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    Max Purcell, l’underdog che non ti aspetti (oggi sfida Alcaraz a Cincinnati)

    Max Purcell (foto Getty Images)

    Crederci sempre, focalizzando finalmente l’attenzione al 100% sulla carriera, con meno party e zero nottate perse in compagnia dello smartphone. Crederci, anche quando ti dicono che resterai nel limbo, un bel “doppista” semmai. Del resto, con quel gioco discretamente retrò, un po’ leggero e con quei tagli continui anche sul diritto, in un mondo di power-tennis dove pensi di andare… Non ci gira più intorno Max Purcell, quel limbo se l’è scrollato di dosso. Ora l’australiano ci crede eccome, con obiettivi sempre più alti e ambiziosi, perché ha capito che la sua diversità è un punto di forza, e che di qualità ne ha molte più di quelle che tanti gli hanno mai riconosciuto. Il 25enne di Sydney è certamente uno dei personaggi del Masters 1000 di Cincinnati, sbarcato per la prima volta in carriera nei quarti di finale di un torneo così importante in singolare, pronto a sfidare sua maestà Carlos Alcaraz nel pomeriggio degli States. Ma questo splendido e meritato risultato non è un exploit isolato, figlio della classica settimana in cui sportivamente cammini sulle acque e tutto ti riesce. Tutt’altro. Purcell sta vivendo un 2023 clamoroso, passato assolutamente sotto traccia, ma continuando così l’australiano già si candida a premio come giocatore rivelazione della stagione e/o più migliorato.
    Purcell è da anni un buon doppista sul tour, e ancora continua la sua carriera affiancato spesso ai connazionali Jordan Thompson o Marc Polemans (quest’anno ha vinto il 250 di Houston proprio con Thompson), ma nel 2023 è letteralmente esploso in singolare, passando in classifica dal n.220 all’attuale n.70, ma è già sicuro anche in caso di sconfitta contro Alcaraz di attestarsi al n.47, per la prima volta tra i migliori 50 al mondo. Una scalata splendida, iniziata dopo aver passato le “quali” agli Australian Open (nelle quale ha estromesso Cecchinato e Arnaldi), con una decisione importante già maturata nella off-season 2022: punterò sui Challenger in India e mi darò qualche mese per spingere a tutta in singolare, e vediamo come andrà. Beh… è andata oltre le più rosee aspettative! Tre tornei giocati, tre titoli consecutivi a Chennai, Bengaluru (battendo tra gli altri Nardi) e Pune, dove in finale si è ripetuto battendo di nuovo Nardi. Un filotto splendido, ottenuto giocando alla grande, dominando il campo a furia di attacchi, serve and volley, tagli continui anche col back di diritto che hanno mandato completamente fuori ritmo gli avversari. Il suo marchio di fabbrica quello di non darti punti di riferimento, pochissimo ritmo, attaccare all’improvviso. Con questa fantastica tripletta è entrato nella top100 al n,99, e non si è fermato lì. Ha raggiunto la semifinale al Challenger di Las Franqueses de Valles e quindi finale a Lille, con un altro best ranking di n.86. Prima di sbarcare a Roland Garros, altre due finali CH, in Corea.
    Col suo gioco così offensivo, ci si aspettava qualcosa in più sull’erba, ma è stato subito battuto al 250 di Maiorca (da Feliciano Lopez, all’ultimo ballo in carriera) e poi ai Wimbledon ha pescato male, Rublev al primo turno. Quindi è volato negli Stati Uniti, per entrare sul tour maggiore con forza. Difficile l’avvio, out subito a Newport, Atlanta e Washington, con qualche commento che già lo bollava come tennista “da Challenger”. Li ha zittiti subito con la doppietta dei 1000 nord americani. Ha passato le quali a Toronto, battendo l’idolo di casa Auger-Aliassime e lottando tre set contro Murray, fino al miglior torneo della sua vita a Cincy, dove ha passato le quali e quindi ha sconfitto Harris, Ruud (testa di serie n.5, miglior scalpo in carriera) e ieri Wawrinka. Non vittorie di “Pirro”, ha giocato assai bene Purcell, se l’è davvero meritate.

    Maxing out @MaxPurcell98 at #CincyTennis:
    Reaches maiden Masters QF in second Masters appearance ✅
    Earns maiden Top-10 win over No.7 Ruud ✅
    Next: Alcaraz or Paul! pic.twitter.com/NIA1ntNbdQ
    — Tennis TV (@TennisTV) August 17, 2023

    Max è un tennista ancora poco conosciuto al grande pubblico, ma è anche un tizio divertente da vedere in campo, perché è diverso dal classico picchiatore col diritto, modello predominante sul tour. Dotato di un ottimo fisico, compatto ed esplosivo, riesce a coprire molto bene il campo, e con l’esperienza maturata in doppio ha nel servizio e nella risposta una base molto solida da cui impostare il suo gioco. Rivali molto potenti e che impongono un gran ritmo riescono a sbaragliarlo, ma Purcell ha nel cilindro l’antidoto ideale se non riesci a farlo correre in difesa facendogli perdere campo. Si chiama variazione, intelligenza tattica e visione del momento. Con i suoi tagli “sgonfia” le palle degli avversari, li porta a colpire senza ritmo e spesso da posizioni strane, angolate in avanti, forzandoli a chiudere o venire a rete. Inoltre quel back di diritto che spesso usa non te l’aspetti proprio e se non sei veloce nell’aggredirlo diventa poi difficile da tirare su e rigiocare profondo, ed ecco che il “canguro” fa un passo avanti e via spara un’accelerazione improvvisa o ti viene a rete, dove riesce a chiudere con ottima sicurezza. Insomma, è una discreta gatta da pelare…
    Purcell è la dimostrazione che al piano di sotto di talento ce n’è davvero tanto. La differenza viene da piccole grandi cose, come la testa, il focus, crederci e lavorare con obiettivi ambiziosi per spingerti oltre quelli che pensi – erroneamente – siano i tuoi limiti. L’ha descritto molto bene in un’intervista rilasciata al sito ATP qualche mese fa, dopo l’esplosione nei Challenger, nel quale si racconta e spiega come sia riuscito a fare il salto di qualità.
    “Come sono riuscito a vincere 15 match di fila nei Challenger? Ho scelto di smettere con le distrazioni fuori dal campo”, spiega Purcell. “Soprattutto in quelle settimane in India, volevo stare il più lontano possibile dal mio telefono. Volevo assicurarmi di avere più tempo tranquillo e assicurarmi solo di non portare nient’altro in campo durante le mie partite. Nessuna emozione extra o qualcosa del genere. Volevo solo essere il più calmo possibile e concentrarmi sulla mia missione, giocare al massimo in campo. Direi che ha funzionato davvero bene, e non voglio più cadere negli errori del passato. Anche quando stavo cercando di ridurre i tempi in cui mi distraevo l’anno scorso, mi ritrovavo comunque a parlare con gli amici su FaceTime, mi consumava la giornata e consumava energia perché passavo troppo lì incollato. Se dovevo uscire a cena con più tennisti, di nuovo era la stessa cosa. Ho cercato di limitare le distrazioni il più possibile, mi dicevo ‘Ora basta, stacca il telefono, resta in camera e rilassati che domani c’è una partita, c’è da lavorare”. 
    Nel 2022 Murray aveva fatto complimenti pubblici a Purcell per il suo modo di giocare così particolare. Max ringrazia e va avanti: “Murray è stato molto gentile, ma in effetti non vedo nessuno colpire i dritti tagliati come faccio io”, continua Purcell. “Non penso che ci sia una sola persona che gioca come me, quindi penso che sia piuttosto unico e questo può diventare un punto di forza perché non sei abituato ad affrontare uno come me. Sono cresciuto a Sydney, avevamo molti campi in erba sintetica, quindi ho usato molto lo slice quando ero giovane. Sapevo di poter sempre colpire con il diritto slice, ma gli allenatori mi dicevano continuamente che non era efficace. L’anno scorso sono stato senza allenatore per un po’, quindi ero tipo ‘Fanculo’, non mi interessa cosa pensano gli allenatori… inizierò a farlo. Ci ho creduto davvero e l’ho usato ottenendo buoni risultati. Quindi, perché snaturare il mio modo di essere?”.
    Quindi d’ora in poi, solo singolare? No, ma lo schedule non sarà facile, è un’altra sfida. “L’anno scorso mi sono bruciato… Non posso combinare totalmente due programmi separati, singolo e doppio. Nel 2022 ho partecipato a un torneo per sette mesi e mezzo, ogni singola settimana. A ripensarci sento ancora quella fatica nelle gambe e nella testa. Sicuramente negli Slam e magari qualche 1000 farò ancora singolo e doppio, ma vediamo, le cose cambiano rapidamente”. 
    Già, in meno di 8 mesi Purcell è passato dall’essere uno dei tanti che sgomitano a top50. Quanto conta nel tennis la testa, il focus, gli obiettivi.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Le 10 cose che resteranno di Wimbledon 2023

    Carlos Alcaraz (foto Getty Images)

    King Carlos, il nuovo Re
    A soli 20 anni Alcaraz aveva già siglato record storici, il più importante l’esser diventato il più giovane n.1 del ranking ATP (da quando è calcolato al computer) dopo la vittoria a US Open 2022, suo primo Slam. Ma la vittoria ai Championships di ieri segna un passo ancor più importante. Decisivo. Ha imparato i segreti “dell’erba dal 2002” in un batter d’occhio, ha vinto il torneo più importante battendo quello che è unanimemente considerato il più forte e vincente dell’epoca moderna. Ancor più, COME l’ha battuto. Si è preso in faccia un uppercut degno di Mike Tyson nel primo set, si è rimesso in piedi meglio di Rocky Balboa e ha alzato il livello. Rimontato nel quarto, è andato a prendersi tutti i punti più importanti nel quinto, vincendo tecnicamente, fisicamente, mentalmente contro quello che è il migliore per tecnica, resistenza fisica e soprattutto testa. Sconfiggere così il 7 volte campione del torneo, sbarcato a Londra in condizioni eccezionali, va oltre l’eccezionale. È la certificazione che il mondo della racchetta ha un nuovo Re. Non c’entra l’esser già n.1, no. Per tutti Djokovic era il vero n.1, il più forte. Ieri c’è stato il sorpasso. Alcaraz stellare, bellissimo da veder giocare, divertente come tennis e come persona. Che gli Dei del tennis lo conservino a lungo, perché nelle sue mani lo sport è in ottime mani.

    Una finale leggendariaNon sempre, purtroppo, la finale del torneo più importante è la partita più bella dell’anno. Sarà quasi impossibile scalzare la finale di ieri da match del 2023. Spettacolo, adrenalina, colpi mozzafiato, cambi di rotta, lotta, tiebreak, durata, psicodrammi… Ogni palato è stato accontentato, chi voleva la lotta, chi i colpi vincenti, chi l’incertezza. Djokovic ha fatto di tutto per non perderla, è partito forte, è andato sotto e si è ripreso. Alzi la mano chi, all’inizio del quinto, pensava che Carlos potesse girarla di nuovo. Fantastico come sia andato sopra a “Nole”, fisicamente e mentalmente, riuscendo di nuovo ad alzare l’asticella della competizione, il rischio dei suoi colpi, efficace e mani banale. Il match è storico, per mille motivi. Djokovic è tutt’altro che finito, a US ci sarà nuova grande sfida, ma è indubbio che questo successo segna un passaggio di consegne e una partita che ricorderemo, come la finale di Becker ’85, Agassi ’92, o il Federer-Sampras del 2001.

    Bentornato MatteoIn casa Italia la nota più bella, pari alla semifinale di Sinner, è il ritorno di Matteo Berrettini. Rivedere il nostro amatissimo campione così efficace, veloce e potente sull’amatissima erba di Church Road è stato inatteso e straordinario. Dopo le secche di mesi e mesi di vere e proprie torture, con ancora negli occhi la terrificante sconfitta di Stoccarda con l’amico Sonego, vederlo ripartire proprio battendo “Sonny” e poi martellare come nel 2021 contro avversari davvero forti è stato bellissimo. Di nuovo veloce nell’approcciare la palla, solido al servizio, sicuro col diritto in spinta e pure migliorato nel rovescio. Una bellezza. Adesso solo sperare che questo maledetto fisico lo lasci in pace. Bentornato Matteo, quanto sei mancato…

    La prima semifinale Slam di SinnerIl “capitolo Sinner” è sempre bello complesso in ogni torneo, tanta è l’attesa sul nostro top10. Che dire, ha giocato un buonissimo torneo, approdando alle semifinali da n.8, quindi missione compiuta. Fortunato nel sorteggio? Sì, ma gli altri non sono avanzati nel torneo per caso, quindi averli battuti tutti è un merito. Quante volte i vari Federer, Nadal e Djokovic hanno avuto vere autostrade sino ai match decisivi? Chi vince ha sempre ragione. Jannik è stato non sempre a tutta – difficile esserlo – ma ha confermato di aver preso la strada giusta. La semifinale con Djokovic ha mostrato quanto sia vicino all’eccellenza, ma allo stesso tempo quanto i suoi equilibri siano ancora instabili. C’è ancora parecchio da lavorare, tra fisico, tenuta della prestazione al massimo, servizio che deve diventare ancor più incisivo. La crescita di Sinner è continua, questa è solo la sua prima semifinale Slam. Avanti tutta.

    Jabeur, quanto conta la testaChe dolore veder perdere così Ons Jabuer in finale. Che colpo al cuore assistere impotenti al suo pianto a dirotto col “piattino” in mano. Ci credeva, eccome. Era l’occasione di una vita, l’è sfuggita di mano purtroppo per suoi demeriti. Non ce ne voglia l’ottima Vondrousova, non ha rubato niente la ceca, anzi è andata a riprendersi con gli interessi la sfortuna di qualche infortunio di troppo. Ma Ons ha gettato alle ortiche un bel vantaggio in ogni set, mostrando in campo un tecnica, varietà e qualità nettamente superiori, ma una fragilità mentale preoccupante, forse non rimediabile. Chissà se alla tunisina capiterà ancora un’occasione così….

    Eubanks, le favole ogni tanto…Chris Eubanks meriterebbe un capitolo a se stante. L’americano è un gran personaggio, una sorta di mosca bianca in un tour dove domina l’opposto delle sue qualità. Ha disputato uno Wimbledon quasi in trance, dopo aver vinto il primo torneo in carriera, sempre su erba. Che sapesse giocare a tennis lo sapevamo tutti, e l’avevamo anche scritto con gli ottimi approfondimenti sui giocatori emergenti scritti da Antonio Gallucci. Ma che arrivasse a disputare uno Slam chiudendo gli occhi, sorridendo e tirando tutto con questa giocosa sfrontatezza no, non se l’aspettava nessuno. Nemmeno lui. Ha terminato il suo torneo con 315 punti vincenti. Pazzesco. È la dimostrazione di quanto Wimbledon abbia qualcosa di magico e diverso, anche con quest’erba un po’ piatta dei nostri tempi. È la dimostrazione di quanto a livello Challenger ci sia tantissima qualità pronta ad esplodere. È la dimostrazione di come credere nelle proprie qualità, anche se sei un po diverso da tutti, sia la forza che può farti sognare ad occhi aperti. Bravo Chirs!

    Musetti2024No, il buon “Lori” non organizzerà un bel niente l’anno prossimo (o almeno non lo sappiamo!), ma la sensazione è che alla prossima edizione di Wimbledon il talento di Carrara potrebbe sorprendere ancor più. Quest’erba dei nostri tempi sembra fatta a pennello per le sue qualità, e il torneo l’ha dimostrato. Musetti ha imparato a correre sui prati, e per giocarci bene è “costretto” a cambiare atteggiamento e alcuni meccanismi al suo tennis. È spinto ad andare oltre a quelli che sono attualmente i suoi principali limiti: no attendismo tattico, entrare prima nella palla, servire e rispondere con massima attenzione, giocare ordinato. Questo torneo non solo gli ha regalato le prime vittorie in carriera ai Championships, ma aperto nuovi orizzonti. Ha dimostrato a se stesso di poter giocare bene su erba, che il suo tennis deve tendere a tempi di gioco più rapidi, ad un focus totale sui colpi d’inizio gioco.

    Shot Clock, così a che serve?27, 30, 35. Anche 37 secondi prima di servire. Più volte nella finale di Wimbledon il più forte di tutti, Novak Djokovic, ha servito prendendosi tutto il tempo del mondo, nonostante ci sia una regola piuttosto chiara, per chi gioca e soprattutto per chi è appollaiato sul seggiolone, vede il gioco meglio di tutti e dovrebbe tendenzialmente farla rispettare… Niente contro il serbo, campione epocale, ma questa situazione è intollerabile. Ancor più perché chi ruba tempo al servizio si prende tempo per rifiatare, per ossigenare i muscoli (e badate bene, studi accuratissimi dimostrano che anche pochi secondi fanno la differenza…), per concentrarsi. E far perdere ritmo l’altro, mandandolo in bestia. Connors e Lendl, per dirne due a caso, c’hanno costruito e condotto una carriera, ma i loro tempi la regola non c’era. Ora c’è, ma non viene applicata. Visto che ci governa il gioco ama la tecnologia, allora perché non mettere un bell’avviso acustico che scatta allo scoccare del tempo, e punto perso. E via. Nessuna discrezionalità su di una regola banale e che tutti dovrebbero rispettare…

    Anticipare orario d’inizio dei matchPiù volte il torneo è andato in difficoltà quest’anno. Stranissimo per la solitamente efficace organizzazione dei Championships. Qualche scelta poco comprensibile di apertura e chiusura del tetto, un’erba spesso umida che ha fatto scivolare più volte i giocatori e non la stessa decisione su come comportarsi tra un campo e l’altro. Una cosa tuttavia dovrebbe cambiare assolutamente, e già dal 2024: l’orario di inizio dei match. Novak è stato chiaro, e ha ragione: si deve iniziare prima, 1h, anche 2. Il torneo è tarato su una storia di match da erba, mediamente rapidi. Hanno deciso di rallentare così tanto il gioco che ormai si scambia, tanto e i match maschili di oltre 4 ore sono la normalità. Se vogliono tenere questi orari, beh, velocizzino di nuovo il gioco, sarebbe prendere i canonici due piccioni con una fava…

    Svitolina, mamma volanteUltima nota per l’avventura di Elina Svitolina ai Championships. Mamma nemmeno un anno fa, torna con una wild card ed è la tempesta del torneo. Lasciando perdere l’annosa problematica dei rapporti con le (tante) rivali russe-bielorusse, Elina si è completamente ritrovata. Grandi appoggi sull’erba, colpi fluidi e molto aggressiva, anche più di quanto era ai vertici del tour rosa, in campo a tratti volava. Si è presa la grande soddisfazione di mandare in bambola il tennis ancora un po’ anchilosato sui suoi schemi di Iga Swiatek, vera n.1 ma non certo sull’erba. Magari la sorpresa dell’anno prossimo sarà Caro Wozniacki, altra mamma in rampa di lancio per il rientro…

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Intervista esclusiva a Lorenzo Sonego: “Quando in partita c’è lotta mi diverto. Il focus è migliorare i colpi d’inizio gioco, in particolare la risposta”

    Lorenzo Sonego (foto ATP tour)

    Se dico che le doti migliori di Lorenzo Sonego vanno ricercate nella semplicità e nell’umiltà, sembra quasi che voglia sminuire la grandezza di “Sonny”. Invece è proprio il contrario.Ecco, adesso vorrei avere qui accanto qualcuno che so io, quello che si inventa qualsiasi cosa pur di non di raccogliere le palle alla fine dell’ora, che si guarda bene dal passare la stuoia: da quando è in odore di passare in “terza”, gli sembra lesa maestà preoccuparsi delle faccende che stanno in coda agli allenamenti.Invece “Sonny”, già 21 al mondo, tre titoli ATP finora in carriera, non attende un “maggiordomo” e fa quello che ha sempre ha fatto, fin dal primo giorno in cui ha calcato un campo da tennis: a sessione conclusa, tappeto. Un dettaglio ma una sorta di mantra, giusto così per continuare a non montarsi la testa.
    Del resto il suo mentore e coach Gipo Arbino ha voluto crescerlo facendogli capire fin da subito che la grandezza sarebbe arrivato a coglierla solo ricordando sempre bene da dove si è partiti ed evitando con cura di bearsi a considerare ciò che aveva ottenuto e dove era arrivato.E di strada Lori e Gipo ne han fatta tanta per poter arrivare.Degli inizi, della militanza nelle giovanili del Toro, la squadra per cui Sonny stravede e stravedeva, si sa, come si sa di come, pur avendo piedi affatto disprezzabili, sia stato indotto proprio da Gipo a mollare definitivamente il calcio per puntare tutto sul tennis.
    Arbino le qualità di Sonego le ha lette subito. Il fisico segaligno, gracile degli inizi non doveva e poteva trarre in inganno: il ragazzo sarebbe cresciuto. Poco, ma sicuro. Piuttosto l’aveva colpito con quale dedizione Lorenzo si applicasse, con quale voglia e determinazione cercasse di migliorarsi ad ogni allenamento. Diceva tanto lo sguardo solare di Sonny: divertito quando gli veniva proposta una nuova sfida, fiammeggiante appena si entrava in lotta. E pazienza se per lungo tempo i palcoscenici erano gli Open di provincia e non i tornei internazionali: Lori non mollava un punto e correva e giocava già come se stesse al Roland Garros. Molto scarsamente considerato, praticamente ignorato, Sonny dovette attendere che Gipo chiamasse direttamente in Federazione perché qualcuno si accorgesse delle qualità del suo protetto e la vita prendesse una piega diversa.
    Lori, cosa vedi se ti volti indietro?“Guardo con tenerezza e orgoglio a tutto il percorso che ho compiuto. Ciò che sono ora è figlio del cammino fatto. Mi dà forza, consapevolezza considerare da dove sono partito.”
    Da ragazzino, quando ti chiamavano “Polpo” per l’incredibile tua capacità di allungarti e rimandare qualsiasi cosa, quando i tuoi avversari si chiamavano D’Anna e Marangoni, e Napolitano e Donati ti sembravano d’un’altra categoria, avresti mai immaginato di arrivare a questi livelli?“Io ci ho sempre creduto. Davvero ho sempre pensato che un giorno ce l’avrei fatta. Non ho mai dubitato ed è per questo che ho accettato di buon grado quello che Gipo via via mi proponeva, cercando di modificare il mio gioco da ‘difensore ad oltranza’ in attaccante da fondo.”
    Quello che continua a entusiasmarmi di te è il modo che hai di stare in campo: contrariamente a molti, tu dai proprio l’impressione di divertirti nella lotta, anzi più ce n’è e meglio è.“Sì, è proprio così. Anzi, devo dirti che quando sono andato in campo con troppa pressione, quando sentivo che non mi stavo divertendo, lì sono proprio giunte le mie prestazioni più insoddisfacenti.”
    Se ti riferisci al periodo prima della vittoria di Metz, quando hai cominciato a perdere classifica, non è che hai pagato lo sforzo prodotto per arrivare a essere 21 al mondo, e che hai cominciato a pensare a che meccanismo perverso s’innesta nella testa quando pensi a come salvaguardare il ranking ottenuto?“Può darsi. Certamente per me era un cosa totalmente nuova. Fino ad un dato momento non avevo fatto altro che salire, che inanellare prestazioni sempre più soddisfacenti; e invece ad un tratto è cominciato il periodo buio, quando, per un motivo o per l’altro, per un’inezia, le vittorie non venivano più. Se mi chiedi come ho fatto, non posso che risponderti che ho cercato di rimanere il più calmo e tranquillo possibile. Più mi agitavo e peggio andava. Dovevo imparare a gestire una situazione nuova, che prima o poi attraversano tutti. A me non era ancora capitato e dovevo imparare ad affrontarla.”
    Hai puntato sul lavoro, per migliorarti e venirne fuori? Guardandoti in TV e prima in allenamento, mi sembra che il tuo dritto sia ancora più buono, più ficcante e pesante. Anche la seconda di servizio, soprattutto quella da sinistra, mi sembra decisamente più efficace, e come effetto impresso, e come traiettorie?“Continuiamo a lavorare davvero tanto e quello che dici si unisce a quanto sono più forte d’un tempo sul rovescio. Il focus però rimane orientato verso il miglioramento dei colpi d’inizio gioco, con un’attenzione particolare sulla risposta al servizio: quelli sono i cardini del tennis moderno, a mio avviso.”
    Innegabilmente sei migliorato in tutto e aveva ragione Gipo nel dirti, nel momento più buio, che dovevi avere fiducia e pazienza perché sì perdevi certe partite inspiegabilmente, ma avevi aggiunto pezzi importanti e stavi giocando meglio di quanto non facessi quando vincevi sempre e comunque. Venendo a ora, cosa senti che ti manca ancora per giocartela e sempre coi migliori? A Roma hai perso da Tsitsipas ma hai avuto le tue chanches… In cosa senti che i più forti sono diversi, in cosa senti che hanno ancora qualcosa in più?“La loro continuità fa la differenza. Non hanno cedimenti, nemmeno per un attimo. Ai massimi livelli sono i dettagli quelli che determinano il risultato. Basta un nonnulla, una frazione di secondo di straniamento e con loro di ritrovi sotto. Ma lavoreremo anche su questo.”
    All’inizio ti ho chiesto che cosa vedevi voltandoti, adesso, ora che hai compiuto ventotto anni, ti chiedo che cosa immagini ci sia davanti a te“Vedo tante altre grandi stagioni da interpretare al meglio. Di sicuro quello che voglio fare è continuare a spostare l’asticella sempre più verso l’alto.”
    Sempre con Gipo a fianco, suppongo…“E ti pare che dopo tutto quello che abbiamo attraversato possa mai cambiare? Avanti con Gipo, come abbiamo sempre fatto.”

    Elis Calegari LEGGI TUTTO

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    Archeo Tennis: 22 marzo 1973, la prima sfida Evert vs. Navratilova

    Chris Evert e Martina Navratilova

    22 marzo 1973, una data fondamentale nella storia del tennis. Esattamente 50 anni fa in quel di Akron, Stati Uniti, andò in scena la prima sfida di quella che sarebbe diventata la più grande rivalità della storia della disciplina: Evert vs. Navratilova. Nessun altro duello nel tennis femminile (e non solo) vanta altrettanti episodi e di così grande importanza storica e tecnica. Martina e Chris infatti si sono affrontate per ben 80 volte, incluse 14 finali di tornei del Grande Slam.
    Il 22 marzo di 50 anni fa, davanti a poche centinaia di tifosi nella cittadina operaia dell’Ohio, per nulla conosciuta per il tennis, la 18enne Chris Evert sconfisse negli ottavi di finale la 16enne cecoslovacca Martina Navratilova col punteggio di 7-6 (5-4) 6-3. Fu il primo episodio di una rivalità leggendaria, che ha segnato il tennis femminile in modo indelebile.
    “Non è stato notato da nessuno tranne che dalle due giocatrici la partita del primo turno ad Akron, una vittoria per 7-6 (5-4) 6-3 di Evert su una paffuta ceca di nome Martina Navratilova”, scrisse il commentatore dell’epoca Bud Collins nella suo libro ‘La storia del tennis’, “Quell’incontro iniziale è stato solo il primo passo nella brillante rivalità che in 16 anni vide ben 80 partite”.
    Le due regine del tennis, tanto forti quanto diverse sul piano tecnico, stilistico e caratteriale, hanno dato vita a una rivalità intensa, ricchissima di episodi di grande livello, dominando il tennis femminile tra anni ’70 e ’80. Sembravano create apposta per distinguersi, in tutto e per tutto, e battagliare in campo dando vita a un contrasto di stile totale e quindi uno spettacolo sublime. Precisa e geometrica dalla riga di fondo Chris, funambolica e attaccante verso la rete Martina; più fredda e calcolatrice l’americana, esuberante ma fragile la ceca. Col rovescio Chris poteva colpire una monetina dall’altro lato del campo, tanto era pulita e sicura negli impatti; con le sue volée Martina riusciva a trovare angoli straordinari, frutto di un istinto ed equilibrio senza pari. Ogni loro match è stato un campionario quasi esaustivo di quello che due donne potevano inventare, con talento e tecnica, su di un campo da tennis. In un documentario di ESPN del 201o, chiamato “Unmatched”, le due ripercorrono alcuni passi della loro storia, che le ha viste grandi avversarie ma allo stesso anche amiche sincere.
    “Il mio sogno era quello di giocare sempre con i migliori, e ho avuto modo di affrontare te (Chris, ndr) al primo turno ad Akron”, ha detto Navratilova all’amica-rivale nel documentario. “È stato come un sogno diventato realtà perché ero riuscita a misurarmi con la prossima numero 1 al mondo. Il mio obiettivo per la partita era che tu ricordassi il mio nome”. Eccome se poi se l’è ricordato…
    “Mi sentivo nervosa all’inizio della partita perché avevo sentito parlare di te”, confessa Chris a Martina. “Avevo sentito che eri pericolosa, un po’ grezza ancora come stile ma con un grande gioco al volo, un tennis offensivo e versatile nonostante la giovane età. Sapevi come colpire ogni colpo. Ti sei mossa bene, ma non così bene come in seguito, perché pesavi almeno 20 chili in più!”.
    “Ero davvero ingrassata!” conferma Martina, “Quando sono arrivata negli Stati Uniti, sono ingrassata… tipo 20 libbre in due settimane! A causa di ciò, ero così stanca”.
    “Ricordo di essermi sentita davvero minacciata dal suo gioco, e pensai ‘Ragazza, se mai si rimetti in forma, sarai pericolosa, da non sottovalutare.’”
    Evert finì per vincere quel torneo a Akron, battendo Olga Morozova 6-4 6-4 in finale. Le due si ritrovano poi a St.Petersburg, su terra battuta americana, stavolta in semifinale. La spuntò ancora Evert, con lo score di 7-5 6-3. Chris vinse le loro prime cinque sfide; Martina strappò il primo successo contro la statunitense nel 1975, nei quarti di finale del torneo di Washington, al tiebreak decisivo. Quella vittoria per Navratilova fu un vero finale thrilling: il punteggio di 3-6 6-4 7-6 (5-4) fu deciso da un singolo punto, “sudden death” sul 4-4 del tiebreak, che risultò essere quindi un match point simultaneo per entrambe le giocatrici. In seguito il formato del tiebreak venne cambiato con la classica differenza di due punti per arrivare al successo.
    Nelle 80 partite della loro straordinaria rivalità, Navratilova guida con 43 vittorie contro le 37 di Evert. La vittoria più netta di Evert su Navratilova è stata un “doppio bagel”: 6-0 6-0 nella finale di Amelia Island, in Florida, nel 1981; quelle più secche di Navratilova su Evert sono state tre per 6-2 6-0: quello della finale dei Virginia Slims Championships del 1983, poi sempre nel 1983 a New York e la finale del torneo di Amelia Island del 1984.
    Considerando tutte le finali, Navratilova ha chiuso con un bilancio a suo favore di 36 a 25. Nei tornei dello Slam, sempre Navratilova conduce per 14-8, e nelle finali dei Major Martina ha vinto 10 sfide contro le 4 di Chris. Nelle finali di altri eventi non Slam, la rivalità si è chiusa in pareggio con 19 vittorie a testa. Passando alle sfide sulla varie superfici, Evert ha vinto 11 delle 14 partite giocate sulla terra battuta, ma altrove conduce Navratilova: 9-7 sul cemento, 10-5 su erba e 21-14 su tappeto indoor.
    50 anni fa, in una cittadina dell’Ohio, si scrisse la prima pagina di uno dei veri libri d’oro del tennis.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Intervista esclusiva a Davide Sanguinetti, coach di Mochizuki: “È essenziale guidare il passaggio da juniores a Pro”

    Davide Sanguinetti

    È sempre un piacere parlare di tennis con Davide Sanguinetti. L’ex Pro azzurro, da molti ricordato per i quarti di finale raggiunti a Wimbledon nel 1998, i due tornei ATP vinti in carriera tra cui Milano 2002 battendo Roger Federer in finale e le importanti prestazioni in Coppa Davis, dopo aver appeso la racchetta al chiodo nel 2008 ha intrapreso la carriera da coach, aprendosi al mondo e cercando esperienze a 360°. Del resto non è mai stato una persona banale, sia come tennis in campo – leggero e offensivo – che per le sue dichiarazioni, asciutte e schiette. Il nativo di Viareggio ha iniziato la carriera da coach allenando Vince Spadea, quindi per alcuni mesi Dinara Safina, sorellina di Marat ed ex 1 WTA, per poi passare in varie esperienze tra oriente e USA, assistendo il giapponese Go Soeda, il cinese Di Wu, i fratelli Ryan e Christian Harrison e lo specialista del doppio Michael Venus.
    Adesso è da alcune settimane all’angolo del 19enne Shintaro Mochizuki, numero 271 ATP. Il giapponese è stato numero 1 del mondo Juniores nel 2019, anno in cui ha vinto l’edizione giovanile di Wimbledon. Sbarcato tra i Pro, a livello Challenger il suo miglior risultato è la semifinale raggiunta nel torneo di Matsuyama sul finire dello scorso anno. Nel 2023 ha un record di 23 vittorie e 9 sconfitte.
    Nella chiacchierata con Davide abbiamo parlato del suo giovane assistito, tennista dal buon potenziale ancora tutto da forgiare, ma anche del suo passato da giocatore di College negli USA, per ricondurci alla serie di approfondimenti sul mondo tennistico universitario statunitense che continueremo a trattare anche in prossimi articoli. Sanguinetti da giovane scelse di girare il mondo, lasciando l’Italia a 18 anni per studiare in America tra la Harry Hopman Academy in Florida e UCLA in California. Un’esperienza che ritiene decisiva alla sua crescita umana e sportiva.

    Davide, è la prima volta che si dedica a tempo pieno alla crescita di un tennista giovane come Shintaro Mochizuki. Le chiedo se e in cosa cambia l’approccio del coach quando si trova al fianco di un tennista ai primi passi nel circuito pro.“Occorre lavorare molto sul piano mentale. È essenziale guidare il passaggio dall’essere un giocatore juniores al diventare un giocatore Pro. Due pianeti diversi. Con Shintaro in questa prima fase stiamo imparando a conoscerci: io sto provando piano piano a entrare nella sua testa, mentre lui sta cercando di aprirsi dal punto di vista caratteriale”.
    Nella tournée americana Mochizuki ha giocato un gran torneo a Waco partendo dalle quali, ma sono rimasto colpito dalla partita di Shintaro a Puerto Vallarta contro Elias, in particolare da un dettaglio: la reazione e il fantastico livello di gioco mostrato nel tiebreak decisivo quando si è trovato sotto 1-6. Segno di forza mentale credo.“È vero, quando gioca rilassato si nota e gioca ovviamente meglio. Mentre quando è avanti nel punteggio gli capita di avere dei passaggi a vuoto che lo portano a sbagliare e ad innervosirsi. Fra l’altro a Puerto Vallarta siamo arrivati in una situazione particolare. Shintaro nei quarti di Waco si era fatto male alla schiena e quindi siamo arrivati alla prima partita in Messico dopo quasi quattro giorni senza alcun tipo di allenamento. Ha giocato bene sia la prima partita che la seconda contro il portoghese pur perdendola, ma questi incontri tirati gli servono per capire cosa bisogna fare per vincere partite a livello Pro”.
    Qual è la vostra programmazione per le prossime settimane?“Adesso siamo in Francia, poi nell’ottica di vedere all’opera Shintaro su tutte le superfici, ci metteremo alla prova sulla terra battuta. In pratica giocheremo fino al Roland Garros tornei su terra”.
    Nel tennis di Mochizuki un colpo sicuramente da migliorare è il servizio. In che modo pensa di lavorarci su?“Innanzitutto occorre lavorare sul fisico e aumentare la massa muscolare. Poi dal punto di vista tecnico ci concentreremo sulla spinta delle gambe e della schiena. Il movimento del servizio è una catena e questi due elementi, gambe e schiena, mancano un po’ nel servizio di Mochizuki”.
    Lei ha avuto un’esperienza importante in un College americano. In cosa è stata particolarmente formativa dal punto di vista tennistico e ci sono secondo lei differenze fra i giocatori che uscivano 15-20 anni fa dal College e i giocatori di oggi?“Per me l’esperienza al College è stata fondamentale. Appena uscito dall’università infatti sono subito riuscito a entrare nel circuito Pro. Nei tornei e campionati universitari ciò che viene formata e allenata è la competitività, l’essere pronti settimanalmente a giocare partite importanti e di buon livello. Mi è servito tantissimo. Una differenza invece che mi pare di poter individuare con i tennisti che escono oggi dai College è la cura dell’aspetto fisico. Il mio coach al College non era molto interessato alla parte atletica del tennis e quindi sono stato io poi nel corso degli anni a dover inseguire e migliorare questo aspetto del gioco”.
    Un’ultima domanda sulla questione palline e lentezza dei campi. Molti giocatori si lamentano delle palline che non vanno e delle superfici sempre più lente. Cosa ne pensa?“È innegabile. Si sta cercando di rallentare il gioco… i giocatori si lamentano, ma questa scelta è fatta per il pubblico e per rendere migliore lo spettacolo sul campo da gioco. Certo rispetto a quindici anni fa il paragone è quasi impossibile… Le palline erano veloci e i campi super-veloci… tutto un altro pianeta rispetto alle condizioni di oggi”.
    Antonio Gallucci LEGGI TUTTO

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    Rotterdam, Camporese e il filo dei ricordi

    Omar Camporese (foto Supertennis)

    Quando nel torneo di Rotterdam Jannik Sinner ha incamerato il primo set nella finale che lo vedeva opposto a Daniil Medvedev, è stato impossibile non pensarci. Trattenere il filo dei ricordi. 1991… Stesso campo, un altro italiano in finale: Omar Camporese a vedersela con Ivan Lendl. Omar da circa sei mesi aveva casa tennistica a Le Pleiadi di Moncalieri, un tiro di schioppo da Torino, per trovare condizione e pace che potessero farlo definitivamente sbocciare.
    Tra il Po e la ferrovia, il presidente de Le Pleiadi, Carlo Bucciero, aveva preso a dar corpo al suo sogno. Dapprima aveva accolto Iaio Baldoni, reduce dalla finale ottenuta agli Assoluti, ma poi era giunto Riccardo Piatti coi suoi “boys”: Cristiano Caratti, Renzo Furlan e Ghigo Mordegan, ai quali dopo un po’ si sarebbe poi aggregato anche il quarto “fratello”, Cristian Brandi. Piatti era fuoriuscito dalla FIT, visto che i suoi ragazzi – tranne Furlan – ormai non rientravano più nei piani federali, piani poco propensi allora ad occuparsi degli over 18. Erano anni davvero molto diversi dagli attuali, dove l’iniziativa privata era vista più come un’ingerenza quasi indebita nel potenziale sviluppo dei campioni, niente a che vedere con quanto saggiamente oggi si fa.
    I ragazzi di Piatti, considerati quasi degli scarti del Centro Federale di Riano, sotto le cure tecniche di Riccardo e quelle atletiche fortemente innovative di Pino Carnovale, si trovarono ad avere condizioni ideali per completare il percorso di crescita: un club a totale disposizione, supporto logistico e mezzi per cominciare a viaggiare, un brand – Bredford – creato dal nulla a corredo. A ripensarci, sarebbe da riproporre per intero ciò che Carlo Bucciero, con le sue sole forze e un entusiasmo senza pari, seppe mettere in atto, anche se poi molto si fece per aiutarlo a fallire. E sì, quello che si faceva a Moncalieri dava veramente tanto fastidio, visto che gli “ scarti” cominciavano pure a vincere.
    Il primo a far intendere che straordinario lavoro si stesse iniziando a fare a Moncalieri fu Cristiano Caratti, autore di una buona stagione estiva negli States, dove a New Haven aveva battuto l’allora n° 6 al mondo Brad Gilbert, per poi arrivare al terzo turno degli U.S. Open, ma soprattutto capace di cogliere i quarti agli Australian Open 1991, mancando d’un soffio l’accesso alle semi, sconfitto al quinto da Patrick McEnroe, dopo aver battuto, tra gli altri, Richard Krajicek.
    Il “tennis ping-pong” di Caratti (venne definito così da Gianni Clerici per la straordinaria capacità di Cristiano di giocare d’anticipo, sfruttando grandi appoggi e baricentro basso, ai quali univa, in discese a rete controtempo, inusitati “schiaffi al volo”) aveva il vento in poppa, tanto che, appena tornato dall’Australia, raggiunse la finale al Muratti Time di Milano, un torneo che equiparato agli odierni, varrebbe almeno un ATP 500.Caratti, prima di arrendersi in finale a Volkov, si prese il lusso di battere, in un match memorabile, Ivan Lendl, allora 3 al mondo: l’attacco di Cristiano sul match point, la stop volley definitiva sono ancora qui negli occhi: semplicemente indimenticabili.
    Per Camporese le cose a Milano non andarono nel modo previsto. Sì, in coppia con l’amico Goran Ivanisevic avrebbe incamerato il titolo in doppio, ma in singolare, opposto al primo turno a Diego Nargiso, s’era incartato in un match che non voleva saperne di decollare per il giusto verso, e alla fine Omar s’era ritrovato ancora una volta a leccarsi le ferite. Il ricordo di quell’incredibile incontro giocato e perso poche settimane prima contro Boris Becker agli Australian Open, chiusosi con un pazzesco 14 – 12 al quinto per il tedesco, dopo che il nostro era riuscito a risalire da due set sotto, rifilare un memorabile 6-0 nel terzo, per poi arrendersi solo dopo oltre 5 ore di gioco, sembrava definitivamente svanito. Dov’era finito quel “giocatore incredibile”, come gli aveva sussurrato all’orecchio Boris?
    Era dal match di Coppa Davis giocato a Cagliari l’anno prima contro la Svezia che le cose non giravano mai come avrebbe desiderato. Nessuno gli aveva riconosciuto il fatto che aveva lottato come un leone nel primo giorno contro Mats Wilander, perdendo soltanto al quinto e di misurissima: gli ricordavano solo che avesse ceduto di schianto a Svensson in un match che avrebbe potuto e dovuto portare a casa.Come detto, casa l’aveva però trovata a Le Pleiadi e gli allenamenti alla corte di Bucciero e Piatti avrebbero dovuto sfociare nella stagione ’91 in risultati continui e confortanti. Melbourne l’aveva lasciato intendere e Milano sembrava la piazza giusta per confermare le ottime cose viste “Down under”, ma non si rivelò tale. Omar, dopo la sconfitta patita contro Nargiso, si aggirava come un leone in gabbia nei corridoi del Forum di Assago. Era seguito da Stefano Lopez dell’IMG e Fabio Della Vida che provavano a rincuorarlo, ma non c’era verso. Quando Carlo Bucciero gli ricordava che avrebbe dovuto prepararsi per Rotterdam, la risposta era una sola: – Io in Olanda non ci vado! A Rotterdam non ci voglio giocare, chiaro?! –Come Dio volle però alla fine, dopo un paio di settimane di sbollitura, riuscirono a imbarcare Omar su un volo, accompagnato da Gigi Bertino, il quale, dopo appena un paio di giorni, prese a mandare report preoccupanti. Sembrava che il nostro facesse apposta a provare a fare (in vero inutilmente…) il contrario di quello che gli si diceva.
    A cena, tempo di ordinazioni, Camporese chiedeva una birra e “junk food”. Bertino cercava di farlo ragionare, gli diceva che quella birra non si doveva e poteva bere e che la sua dieta prevedeva ben altro. Alla fine, dopo un po’ di tira e molla, la ragione prevaleva: acqua e cibo sano venivano ingoiati tra qualche mugugno, ma venivano ingurgitati solo rimarcando che, se mai ci fosse stata ancora un’altra sera e un’altra cena, si sarebbe fatto come diceva lui. L’arrivo a metà settimana di Fricky Chioatero, in sostituzione di Bertino, non sembrò migliorare le cose, pur con tutta la buona volontà che Fricky ci stava mettendo. Ogni sera stesso ristorante e stesse scene, con la birra che immancabilmente finiva rovesciata da Chioatero nel vaso di una disgraziata pianta che, poveraccia, stava lì in un angolino a tiro. Ma tra una protesta e l’altra Camporese prese a vincere senza fermarsi più. Prima fece fuori lo scorbutico austriaco Antonitsch, poi Karel Novacek, quindi il beniamino di casa Paul Haarhuis in semifinale.Il solito ristorante e la solita birra versata, peraltro senza mai berne una goccia, divennero gesti scaramantici e portarono bene. Eccome se portarono bene.
    Il diritto di Omar faceva sfracelli e prese a portar via gli avversari come aveva sempre sognato, e ogni volta sulla racchetta dei malcapitati arrivava un peso di difficile gestione e digestione. Il servizio non solo garantiva percentuali sempre più interessanti, ma diventava devastante nel vero senso della parola. Anche il rovescio, che nell’arsenale del nostro non era certamente l’arma più fidata, prendeva a praticare geometrie apprezzabili tanto da consentire a Omar di reggere botta nello scambio fino a che poteva girarsi sul diritto ed esplodere inside out di rara potenza e bellezza.La finale non iniziò proprio come si sarebbe desiderato: 6-3 iniziale per Lendl che sembrava giocare in totale sicurezza. Persin troppo sicuro.La musica infatti cambiò nel corso del secondo set. Camporese prese scioltezza e fiducia, e se anche non riusciva a piazzare allunghi decisivi, rimaneva saldamente nel match, tanto che Lendl prese a dar qualche segno di insofferenza, anche se mascherava e si continuava a leggergli negli occhi la certezza che, dopo il match perso a Milano con Caratti, a Rotterdam non avrebbe potuto perdere con un altro italiano.Ma Camporese bastonava sempre di più e sempre meglio col suo diritto e ora sapeva presentarsi a rete con continuità e notevole autorità. Il tiebreak della seconda partita si risolse a favore del nostro per un nonnulla e la terza frazione si aprì con Lendl che prese a smaniare, visto che non gli riusciva di scrollarsi di dosso il giocatore bolognese. Lendl, cosa davvero rara, prese pure a commettere errori non forzati, inusitati per lui, accompagnati da scuotimenti del capo sempre più frequenti.
    Il match si risolse con un nuovo tiebreak, nel quale Camporese dapprima resistette per poi issarsi a match point. Fallì la prima occasione, poi, su uno scambio che sembrava perso, Lendl fece una cosa che mai ci saremmo aspettati da lui: su un recupero all’ultimo respiro di Camporese, la palla gli giunse comoda comoda nei pressi della rete, dal lato del rovescio, si girò sul diritto e, quando tutti si aspettavano che sparasse come suo solito una bordata “alla Lendl”, toccò invece la palla piano, una sorta di smorzata improbabile. Omar sembrò incredulo, poi con un scatto in avanti giocò il più facile dei rovesci a campo vuoto e la vittoria fu sua.
    Durante la premiazione riuscì solo a dire: “Probabilmente sto ancora sognando…”, invece era tutto vero e da lì in avanti nacque una storia diversa che l’avrebbe issato al n° 18 al mondo, a vincere a Milano, a diventare davvero “il giocatore incredibile”, come Boris Becker aveva dovuto ammettere dopo aver rischiato l’osso del collo in ben due occasioni, a Melbourne e in poi Davis, sfangandola sempre solo al quinto.
    La palude di Maceiò, quel maledetto incontro col Brasile giocato su una spiaggia, l’operazione che gli aprì il gomito come un’arancia non erano ancora all’orizzonte, e Omar poté finalmente lasciarsi andare. Come? Solito ristorante e solita ordinazione, ma questa volta la pianta tirò un sospiro di sollievo: la birra finì da un’altra parte. Com’era giusto che fosse.

    Elis Calegari LEGGI TUTTO

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    Intervista a Leonardo Rossi: “Giocare a tennis mi fa sentir bene”

    Leonardo Rossi

    “Giocare a tennis mi fa sentir bene…. In campo gioisco, mi arrabbio, tiro fuori il meglio e il peggio di me… Insomma un mix di emozioni che mi fanno sentire vivo ogni giorno!”
    Così, tre anni fa, spiegava in un’intervista il suo rapporto con il tennis un giovane italiano che proprio la scorsa settimana ha fatto il suo ingresso fra i prime mille giocatori del mondo. Stiamo parlando di Leonardo Rossi, toscano, venti anni e numero 977 nel ranking ATP. Accendiamo i nostri riflettori su di lui.
    Leonardo cresciuto nel (e attualmente tesserato per il) Tennis Club Pistoia, ha vissuto un’intensa stagione 2022 a livello ITF, la prima vera a livello pro ed ha aperto l’anno con una splendida semifinale a Sharm ElSheik. Abbiamo fatto alcune domande a Rossi per cominciare a conoscerlo meglio.
    Ci descrivi il tuo tennis? C’è un giocatore a cui ti ispiri?Come tipologia di giocatore sono un attaccante da fondocampo, mi piace fare gioco con i due fondamentali. Anche se gioco il rovescio bimane, uno dei miei idoli è sempre stato Simone Bolelli.
    Il record della tua scorsa stagione recita 50 vittorie e 26 sconfitte. In sostanza hai vinto davvero tante partite. Poi a settembre le gemme dei due quarti di finale conquistati partendo dalle quali. Possiamo definirla la stagione della consapevolezza?Sì assolutamente, lo scorso anno è stato il primo in cui sono riuscito a dare più continuità a livello ITF e partendo sempre dalle qualificazioni ho avuto la possibilità di giocare tante partite e di vincerne molte. Nel corso della stagione sono riuscito a qualificarmi in molte occasioni e a quel punto ho capito di avere il livello per competere con i giocatori del main draw. Un’ulteriore spinta a livello di consapevolezza è stata la conquista dei primi punti ATP.
    Su quale parte del tuo gioco dal punto di vista tecnico stai lavorando in questo periodo?Sto lavorando principalmente su due aspetti: il primo è riuscire a gestire meglio il primo colpo dopo il servizio e il secondo migliorare la mia lettura e abilità nell’approccio a rete, che considero una parte fondamentale per sviluppare ulteriormente il mio gioco.
    Qual è la caratteristica dal punto di vista mentale e di atteggiamento sul campo che ti contraddistingue? E dove invece credi di dover migliorare?Una caratteristica che credo mi contraddistingua è una buona sicurezza nei miei mezzi e il poter competere con qualsiasi tipo di avversario. Credo di dover migliorare nel mantenimento del livello di attenzione, evitando così cali di concentrazione nel corso della partita.
    Ti sei posto un obiettivo di classifica da raggiungere per il 2023? O sei concentrato al momento solo sullo sviluppo del tuo gioco?Sono molto concentrato sul miglioramento della mia professionalità e del mio gioco a 360 gradi, credo che migliorando sotto questi aspetti una crescita a livello di ranking sia direttamente proporzionale.
    Ultima curiosità, mi interessa il parere di un tennista giovane: sei favorevole all’idea di modificare qualcuna delle regole del tennis per rendere le partite meno lunghe?No. Io sono abbastanza tradizionalista e mi piacciono le regole di punteggio che sono sempre esistite. Credo che altrimenti si rischierebbe di snaturare la vera essenza del gioco.

    Antonio Gallucci LEGGI TUTTO

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    Intervista a Franco Alciati, Presidente dell’Associazione Collezionisti Tennis

    Franco Alciati con Williams Driva Suzanne Lenglen del 1927

    Astigiano d’origine ma torinese d’adozione, Franco Alciati ama il tennis, sport che pratica abitualmente nonostante (a suo dire…) i modesti risultati, ma soprattutto coltiva da anni l’hobby del collezionismo, in questo caso con risultati eccellenti. Autore di diversi libri, cura per Il Tennis Italiano una rubrica su questo argomento ed è presidente dell’Associazione Collezionisti Tennis. Ha avuto la gentilezza di concedermi questa intervista, che ci aiuterà a scoprire curiosità e segreti di questo particolare aspetto del nostro sport.

    Franco, da anni sei il presidente dell’Associazione Collezionisti Tennis. Vuoi spiegare per chi non la conosce quando è nata e con quali obiettivi? L’Associazione Collezionisti Tennis, ente no profit, nasce nel 2009 per individuare e valorizzare al meglio le memorabilia sul tennis ed in particolare di quello italiano. Nel 2010 ha attivamente partecipato al Foro Italico di Roma all’importante mostra sui 100 anni della Federazione Italiana Tennis, fornendo prezioso materiale d’epoca e contribuendo anche significativamente alla stesura del libro 100 anni di Tennis in Italia. Poi abbiamo organizzato svariate esposizioni sul tennis e, recentemente, in concomitanza delle ATP Finals di Torino, l’Associazione è stata coinvolta in diverse iniziative. Nel 2021 all’Archivio Storico della città di Torino è stata allestita la mostra Le Regine del tennis, dedicata alle grandi tenniste a cavallo fra gli anni venti e trenta del Novecento: Suzanne Lenglen, Helen Wills, la milanese Lucia Valerio e la torinese Paola Bologna. Poi dal novembre 2022 e fino al 31 gennaio 2023, sempre all’Archivio Storico di Torino si può visitare la mostra Che bambole! Le tenniste Lenci alla conquista del Mondo. Inoltre due altre esposizioni a Torino dal titolo La Divina, omaggio a Suzanne Lenglen sono state presentate alla Biblioteca Centrale di Torino e allo Spazio Filatelia delle Poste Italiane di via Alfieri, dove per l’occasione è stato lanciato un bellissimo annullo speciale sulla tennista francese. Iniziativa quest’ultima che è stata accolta favorevolmente anche da una miriade di collezionisti non di tennis.

    Che cosa può trovare un appassionato sul vostro sito?Sul sito www.asscotennis.it sono fornite tutte le informazioni per l’iscrizione il cui costo annuo ammonta ad euro 25,00. Con questa cifra si avrà in omaggio, unitamente alla tessera di socio, il Quaderno del collezionista stampato nell’anno. Si potrà inoltre partecipare a diverse iniziative ed essere informati su aste internazionali e vendite di materiale proposte direttamente dai singoli soci.

    Mi vorrei soffermare in particolare proprio sulle pubblicazioni che l’Associazione promuove, e acquistabili scrivendo a ass.co.tennis@tiscali.it oppure direttamente a alciatifranco@libero.it. Tu per esempio hai scritto molti libri interessantissimi e ricchi di notizie, immagini e documenti. Ce ne vuoi parlare?Il ‘pezzo forte’ della Associazione è, come dicevo prima, la pubblicazione annua del quaderno del collezionista da considerarsi ormai un vero e proprio libro. Dal 2010 ad oggi ne sono stati pubblicati quindici di cui due scritti da Beppe Russotto, il presidente fondatore della Associazione, e gli altri tredici dal sottoscritto. I libri contengono una miriade di immagini e trattano argomenti disparati. Diversi riguardano il mondo della racchetta: Racchette dal design particolare, Persenico storia e racchette, Sail una storia fugace, Sirt e Maxima un binomio vincente, o Altre racchette italiane; altri, sono dedicati a grandi giocatori del passato, come Omaggio a Suzanne e Suzanne, Helen e Bill in Italia che propongono memorabilia sulla ‘Divina’ e tutte le partite giocate in Italia da lei ed anche dalla rivale Helen Wills e Bill Tilden; Campioni di ieri e di oggi tratta dei principali tennisti e tenniste italiane da De Morpurgo alla Schiavone mentre Dal Piemonte alla Sicilia il tennis italiano in cartolina contiene rare immagini d’inizio Novecento divise per regioni che immortalano le prime cartoline, alcune rarissime, sul tennis. L’evoluzione della moda del tennis in Italia tratta la moda del gioco da fine Ottocento sino agli anni ottanta del Novecento, libro che è stato in più occasioni molto apprezzato dall’indimenticato Gianni Clerici. Poi c’è un volume particolarmente interessante che tratta la storia delle palle da tennis italiane. Il racconto di questo libro inizia con l’esposizione di immagini inedite e rarissime relative alle italiche ‘balette’ cinquecentesche sopravvissute sino ad oggi e conservate a Urbino, Mantova e Jesi. Inoltre vorrei segnalare Le bambole Lenci giocano a tennis per le certosine ricerche (molte in USA) che mi hanno consentito di risalire a tutte queste formidabili bambole. Una cosa a cui tengo particolarmente è sapere che tutti i testi della ACT sono presenti nella libreria del Museo di Wimbledon e il compianto Alan Little li considerava molto preziosi.

    Poi c’è l’ultimo, appena uscito, sulla storia delle figurine tennistiche…Sì, si intitola Le figurine italiane sul tennis prende in considerazione tutte le figurine sul tennis pubblicate in Italia dalle vecchie Liebig a quelle adesive dei nostri giorni. Dire che questo libro mi riempie d’entusiasmo è vero perché la ricerca è stata lunga e difficile ma l’aver ottenuto dai grandi collezionisti di figurine sportive il loro plauso mi gratifica ampiamente.

    Infatti, ti volevo proprio chiedere, come e dove ti documenti per svolgere questo eccezionale lavoro “archeologico”?Per completare ed ampliare certi argomenti è fuor di dubbio che è importante avere la possibilità di accedere a materiale d’epoca oltreché a buoni…. amici. Per quanto riguarda gli aspetti storici, statistici e fotografici sul tennis (in particolare italiano) ho una vastità di fonti disponibili. Posseggo quasi tutti i numeri della rivista Il Tennis Italiano dal 1929 ai giorni nostri, molte annate di Match Ball e tutti i numeri di Tennis Club oltre ad una miriade di libri e manuali sul gioco. Nonostante ciò per risolvere amletici dubbi o approfondire determinati argomenti è indispensabile l’utilizzo di Internet (in primis i siti esteri sul collezionismo tennis) e rivolgersi (a seconda degli argomenti) a persone competenti nello specifico settore. Devo dire che ho sempre avuto porte aperte quando, pur non conoscendo la persona, con cortesia mi sono rivolto a specialisti, cosa che si è anche verificata recentemente per la stesura del libro sulle figurine.

    Un aspetto interessante è che, al contrario di quello che potrebbe pensare un profano, le racchette vintage non sono l’unico oggetto collezionato. Anzi, esistono collezioni molto specializzate e molto particolari vero? Puoi farci qualche esempio?Le racchette vintage sul tennis (in primis quelle in legno) sono collezionate dalla stragrande maggioranza degli appassionati. C’è chi ricerca specialmente quelle di fine Ottocento di fabbricazione per lo più anglosassone (costose e difficili da reperire) mentre altri, come il sottoscritto, collezionano solo quelle italiane ante 1950. Tra i collezionisti più giovani sono diversi quelli che si lanciano anche sulle racchette in metallo e dei primi materiali sintetici. In abbinamento alle racchette vengono collezionate anche le scatole e i tubi di vecchie palline oltre alle presse in legno da trasporto o da magazzino. Tantissimi quelli che raccolgono vario materiale cartaceo: cartoline (molto collezionate), figurine, autografi dei campioni, adesivi pubblicitari, francobolli, calendarietti da barbiere, foto d’epoca e carte telefoniche. Più costosi ma decisamente affascinanti sono poi i manifesti d’epoca (bellissimi alcuni italiani a firma di Lenhart, Boccasile, Mancioli, Romoli ecc.), quadri ad olio o acquarelli eseguiti da artisti sia vecchi che moderni. Le ceramiche e le vecchie bambole (tipo la citate Lenci) sono anch’esse molto ricercate e quando appaiono sulle vendite on line sono sempre oggetto di serrate contrattazioni. Anche i vecchi giochi da tavolo sul tennis (ping pong, spirobole, giochi di società) e quelli meccanici sono molto contesi. Queste sono le principali tematiche oggetto di collezionismo ma altre, magari meno sviluppate, come per esempio i programmi e i biglietti d’ingresso ai tornei o l’abbigliamento delle case italiane degli anni settanta (Fila, Tacchini, Maggia, Ellesse, ecc.) godono di un interessante mercato.

    Tu per esempio che cosa collezioni? Quando hai incominciato? Qual è il “Santo Graal” della tua collezione?Mi interesso con particolare attenzione agli aspetti cartacei: libri, riviste, manifesti, figurine e cartoline di cui ne possiedo più di tremila. Raccolgo tutto il materiale possibile su Suzanne Lenglen. Per quanto riguarda le racchette possiedo la francese Williams Driva modello Suzanne Lenglen utilizzata nel 1927 personalmente dalla campionessa durante una sua esibizione nel North American Tour. Poi tre rare racchette austriache della Thonet di fine Ottocento, racchette che personalmente considero fra le migliori al mondo sia come materiale che come forma (ricordo che la Thonet è stata la prima fabbrica al mondo a curvare il legno nella fabbricazione di sedie e mobili). Tra le italiane la Olimpionica della SARP Persenico, telaio difficile oggigiorno da trovare in buone condizioni di conservazione. Ma in assoluto tra le mie memorabilia preferite ci sono le bambole Lenci tenniste, pezzi rarissimi e di un fascino ineguagliabile.
    (Due introvabili bambole Lenci tenniste)
    (Due Thonet di fine Ottocento)

    Sono molti i collezionisti in Italia rispetto ad altri paesi?L’Associazione Collezionisti Tennis da diversi anni si è stabilizzata su una sessantina di soci dislocati sul territorio nazionale. Personalmente ritengo questo numero buono se si tiene conto che la più importante associazione al mondo, la britannica The Tennis Historian (già The Tennis Collector) conta circa una novantina di soci. Con gli amici inglesi la ACT collabora da alcuni anni sia nello scambio di informazioni così come nella stesura di articoli. Bisogna poi considerare il fatto che in Italia pur non essendo soci ci sono appassionati, che io considero amici, che di tanto in tanto dimostrano interesse su determinati nostri progetti. Non mancano poi i cosiddetti collezionisti ‘nascosti’, che fanno di tutto per rimanere anonimi e che sono talmente gelosi dei loro articoli tanto da non farli vedere a nessuno. In ultimo segnalo che in Italia nel 2019 è sorto, su volere di Gianni Clerici, il Club delle Balette (in cui il sottoscritto è uno dei soci fondatori) con lo scopo di studiare e rafforzare il legame della pallacorda (poi tennis) e dei vecchi giochi della palla in Italia.

    (Piattini di ceramica Richard Ginori firmati da Gio Ponti)
    Franco, ringraziandoti per la tua disponibilità e per concludere: che consigli daresti a chi volesse muovere i primi passi nel mondo del collezionismo?Il neofita che inizia una collezione dovrebbe evitare di farsi prendere dalla frenesia e cercare nel limite del possibile di iniziare con parsimonia i primi acquisti. Cercare di capire bene i valori all’incirca giusti di determinati articoli è importante e non sempre i prezzi ebay o quelli dei venditori di un mercatino dell’antico sono corretti. In questo sicuramente l’Associazione può aiutare e dare dei consigli a chi fosse perplesso su un acquisto. Un altro elemento da tenere in considerazione è poi quello di cercare di non comperare alla rinfusa ma per sottocategorie ben determinate, tipo: racchette solo italiane o di una determinata azienda produttrice oppure cartoline sul tennis pubblicitarie o su campi da tennis magari esclusivamente italiani o di una determinata regione. Tutto quello che si acquista andrebbe ‘studiato’ per rendere il tutto maggiormente interessante. Per esempio capire quale tennista del passato ha utilizzato la marca di racchetta che hai appena acquistato a volte non è semplice ma con pazienza e un po’ di fortuna si può arrivare a scoprirlo. La stessa cosa vale per cartoline o vecchie stampe non firmate dall’artista ma di cui con pazienza si può risalire alla paternità. Inoltre è fondamentale non essere gelosi dei propri pezzi ma farli vedere, scambiarli e dialogare il più possibile con altri collezionisti. Ampliare il proprio orizzonte e conoscere nuovi amici è stimolante e ti apre la mente a nuove iniziative. Personalmente avere sempre più di frequente relazioni con amici europei, americani e ultimamente anche cinesi, mi sta dando molta soddisfazione.
    Paolo Silvestri LEGGI TUTTO