mostrato tutto il proprio valore) e quello appena compiuto da Ben Shelton grazie ai tre Challenger vinti di fila che l’hanno portato tra i migliori cento al mondo con quasi 500 posizioni conquistate rispetto allo scorso anno. Bene anche l’argentino Baez, diventato tennista assai solido e capace di chiudere l’anno tra i migliori 50.
    Anche i numeri confermano l’ottima ascesa di Lorenzo Musetti: le 36 posizioni guadagnate sono frutto di notevoli miglioramenti compiuti a livello tecnico e agonistico, grazie ai quali ha ottenuto vittorie di prestigio (su tutte l’indimenticabile coppa ad Amburgo battendo Alcaraz in finale).
    Al di sotto delle aspettative le annate degli statunitensi Korda e Brooksby, sono cresciuti ma davvero di poco. Felix Auger-Aliassime ha dato struttura e solidità al suo tennis, infrangendo il tabù “finali”. Una crescita soprattutto mentale che l’ha portato a vincere 4 tornei ed entrare meritatamente nella top10. “Solo” cinque posizioni per lui, ma che posizioni… Gli scalini nel ranking non sono affatto tutti uguali.
    Purtroppo ha perso 5 posti Jannik Sinner. Tra tutti i giovani citati era quello più avanti in classifica, quindi salire era indubbiamente più complesso. Complessa è stata soprattutto la sua annata, per i tanti motivi che conosciamo, dai mille problemi fisici al cambio repentino di guida tecnica e fisica. A breve faremo un bilancio della sua stagione più dettagliato, come gli altri italiani.
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    Deconstructing Matteo. Recensione a “Berrettini. La forza del pensiero”, libro di Valentina Clemente e Marco Mazzoni

    Berrettini. La forza del pensiero

    È appena uscito il libro “Berrettini. La forza del pensiero”, di Valentina Clemente e Marco Mazzoni (Ultra Sport Edizioni, 2022, 168 pp), prefazione di Stefano Meloccaro. È disponibile in libreria e negli shop online.
    Pubblichiamo la recensione scritta dalla sapiente penna di Paolo Silvestri.

    Solo un anno dopo Momenti di gloria. Storia ed emozioni delle Olimpiadi, Valentina Clemente e Marco Mazzoni tornano ad unire le loro esperienze giornalistiche e le loro brillanti penne in Berrettini. La forza del pensiero (Ultra Sport ed. 2022), un minuzioso ritratto della punta di diamante della straordinaria new wave del tennis italiano maschile. Sanno, con intelligenza, agire come profondi conoscitori del mondo del tennis ma anche, con umiltà, come direttori d’orchestra che danno spazio ad altre voci, in un concerto polifonico di indubbio interesse. A cominciare da Stefano Meloccaro, a cui è affidata la prefazione, sono infatti moltissimi gli esperti che intervengono per contribuire a descrivere i punti forti ed i punti deboli del tennis di Matteo, la sua parabola evolutiva, le sue potenzialità, la sua fragilità fisica, la sua immagine pubblica, ma soprattutto il suo profilo psicologico ed umano, la forza del suo pensiero appunto, come recita il sottotitolo del volume.
    Non è un segreto che il tennis sia uno sport in cui l’aspetto mentale ha un ruolo determinante e, pertanto, un ritratto di un giocatore non può limitarsi ad analisi e valutazioni tecniche. In una intervista di un paio d’anni fa Berrettini sparava questa sorprendente risposta, che può spiazzare chi non lo conosce: “Come mi definirei? Profondo”. Ed effettivamente, sulla base di molte dichiarazioni sue e altrui, affiora il ritratto di un ragazzo intelligente, educato, amante della lettura e del cinema, sempre alla ricerca di risposte. E anche coraggioso, il che non significa, come ben sappiamo, immune da paure e insicurezze. Coraggioso è chi le paure e le insicurezze le sa superare con acume, umiltà forza e determinazione, come Berrettini ha sempre cercato di fare fin dall’inizio della sua carriera insieme al mental coach Stefano Massari, che affianca la guida tecnica di due grandi coach come Vincenzo Santopadre e Umberto Rianna.
    Un percorso di crescita tennistica e umana basato su lavoro, serietà e pazienza, e non esento da quel pizzico di distacco un po’ ironico e sornione tipicamente romano, capace di relativizzare tutto. Matteo, solo per fare un esempio, ama citare una frase che il suo primo maestro Vannini gli diceva prima dei match e che lo ha in qualche modo segnato: “Mal che vada perderai”. A me sembra una frase geniale e assai più profonda di quanto possa sembrare. A proposito di sconfitta, il tennista italiano in più di un’occasione ha parlato della sua utilità sostenendo che, per quanto possa bruciare, è parte necessaria del precorso di crescita di uno sportivo ma, aggiungerei, di qualsiasi essere umano. “Le sconfitte – dice Berrettini – sono più utili delle vittorie perché mi aiutano a imparare. Ho sempre vissuto più intensamente la delusione della sconfitta che la gioia della vittoria. È una cosa che ho sentito fin da giovane e su cui ho lavorato tanto […] Sono convinto al 100% che per arrivare in alto bisogna perdere. Se non provi quella delusione, quella voglia di rivalsa, è difficile che si possa eccellere in uno sport individuale come il tennis”. E lo dimostrano i tantissimi casi, vicini e lontani, di giocatori che hanno vinto tanto (troppo) da ragazzini e che, nel passaggio al professionismo, si sono visti impreparati alla sconfitta, fino a spegnersi.
    Dell’aspetto tecnico e mentale si occupa Marco Mazzoni nel capitolo iniziale Il tennis di Berrettini, con un percorso sulla sua carriera e un’analisi dettagliatissima delle sue principali “armi”, che sono poi i fulcri del tennis moderno (di cui Berrettini è senza dubbio un emblema) vale a dire il servizio e il dritto, nonché l’adattabilità alle diverse superfici e la solidità nella gestione tattica dei match. E lo fa condendo il suo discorso con decine di dichiarazioni di grandi nomi del tennis italiano e non, spettatori o in molti casi attori della storia tennistica e umana di Matteo: da Volandri a Colangelo, da Reggi a Bertolucci, da McEnroe a Wilander, da Santopadre a Massari, solo per citarne alcuni. Questo schema argomentativo è ripreso da Mazzoni nel secondo capitolo, intitolato Potenza e fragilità. Gli infortuni, purtroppo abbastanza esteso, dati i moltissimi problemi fisici di cui è stato vittima e che ne hanno spezzato ritmo e progressione, a cominciare dal più doloroso, quello che lo costrinse al ritiro nel match d’esordio alle ATP Finals dello scorso anno. Alle caviglie fragili si sono sommati il ginocchio, gli addominali, la mano, la schiena, un quadricipite… Predisposizione? Sfortuna? Squilibri nella preparazione fisica? Mali endemici del tennis moderno? Tensione emotiva? Mazzoni cerca una risposta a questi ed altri interrogativi, anche in questo caso con il supporto di noti esperti come per esempio Stefano Baraldo o Rodolfo Lisi.
    La seconda parte del volume, Un impatto visivo e psicologico, è affidato a Valentina Clemente che sonda, ricorrendo al formato dell’intervista a importanti nomi del mondo del tennis di diversi paesi, le impressioni personali sul Berrettini tennista (aneddoti, punti forti, limiti, prospettive, margini di miglioramento, ecc.) ma anche l’eco del Berrettini personaggio nelle rispettive culture di provenienza. Grossomodo la stessa griglia di domande, artificio utile proprio per confrontare le diverse opinioni su alcuni punti specifici, viene sottoposta a noti giornalisti, tecnici ed ex pro come Alessandro Nizegorodcew, Antoine Benetteau, Simon Cambers, Arnaud Cerruti, Tatiana Golovin, Mark Woodforde, Richard Waumsley, Sebastian Fest, conosciuti da Valentina Clemente “sul campo”, nel suo ormai più che consolidato percorso nell’ambito del giornalismo tennistico.
    Definirei Berrettini. La forza del pensiero un bel volume “corale”, senza con questo sminuire assolutamente i meriti del “doppio misto” Clemente-Mazzoni, che offrono il loro punto di vista, ma lo sanno coordinare con eleganza contenutistica e formale con quello di altri esperti e testimoni, senza mai cadere in eccessi retorici o banalità celebrative.
    Paolo Silvestri LEGGI TUTTO

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    Musetti vs. Djokovic, impresa impossibile?

    Lorenzo Musetti, per la prima volta nei quarti di un M1000

    Alle 19.30 l’Italia tennistica si fermerà per seguire in prime time televisivo (Sky, o TennisTv) una sfida stellare. Da brividi. Il campione in carica del Masters 1000 di Parigi Bercy Novak Djokovic affronta nei quarti di finale Lorenzo Musetti, per la prima volta sbarcato tra i migliori otto di un torneo della massima categoria ATP. Un match intrigante, attesissimo, uno di quelli che non vorresti perderti per niente al mondo, che attendi tutto l’anno per goderti un grande spettacolo sportivo, ma anche utilissimo per valutare la crescita del nostro talento. Nelle ultime settimane Musetti è letteralmente esploso: ha confermato match dopo match, vittoria dopo vittoria, torneo dopo torneo, di aver incastrato alla perfezione i tanti pezzi del suo enorme bagaglio tecnico, migliorato in alcuni aspetti chiave, a formare un quadro tennistico degno degli Uffizi della disciplina. Una bellezza per stile, completezza, ma oggi anche terribilmente efficace.
    Elegante, stiloso nel suo essere modernamente retrò, un passo verso il futuro della tecnica classica amata da tanti “puristi” del gioco, ma anche tanta, tantissima sostanza. Lorenzo quest’autunno è passato dall’essere un giocatore divino ma ancora a tratti incostante e inconsistente ad agonista coi fiocchi, uno che resta lì per tutto il match, concentrato, pronto alla pugna dando sfogo alle sue capacità sterminate, con le quale riesce a reggere in difesa e passare all’attacco. Non più quel ragazzo a tratti timoroso, che cadeva all’indietro “sui teloni” perché non anticipava mai, aveva un diritto troppo lavorato e necessitava di tempo. Quell’attendismo, quel colpo di troppo prima di cercare il cambio di ritmo, quel servizio ballerino e quella risposta modesta non ci sono più. Il Musetti delle ultime settimane ha confermato di esser diventato un Top Player. Migliorato al servizio, più rapido, efficace e costante col diritto, pronto a prendersi il punto anche già dal primo colpo grazie a tempi di gioco rapidi, una posizione in campo più avanzata, un tennis ordinato ed efficace. Il suo braccio è prontissimo a regalare magie, colpi estemporanei di una bellezza assoluta, ma queste soluzioni ardite sono le perle all’interno di un piano tattico più chiaro, netto, efficace. Una meraviglia vederlo creare tennis, trovare angoli splendidi, difendersi con due gambe super e un braccio che gli consente qualsiasi cosa.
    Lorenzo è cresciuto. È esploso. Sta diventando un tennista fortissimo, ha vinto molto e battuto ottimi giocatori. Stasera la faccenda sarà un tantino complicata perché al di là della rete ci sarà semplicemente il più forte. Con buona pace di Alcaraz, oggi n.1, se Djokovic è in forma, resta il tennista più forte dell’epoca moderna. Ancor più in condizioni indoor e in questo torneo, dove ha vinto già 6 volte, ha numeri stratosferici ed è pure il campione in carica.
    Quindi oggi Musetti perderà? È la ipotesi più probabile. I confronti diretti dicono 2-0 per il “Djoker”. Ma Lorenzo deve scendere in campo sicuro di potersela giocare. Non avrà niente da perdere e ha alcune armi tecniche a suo favore che possono mettere in difficoltà il campionissimo serbo. L’ha dimostrato già nel 2021, quando a Roland Garros si issò addirittura due set avanti, prima di subire la rimonta di Novak (e ritirarsi quando ormai il match era andato). Tuttavia in quell’occasione si giocava sulla terra, Djokovic non lo conosceva affatto. Il “rosso” può essere un fattore pro-Musetti, perché le sue continue variazioni e cambi di ritmo possono far male a chiunque, anche al tennista più elastico e reattivo al mondo.
    Se Djokovic risponderà come nelle sue giornate migliori e riuscirà a inchiodare l’azzurro nello scambio a media velocità, le possibilità di vittoria di Lorenzo saranno prossime allo zero. In quelle condizioni, quasi nessuno riesce a battere Djokovic, perché ai suoi ritmi è capace di stritolarti palla dopo palla. Musetti dovrà giocare un match coraggioso, ma senza esagerare nel voler tirare tutto, perché anche esagerare nella spinta, prendendosi enormi rischi e quindi commettendo errori, finisce per fare il gioco del fortissimo rivale.
    Cosa potrà fare quindi Musetti? Intanto dovrà servire benissimo. La sua miglior partita alla battuta, come numero di prime palle e come piazzamento, vario e continuo. È condizione indispensabile. La storia dei confronti diretti tra Djokovic e Federer (“scomodo” il campionissimo svizzero perché, passatemi il paragone, aveva un tennis creativo a-la-Musetti e non la se giocava contro “Nole” di fisico) racconta che solo quando Roger ha servito 2 due prime su 3 è riuscito a vincere. Ogni volta che è sceso sotto questa percentuale, ha perso. Questo vale un po’ per tutti, eccetto coloro che provano a battere il serbo sul piano della corsa e della potenza (Nadal, altri). Inoltre Musetti dovrà cercare di non entrare nei ritmi di gioco del rivale. Come? Cambi di ritmo. Continui, ma ragionati. Non quegli “sciagurati” tentativi di S&V che ieri gli sono costati il primo set contro Ruud. Deve cercare di attuare il più possibile quello schema che sta perfezionando e gli sta regalando punti importantissimi: prima palla esterna da destra, e via diritto dal centro in anticipo sulla destra. In quella situazione Djokovic può farti il punto col lungo linea, ma se va sull’incrociato Lorenzo deve anticipare e cercare un altro diritto, stavolta più corto e stretto, ancora verso destra. Questo schema, difficilissimo, se funziona sposta in diagonale-avanti Djokovic, condizione che non ama affatto. E poi la sorpresa: ogni tanto, anticipo e via, botta di diritto lungo linea, per variare. Col rovescio dovrà cercare di lavorare benissimo col back, per non consentire al rivale di sparare i suoi rovesci col pilota automatico ed evitare così di essere costretto a rincorrere. Anche l’uso della palla corta sarà fondamentale, sempre nell’ottica di cercare variazioni e mai il ritmo. Djokovic è migliorato tantissimo al servizio, la risposta di Musetti dovrà funzionare a dovere, mai corta e difensiva. In fin dei conti, per provare a vincere, tutto dovrà funzionare al 100%, e forse neanche basterà… perché se Novak gioca al top, non lo batti o serve un vero miracolo per riuscirci.
    Vedremo che razza di partita sarà, ci auguriamo un grande spettacolo e che Musetti riesca a giocare il suo tennis. Niente timori, testa e cuore provando a pennellare i suoi colpi lontano da tensioni eccessive. Non serve strafare, l’importante è dare il proprio meglio divertendosi. Quando Lorenzo sente scorrere dentro di se il suo tennis arriva a picchi di rendimento eccezionali. Sarà un banco di prova importante per testare i suoi passi in avanti e la sua capacità di reagire in modo positivo ai momenti di difficoltà che sicuramente arriveranno. Novak ha detto nella press conference di ieri sera di aver accusato qualche fastidio fisico nel primo set, ma non deve affatto sperare di trovarsi un rivale non al meglio. Il Lorenzo di quest’autunno ha tutto quel che serve per giocarsela anche contro un “mostro” di bravura e consistenza come Djokovic. Queste sono “Le” partite non più da sognare, ma da giocare e vivere.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    ATP Napoli: Musetti trionfa. “Bello”, efficace e continuo. Grazie anche a Berrettini

    Lorenzo Musetti, secondo torneo vinto in carriera

    “La bellezza salverà il mondo”, scriveva Dostoevskij in uno dei suoi capolavori. Lorenzo Musetti probabilmente non riuscirà a spingersi così in alto, ma la bellezza del suo tennis certamente sta rendendo assai più dolci questi tempi difficili per tutti gli amanti italiani dello sport della racchetta. Il nostro grande talento ha vinto con l’ennesima straordinaria prestazione la finale dell’ATP di Napoli, alzando la sua seconda coppa in carriera (e nel 2022) dopo lo straordinario successo ad Amburgo contro l’attuale n.1 Carlos Alcaraz. Soprattutto l’ha fatto giocando divinamente bene, con qualità, classe ma anche tonnellate di concretezza e solidità. Ha vinto battendo 7-6 6-2 Matteo Berrettini, che tutto il pubblico deve ringraziare per esser sceso in campo e aver dato tutto quel che aveva nonostante un piede k.o. L’ha fatto capire al momento della premiazione Matteo: ha reso enorme merito a Lorenzo, che ha giocato meglio e si è meritato il successo, ma ha anche confermato di aver “fatto di tutto per regalare a questo pubblico una finale”. Quasi sicuramente, se fosse stato in un altro angolo del globo, lontano dalla sua Italia, non avrebbe nemmeno giocato. Eppure c’ha provato, per il pubblico sì, ma anche per se stesso, perché come ha rivelato ieri con un impeto di stizza micidiale “sono stufo di farmi male, di dovermi ritirare”.
    C’ha provato Matteo, perché un campione gioca oltre ogni ostacolo, ci prova, mette tutto quel che ha per darsi una chance di farcela, nonostante tutto. Per un set abbiamo avuto una bella finale, una partita combattuta, che ha appassionato e divertito, anche se è parso subito evidente che il romano corresse “sulle uova”, molto attento all’avvio a non far movimenti strani per non peggiorare la situazione a freddo. Tutto il suo tennis andava a bassi regimi, anche il servizio. Infatti ha penato, ha sofferto, ma in qualche modo ha annullato 4 palle break e si è issato al tiebreak, dove un filo di ritardo nell’impattare una palla bassa con il suo diritto inside out gli è costato l’unico errore e il set. Poi nel secondo parziale è calato, ma è stato monumentale nel provarci, nel soffrire, nel resistere al dolore al piede e giocare. Bravo, bravissimo Matteo. Convivere con questa fragilità fisica è una frustrazione che abbatterebbe una mandria intera di tori. Non Berrettini, che supererà anche questo problema fisico – e delusione – e tornerà ancora più forte. Questa è una certezza.
    Berrettini non al meglio, l’ha riconosciuto anche Lorenzo con grande stile nel dopo partita a caldo. Ma questo “nuovo” Musetti avrebbe avuto tute le carte giuste per vincere anche contro un Berrettini in salute, perché il livello e la continuità di prestazione mostrata in finale è stata clamorosa. Ha vinto in due set, e in tutto il torneo non ha ceduto un set. Soprattutto non ha praticamente avuto veri “buchi”, in tutto il torneo, nemmeno in finale. Una finale che approcciato con tensione ma anche la forza di una nuova consapevolezza, l’aver trovato una direzione vincente al suo gioco. Il suo livello di gioco nella finale ha confermato i passi in avanti notevolissimi in alcune fasi chiave della sua prestazione.
    Il servizio: Lorenzo in tutto il torneo, finale inclusa, ha servito benissimo. Ritmo, precisione. Non una pallata, grande controllo, incredibile varietà. Ha alternato palle a tutta con tanti tagli, mai un punto riferimento. Percentuali buone, sempre in crescita, e palle efficaci. Anzi, palle propedeutiche al primo colpo dopo il servizio. Questa è la chiave micidiale del suo scatto in avanti. Il vero Scacco Matto. Quel che abbiamo sempre rimproverato a Musetti era di servire in modo discontinuo, di esser poco incisivo – o troppo falloso – col diritto; di scambiare troppo, stazionando dietro ed aspettando gli eventi… Tutte queste evidenti lacune sono state spazzate via nelle ultime settimane, grazie ad un notevole scatto in avanti col servizio, grazie a tempi di gioco più rapidi che ora gli consentono la sicurezza di spingere con un colpo incisivo subito dopo un ottimo servizio, prendendosi così una situazione di vantaggio, pronto a chiudere il punto, prontissimo a venire avanti a chiudere. No attendismo. Addio posizione troppo arretrata. Addio diritti incerti e instabili. Tutto parte dal servizio e dall’abilità di tenere tempi di gioco rapidi, con un movimento di diritto più asciutto e che gli permette di entrare in grande anticipo nella palla. Con la sua mano, con la sua visione del campo, beh, il resto sono le olive nel Martini. Lorenzo pare aver consolidato automatismi della catena cinetica vincente del tennis classico-offensivo: servizio – > posizione – > diritto/rovescio subito incisivo – > scatto in avanti e di controllo del campo – > anticipo – > affondo. Così giocava “il Divino”, così giocano i campioni creativi che con classe riescono a prendersi punti senza tirare pallate a tutta, ma creando colpi efficaci con velocità e anticipi. Una Bellezza.
    Sicuramente Musetti ha amato queste condizioni, veloci ma non velocissime. Sicuramente Musetti ha vinto anche contro avversari forti ma non irresistibili. Tutto vero. È altrettanto certo che Musetti sia cresciuto in modo esponenziale nella propria autostima, ha nuove certezze e punti di riferimento che gli consentono di esplodere l’enorme qualità in prestazioni continue. Il suo picco di prestazione è più costante, come l’attenzione. Gli errori sono pochi, provocati. I vincenti, tanti. Musetti ha confermato match dopo match, vittoria dopo vittoria, di aver compiuto un salto di qualità notevolissimo. Nella finale odierna, appena Berrettini è stato “giocabile” con il servizio, Lorenzo c’ha messo del suo. Si è preso punti importanti senza mai strafare. Senza cercare a tutti costi la giocata boom, ma giocando con lucidità, efficacia. E poi ha servito divinamente. Nel secondo set Matteo era in difficoltà, ma Lorenzo non ha concesso niente. Forte del vantaggio, ha tenuto l’iniziativa e non è mai calato. Focus, qualità, punti. Vittoria. Bravo, bravissimo Musetti.
    C’ha pensato pure il segnale tv internazionale a gustare all’avvio una splendida e storica domenica tennistica, ultima “ciliegina al veleno” di una settimana in cui non proprio tutto è filato liscio, ma che resterà a suo modo indimenticabile e storica per il nostro tennis. La bellezza del tennis di Musetti è stata più forte di qualsiasi difficoltà, o problema. Nessuno potrà mai dimenticare il battesimo in Italia di una coppa per “Muso”. Nessuno.
    Marco Mazzoni

    ATP Naples Lorenzo Musetti [4]76 Matteo Berrettini [2]62 Vincitore: Musetti ServizioSvolgimentoSet 2L. Musetti 15-0 30-0 40-05-2 → 6-2M. Berrettini 15-0 15-15 df 15-30 df 15-404-2 → 5-2L. Musetti 0-15 15-15 15-30 30-30 40-303-2 → 4-2M. Berrettini 0-15 15-15 30-15 40-153-1 → 3-2L. Musetti 0-15 df 15-15 30-15 40-152-1 → 3-1M. Berrettini 15-0 15-15 30-15 40-15 ace2-0 → 2-1L. Musetti 15-0 30-0 40-01-0 → 2-0M. Berrettini 15-0 15-15 15-30 15-40 df 30-40 ace0-0 → 1-0ServizioSvolgimentoSet 1Tiebreak0*-0 1-0* 1-1* 1*-2 2*-2 3-2* ace 3-3* 4*-3 5*-3 6-3* 6-4* 6*-56-6 → 7-6M. Berrettini 0-15 15-15 30-15 40-156-5 → 6-6L. Musetti 15-0 30-0 40-05-5 → 6-5M. Berrettini 15-0 30-0 ace 40-0 40-15 40-305-4 → 5-5L. Musetti 0-15 15-15 30-15 30-30 40-304-4 → 5-4M. Berrettini 0-15 15-15 15-30 30-30 40-30 ace 40-40 A-404-3 → 4-4L. Musetti 15-0 30-0 40-0 40-15 40-30 40-40 A-403-3 → 4-3M. Berrettini 0-15 0-30 15-30 30-30 30-40 40-40 A-403-2 → 3-3L. Musetti 15-0 15-15 15-30 30-30 40-30 40-40 40-A 40-40 A-40 40-40 A-40 ace 40-40 A-402-2 → 3-2M. Berrettini 0-15 0-30 15-30 15-40 30-40 ace 40-40 A-40 40-40 A-402-1 → 2-2L. Musetti 15-0 30-0 30-15 30-30 40-301-1 → 2-1M. Berrettini 0-15 df 0-30 15-30 30-30 30-40 40-40 ace A-401-0 → 1-1L. Musetti 15-0 15-15 30-15 30-30 40-30 ace0-0 → 1-0 LEGGI TUTTO

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    Thiem: “Spero di tornare competitivo per vincere gli Slam, altrimenti smetterò”

    Dominic Thiem

    Dominic Thiem ha finalmente brillato all’ATP 250 di Gijon, in corso questa settimana in contemporanea al torneo indoor di Firenze. Per suo stesso dire quella contro Sousa è stata la sua miglior prestazione dopo l’infortunio al polso che l’ha costretto a un lungo stop e una difficile riabilitazione. L’avversario non era tra i più temibili, ma è piaciuto assai il tennis del viennese. Erano mesi e mesi che l’austriaco non riusciva a produrre un tennis così consistente, offensivo e carico di quella potenza, intensità ed energia che l’avevano portato ai vertici della disciplina, con la vittoria a US Open e le finali raggiunte a Parigi e Australian Open.
    Intervistato dal quotidiano iberico AS, Dominic ha parlato a 360° del suo momento, di quanto sia stato difficile ritrovare il suo miglior tennis e dei suoi obiettivi. È consapevole che sarà molto difficile, ma vuole tornare competitivo negli Slam, altrimenti crede sia meglio farsi da parte. Ecco alcuni estratti del suo pensiero.
    “Finalmente il polso sta bene. Tornare al 100% mi è costato molto, sono stato molto tempo senza giocare al meglio. Il diritto era sparito, da essere un colpo molto buono era crollato quasi zero, mi ci è voluto molto lavoro per riaverlo. Ora sono su una strada molto buona”.
    Per molti osservatori rovescio era il suo punto di forza, anche se lui non la pensa proprio così: “Il rovescio? Penso che sia migliorato un po’ nell’ultimo mese, il che è importante per me perché anche se il mio rovescio è sempre stato un buon colpo, nella fase migliore della mia carriera costruivo il punto e cercavo più il vincente con il diritto. E dopo l’infortunio tutto questo non ha più funzionato. Quindi ho dovuto chiedere molto di più al rovescio. Era l’unico colpo con cui riuscivo a fare la differenza. Ora che a poco a poco la spinta sta tornando, può essere un’ottima combinazione per me”.
    Ricordano a Dominic che in passato ha battuto Roger, Rafa e Novak cinque volte ciascuno. Passare da quel livello alle sconfitte nei primi turni in così poco tempo deve esser stato difficile da digerire… “Sono momenti molto diversi. La mia carriera è divisa in due, prima e dopo l’infortunio. La prima parte è stata incredibile. Sono stato in grado di battere tutti i migliori, vincere molti tornei, persino un Grande Slam. E poi è arrivato l’infortunio e la mia traiettoria si è fermata. La fase attuale da un certo punto di vista è un’esperienza molto interessante perché devo essere in grado di competere di nuovo con tanti ragazzi in gamba, cercando di arrivare a giocarmela contro i migliori e questo è un bene. Ovviamente le partite e le vittorie contro Federer, Nadal e Djokovic mi stanno aiutando, perché sono state una bella esperienza e mi ricordano che giocatore ero, dove voglio tornare”.
    “Tornare a lottare per uno Slam? È quello che voglio, ho la convinzione di potercela fare. Altrimenti rinuncerei alla mia carriera. Ero in al vertice, tra i primi tre in classifica. Ho la sensazione di essere in grado di lottare ancora per i grandi titoli, per gli Slam e di poter battere chiunque. Altrimenti, tutto questo duro lavoro non avrebbe senso per me. Spero l’anno prossimo di poter tornare a quel livello, ora che sto finalmente bene”.
    Stare tanti mesi senza giocare gli è costato molto, ha perso la motivazione: “Quando giochi male, le cose non vanno, è difficile tenere alta la motivazione e tornare in giorno in campo senza vedere miglioramenti. Per me è stato difficile. Non vedevo molto tennis quando sono stato costretto ai box, era difficile non stare là con gli altri. Tutto questo sembra alle spalle”.
    “Ritiro? No, seriamente non c’ho mai pensato. Sono ancora molto giovane, penso di aver davanti a me altri anni positivi”.
    “Alcaraz? È il più giovane numero uno della storia e vincitore degli US Open da teenager, è un tennista eccezionale. Sta cambiando il tennis, perché a New York e in altri tornei lui era sempre lì, in attacco, andando a rete, giocando ogni punto senza paura e con ritmi altissimi. Penso che questo sia qualcosa di nuovo”.
    Non sarà facile per Thiem ritrovare quella combinazione di intensità, forza e determinazione che l’hanno portato sul trono di New York e super competitivo in tutti i grandi tornei. Anche nei suoi anni migliori, la sensazione che esprimeva il suo tennis è sempre stata quella di una notevole “fatica”. Ha chiesto di tutto di più alla sua testa e al suo fisico per arrivare al livello di Novak e compagni, spremendo ogni goccia di quel che aveva. Tanta forza, abnegazione, ma poca fluidità e tempo sulla palla, quindi per generare velocità c’ha sempre messo forza, fatica, intensità, scambiando fin troppo e quindi facendo chilometri e chilometri. Ha migliorato il suo tennis negli anni, crescendo soprattutto al servizio, ma non è mai davvero riuscito a passare da quel tennis muscolare di pressione e intensità ad un gioco più rapido e meno dispendioso nella ricerca del punto e anche in difesa. Bravissimo nell’arrivare con i suoi mezzi tra i migliori del mondo, ma la storia del gioco insegna che quando hai un tennis che ti spreme così tanto, arrivi a toccare l’apice e poi sei costretto a fermarti, ritrovare quella estrema motivazione per tornare a quei livelli è molto, molto difficile. Glielo auguriamo, perché Thiem nei suoi anni migliori è stato protagonista grandi battaglie contro Roger, Rafa e gli altri, regalando grande spettacolo.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Del Potro: “Vivere senza tennis è dura. Ero n.3 del mondo, poi il k.o. al ginocchio e ho perso tutto”

    Juan Martin Del Potro

    Quando ami qualcosa con tutto te stesso, affronti mille difficoltà cercando di superare ogni ostacolo, è dura accettare che sia finita. Una situazione comune a molti tennisti (e sportivi) costretti a gettare la spugna contro la propria volontà per colpa di infortuni troppo gravi per andare avanti. C’è chi riesce a voltare pagina, trovando altre vie per vivere una vita serena e soddisfacente, e chi invece soffre terribilmente l’aver dovuto abbandonare quella vita per la quale aveva investito tutte le proprie energie.
    Juan Martin Del Potro, indimenticabile e sfortunatissimo campione argentino, si è ritirato lo scorso febbraio per colpa di terribili problemi alle ginocchia, ma il tempo che passa non riesce a sanare le ferite al fisico e soprattutto al suo cuore, infranto dal dolore per esser stato costretto a terminare quella passione e vita per la quale ha lottato con tutte le proprie forze.
    In una breve intervista rilasciata al Sun, ha raccontato la sua situazione attuale, con un ginocchio che non ne vuol sapere di guarire e la sofferenza per quella vita sportiva che gli manca terribilmente. Una condizione che fa enorme fatica ad accettare.
    “Recentemente mi sono recato in Svizzera per un altro consulto medico con uno specialista. Ho iniziato una nuova cura, quella che mi era stata consigliata da diversi tennisti professionisti, ma finora non ho avuto un solo risultato positivo. Immaginate quanto sia dura la sensazione che niente stia funzionando dopo ogni tentativo, che si tratti di un trattamento o di un intervento chirurgico. La frustrazione che provo quando le cose non funzionano è difficile da spiegare. Come sempre mi illudo, voglio aspettare, ho fiducia in ogni nuovo trattamento che provo, ma ogni volta che fallisce è un duro colpo da mandare giù. Questo è il mio quotidiano negli ultimi tre anni e mezzo, nonostante gli interventi chirurgici e trattamenti che ho provato, non è mai successo niente di positivo. Adesso posso solo camminare, non riesco a correre nemmeno sul tapis roulant. Anche il solo salire e scendere le scale mi provoca dolore, non posso nemmeno guidare l’auto per molto tempo senza dovermi fermare per sgranchirmi le gambe per via del dolore. Questa è la mia realtà, è molto difficile, molto triste, ma continuo a cercare modi per migliorare. La mia nuova sfida è cercare un modo per vivere meglio, anche psicologicamente, nonostante i miei problemi fisici”.
    Una situazione per niente facile quella vissuta dalla “Torre di Tandil”, come lo hanno sempre chiamato in patria. Ma il suo racconto si fa ancor più duro quando parla dei problemi psicologici che affronta per via di questa situazione, che non riesce ad accettare.
    “La verità è che dal punto mentale non riesco ad accettare una vita senza tennis. Non ho avuto un passaggio graduale per questo, non mi sono preparato, non ho idea di cosa abbiano fatto gli altri giocatori per vivere questo processo e cambiamento in modo sereno. Io non ci riesco. Ero il numero 3 al mondo, finché all’improvviso mi sono rotto le ginocchia ed eccomi qui, senza niente. Ho perso tutto quello che per me era importante”.
    Un dolore costante, sul quale Juan Martin sta cercando di lavorare. “Per tutto questo tempo ho cercato di recuperare, di ritrovare la salute e tornare a giocare, come ho fatto con qualsiasi altro infortunio, e in vita mia ne ho passate di tutti i colori. Finché stavolta è stato troppo, e a Buenos Aires ho detto basta. Da allora sto cercando di ritrovare me stesso, ma sono ancora lì, bloccato in quel processo di riflessione. Continuo a chiedermi quali cose potrebbero piacermi. Quando parlo con altri atleti mi dicono che alcuni hanno impiegato anni per assimilare tutto questo, mi raccontano come si sono preparati. È quello che sto facendo adesso”.
    Parole davvero toccanti, che raccontano quanto DelPo amasse il gioco e la vita del tennista. Possiamo solo augurargli di trovare la forza per accettare la sua situazione e trovare nuovi stimoli per andare avanti, magari fissando un nuovo obiettivo in quel mondo del tennis dal quale non riesce a staccarsi totalmente.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Bentornato Hyeon Chung

    Hyeon Chung

    A volte ritornano… Il torneo ATP 250 di Seoul, oltre a Ruud, Shapovalov, Evans e Norrie, segna una gradita presenza. Nel tabellone di doppio il sudcoreano Soonwoo Kwon farà coppia con il connazionale Hyeon Chung, al rientro sul tour Pro dopo un autentico calvario. Prima problemi agli occhi, quindi una spalla KO che l’ha costretto ad una lunghissima e difficile riabilitazione, il tutto nel mezzo della pandemia. Il coreano è finalmente tornato ad allenarsi con buona continuità dalla scorsa estate ed ha scelto l’evento nel proprio paese per tornare in campo. L’ultimo torneo disputato da Chung era stato Roland Garros 2020, sconfitto al secondo turno delle qualificazioni. Già allora il suo tennis era sceso come qualità, in preda a vari problemi fisici che l’avevano costretto a diradare assai le proprie apparizioni e scivolare oltre la posizione n.150 in classifica.
    Un vero peccato per Hyeon, che nel 2018 era balzato nel tennis di vertice toccando la posizione n.19 in classifica, dopo aver disputato la semifinale agli Australian Open. Un torneo pazzesco quello per il coreano: aveva superato infatti uno dopo l’altro Medevedv, Zverev e Djokovic, mettendo in mostra una mobilità fantastica, una risposta notevolissima e una capacità nel passare da difesa ad attacco da vero campione. Dopo aver battuto nei quarti Sandgren, si era arreso in semifinale a Roger Federer (poi vincitore del torneo), letteralmente svuotato dalle maratone disputate.
    Hyeon si era rivelato al grande pubblico alla primissima edizione delle NextGen Finals di Milano. In un evento a cui parteciparono talenti come Rublev, Medvedev e Shapovalov, Khachanov, “zitto zitto” il coreano s’era fatto largo, impressionando per qualità tecniche e motorie. Non un colpo che ti faceva sobbalzare sulla sedia, ma un tennis completo, continuo, sostenuto da agilità e reattività notevolissime. Impatti puliti, pronto anche a venire avanti a prendersi il punto, il coreano era un tennista difficile da battere perché non ti regalava niente ed era pronto a lottare su ogni punto. Hyeon sembrava un tennista destinato ad entrare tra i migliori 20 giocatori al mondo (per un pelo c’è riuscito) ma soprattutto restarci a lungo.
    Non era arrivato a questi risultati “per caso”. Chung da ragazzo aveva segnato risultati di prestigio: vinse l’Eddie Herr International e l’Orange Bowl (under 12), completando la propria formazione tecnica in Florida – insieme al fratello – all’Accademia di Nick Bollettieri. In molti lo ricorderanno per la finale disputata e persa contro Quinzi a Wimbledon junior. Quindi lo sbarco nel tennis professionistico, dove si era imposto piuttosto rapidamente: 9 successi in tornei Challenger, la semifinale a Melbourne e i quarti di finale a Indian Wells e Miami nel 2018, la sua miglior stagione, con conseguente best ranking. Non è riuscito a vincere un torneo ATP, ma a quel tempo sembrava solo una questione di tempo.
    Purtroppo i mille problemi fisici l’hanno prima limitato e quindi escluso dai giochi per tantissimo tempo. Di lui si erano completamente perse le tracce. Rarissime le dichiarazioni sul proprio stato di salute e percorso di recupero. Fa davvero piacere ora ritrovarlo in campo, pronto a tornare in una competizione ATP, anche se per ora solo in doppio.
    All’agenzia nazionale Yonhap ha dichiarato: “Era davvero troppo tempo che aspettavo questo momento. Non ho idea di come giocherò, ma di sicuro darò il meglio di me stesso. Non ho ancora giocato partite ufficiali, quindi è difficile dire come sarò fisicamente ed è presto per confrontarmi con il 2018. Da un certo punto di vista, penso di essere mentalmente in una posizione migliore rispetto a quella di allora. Quando ero al mio massimo in carriera, devo dire che non apprezzavo il tennis come adesso. Ora sono davvero grato per il semplice fatto di rimettere piede in campo. Mi sono allenato molto duramente negli ultimi due mesi, ma mi sono divertito così tanto che volevo mangiare e dormire sul campo! Non vedo l’ora di giocare e provare di nuovo la sensazione della partita. Poi vedremo”.
    Dopo questo piccolo antipasto casalingo, la speranza è che Chung possa riprendere la propria carriera dal 2023, finalmente in salute. La famiglia l’aveva spinto a giocare a tennis sotto consiglio dei propri medici, che vedevano nel tennis un ottima disciplina per “allenare la vista”, dato che il piccolo Hyeon era nato con un deficit visivo importante. Quella pallina, finché è stato sano, la vedeva e centrava assai bene… Bentornato Hyeon!
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