consigliato per te

  • in

    Il Castello di Gradara, tra arte e amori tragici

    Ubicata nella provincia di Pesaro e Urbino, praticamente al confine con la Romagna, la Rocca di Gradara si erge sull’omonimo colle da cui domina la valle, narrando secoli di storia in una stupenda cornice scenografica. E se al solo nominarlo, vengono subito in mente le tragiche vicende legate all’amore tra Paolo e Francesca, narrata nella Divina Commedia, di fatto sono tanti i personaggi famosi – da Lucrezia Borgia, a Giovanni Sforza e Sigismondo Malatesta – ad aver vissuto tra le sue mura, che nei secoli hanno ospitato alcune delle casate nobiliari più importanti, oltre ad essere epicentro di importanti eventi storici.

    Il Castello, su cui svetta Il mastio, il torrione principale che si innalza per circa 30 metri, sorge su una collina a 142 metri sul livello del mare. La sua costruzione inizia a partire dal XII secolo per volontà della famiglia De Grifo, ma è solo tra il XIII e il XIV secolo, che nascono la Fortezza e le due cinte murarie ad opera dei Malatesta. La seconda, lunga quasi 800 metri, cinge il borgo che sorge attorno al castello. Intervallate da grosse torri quadrate, le mura sono attraversate dai caratteristici camminamenti di ronda (percorribili per un tratto), che consentono un mirabile colpo d’occhio sulla struttura della possente rocca, e sull’idilliaco territorio circostante, in cui svettano i 775 metri d’altezza del monte Titano, baluardo della vicina San Marino.

    Oltre che sulle suggestive torri merlate, sul ponte levatoio e nell’elegante cortile d’onore, ovviamente la visita del castello procede anche al suo interno, dove i diversi ambienti, a partire dal nome, ricordano famiglie e vicende che ne hanno animato la storia: il Camerino di Lucrezia Borgia, la Camera di Francesca, la Stanza della Passione, il Salone di Sigismondo e Isotta, la Stanza del Cardinale e la Sala del Consiglio, solo per citare alcune delle più suggestive. Da non perdere, poi, la sinistra Stanza delle Torture, dove tra catene e “ferri del mestiere” si possono approfondire le svariate tecniche di “persuasione” dell’epoca. Oltre il Mastio, presso la Cappella della Rocca, si trova poi un piccolo gioiello di arte quattrocentesca: la pala invetriata “La Madonna e i Santi” di Andrea della Robbia, realizzata intorno al 1480.

    Da non perdere anche una passeggiata tra le sale del Museo Storico di Gradara, che propone una collezione di oggetti antichi e documenti storici capaci di guidare il visitatore attraverso vicende e atmosfere medioevali. Tre i percorsi tematici proposti: quello letterario, sulle orme di Paolo e Francesca; quello popolare, sulla quotidianità della vita al’interno della Rocca, con la rappresentazione di usi e costumi della civiltà contadina; e infine il percorso medievale, tra armi, strumenti di tortura e oggetti curiosi come cinture di castità e orologi solari.
    Durante l’estate, a fine luglio, a Gradara si svolge anche un’interessante rappresentazione storica in costume, che rievoca l’Assedio al Castello del 1446, quando la rocca riuscì a resistere per ben 43 giorni. Da non perdere lo spettacolo piro-musicale con le giornate medievali e i caratteristici mercatini. LEGGI TUTTO

  • in

    Punta Licosa e le perle di Castellabate

    Una bellissima perla incastonata nel Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano: si tratta di Punta Licosa, frazione di Castellabate in provincia di Salerno, suggestuva località che prende il nome dalla sirena Leucosia, che secondo la leggenda si buttò in mare a causa di un amore non corrisposto, divenendo così uno scoglio.

    I fondali rocciosi e ricchi di vita sommersa sono la caratteristica di questa località, considerata una delle aree marine più belle al mondo. Il luogo ideale per chi cerca acque cristalline in cui tuffarsi, e (lontano dal mese di agosto) una piacevole tranquillità. La bellissima Licosa, nel suo susseguirsi di pinete e calette, offre ai visitatori tre chilometri di coste in cui non mancano storia, cultura e leggende. Sotto il suo mare, infatti, sono stati scoperti in passato i resti di un insediamento del X secolo a.C., oltre al muro di cinta di una villa romana, una peschiera e alcune colonne. L’estremità del suo territorio, Punta Licosa, guarda verso un isolotto, oggi un paradiso per i natanti, ma considerato infido in passato dai marinai a causa dei numerosi naufragi; ciò spiega la presenza del caratteristico faro. In questo braccio di mare sono stati rinvenuti diversi reperti di epoca greco-romana, oggi conservati al Museo di Paestum. Punta Licosa è considerata interessante anche dal punto di vista naturalistico, per la presenza del Pinus Alepensis, la pianta sacra dei Fenici. Questo arbusto è cresciuto rigoglioso nel tempo, al fianco di ulivi e cespugli di macchia mediterranea.

    Lasciata questa località, si prosegue alla volta di Castellabate, a pochi chilometri di distanza, che arroccata su un’altura domina sul mare con i suoi celebri belvedere. Borgo medievale, riconosciuto come uno dei Borghi più belli d’Italia, lascia chiunque senza fiato per i panorami sorprendenti sul golfo di Salerno e sulla costa cilentana. Come quello che si gode, percorrendo le viuzze che conducono al castello (fondato nel lontano del 1123 dall’abate Costabile), da cui osservare le case in pietra e i palazzi del ‘700, che ospitarono personaggi celebri come Ruggero Leoncavallo e Gioacchino Murat.
    Se invece si decide di scendere verso il mare non si può non visitare la bellissima frazione di Santa Maria di Castellabate, con la suggestiva spiaggia del borgo marinaro, le ville pittoresche, i vicoli, e il particolare palazzo ad archi che si trova sul porticciolo chiamato “il Porto delle Gatte”.
    Numerose sono le attività che si possono svolgere durante una gita in zona, come la bella passeggiata costiera che da Santa Maria di Castellabate, passando per San Marco, raggiungere Punta Licosa. Un sentiero facile, percorribile da chiunque (anche in bici), che non presenta particolari difficoltà: 5 chilometri circa di puro benessere e meraviglia per gli occhi, fino al porticciolo di Punta Licosa e alle sue calette. E se rimane tempo, si può estendere “l’esplorazione” ad altre località del Parco, come ad esempio la vicina Acciaroli, in cui ha soggiornato a lungo lo scrittore Ernest Hemingway; che secondo quanto si racconta, si sarebbe addirittura ispirato ad un pescatore del posto per il protagonista del suo celebre “Il vecchio e il mare”. LEGGI TUTTO

  • in

    Locorotondo e Alberobello, gioielli della Valle d'Itria

    Conosciuta anche come la valle dei Trulli, per la presenza un po’ ovunque delle tipiche costruzioni a forma conica, La Valle d’itria si estende sull’altopiano delle Murge nella parte sud-orientale, in un’area compresa tra le province di Bari, Taranto e Brindisi. Tra i luoghi più ricchi di fascino della Puglia, e dell’intero Stivale, si tratta di un territorio caratterizzato da vaste distese di viti e di ulivi, ma soprattutto dalle sue celebri città bianche, avvolte dai riflessi del sole e profumate dalla tipica oliva rossa, col suo gusto intenso e fruttato. In questa occasione, in particolare, andremo alla scoperta di due delle più celebri, Alberobello e Locorotondo.

    La prima, in provincia di Bari, si estende su una vasta area calcarea, da dove vengono estratte le lastre successivamente lavorate e impiegate per la costruzione dei trulli. La cittadina di Alberobello è costituita da due rioni: Aja Piccola e Monti. Aja Piccola, con i suoi 400 trulli, è considerata la parte più verace del centro abitato, il nucleo che negli anni si è mantenuto più autentico. Lo si capisce chiaramente passeggiando tra i suoi vicoli, capaci di riportare indietro nel tempo, ad una dimensione più intima. Il suo nome deriva dallo slargo usato anticamente per la battitura del grano.Il Rione Monti, invece, è quello più vivace. Lungo le sue strade si incontrano molti locali e negozietti di souvenir, e i trulli sono in gran numero, sia normali che di tipo “siamese”, cioè caratterizzati da una doppia facciata, un doppio pinnacolo e dal focolare basso, oltre a essere privi di finestre. In questa zona si può visitare la Basilica Minore dei Santi Cosma e Damiano, a cui si accede attraverso la suggestiva scalinata.
    Sia Rione Monti che Aja Piccola sono stati nominati monumento nazionale e patrimonio dell’Unesco. Camminare tra i loro trulli è un’esperienza indimenticabile, grazie alla quale conoscere e apprezzare sia la qualità dell’artigianato locale che la ricchezza di una cucina, vera e propria esplosione di sapori. Com’è immediatamente chiaro, entrando nelle botteghe che offrono degustazioni di prodotti tipici, come la burrata, le tante varietà di formaggi, i salumi e il buon vino, di cui poi, è impossibile non fare scorte.
    Locorotondo, nominato uno dei Borghi più belli d’Italia e Bandiera Arancione per Touring Club, sorge a circa 10 km da Alberobello. Il centro antico, che risale all’anno mille, presenta una caratteristica pianta circolare, da cui deriva il nome del paese. Incredibile, giungendovi, il colpo d’occhio sull’abitato adagiato sul caratteristico colle. Attraversando le vie e le piazze di Locorotondo si rimane ammaliati dal bianco dei suoi edifici barocchi in pietra locale, che durante la bella stagione sono puntellati dal colore acceso dei fiori alle finestre.
    Percorrere le sue strade significa anche prendersi il tempo di entrare negli edifici storici, come lo splendido Palazzo Morelli e la Biblioteca Comunale, allestita in una costruzione del XVIII secolo; oppure di visitare una delle tante chiese, come quella di Santa Maria della Greca, dove sono conservati un polittico rinascimentale intitolato alla Madonna delle Rose e il gruppo scultoreo di San Giorgio a cavallo. Locorotondo, inoltre, è una tappa obbligatoria per gli amanti del vino. Il suo nettare bianco è stato uno dei primi ad essere riconosciuto DOC in Italia, nel 1969. LEGGI TUTTO

  • in

    Parma, due anni da… Capitale

    Da Capitale della food valley, incoronata da Unesco ‘Città creativa per la gastronomia’, a Capitale della Cultura Italiana 2020 e, a causa dell’emergenza sanitaria che ha fatto sospendere molti degli eventi programmati, 2021.

    Un bel riconoscimento per la ‘piccola Capitale’ dei Farnese e poi dei Borbone, ma anche un’occasione per valorizzare e far conoscere un patrimonio che l’accomuna alle più belle città d’arte italiane.

    Dalla Cattedrale, con la cupola dipinta dal Correggio e la Deposizione che, come il vicino Battistero, porta la firma di Benedetto Antelami, al complesso monastico di San Giovanni Evangelista, di cui fanno parte la Chiesa e il Convento e che custodisce opere del Correggio e del Parmigianino. O ancora la città ducale del cinquecentesco Palazzo della Pilotta e del Palazzo del Giardino con il Parco Ducale e l’ottocentesco Teatro Regio, tra i più importanti d’Italia, fatto costruire da Maria Luigia, dove ogni anno si tiene il Festival Verdi.

    Il complesso monumentale della Pilotta, fatto costruire dai Farnese, comprende la Biblioteca Palatina, il Museo Archeologico, la Galleria Nazionale, il Museo Bodoniano e il ligneo Teatro Farnese, ricostruito negli anni Cinquanta sui disegni originali del XVII secolo. Vi si accede dal grande Piazzale della Pace, recentemente trasformato dall’architetto ticinese Mario Botta in area verde e diventato un frequentato punto di ritrovo cittadino.

    Oggi il complesso è protagonista di un importante progetto di riqualificazione, con nuovi allestimenti della Galleria Nazionale, che custodisce, tra le altre, opere di Beato Angelico, Parmigianino, El Greco, Tintoretto, Tiepolo, Canaletto, oltre a La Scapigliata di Leonardo da Vinci e alla statua-ritratto di Maria Luigia del Canova.

    Ma accanto alla città d’arte non bisogna dimenticare la Parma imprenditoriale e innovativa, capace di valorizzare le eccellenze del territorio, un circuito di musei dedicati al cibo e una biblioteca gastronomica, quella dell’Academia Barilla, che conta oltre 8500 volumi e un’importante raccolta di menù storici.
    In attesa che siano rimodulati i programmi di Parma Capitale della Cultura Italiana (tutte le news su parma2020.it), tra le principali realtà museali che hanno riaperto i battenti, solo con visite su prenotazione, ci sono proprio i Musei del cibo (museidelcibo.it). Con il neonato Museo del fungo porcino di Borgotaro, sono in tutto sette, dislocati in edifici storici della provincia legati alle diverse zone di produzione. Il Museo del parmigiano reggiano ha sede nell’antico caseificio adiacente al castello di Soragna, mentre il Museo della pasta e quello del Pomodoro si trovano entrambi presso la corte agricola medievale di Giarola, nei pressi di Collecchio, sulla sponda destra del fiume Taro. Nelle suggestive cantine della Rocca di Sala Baganza ha sede il Museo del vino e in quelle settecentesche del castello di Felino il Museo del salame. Il Museo del prosciutto di Parma non poteva che essere a Langhirano, nell’ex Foro Boario, mentre il Museo del culatello di Zibello si trova nell’Antica corte Pallavicina di Polesine Parmense. LEGGI TUTTO

  • in

    Valle Vigezzo, la terra dei pittori

    Ci si può arrivare anche con i trenini bianchi e blu della Ferrovia Vigezzina-Centovalli, una delle 10 linee più belle del mondo secondo Lonely Planet: parliamo della Valle Vigezzo, capace di regalare un viaggio di scoperta a passo lento, che parte dai suoi piccoli e affascinanti borghi: Santa Maria Maggiore, il centro principale, e poi Craveggia, Druogno, Malesco, Re, Toceno e Villette. Dove boschi di faggi, alpeggi, laghetti e cime maestose fanno da silenziosa cornice a piccole chiese, case affrescate, splendide meridiane, tipiche baite in pietra.
    Con decine di sentieri per escursionisti più o meno esperti, la valle offre un ventaglio di attività adatte a tutti, dai percorsi più semplici alle cime più impegnative, raggiungibili per mezzo della cabinovia che porta ai 1700 metri della Piana di Vigezzo. L’area ospita inoltre un parco avventura, campi da tennis, piscina, maneggi, un campo da golf e una pista ciclo-pedonale di 15 km.

    Alcuni originali musei offrono la possibilità di conoscere la cultura locale. Dalla Scuola di Belle Arti, l’unica ancora attiva su tutto l’arco alpino, al Tesoro di Craveggia, custodito nella chiesa parrocchiale; dalla Casa del Profumo, che celebra la nascita e la vera storia dell’Acqua di Colonia, all’Ecomuseo di Malesco, dedicato alla pietra ollare e agli scalpellini, e al Museo dello Spazzacamino di Santa Maria Maggiore, legato alla memoria di questo antico mestiere. Tra i più bei percorsi per scoprire il territorio c’è l’antica Via del Mercato, che collega Italia e Svizzera lungo mulattiere impiegate dal Medioevo al XIX secolo da emigranti, pellegrini e mercanti. Il Circuito dei Santi tocca i piccoli oratori delle frazioni rurali, il maestoso Santuario della Madonna del Sangue di Re e la chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore, il luogo di fede più antico della valle. Numerosi i prodotti tipici di alta qualità: dal pane nero di segale agli amiasc, sottili e golose sfoglie cotte su ferri roventi, dalle polente al capretto tipico vigezzino, dai formaggi alla torta pane e latte, tra i più amati della valle. LEGGI TUTTO

  • in

    Agrigento, un salto nella storia

    La celebre valle dei Templi sorge nei pressi della città di Agrigento, posta su due alture, il colle di Girgenti e la rupe Atenea, lungo la costa meridionale della Sicilia. Prima di descrivere il fascino e la belleza di questo sito, che richiama continuamente visitatori da tutto il mondo, ripercorriamone velocemente la storia.
    La città di Akagras fu fondata intorno al 580 a.C. da coloni provenienti da Gela e da Rodi. L’insediamento, attorniato da una cinta muraria lunga 12 km con 9 porte di ingresso, fece accrescere la sua grandezza nel tempo, fino a divenire una potente città-Stato sotto il dominio del filosofo Empedocle. Distrutta dai Cartaginesi nel 406 a.C., fu conquistata dai Romani nel 210 a.C., che la chiamarono Agrigentum e ne migliorarono il piano urbanistico monumentale con la costruzione di nuovi edifici pubblici, di templi, del teatro e del bouleuterion. Le iscrizioni rinvenute fanno pensare che gli abitanti della zona vivessero per lo più di attività legate alla lavorazione e al commercio dello zolfo. Durante l’età tardoantica e alto-medievale, la Collina dei Templi fu utilizzata come necropoli, sia in superficie, che sotterranea.
    Per visitare il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi è possibile scegliere tra i diversi itinerari proposti. Numerosi sono gli edifici e i templi ancora oggi in ottimo stato di conservazione di cui andare alla scoperta, come il Tempio della Concordia risalente al periodo greco. Costruito in stile dorico, è l’unico tempio che conserva ancora le trabeazioni e i due frontoni. Al suo interno si possono osservare delle contaminazioni architettoniche di epoca cristiana, risalenti VI secolo d.C. quando l’edificio fu consacrato ai Santi Apostoli Pietro e Paolo. Dell’epoca romana è anche il Ginnasio. Ad Agrigento è conservato l’unico edificio legato ad attività ginniche del mondo antico. In quest’area si possono vedere un altare monumentale per eseguire i riti, i resti di una grande vasca, due file di sedili e diversi altri elementi perfettamente conservati. Testimonianza del periodo tardoantico, invece, è la Necropoli Paleocristiana particolarmente articolata. Come testimoniano la suggestiva Grotta Fragapane, una catacomba comune, gli ipogei o le sepolture dette “arcosoli”. Prima di lasciare il Parco, è obbligatoria una visita al Museo Archeologico, considerato una delle maggiori istituzioni museali al mondo. Due le sezioni al suo interno: una dedicata alla valle dei Templi e all’antica città di Akragas/Agrigentum; l’altra, all’intera area della Sicilia centro-meridionale.
    Il Parco della Valle dei Templi si caratterizza anche come area paesaggistica molto pittoresca, tra viti, mandorli, pistacchi, fichi d’India, e grandi olivi “saraceni”, censiti come alberi monumentali. Passeggiando per i sentieri, durante le giornate di sole cocente, ci si può ritemprare all’ombra dei tamerici o dei pioppi. All’interno del Parco, infine, si praticano diverse attività agricole finalizzate alla produzione di vino ed olio. LEGGI TUTTO

  • in

    In Sardegna, tra le rovine di Tharros

    Nel blu del mare si stagliano due antiche colonne bianche della penisola del Sinis: probabilmente, una delle “cartoline” più note della Sardegna. Siamo sulla costa occidentale dell’isola, a San Giovanni di Sinis, frazione di Cabras, in provincia di Oristano. È qui che si trovano i resti dell’antica Tharros, un museo a cielo aperto che racconta la storia di questa cittadina fondata dai fenici nell’VIII secolo a.C. (vicino ad un villaggio nuragico dell’età del bronzo), successivamente conquistata da cartaginesi e romani. In seguito arrivarono barbari e Bizantini, ma la sua storia terminò bruscamente intorno all’XI secolo, quando gli abitanti, stufi delle continue incursioni saracene, decisero di abbandonarla per trasferirsi a pochi chilometri, nell’entroterra, dove fondarono l’attuale Oristano.

    La prima cosa che colpisce, raggiungendo l’area archeologica, è la grande bellezza del territorio, immerso nei colori del Mediterraneo, dall’azzurro delle sue acque al verde della macchia. Un anfiteatro naturale sul mare – all’estremità della penisola del Sinis, che infilza le acque del golfo di Oristano – delimitato dalla collina di Su Murru Mannu, da quella della torre di San Giovanni e dall’istmo di San Giovanni, che lo collega a Capo San Marco. Uno di quei casi in cui una passeggiata archeologica diventa anche l’occasione di godere di scorci emozionanti e pittoreschi.
    Tra le rovine si possono ammirare, in particolare, resti della dominazione fenicia, ma soprattutto di quella romana. Di quest’ultima rimane evidente l’impianto urbanistico, con le strade lastricate che seguono la classica impostazione urbanistica ortogonale, ossia suddivisa in isolati quadrangolari uniformi, attraversati da cardi e decumani. Non mancano, poi, edifici termali, ben tre, vicino al mare, tra i quali spicca quello denominato “terme di Convento Vecchio”, il cui stato di conservazione permette di apprezzarne varie parti, come lo spogliatoio, il vano di passaggio per gli ambienti riscaldati e la stanza dei bagni. E come da tradizione romana, non mancano le opere di ingegneria idrica “di servizio”, dal sistema fognario, all’acquedotto con il castellum aquae, una grande cisterna che ne raccoglieva l’acqua, che sgorgava da una fontana pubblica.

    Numerosi sono anche i templi, a partire da quello che può essere considerato un po’ il simbolo del sito, il tempio tetrastilo affacciato sul mare: di lui rimangono le basi e le due suggestive colonne (ricostruite). Altri edifici di culto interessanti sono il tempio di Demetra, il tempietto K, con portico e altare con cornice a gola egizia (probabilmente sorto su un’antica costruzione punica), e il tempio a pianta di tipo semitico, delimitato in tre lati su quattro da pareti di roccia.

    Per quanto riguarda le testimonianze puniche, oltre alle necropoli, il celebre tophet (edificato nei pressi del villaggio nuragico dell’età del bronzo chiamato Su Muru Mannu) è sicuramente tra i più importanti: un santuario cimiteriale dove si trovavano le urne con i resti incinerati di neonati e animali sacrificati. Sempre di epoca punica, spicca il tempio detto “delle semicolonne doriche”, una struttura in parte costituita da un’unica bancata di roccia arenaria, e in parte da grossi blocchi squadrati. LEGGI TUTTO

  • in

    Courmayeur: tra la montagna e il cielo

    Lassù, a un passo dal cielo, lo sguardo si perde all’infinito. Uno spettacolo rigenerante, dopo tanto tempo passato tra le mura di casa, reso possibile dalla riapertura della funivia Skyway (per tutti i biglietti in corso di validità la data di scadenza è posticipata a novembre 2021), le cui cabine semisferiche trasparenti, che ruotano durante tutta la salita, conducono da Courmayeur fino a Punta Helbronner offrendo una vista mozzafiato.

    Si parte da La Palud, all’imboccatura della Val Ferret; prima fermata, il Pavillon The Mountain, la stazione a 2173 metri con un’ampia terrazza da cui la vista abbraccia il Monte Bianco e la Val Veny. Al suo interno si trovano il Ristorant Alpino, con il menù firmato dallo chef Agostino Bouillas, la boutique con specialità e artigianato locale e la Cave Mont Blanc, produttice dello spumante ad alta quota Blanc de Morgex et de La Salle “Cuvée des Guides”.

    Ma il vero gioiello, nel periodo estivo, è il Giardino Botanico Saussurea, i cui lavori di rinnovamento si sono conclusi appena prima delle nevicate autunnali. Il giardino, che accoglie 900 specie differenti di piante alpine, è diviso in due zone. Nella prima, in aiuole organizzate per area geografica, si può osservare la flora montana di regioni esotiche come il Nord America, la Nuova Zelanda e l’Himalaya. Nella seconda sono stati invece ricreati alcuni ambienti tipici delle Alpi ed è stato realizzato un nuovo percorso di approfondimento interattivo dedicato ad alcune macro-aree come la montagna, i ghiacciai, i vertebrati, gli invertebrati e i licheni, oltre un momento informativo all’interno dello chalet. Il Giardino Botanico Saussurea organizza inoltre una serie di attività, tra cui un percorso di trekking foto-botanico, lezioni di natural yoga ed esperienze pensate per i più piccoli.
    Utima tappa, l’avveniristica stazione Punta Helbronner/The Sky custodisce l’affasciante sala Cristalli, la sala Monte Bianco, per ammirare il panorama anche nelle giornate fredde e ventose, e il Bistrot Panoramic, per una pausa golosa letteralmente tra le nuvole. LEGGI TUTTO