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    Elizabet Inneh-Varga, la grande speranza dell’Ungheria

    Di Alessandro Garotta
    La pallavolo ha una storia relativamente giovane, i movimenti nazionali che più l’hanno nutrita hanno avuto alti e bassi nei circa 120 anni della sua esistenza, ma quasi nessuno di loro è davvero scomparso. Quasi nessuno ha vissuto un declino tale da non poter essere più considerato competitivo per decenni in un torneo internazionale. Tra le pochissime eccezioni troviamo l’Ungheria. 
    Magari qualcuno ricorderà la selezione femminile ungherese di Ágnes Torma, Éva Sebők-Szalay e Gyöngyi Bardi-Gerevich a cavallo degli anni ’70 e ’80, proprio come si fa con le civiltà perdute e le epoche storiche così lontane nel tempo da risultarci indecifrabili. L’ultima volta che questa Nazionale si è qualificata alle Olimpiadi era il 1980 e non era stato ancora introdotto il sistema 5-1 (un solo alzatore); l’ultima volta che si è spinta fino al podio europeo era il 1983 e non era ancora crollato il muro di Berlino.
    Negli ultimi trent’anni, però, il paese ha praticamente smesso di produrre grandi talenti, come se avesse all’improvviso disimparato una cosa che gli riusciva con naturalezza. Ma oggi c’è una nuova speranza: si chiama Elizabet Inneh-Varga, è l’opposta del Fatum-Nyíregyháza e un giorno sogna di vestire la maglia dell’Ungheria per riportarla sulla mappa del volley mondiale. Prima, però, deve attendere che si risolva la contesa tra la Federazione magiara e quella della Romania, paese in cui è nata e che rivendica la sua nazionalità sportiva. Nel frattempo, la giovane giocatrice si è espressa in esclusiva ai microfoni di Volley NEWS. 

    Ci racconti qualcosa di lei. Chi è Elizabet Inneh Varga? 
    “Sono una ragazza di 21 anni, nata a Budapest, e cresciuta tra la capitale ungherese e Oradea in Romania. Sono un po’ timida con le persone che non conosco, ma allo stesso tempo molto cordiale. Cerco di essere sempre diligente e dare il massimo in tutto quello che faccio, soprattutto per quanto riguarda la pallavolo“. 
    Come ha scoperto il suo talento per il volley? 
    “Ho iniziato a giocare a 11 anni, dopo aver provato un sacco di altri sport, come l’atletica, la pallamano e il basket; però, il volley aveva qualcosa di speciale e mi piaceva di più. Da quel momento la mia passione è diventata più grande giorno dopo giorno. Ricordo bene i miei primi tornei, la prima volta a vedere una partita delle ‘grandi’ di A2 al palazzetto, ma soprattutto ricordo che non mi perdevo le partite trasmesse in TV per nulla al mondo: ammiravo quelle giocatrici e il mio sogno era di diventare brava come loro. Così ho cominciato a prendere la pallavolo molto seriamente e non mi sono mai fermata“. 
    È considerata un grande talento: per lei è uno stimolo a fare sempre meglio? 
    “Sicuramente fa piacere questa buona considerazione, ma io cerco sempre di dare tutta me stessa indipendentemente dalla partita o dagli stimoli esterni“. 
    Come mai non è ancora stata convocata nella selezione ungherese? C’è una ragione particolare? 
    “Il mio percorso come giocatrice è iniziato in Romania e al momento la mia Federazione di Origine è quella rumena; tuttavia, spero presto di avere l’onore e l’opportunità di rappresentare il mio paese natale, l’Ungheria“.  
    Qual è la sua migliore qualità quando è in campo? E dove crede di poter migliorare?
    “Sono una persona molto positiva, quindi cerco sempre di sostenere e aiutare le mie compagne, mettendo la squadra prima di tutto. Penso di avere grandi margini di miglioramento in tutti i fondamentali, senza dimenticare che l’aspetto mentale è altrettanto importante: a volte, mi capita di innervosirmi troppo prima delle partite, ma per fortuna sto imparando a gestire queste situazioni“. 
    Questa è la sua quarta stagione al Fatum Nyíregyháza. Come si trova e quali sono le sue sensazioni dopo questa prima parte di campionato ungherese? 
    “Sono molto contenta di far parte di questo club: qui ho trovato una seconda famiglia e vissuto tanti bei momenti. Per quanto riguarda il campionato, abbiamo avuto un buon avvio e siamo al secondo posto, avendo perso solo una volta. In generale, c’è grandissimo equilibrio, con tante squadre dello stesso livello: ogni partita è interessante e avvincente“. 
    Qual è stato il momento più bello della sua carriera finora? 
    “Conservo nel mio cuore tanti ricordi positivi legati alla pallavolo, ma se proprio dovessi sceglierne qualcuno direi le vittorie della Coppa di Ungheria con la mia squadra nel 2018 e nel 2019. In quelle occasioni ho provato emozioni indescrivibili“. 
    Dove si vede tra cinque anni? 
    “Ora è difficile da dire, ma senza dubbio farò del mio meglio per fare più strada possibile nel prosieguo della mia carriera“. 
    Un sogno nel cassetto? 
    “Il mio sogno più grande è arrivare a giocarmi un titolo in una fase finale di una competizione internazionale o un campionato importante“.  LEGGI TUTTO

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    Santa Croce, coach Montagnani: “Taranto è la favorita, ma il mio Acquarone è da Superlega”

    Di Giovanni Saracino
    Paolo Montagnani, coach della Kemas Lamipel Santa Croce (11 punti in 5 gare), una delle soprese di questo strano campionato di A2 maschile condizionato dal Covid, è pronto a giocarsela alla pari, domenica, con una Prisma Taranto (7 punti in 4 gare) che attraversa un chiaro momento di difficoltà alla luce delle due recenti sconfitte con Ortona e Bergamo.
    “Ci rimetteremo ancora una volta in viaggio. Questa è la quarta trasferta consecutiva. Abbiamo giocato, sinora, una solo gara casalinga, lo scorso 25 ottobre. Purtroppo, questa è una stagione particolare condizionata dalle difficoltà legate al Covid che vanno ad impattare seriamente sul rendimento di tutte le squadre” – afferma il tecnico toscano – “A turno un po’ tutte le squadre si sono dovute fermare ed hanno dovuto ricominciare, interrompendo la crescita di condizione. Sinora è un torneo che non si può giudicare, è tutto da scoprire ancora e la mia paura è che non so se riusciremo a scoprirlo. Vorrei poter vedere tutte le squadre a regime ma temo che sarà difficile.”
    Vi attende una Prisma Taranto che avrà voglia di riscatto. Una squadra costruita per essere tra le prime della classe che non può permettersi ulteriori passi falsi
    “E’ una squadra che in questo momento attraversa un momento di difficoltà ed in tal senso incide che sia dovuta star ferma per circa un mese. Non si spiegherebbe altrimenti la sconfitta con Ortona ed il fatto che non sia riuscita, almeno, ad allungare il match con Bergamo. Vedendo la campagna acquisti che ha fatto in estate, se dico che è la superfavorita del campionato non credo di affermare una cosa lontana dalla realtà. Indipendentemente dagli attuali problemi se Taranto mette in campo tutta la qualità che ha, diventa imbattibile”.
    Lei è un ex, anche se la sua esperienza in Puglia è stata breve (da agosto a dicembre 2009). Che ricordi ha?
    “Le premesse, ricordo, furono buone. Sembrava potesse esserci un progetto poi le cose sono andate in un modo che non mi è piaciuto. Sono stato esonerato, ci può anche stare, ma fu scelta una modalità che non ho gradito. E’ una esperienza che fa parte del passato ormai”.
    Parliamo della sua squadra. Punta tanto sull’opposto brasiliano Walla, il vostro braccio armato. Dove l’avete scovato?
    “La mia è una squadra giovane. Sono soddisfatto dei miei ragazzi che lavorano fortissimo in palestra ed in partita giocano anche una bella pallavolo. Walla? L’abbiamo trovato su Youtube (ride…). Quest’estate abbiamo visionato circa una trentina di opposti, operando una scelta che he fosse la giusta via di mezzo tra le pretese dell’allenatore e le esigenze economiche del club. È una vera macchina da schiacciata, sono molto contento di lui”.
    Nei pronostici della vigilia Santa Croce non è stata considerata squadra di prima fascia
    “Quest’anno non ci siamo dati obiettivi precisi perché vogliamo che la nostra crescita sia la più naturale possibile. Non facciamo ragionamenti su eventuali piazzamenti. Per curiosità mi sono letto in questi mesi un po’ di rassegna stampa e non ho mai visto annoverare fra le prime otto squadre del torneo Santa Croce. Ho sempre letto i soliti nomi: Taranto, Bergamo, Siena, Castellana, Cuneo, Lagonegro.. Va bene così, anche perché poi chi se la suona e se la canta, deve dimostrare sul campo. Per me è un divertimento caricare la squadra su queste cose qui. E’ uno stimolo in più”.
    Come vede il movimento pallavolistico in generale. C’è un ricambio generazionale, ci sono giovani che possono ambire a palcoscenici importanti?
    “In Italia si gioca tanto a pallavolo. I giocatori ci saranno sempre, bisogna solo saperli far crescere e saperli valorizzare. Non devono giocare per forza. Le potenzialità fisiche ci sono, occorre avere coraggio nel fare determinate scelte”.
    Tra i giovani del torneo di A2, quali ritiene siano futuribili per la Superlega?
    “Se guardo in casa mia dico, Acquarone. E’ un palleggiatore pronto per fare l’ultimo step e spiccare il volo. Ha 21 anni, ha tecnica, ha personalità, il futuro è suo. Io gli do tutti i consigli che posso, avendo giocato nel suo ruolo. Un altro, che non conosco personalmente, ma del quale si parla bene è lo schiacciatore di Taranto, Gironi (classe 2000); credo che abbia le potenzialità per emergere”. LEGGI TUTTO

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    Graziosi difende il PalaPozzoni: “Sarà il nostro fortino, lo voglio pieno gente”

    Di Stefano Benzi
    La partita tra Olimpia Tipiesse Bergamo e Prisma Taranto si è appena conclusa con la vittoria dei padroni di casa per 3-1: gli animi sono tesi e c’è un po’ di nervosismo per via di diversi punti contestati. Taranto cade, dopo una terribile trasferta in pullman di quattordici ore che prelude a un ritorno a casa altrettanto pesante.
    Vincenzo Di Pinto, tecnico di Taranto, non è contento: “La partita è stata condizionata da alcuni episodi che, soprattutto nel terzo set, ci hanno svantaggiato. Mi spiace, perché credo che alcune interpretazioni non siano state corrette e abbiano pesato moltissimo. Giocare in un palazzetto dello sport del genere, poi, è davvero un bel problema. Per la verità non so nemmeno come si faccia a giocare qui, non c’ero mai stato. L’ambiente è bello, è caldo, non dico di no: ma il soffitto è basso, lo spazio è poco. Sicuramente siamo stati penalizzati anche da questo”.
    Il PalaPozzoni, impianto di Cisano Bergamasco che il Comune ha dedicato in esclusiva alla Agnelli Tipiesse, è una piccola struttura con due tribunette laterali segmentate in quadranti tutti uguali: ogni quadrante una sessantina di posti. In tutto circa settecento posti a sedere: soffitto basso, spazi ridotti. Ma a Gianluca Graziosi, tecnico della Agnelli Tipiesse Bergamo – ormai di casa a Cisano Bergamasco – piace così: “A tutti penso faccia piacere giocare in impianti grandi, belli e importanti. A Bergamo c’è una struttura fantastica, a Siena ero abituato a giocare in un palazzetto dello sport splendido. Ma qui non posso certo lamentarmi. Ci alleniamo qui tutti i giorni, questa è letteralmente casa nostra. Abbiamo tutto quello che ci serve. E anche se occorrerà un po’ di tempo per prendere le misure giuste, sono assolutamente convinto che il PalaPozzoni possa essere uno dei nostri punti di forza”.
    A porte chiuse, senza pubblico, il frastuono è impressionante. All’interno di un fortino del genere basta la presenza di giocatori e qualche spettatore e addetto ai lavori o testimone a provocare un clima di forte agonismo. Nel finale concitatissimo sembra di giocare in una pentola a pressione: “Mi auguro che giocare qui possa diventare una difficoltà per tutti, mi piace l’idea – dice Graziosi – che questo sia il nostro fortino. Il palazzetto è stato omologato, e quindi sono felice che sia casa nostra. Così come noi dovremo adattarci in casa d’altri agli altri toccherà adattarsi qui. Per noi potrebbe diventare una caratteristica importante. Quanto al resto, sono sincero: l’unica cosa che mi dispiace è che a causa del lockdown questo impianto sia vuoto, senza pubblico. Sono molto curioso di vedere come sarà con 6-700 persone a fare il tifo per noi. Qualsiasi impianto per bello e grande che sia, vuoto, non ha alcun senso per me, l’unica arena che conta, è quella piena di gente, anche se è piccola”. LEGGI TUTTO

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    Jenny Barazza: “Mi emoziona ancora vedere mia figlia in palestra”

    Di Francesca Ferretti
    Con Jenny Barazza ho condiviso gli anni più belli e vittoriosi della nazionale Seniores. Silenziosa ma presente, pungente, cinica e sempre pronta nel momento che conta, oggi Jenny è anche mamma della splendida Luisa e di questo (ma non solo) abbiamo parlato nella nostra intervista!
    Partiamo dal presente: da 3 anni hai scelto di tornare a “casa” in Sardegna e continuare a giocare in Serie A2 con l’Hermaea Olbia. E’ stata stata una scelta di vita?
    “Diciamo di sì, visto che, concluso il mio contratto con Conegliano, ho deciso di iniziare un nuovo percorso di vita a Olbia, dove avevo costruito casa e dove mia figlia avrebbe iniziato la prima elementare. È arrivata, subito dopo, la proposta di giocare nell’Hermaea Volley Olbia, che ho accettato con molto entusiasmo, sicura di poter conciliare al meglio la carriera sportiva, quella di mamma e quella di collaboratrice nella nuova azienda di mio marito“.
    Nel 2010, poco prima del Mondiale in Giappone, hai scoperto di essere incinta. Cosa ricordi di quei momenti?
    “È stato sicuramente un momento indimenticabile carico di emozioni. Una sorpresa bellissima che ha reso me e mio marito pazzi di gioia“.
    Quanto è stato difficile, una volta diventata mamma, conciliare il tutto, palestra, bimba e famiglia?
    “Come ogni mamma, ho semplicemente cercato di organizzare il mio tempo in funzione di mia figlia… Ho avuto una grossa mano da mio marito, che era sempre presente nonostante gli impegni, e poi da una fantastica babysitter, che mi aiutava soprattutto nei primi mesi in cui ho ricominciato a giocare. Non nascondo che sia stato molto difficile, soprattutto all’inizio, ma poi ho trovato il giusto equilibrio. Insomma, ho cercato di fare del mio meglio, come tutte le mamme!“. 
    Foto Instagram Jenny Barazza
    Che sensazioni ti suscita il poter abbracciare la tua bimba a bordo campo a fine partita, e soprattutto che lei veda la sua mamma giocare?
    “È sempre emozionante vederla sugli spalti. Ancora oggi i suoi sorrisi mi spiazzano sempre come se li vedessi per la prima volta“.
    Luisa sta seguendo le orme della mamma nello sport?
    “A Luisa piace stare in palestra ed è una grande tifosa, ma ancora non ha deciso quale sport intraprendere con costanza. La pallavolo per lei è il lavoro di mamma, non ancora una passione tutta sua“.
    Hai indossato la maglia della Foppapedretti Bergamo per 6 anni, vincendo 2 scudetti, 2 Coppe Italia, 1 Supercoppa, 1 Coppa CEV e 3 Champions League: forse gli anni più belli della tua carriera, che ti hanno consacrata a livello mondiale come una delle centrali migliori in circolazione. Cosa significa Bergamo per te?
    “Bergamo è stata una tappa importante e indimenticabile della mia carriera, non solo per i titoli vinti, ma per la possibilità di giocare, allenarmi e condividere momenti con giocatrici fortissime, da cui ho imparato tanto. Ho trascorso 6 anni in quella bellissima città, e non posso far altro che portarla nel cuore e mantenere i contatti con persone del luogo e tifosi bergamaschi che non hanno mai smesso di starmi vicino“.
    Dal 2013 al 2017 hai indossato la maglia dell’Imoco e anche lì hai ottenuto tantissimi successi: scudetto, Coppa Italia e Supercoppa. Com’è stato tornare a giocare e vincere a casa tua, dove tutto era partito, dalla piccola cittadina di Codognè?
    “L’esperienza con Conegliano è stata molto emozionante, perché giocavo a casa, tra la gente con cui sono cresciuta, e sentivo per questo una grande responsabilità. È stata una escalation di successi e io ho dato il mio contributo fin quando ho potuto esserne all’altezza“.
    Agenzia Uffici Stampa DirectaSport
    Hai fatto parte del ciclo vincente della nazionale di Barbolini. Qual è il ricordo più bello? E il rammarico più grande?
    “La parte della mia carriera in nazionale con Barbolini è quella che ricordo con maggiore gioia, perché abbiamo vinto tanto insieme, ma tutta quanta la mia esperienza con la maglia azzurra è stata fondamentale per la mia crescita come persona e come atleta. Sarà difficile dimenticare ogni secondo del primo Europeo vinto, e allo stesso tempo non potrò mai scordare quella maledetta partita delle Olimpiadi di Pechino contro gli USA“.
    Oltre a quella, esiste una partita che, se ci ripensi, ancora oggi fa male?
    “Non c’è una sconfitta che ricordi che non bruci ancora…“.
    Quali sono i tuoi progetti futuri? Sono sempre legati alla pallavolo?
    “Ce ne sono tanti, alcuni legati alla pallavolo, altri no. Ma di sicuro non potrò mai smettere di guardare una piccola pallavolista giocare senza emozionarmi e rivedere in lei la grande passione per questo sport che mi ha accompagnato in tutti questi anni“. LEGGI TUTTO

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    Simone Parodi aspetta Ortona: “Stiamo bene, ma ci manca l’agonismo”

    Di Giovanni Saracino
    Salvo imprevisti delle prossime ore, domenica al PalaMazzola, a distanza di quasi un mese dall’ultima gara ufficiale disputata (25 ottobre contro Cantù), la Prisma Taranto tornerà ad assaporare il clima agonistico della partita vera, contro la capolista Sieco Service Ortona. “Stiamo bene, ci siamo allenati tanto, non siamo ancora al top ma abbiamo trovato una buona condizione fisica. Ci è mancato l’ agonismo, il ritmo partita, la tensione di una gara vera” afferma Simone Parodi, uno dei giocatori più attesi nella squadra pugliese, favorita per la promozione in Superlega.
    Ortona, forse, è l’avversario meno indicato per riprendere confidenza con l’agonismo…
    “Eh sì (sorride al telefono, n.d.r.). Diciamo che è una squadra che sta giocando molto bene, è in forma, sbaglia molto poco, regala quasi nulla, anche se accusa qualche assenza nello starting six (i martelli Shavrak e Sette, n.d.r.). E poi ha Cantagalli che sta dimostrando di essere un terminale offensivo importantissimo per i suoi compagni. Dobbiamo stare molto attenti“.
    Come pensate di poterli affrontare dal punto di vista tattico? Basterà arginare il solo Cantagalli?
    “Penso che se noi giochiamo bene, com’è nelle nostre potenzialità, siamo in grado di fronteggiare qualsiasi avversario. È probabile che pagheremo dazio nel primo set al fatto che ci manca un po’ il ritmo partita, ma siamo consci di essere una squadra forte. Dovremmo contenerli in attacco, battendo e murando bene“.
    In questo periodo in cui non avete giocato, hai avuto modo di vedere tante partite in tv o su internet?
    “Non le vado a cercare, se smanettando in tv ci sono, mi fermo a guardarle. Ultimamente ho visto qualche match di Superlega su RaiSport e la partita tra Brescia e Castellana“.
    Che campionato di A2 si è intravisto in queste prime giornate?
    “Sicuramente è un campionato molto equilibrato, di buon livello. Abbiamo incontrato squadre, come Brescia e Cantù, che giocano molto bene a pallavolo e che lottano sino all’ultima palla. Non esistono partite facili e per quanto ci riguarda dovremo giocare sempre al massimo delle nostre possibilità contro tutti“.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Per recuperare le gare rinviate, presto potreste essere chiamati ad una sorta di tour de force, giocando ogni tre giorni. Vi sentite pronti?
    “A livello fisico speriamo di non fermarci più, perché non è semplice stopparsi e riprendere e viceversa; si vive un po’ alla giornata. Giocare a pallavolo è il nostro mestiere, le partite ravvicinate, le trasferte da affrontare non ci spaventano, purché si riesca a trovare una continuità nella programmazione“.
    Alla vigilia del campionato si sapeva che si sarebbe trattato di una stagione particolare. La realtà ha complicato ancor di più le cose..
    “Il torneo di A2 sapevamo che sarebbe stato difficile. Ora le cose si sono complicate per via di tutti questi rinvii che modificano continuamente la programmazione del lavoro in palestra di una squadra. Noi giocatori vorremmo scendere in campo al meglio delle nostre condizioni fisiche ed offrire una pallavolo di buon livello a chi ci segue. Ci rendiamo conto che sinora abbiamo giocato al di sotto dei nostri abituali standard, ma non possiamo far altro che adattarci a questa nuova situazione“.
    Pensate che il contatto con i tifosi possa essere surrogato dall’interesse suscitato dai vostri match in diretta su YouTube o dalla vostra presenza sui social?
    “Mi fa piacere che quando abbiamo giocato ci abbiano seguiti in tanti sul canale YouTube tematico della Lega Pallavolo Serie A. Quando scendiamo in campo cerchiamo di dare sempre il massimo e di divertire chi ci segue a distanza. Certo sarebbe meglio avere i nostri tifosi al palazzetto. Ci dobbiamo accontentare, per ora. Sui social qualche volta arrivano dei messaggi da parte dei tifosi che mi fanno tanto piacere. E’ un modo per stabilire un contatto ed è giusto utilizzarlo“. LEGGI TUTTO

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    Jole Ruzzini torna in palestra da mamma: “Quanto mi mancava allenarmi…”

    Di Francesca Ferretti
    Continua il viaggio di Volley NEWS nell’universo delle mamme-giocatrici, naturalmente sotto la guida di un’altra mamma molto speciale come Francesca Ferretti. Dopo le chiacchierate con Martina Guiggi e Serena Ortolani, l’ex palleggiatrice azzurra ha intervistato per noi Jole Ruzzini, che pochi mesi fa ha dato alla luce il piccolo Gabriele e da qualche settimana è tornata ad allenarsi con la School Volley Perugia in Serie B2.

    Partiamo dal presente: sei diventata da poco una splendida mamma. E anche per te, appena scoperto di essere incinta, il contratto con il tuo vecchio club si è rescisso automaticamente. Come ti sei sentita ? Cosa pensi si possa fare per tutelare le giocatrici in queste situazioni?

    “Credo che, prima di essere delle giocatrici di pallavolo, siamo donne che hanno il diritto di vivere la maternità senza per questo venir giudicate, criticate o vedere il nostro contratto rescisso. Se il nostro sport fosse riconosciuto come professionistico, anche i nostri diritti sarebbero tutelati. Un grosso passo in avanti è stato comunque fatto dal Governo con l’introduzione dell’indennità di maternità per le sportive”.

    Hai deciso di ritornare in campo da pochissimo. Farlo da mamma deve essere una grande emozione. Era una decisione che avevi già maturato o ci hai pensato dopo?

    “L’idea di tornare in campo è nata strada facendo: la gravidanza è andata bene consentendomi di fare attività fisica, dopo il parto mi sono resa conto che i presupposti per riprendere c’erano tutti. Allenarmi mi mancava e ritornare in palestra, anche se per ora solo in allenamento, mi rende felice”.

    Hai partorito in pieno periodo di emergenza Covid-19. Come hai vissuto la fine della gravidanza e i primi giorni da mamma in un periodo storico così difficile?

    “È stato terribilmente difficile: ero da sola in casa in quarantena, molte visite venivano rimandate, mio marito era di rientro dalla Russia. Ho partorito da sola, senza che Keky (Francesco Cadeddu, n.d.r.) o un famigliare potesse starmi vicino… per non parlare delle settimane successive, in cui era impossibile trovare un pediatra. Sono stati mesi duri, complicati, ma Gabriele ci ha dato tanta forza e speranza”.

    Nella tua carriera hai disputato due campionati all’estero (a Bucarest e Cannes). Cosa ti porti dietro di quelle esperienze a livello culturale?

    “L’esperienza di Bucarest e di Cannes è stata unica e la porto nel cuore: poter giocare come straniera in un campionato diverso da quello italiano, insieme a tante atlete provenienti da tutta Europa, è stato uno scambio di culture continuo, ci si è confrontati con esperienze e storie diverse, non solo sportive. Secondo me un’esperienza all’estero, se fatta nel momento giusto della carriera, arricchisce non solo sportivamente”.

    Hai avuto un modello di giocatore o giocatrice al quale ti sei ispirata fin da piccola?

    “Non proprio… ma ho iniziato a giocare, come molte mie coetanee, vedendo i cartoni animati di Mila e Shiro!”.

    Qual è la compagna più forte con la quale hai giocato?

    “Ho avuto la fortuna di giocare con un sacco di atlete fortissime, ne cito qualcuna sapendo di lasciare fuori dall’elenco dei nomi importanti: Simona Gioli, Nadia Centoni, Jelena Nikolic, Lize Van Hecke, Cristina Bauer e molte altre”.

    Foto Rubin/LVF

    Nella tua famiglia si respira pallavolo a 360°: tuo marito Francesco Cadeddu è preparatore atletico della Sir Safety Conad Perugia. Quanto è importante avere una persona al proprio fianco che capisca i ritmi e la vita di una sportiva?

    “Sì, Keky – nella pallavolo lo chiamano così – si divide tra fare il preparatore atletico e l’assistente allenatore. Ci siamo conosciuti 6 anni fa, e credo che solo chi fa parte del mondo sportivo possa capire da subito le esigenze e i ritmi che abbiamo noi atlete, e viceversa, perché anche lui ha sempre passato molto tempo tra palestra, viaggi e studio delle partite. Ci sono volte in cui magari dopo non esserci visti per settimane si deve aspettare la conferenza stampa, o le riunioni post gara, o di aver salutato tutti prima di potersi abbracciare, e questa cosa solo chi la vive o l’ha vissuta la può capire da subito”.

    Quando hai capito che la pallavolo sarebbe diventato il tuo lavoro oltre che la tua passione?

    “Quando me l’hanno detto gli altri, e ovviamente, quando ho iniziato la mia carriera in serie A. Io non ho mai visto la pallavolo come un lavoro, ma come una grande passione che mi ha fatto fare esperienze uniche”.

    La partita che vorresti rigiocare e quella che non dimenticherai mai.

    “Non scorderò mai il mio esordio in A1 ,contro Conegliano, mentre la partita che vorrei rigiocare è la finale scudetto con Cannes nel 2018, persa per 3-2 contro Beziers, dopo una rimonta incredibile nel quinto set, purtroppo non portata a termine”.

    Come vedi Jole tra 10 anni? Sempre nel mondo del volley o hai altri progetti?

    “Difficile immaginarsi tra così tanto tempo, ma credo e spero che sarò sempre in questo mondo, anche se in altre vesti e con altri compiti”. LEGGI TUTTO

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    I 46 punti di Cantagalli: “Me l’hanno detto i compagni, l’emozione è stata ancora più grande”

    Di Roberta Resnati
    Diego Cantagalli, opposto della Sieco Service Ortona, ha stabilito il nuovo record per una partita di pallavolo di serie A2.Nella vittoria al tie-break di ieri sera dei suoi Impavidi ai danni della Emma Villas Aubay Siena, l’opposto azzurro ha infatti messo a terra 46 palloni vincenti portandosi in vetta alla speciale classifica dei migliori realizzatori in una gara di serie A superando il record di Josè Matheus (45 punti in A2 nel 2000) e Raydel Poey (44 punti in A2 nel 2016).
    All’indomani della gara, abbiamo intervistato il posto due classe ’99 per fare con lui una panoramica partendo dal record, dal rapporto con suo padre, da come si trova ad Ortona e dove si vede da qui a 20 anni.
    46 punti con il 69% in attacco, come si è sentito quando ha realizzato di aver segnato un record oltre ad aver disputato, ovviamente, un’ottima partita?“Si, sono tanti, e una percentuale così alta non è così facile da fare, è una cosa incredibile. Io durante il match non sapevo quanti punti avevo fatto o che stavo per battere un record che era in piedi da 20 anni, l’ ho saputo solo a fine partita dai miei compagni e l’emozione è stata ancora più grande. Ero molto sorpreso e contento e per poco non mi sono scese anche due lacrime per la gioia”
    Ieri 61 palloni sono passati dalle sue mani, cosa si prova ad essere il punto di riferimento di una squadra?“Essere il punto di riferimento in una squadra è molto soddisfacente e soprattutto non è mai facile, bisogna essere davvero concentrati e cercare sempre il meglio non solo da sé stessi ma anche dalle altre persone. Questo ieri penso che a tratti sia riuscito a farlo, non ho mollato nulla ed ho sempre cercato di incitare tutti i compagni, siamo rimasti uniti e questo ci ha permesso, oltre alla mia performance, di vincere la partita”.
    Con queste percentuali non è difficile pensare a un Cantagalli in Superlega da titolare molto presto. Di che città vorrebbe diventare il giocatore simbolo?“L’obiettivo è sempre quello, sto lavorando molto per arrivare a giocarmi un posto da Superlega molto presto. Non ho una città dove vorrei giocare, bisogna fare ancora un percorso e bisogna trovarla con il tempo. Ovvio, non nego che andare a Modena mi farebbe molto piacere, ma è una cosa molto difficile, continuerò a lavorare per coronare il mio sogno”.
    Il suo giocatore di riferimento o il suo idolo da piccolo?“All’infuori di papà che ho sempre avuto in casa e mi ha cresciuto come lui caratterialmente, non avevo un giocatore a cui mi ispiravo essere. Dopo l’anno di Civitanova ho legato molto con Sokolov, che reputo una persona incredibile e più che un idolo per me lui è diventato un punto di riferimento, per come era e per come giocava“.
    Suo padre ha scritto un post in facebook che recita così “46 e non è il numero di Valentino..” Come è avere Luca Cantagalli come primo tifoso? Cosa le ha detto dopo ieri?
    “Avere Luca Cantagalli in casa è una delle cose più belle del mondo, è una gioia incredibile. Dopo la partita di ieri mi avrebbe solo voluto abbracciare, penso, come tutta la famiglia. Il post che ha fatto su Facebook, ora glielo devo rinfacciare perché doveva farlo su Instagram dato che non ho Facebook (ride). Papà è una persona fantastica; una delle cose più belle fatte da parte sua è stato farmi innamorare dello sport in generale perché non mi ha mai costretto a seguire le sue orme con la pallavolo tanto è vero che prima facevo basket e nuoto. Poi un giorno ho iniziato a giocarci e da lì mi sono appassionato, ci sono arrivato io per mia volontà e non obbligarmi” è una delle cose migliori che potesse fare”
    Capolista solitaria.. qual è la vostra forza?“La nostra forza è la squadra, siamo molto legati dentro e fuori dal campo. Questo aiuta in ogni aspetto, nelle partite e in generale e in tutto il resto. Qui si sta bene, in palestra si lavora bene, ci divertiamo, scherziamo ed è una cosa bellissima”.
    Suo padre si è “reinventato” ristoratore, tu come te la cavi in cucina?“È una passione che abbiamo in comune, a me piace la cucina, mi piace sperimentare, quando ho tempo, qualcosa di nuovo. Da qui a 20 anni potrei seguirlo anche in questo perchè mi piace, quando abbiamo aperto i primi ristoranti ho sempre dato una mano”. LEGGI TUTTO