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    Filippo Maria Callipo: “Sacrificio e costanza, le chiavi del successo di Vibo”

    Di Agnese Valenti Continua il nostro ciclo di articoli dedicato alla pallavolo nelle regioni del Sud. Dopo l’intervista al professor Daniele Serapiglia della Società Italiana dello Sport, con cui abbiamo esplorato il divario esistente tra le diverse zone d’Italia in termini di tesserati e di società di alto livello, oggi andiamo invece alla scoperta di una realtà virtuosa e fondamentale per il volley maschile di alto livello nel Mezzogiorno: la Tonno Callipo Calabria Vibo Valentia. La formazione giallorossa, che quest’anno ha disputato una stagione entusiasmante, chiudendo la regular season al quinto posto in classifica e sfiorando una semifinale, è l’unica squadra meridionale in Superlega, un importante punto di riferimento per atleti e società del territorio con grandi progetti per il futuro. Abbiamo intervistato il vicepresidente del Club calabrese, Filippo Maria Callipo, ventiseienne e secondogenito del massimo dirigente Pippo Callipo, che già da due anni svolge con dedizione il ruolo dirigenziale dando prova di aver ereditato dalla famiglia l’amore per la sua terra e per la pallavolo. Foto Volley Tonno Callipo La vostra storia ha avuto inizio nel 1993 con la fusione tra le due realtà sportive locali, Pallavolo Vibo Marina e Fiamma Vibo Valentia. Sono passati quasi 28 anni da quella data: cosa è cambiato da quel giorno, e quale pensate sia stato il fattore principale che ha portato al successo la società e la squadra? “Quando mio padre decise di assecondare l’iniziativa di un gruppo di amici, sostenendo il loro progetto sportivo per una squadra militante in C2 con una piccola sponsorizzazione, per lui si trattava di un hobby a cui dedicarsi nel tempo libero. Man mano che la squadra compiva la sua scalata sono aumentati, naturalmente, anche impegno ed attenzione. Una volta raggiunta la Serie A2 ci si è resi conto che era necessario iniziare a strutturare un’articolata organizzazione di professionisti e quindi l’attività ha preso le sembianze di un lavoro a tutti gli effetti. Sacrificio e costanza sono state le coordinate che hanno guidato il nostro viaggio. Sono servite anche buone dosi di passione ed impegno“. Quali sono state le principali difficoltà che avete incontrato nel corso della vostra esperienza in Serie A? In particolare, è stato difficile “convincere” giocatori di alto livello a trasferirsi a Vibo, in un contesto diverso da quello del Centro-Nord? “La posizione geografica non ci ha mai avvantaggiato, considerato che la maggior parte delle squadre che disputano il campionato di Superlega appartengono a città del Centro-Nord. Più salivamo di serie e meno squadre del Sud trovavamo tra i nostri competitor. Purtroppo questo trend non è cambiato negli anni. Far arrivare i giocatori a Vibo è complicato, tant’è che cerchiamo sempre di selezionare atleti che credono con convinzione nel nostro progetto. I giocatori di alcune nazionalità sono più propensi a venire al Sud, sentendosi più affini al nostro ambiente e al nostro calore. È il caso dei brasiliani, che ormai da anni considerano la Calabria una seconda casa“. Tonno Callipo Calabria Volley La pallavolo al Sud ha una grande tradizione, ma fatica ad esprimere realtà di prima fascia, soprattutto nel settore femminile. Quali sono secondo voi le principali cause di questa situazione? “Le difficoltà sono soprattutto legate alle condizioni socio-economiche. Non ci sono molte società sportive che possano lavorare attivamente al reclutamento dei giovani atleti, che per questo non riescono, di conseguenza, a crescere tecnicamente nel loro territorio“. Molte volte durante la vostra storia siete stati costretti ad “emigrare” in palazzetti di altre città (l’ultima volta durante il campionato 2019-2020, quando vi siete temporaneamente trasferiti a Reggio Calabria). Come pensate si possa affrontare il problema della carenza di strutture, che è uno dei grandi disincentivi per lo sviluppo della pallavolo – e dello sport in generale – ad alto livello nel meridione? “Paradossalmente da noi, effettuando una mappatura del territorio, si evince che non c’è una carenza di strutture (solo nella provincia di Vibo se ne contano una decina). Semmai si può parlare di una sovrabbondanza di impianti sportivi, che però sono abbandonati e non fruibili dalle piccole società, che ne avrebbero necessità e che da sole non riescono a riqualificarli e gestirli“. L’inaugurazione del PalaMaiata Il vostro settore giovanile dà la possibilità a ragazze e ragazzi del Sud Italia di esprimere il proprio talento, ma purtroppo pochi di questi giocatori riescono a proseguire la propria carriera da alti livelli. Cosa pensate scoraggi i giovani meridionali o ostacoli la loro crescita? “Per una questione di mentalità i giovani del Sud preferiscono dedicarsi agli studi universitari intravedendo, in questa strada, maggiori sicurezze per il futuro, a discapito del tempo dedicato allo sport che diventa quindi marginale. Solo quelli più talentuosi, sentendosi da subito appagati, continuano la carriera pallavolistica“. Un tema su cui si dibatte costantemente, per quanto riguarda la Superlega, è lo spazio dato ai giocatori stranieri a scapito dei giovani italiani. Pensate che per la crescita del movimento sarebbe giusto dare maggiore spazio ai talenti del nostro paese? “Credo che per favorire la crescita del movimento sia necessario potenziare le basi del sistema, e cioè partire dal reclutamento dei settori giovanili, in modo tale che ci siano sempre più ragazzi italiani a praticare questo sport. Così aumenterebbero le possibilità che ad emergere siano i talenti nazionali, che in maniera del tutto naturale andrebbero a sottrarre posti agli stranieri“. Recentemente Vibo Valentia ha ospitato l’edizione 2021 del torneo WEVZA Under 17 maschile. Pensate che sia possibile ripetere l’esperienza con altre manifestazioni internazionali e che questo tipo di eventi possano costituire un volano utile per la crescita del territorio? “Eventi nazionali e internazionali di questo genere possono risvegliare e riaccendere l’interesse per la pallavolo in Calabria e nel Sud. Speriamo ce ne possano essere altri con la presenza del pubblico“. La squadra di Serie B / Foto Tonno Callipo Calabria Vibo Valentia Quest’anno, con il vostro quinto posto e una semifinale sfiorata, avete raccolto i frutti del vostro lavoro. In questa fantastica stagione è però mancata la spinta del calorosissimo pubblico giallorosso. Quanto conta per voi il sostegno dei tifosi e cosa si può fare per aumentare il loro coinvolgimento e il legame con il territorio, Covid permettendo? “Come in qualsiasi sport, i risultati incidono molto sull’umore della tifoseria. Quest’anno, con la stagione brillante che abbiamo disputato, avremmo sicuramente colorato il PalaMaiata di giallorosso in ogni partita, rendendo il pubblico un giocatore in più sul campo. Il nostro impegno sarà quello di promuovere dei momenti di incontro tra la squadra ed i tifosi, non solo in presenza ma anche attraverso l’uso dei social e del web, per riappropriarci di tutto il tempo perso“. La pallavolo cresce moltissimo e si sviluppa particolarmente nelle scuole. Come società operate anche all’interno degli istituti scolastici, per avvicinare le giovani ragazze e i giovani ragazzi alla pallavolo e alla Tonno Callipo? “Da sempre svolgiamo progetti scolastici su tutto il territorio calabrese, principalmente nella provincia di Vibo. Questa iniziativa ha avuto sempre grande successo e ottimi risvolti, per cui speriamo di poter riprendere prima possibile il nostro tour nelle scuole per dialogare da vicino con i giovani e avvicinarli al nostro mondo“. LEGGI TUTTO

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    Lo scudetto di François Salvagni: “Una vittoria che ripaga tanti sacrifici”

    Di Eugenio Peralta La Ligue A femminile francese è ormai da anni approdo d’elezione per gli allenatori italiani: Micelli, Schiavo, Orefice, fino allo scorso anno Marchesi. E poi François Salvagni, che la Francia ce l’ha nel nome e pochi giorni fa l’ha “conquistata” vincendo, con l’ASPTT Mulhouse, il primo scudetto della sua carriera e il secondo nella storia della società. Un successo ottenuto con due giornate d’anticipo, nell’unico campionato europeo che non prevedeva i play off, e sulla scorta di una stagione magica con 18 vittorie consecutive. Rendimento inaspettato per le stesse alsaziane, come racconta Salvagni ai nostri microfoni: “Non ce lo aspettavamo assolutamente, anche perché abbiamo iniziato molto male la stagione, giocando non bene a pallavolo e perdendo la Coppa del 2019-2020 (recuperata in settembre, n.d.r.). È stato un anno da costruire in corsa, e la cosa positiva è stata che siamo riusciti a vincere diverse partite anche quando giocavamo male: merito del gruppo, perché abbiamo 12-13 ottime giocatrici e ogni volta qualcuna ci metteva del suo. Ma fino a Natale ancora non riuscivamo a esprimere il nostro potenziale e in classifica eravamo tutti in gruppo“. E poi cos’è cambiato? “Be’, dopo tanti sacrifici e tanto lavoro la squadra ha cominciato a giocare molto bene. Secondo me le due ‘bolle’ di Champions League che abbiamo disputato ci hanno aiutato ad alzare molto il livello. In campionato abbiamo cambiato decisamente marcia e mostrato una qualità di gioco diversa. Nelle ultime 5 partite si è sentita un po’ la pressione: è stato molto importante vincere con il Voléro di Micelli per capire che potevamo farcela. Poi a Béziers poteva finire in qualsiasi modo, ma aggiudicarsi lo scontro diretto è stato il modo migliore per chiudere“. La pandemia di coronavirus ha messo a dura prova tutta la pallavolo mondiale, ma soprattutto quella francese. Come l’avete vissuta? “Abbiamo avuto la fortuna di poter continuare a giocare, ma per il resto è stata dura. Abbiamo perso il nostro team manager a dicembre, io personalmente ho vissuto la scomparsa di mia madre, e sono riuscito a vedere i miei figli solo una volta. Abbiamo fatto trasferte in un paese deserto, mangiando ognuno nella propria camera d’albergo e senza poterci concedere nulla nemmeno a casa, visto che l’Alsazia è stata la regione più colpita dalla prima ondata. Mi rendo conto che c’è chi ha sofferto molto o ha dovuto chiudere la propria attività, ma anche per noi è stato difficile. Anche per questo le ragazze hanno canalizzato tutte le loro energie per conquistare qualcosa di importante che ripagasse i tanti sacrifici“. Che campionato è quello francese? “Sorrido quando mi dicono che è un campionato di basso livello. Credo invece che il livello tecnico si sia alzato tantissimo: ci sono grandi allenatori, molti italiani, si gioca una bella pallavolo. L’ultimo campionato è stato di ottima qualità e lo dimostrano anche le prestazioni nostre e del Béziers in Europa. Certo non siamo ai livelli dell’Italia, ma nessuno lo è, neppure la Turchia… però dalla Francia sono partite tante giocatrici che poi si sono messe in mostra nei campionati internazionali, da Haak a Herbots“. A proposito, in Ligue A ci sono giocatrici in rampa di lancio per il campionato italiano? “Ce ne sono eccome, anzi diverse le vedrete già l’anno prossimo. Una di queste è la nostra schiacciatrice Hélena Cazaute, e per me il fatto che abbia conquistato un ingaggio in Serie A è un orgoglio e una medaglia personale, perché era stata lei a chiedermi di aiutarla a raggiungere questo obiettivo. Si parla molto anche di Ivana Vanjak, ma lei resterà con noi ancora un altro anno, proprio perché ha l’obiettivo di crescere ulteriormente per poi presentarsi in Italia da protagonista“. La Francia è l’unico paese europeo in cui i pallavolisti sono lavoratori professionisti, un tema di cui si parla molto anche in Italia. Cosa ne pensa? “In questa situazione ci ha aiutato tantissimo. Lo scorso anno, quando è stata sospesa l’attività, abbiamo ricevuto la cassa integrazione all’85% dallo Stato, oltre ai contributi pensionistici e a tutte le agevolazioni del caso. Voglio però essere ben chiaro: se si vuole il professionismo bisogna che tutte le componenti, dai giocatori ai procuratori, siano disposte a mettersi le mani in tasca. Perché la riforma, se ci sarà, comporterà un costo economico e probabilmente anche tecnico: le giocatrici guadagneranno qualcosa in meno e qualcuna sceglierà di andare altrove. Ma io mi auguro che accada, perché avere più solidità è l’unico modo per crescere“. LEGGI TUTTO

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    Il passo indietro di Iza Mlakar: “Diventare medico è il sogno della mia vita”

    Di Alessandro Garotta C’è chi sogna per una vita di indossare un paio di ginocchiere, allacciarsi le sneakers e volare su un taraflex di Serie A1. C’è chi, dopo averlo sognato, ci riesce. E poi, c’è chi ci riesce, sfiora il cielo con un dito e fa un passo indietro, a coltivare quell’altro sogno nel cassetto. Due passioni, un contributo fondamentale ai successi del Nova KBM Branik, un’esperienza alla Igor Gorgonzola Novara, i traguardi con la nazionale slovena, oltre ad una consistente dose di umiltà: questa è Iza Mlakar.  A quasi un anno di distanza dall’annuncio del suo addio alla pallavolo, l’ex opposto ci ha parlato della sua carriera e della vita da aspirante medico.  Iza, com’è cambiata la sua vita dopo aver appeso le ginocchiere al chiodo?  “Mi godo la vita cercando di fare tutto ciò per cui non avevo tempo quando giocavo. Mi dedico principalmente allo studio, essendo iscritta alla facoltà di Medicina, e faccio un sacco di sport: trekking, arrampicata, sci, mountain-bike (dopo ben 15 anni) e corsa. Infine, mi piace fare lunghe passeggiate con i miei due cagnolini e trascorrere tempo in famiglia o con amici, per quanto possibile durante questa pandemia“.  Quanto le manca nel percorso per diventare medico? Cosa rappresenta questo traguardo per lei?  “Mi mancano ancora due anni per conseguire la laurea. Diventare medico vuol dire raggiungere un obiettivo per cui mi sto impegnando e realizzare il grande sogno della mia vita. È un lavoro che comporta grande responsabilità e attenzione“.  Cosa le manca di più della pallavolo?  “È stato molto difficile cambiare lo stile di vita e vestire i panni di una ‘persona normale’, perché questo sport mi ha accompagnato fin da piccola, quando vedevo mio padre giocare in nazionale. In particolare, mi manca la sensazione di far parte di una squadra con cui condividere tutti quei momenti che in passato mi hanno reso felice e fatto sentire me stessa“.  Smettere a 25 anni, proprio nel punto più alto della sua carriera. Come mai?  “Stavo pensando di dire addio al volley già nel 2019, dopo aver vinto il campionato nazionale con il Nova KBM Branik, per focalizzarmi solo sullo studio, dato che Medicina è una facoltà che richiede il massimo impegno. Tuttavia, mi arrivò un’offerta da Novara appena prima dell’ultima partita delle finali e così decisi di continuare un altro anno: si stava realizzando un grande sogno pallavolistico. Infatti, fino a quella stagione, alla Igor giocava il mio idolo, Francesca Piccinini, e pensai che un’esperienza lì, per la prima volta fuori dalla Slovenia, fosse un modo per chiudere in bellezza. Quindi, è vero che ho smesso quando ero all’apice della mia carriera, e che probabilmente avrei potuto fare molto di più, ma quando mi sono trovata davanti a un bivio ho dato la precedenza allo studio, che non si poteva più conciliare con lo stile di vita che impone lo sport professionistico“.  Ripensando alla sua carriera: cosa la rende più orgogliosa? Ha qualche rimpianto?  “Sono molto orgogliosa di tutti i titoli nazionali vinti con il Branik e di aver fatto parte della nazionale slovena che per la prima volta ha partecipato al campionato europeo, dopo il secondo posto ai Mondiali under 23 di Ljubljana. Forse l’unico rimpianto è di non essere andata all’estero già nel 2017: un’esperienza di questo tipo a 22 anni sarebbe stata molto utile per la mia crescita. Allo stesso tempo, però, penso che nella vita tutto accada per una ragione“.  Quali sono le compagne e gli allenatori a cui è rimasta più legata?  “Sicuramente non dimenticherò mai quanto è stato importante per me Bruno Najdič, il mio allenatore a Maribor: quando sono arrivata lì avevo 16 anni e lui mi ha insegnato davvero tantissime cose, diventando un secondo padre. Sarò sempre legata a tutte le compagne della nazionale con cui ho condiviso molte esperienze, e sono ancora in contatto con Lana Scuka e Sara Najdič. Inoltre, è stato un grande onore lavorare con Massimo Barbolini, straordinario sia come allenatore sia come persona“.  Ci parli della sua esperienza a Novara.  “Un’esperienza incredibile. La Igor Volley è una grande famiglia, una società con un’organizzazione meravigliosa, dove mi sono trovata benissimo. Sapevo di non essere una titolare, ma ogni volta che sono entrata in campo ho dato il massimo. Alla fine, è stata una stagione positiva nonostante la chiusura anticipata a causa della pandemia. Perciò, tutto quello che posso dire è: grazie Novara. Inoltre, ho avuto l’occasione di giocare al fianco di giocatrici straordinarie come Stefana Veljkovic, Cristina Chirichella e tutte le altre compagne che seguo ancora e sono rimaste nel mio cuore“.  Ha fatto parte per alcuni anni della nazionale slovena. Cosa manca a questa selezione per colmare il gap con le big della pallavolo mondiale?  “Forse mancano giocatrici che vanno a fare esperienza all’esperienza all’estero, soprattutto nei campionati di alto livello. In generale, penso che le buone generazioni vanno e vengono: quella di cui ho fatto parte può ancora regalarsi buone soddisfazioni“.  C’è qualche talento sloveno che consiglia ai club italiani?  “Non conosco così bene le giocatrici più giovani, quindi è difficile rispondere a questa domanda. Tuttavia, sono sicura che le migliori avranno modo di mostrare le proprie qualità nelle competizioni internazionali e così verranno sicuramente notate anche in Italia“. LEGGI TUTTO

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    Francesca Ferretti: “Si è aperta una porta, ora più tutele per le mamme atlete”

    Di Redazione
    Negli ultimi mesi ha raccontato per Volley NEWS le problematiche, ma anche le gioie delle mamme atlete, con le interviste a Martina Guiggi, Serena Ortolani e molte altre. Ora che il tema è letteralmente esploso a livello mediatico, grazie al clamore suscitato dalla denuncia di Lara Lugli, non potevamo non interpellare Francesca Ferretti, grande campionessa azzurra e lei stessa orgogliosa rappresentante della “categoria” delle madri giocatrici. Ecco la sua intervista sulle tutele per le atlete in gravidanza e su molto altro.
    Francesca, ormai nel mondo della pallavolo non si parla d’altro che del caso Lugli…
    “Ne abbiamo parlato anche nella mia squadra, perché si dà il caso che con me giochi Valentina Trevisan, la nipote di Lara! Sul tema innanzitutto va fatta chiarezza: Lugli non ha imputato alla società la rescissione automatica del contratto per gravidanza – che abbiamo sempre accettato, forse sbagliando – ma il mancato pagamento dello stipendio e la successiva citazione per danni. Cosa che trovo veramente assurda: considerare la gravidanza un danno è un insulto per chi non riesce ad avere figli, e le parole scritte nell’atto di citazione sono inaccettabili. Sono cose che, oltretutto, dovrebbero rimanere private, e che comunque sono state accettate da entrambe le parti al momento della firma“.
    Adesso, però, il tema è sulla bocca di tutti e finalmente si ritorna a discutere anche di tutele. Cosa ne pensi?
    “Si è aperta una porta, anzi un portone: spero che possa essere d’aiuto per le pallavoliste che si metteranno su questo cammino in futuro e per i tanti casi passati che erano rimasti lontani dai riflettori. Non è giusto, tra le altre cose, dover preannunciare alla società la propria intenzione di rimanere incinte“.
    Ma in che direzione si potrebbe agire?
    “Bisogna partire a monte, perché tanto per cominciare non siamo tutelate dal punto di vista lavorativo, i nostri contratti hanno davvero poco valore. Lo dicono i tanti casi in cui giocatrici e giocatori non sono stati pagati, per ragioni diverse. È chiaro che le donne hanno problemi ancora maggiori rispetto agli altri: qualcosa si è mosso con l’introduzione del fondo per la maternità, ma non basta“.
    Anche tu sei diventata mamma, sia pure alla fine della carriera. Come è stata la tua esperienza?
    “Per me è stato diverso, io desideravo un figlio ma avevo già deciso di smettere. Non ho mai preso in considerazione l’idea di provarci mentre giocavo, non mi sembrava giusto. Mi sarei sentita abbastanza a disagio nel farlo durante la stagione, se poi fosse capitato inaspettatamente sarebbe stato un altro discorso. È una questione piuttosto complessa, noi lavoriamo con il nostro corpo e dobbiamo metterlo in conto. Credo però che resti un diritto dell’atleta e spero che se ne parli sempre di più, perché senz’altro capiterà ancora“.
    Cambiamo argomento: da qualche tempo hai ripreso a giocare con l’OSGB Volley di Campagnola Emilia, in B2. Come sta andando?
    “Diciamo bene, a parte i problemi legati alla pandemia. Ci stiamo allenando regolarmente, anche se non si possono fare grandi programmi per il futuro: la partita di sabato prossimo, ad esempio, l’abbiamo dovuta rinviare, e nel nostro girone ne sono saltate già 5. C’è anche il problema di definire le date dei recuperi, perché non siamo in serie A e le giocatrici hanno altri impegni. Non so se riusciremo a finire regolarmente la stagione: il mio allenatore è pessimista, ma lui lo è sempre…“.
    Dal punto di vista organizzativo, che problemi comporta essere mamma e atleta?
    “Mi trovo bene, l’impegno richiesto è quello giusto per permettermi di organizzare la mia vita. Abbiamo 3/4 allenamenti alla settimana, tutti in zona. È chiaro che comunque bisogna fare sacrifici: gli allenamenti finiscono tardi, torno a casa alle 22.30 e mio marito è fuori, quindi ho dovuto chiedere ai miei genitori di darmi una grossa mano“.
    Per il resto com’è stato il tuo ritorno in campo?
    “Sono molto contenta: mi mancava l’ambiente, lo spogliatoio, tutto. Anche soltanto fare due risate con le compagne di squadra, visto che frequentarsi nella vita quotidiana è così problematico. L’allenamento è un grande aiuto per staccare la spina, sfogarsi un po’ e non buttarsi troppo giù in questo periodo così difficile. Fisicamente sto abbastanza bene. Mi dispiace solo che non sono ancora riuscita a portare alle mie partite né mio figlio, né i nonni: giustamente, rispettiamo l’obbligo delle porte chiuse“.
    E a un futuro nella pallavolo, ci pensi?
    “È il mondo in cui sono nata e mi sono formata, ovvio che non mi dispiacerebbe restarci, anche perché ho costruito tante amicizie e legami in questo ambiente. Le caratteristiche potrei anche averle: non mi vedo molto nel ruolo di allenatrice, non mi sento portata, ma magari potrei fare il team manager, conoscendo bene le esigenze delle giocatrici. Ho provato anche a fare da commentatrice per la Lega femminile in qualche partita, e mi piacerebbe riprovare, chissà (Francesca è modesta, ma anche la sua “carriera” da giornalista si è avviata benissimo… n.d.r.)”.
    Ultima domanda: come vedi la nostra nazionale in vista delle Olimpiadi di Tokyo, che a quanto pare si svolgeranno regolarmente? Avremo problemi dopo due anni senza gare internazionali?
    “Non credo, sinceramente. Il nostro gruppo era molto affiatato e sicuramente non cambierà molto, basteranno un po’ di allenamenti per ritrovare l’intesa. Poi, ovviamente, ci vorrà qualche test contro alte nazionali. Sicuramente ci siamo fermati sul più bello, con una squadra che stava crescendo e che credo possa fare benissimo almeno per altri 4 anni, se non di più: abbiamo giocatrici veramente fortissime“. LEGGI TUTTO

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    Maria Segura fa la differenza in Bundesliga: “La pallavolo tedesca è in grande crescita”

    Di Alessandro Garotta
    Il netto processo di crescita che l’Allianz MTV Stuttgart ha avuto nel corso degli ultimi anni è sostanziale. Un risultato frutto senz’altro di serietà, organizzazione, programmazione e concretezza che questa società ha dimostrato di avere come punti cardine. La crescita totale, però, la si può percepire anche e soprattutto sul campo, dove l’orchestra attualmente diretta da Tore Aleksandersen funziona egregiamente, basandosi su una moderna concezione della pallavolo. 
    Tra le fila di questa ambiziosa squadra tedesca c’è anche una vecchia conoscenza del nostro campionato, divenuta nel giro di poco tempo un fattore determinante, attraverso punti, giocate difensive ed una costante maturazione, che l’hanno posta fra le schiacciatrici più decisive in Bundesliga: stiamo parlando della spagnola Maria Segura Pallerès, che si è raccontata in esclusiva ai microfoni di Volley NEWS.
    Maria, come si trova all’Allianz MTV Stuttgart e perché ha scelto di intraprendere questa esperienza in Germania? 
    “Allo Stuttgart mi trovo molto bene. La società ha un’organizzazione meravigliosa e da questo punto di vista è una delle migliori in cui sono stata. Ho scelto di giocare in Germania perché la mia precedente esperienza (al Dresdner SC nella stagione 2018-2019, n.d..) era stata positiva e soprattutto per la prospettiva di giocare ad alti livelli, lottare per la vittoria dei trofei nazionali e misurarmi in Champions League“.
    Che livello ha trovato in Bundesliga?
    “È un campionato di buon livello. Ovviamente ci sono squadre più o meno forti, ma penso che le prime otto siano state costruite bene, tanto che a noi è capitato di perdere contro quelle a metà classifica. Penso che la pallavolo tedesca sia in crescita anche per la presenza di talenti interessanti che diventeranno presto protagonisti a livello internazionale“. 
    Dopo una fase di adattamento ai cambiamenti della rosa e al cambio di allenatore, la sua squadra occupa il primo posto in classifica. Avete la sensazione di essere in costante miglioramento? 
    “Certamente. Con il nuovo allenatore abbiamo modificato il nostro sistema di gioco, che è diventato molto più strutturato e veloce, e di correlazione muro-difesa. Questi cambiamenti ci hanno aiutato a crescere come squadra e ora siamo pronte a raccogliere i frutti del nostro lavoro nel finale di stagione“. 
    Qual è il vostro obiettivo stagionale? 
    “All’inizio i nostri obiettivi erano di vincere la Coppa nazionale e il campionato. Purtroppo, il primo non lo abbiamo centrato, essendo state eliminate in semifinale dal Potsdam. Quindi, ora dovremo riscattarci nei play off e confermare l’attuale primo posto. Volevamo fare un buon percorso anche in Champions e, nonostante l’eliminazione nella fase a gironi, ce la siamo giocata alla pari con avversarie di grande calibro – come la Dinamo Mosca, l’Eczacibasi e la Lokomotiv Kaliningrad – mettendo in mostra tutti i progressi della squadra“. 
    Foto Jens Körner/Allianz MTV Stuttgart
    A proposito, com’è stata la sua prima volta in Champions League? 
    “Giocare questa competizione era uno dei miei grandi sogni, che finalmente si è realizzato: è stata un’esperienza straordinaria e mi sono goduta davvero ogni momento. Peccato per la sconfitta nella gara di andata contro la Lokomotiv Kaliningrad, altrimenti avremmo potuto ambire ai quarti di finale. In ogni caso, siamo soddisfatte di quello abbiamo fatto in Europa“. 
    Per ben sei volte è stata nominata MVP: pensa che questa possa esser la stagione del suo definitivo salto di qualità? 
    “Non avrei mai potuto vincere così tante volte il titolo di MVP senza il contributo delle mie compagne: una parte del merito è da attribuire a loro. Sono molto contenta delle mie performance e ormai ho acquisito la consapevolezza di essere una giocatrice esperta e completa, che può dare un contributo alla propria squadra in ogni fondamentale. Non so se ho raggiunto il culmine della mia maturazione come giocatrice, dal momento che si può sempre migliorare, ma probabilmente sono un po’ più vicina“. 
    Facciamo un passo indietro. Qual è stato il momento più bello che ha vissuto nelle sue esperienze in Italia? 
    “È difficile sceglierne soltanto uno perché ogni stagione è stata meravigliosa e allo stesso tempo diversa dalle altre. Infatti, mi è capitato di giocare in Serie A2 e puntare alla promozione, ma anche di lottare per la salvezza o per raggiungere i playoff in A1. Per esempio, la stagione a Monza è stata davvero speciale perché ho realizzato il sogno di giocare nel massimo campionato italiano. Ma non dimentico nemmeno la prima volta lontano dalla Spagna con Olbia in A2, così come le esperienze a Cuneo e Trento, dove ho sfiorato la promozione facendo parte di gruppi straordinari. E ovviamente è stata positiva anche la scorsa annata a Brescia, visto che prima dell’interruzione stavamo centrando l’obiettivo salvezza“. 
    Foto Volley Millenium Brescia
    Come vede il campionato italiano quest’anno? 
    “Per me la Serie A1 rimane uno dei campionati più belli e competitivi in assoluto. Ci sono tante squadre ben strutturate che stanno giocando su ottimi livelli. Ovviamente Conegliano è la grande favorita per la vittoria di Scudetto e Coppa Italia, e probabilmente se la giocherà con il VakifBank in Champions League“.
    Quali sono i suoi sogni per il futuro? 
    “Vorrei continuare il processo di crescita, e diventare una giocatrice sempre più forte e importante per la mia squadra. Mi piace giocare una pallavolo veloce come quella che stiamo mettendo in mostra, quindi spero di restare allo Stuttgart anche nelle prossime stagioni e magari vincere qualche titolo“.
    Un proverbio spagnolo recita: “Come a casa, da nessuna parte“. Le piacerebbe tornare a giocare in Spagna un giorno?
    “Onestamente la considero una prospettiva per il futuro a lungo termine perché al momento voglio giocare ad alti livelli: il campionato spagnolo non è paragonabile a quello italiano o tedesco“.  LEGGI TUTTO

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    La doppia vita di Serena Zingaro: “Pallavolo e studi, non ho rinunciato a nulla”

    Di Stefano Benzi
    La Futura Volley Giovani Busto Arsizio è una di quelle realtà che, più di altre, mantiene una dimensione umana che vale la pena raccontare e conoscere. Ragazze che arrivano in corsa con tanta buona volontà e che si gettano in campo con tutto il loro entusiasmo (Elisa Vecerina ne è un esempio). Altre come Latham che potrebbero vivere di prepotenza ma non rinunciano ad affiancare le ragazze più giovani. E poi c’è il caso singolare di chi come Serena Zingaro, alla (bella) età di 26 anni, è da considerare come una veterana.
    Serena ha una storia molto particolare: inizia a giocare a pallavolo tra scuola e oratorio, dividendo i suoi impegni agonistici con la ginnastica artistica. Poi la pallavolo vince. Da ragazzina è altissima, con due braccia lunghe lunghe. Campionati Under 16, poi Under 18, poi la B2 che comincia a togliere tempo a tutto il resto. Una ragazza versatile, che sa adattarsi: inizia opposto, poi gioca centrale acquisendo una certa sicurezza. Ma Lucchini, fin dalle giovanili di Busto, la comincia a portare in ricezione, dove almeno all’inizio Serena deve gestire l’istinto e un aspetto importante: la pazienza. Nel frattempo studia e dopo nove anni alla UYBA va a fare la chioccia alla Futura Volley. Le mancano pochi esami e la tesi per laurearsi.
    Quest’anno il campo le porta i gradi di capitano e alla fine arriva anche l’agognatissima laurea. Da ragazzina sognava di fare l’osteopata, il medico. Alla fine arriva una laurea in Pedagogia con una tesi sul doppio ruolo dei giocatori professionisti che decidono anche di studiare pensando a una carriera accademica. Quando Lucchini, che la ritrova alla Futura, la chiama in campo, Serena risponde presente: il suo piccolo capolavoro nel recupero contro l’Hermaea Olbia della settima giornata. Entra in campo in un momento di grande difficoltà e stravolge il match prendendo per mano la squadra e accompagnandola alla vittoria.
    Serena, che avrebbe voluto fare il medico, forse farà l’insegnante o magari applicherà i suoi studi sul campo facendo l’allenatrice: “Ancora per la verità non lo so – dice la giocatrice, 27 anni a luglio – so che alla pallavolo ho dedicato tanto tempo e tanta passione e vorrei poter continuare a giocare fino a quando sarà possibile. Futura è un ambiente ideale sotto questo aspetto, con un bel gruppo di lavoro, che mi ha consentito non solo di giocare ad alto livello ma anche di finire i miei studi“.
    Spesso si parla di doppio ruolo per i giocatori, giocatrice e mamma, atleta e professionista, piuttosto che studente: “Non è semplice – ammette Serena – il campo richiede tanto impegno, tanta dedizione, tantissima fatica. E a volte si torna a casa davvero stanchi: e l’idea di mettersi sui libri non è semplice. La pandemia poi ha complicato tutto togliendoci tante cose importanti. La presenza del pubblico, la gioia di condividere spazi ed eventi. Sono felice di avere concretizzato un obiettivo che per me era molto importante dando comunque un contributo alla squadra. E ora sul cosa fare ‘da grande’… vedremo. Per ora mi vedo ancora una giocatrice di pallavolo. Non rinuncio a niente“.
    Serena Zingaro è un bell’esempio, silenzioso e allegro, di una piccola moltitudine di atleti che divide il suo tempo tra libri e palestra in lunghe giornate di impegni infiniti. In un paese in cui non c’è uno straccio di sostegno economico concreto – se non quello privato di alcune aziende, poche, che investono pochissimo (e solo perché lo scaricano dalle tasse) – per gli atleti che studiano. Un quadro che fa a cazzotti con quello che si vede negli Stati Uniti, dove gli atleti studiano proprio perché sono atleti, o in Germania, Svizzera, Francia, Inghilterra e Irlanda dove qualsiasi Campus è anche e soprattutto luogo di sport.
    La speranza è che tra i tanti studenti-sportivi che si stanno laureando in questa sessione, con tesi da casa in collegamento streaming, senza festa, amici e applauso di rito, ci sia qualcuno che un domani sappia cambiare davvero le cose. Nel paese che le università le ha create, sarebbe il minimo. LEGGI TUTTO

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    Bergamo, il presidente Agnelli: “Vedremo di fare pentole e coperchi, siamo pronti”

    Di Stefano Benzi
    L’Agnelli Tipiesse Bergamo pensa in grande. La prima sconfitta in campionato subita dal Gruppo Consoli Centrale del Latte Brescia domenica scorsa, non ha certo ridimensionato le ambizioni dell’Olimpia e del suo presidente Angelo Agnelli, che dimostra tutta la sua passione con idee, concretezza e soprattutto presenza. Sempre presente in partita, a Cisano Bergamasco dove l’Olimpia ha allestito il suo quartiere generale, il presidente è spessissimo a vedere gli allenamenti della prima squadra e partecipa a tutto quello che è la vita del settore giovanile del club.
    Spostarsi da Bergamo in provincia non è stato un ridimensionamento, anzi: “Possiamo tranquillamente dire che Cisano è una delle chiavi del nostro successo di quest’anno, e non solo per una questione di contenimento dei costi. Qui, anche se non possiamo ospitare pubblico in questa stagione così atipica e difficile, siamo davvero a casa: abbiamo a disposizione un impianto tutto per noi. I ragazzi possono allenarsi, fare palestra o piscina quando vogliono organizzandosi sulla base delle esigenze di giornata“.
    In un periodo in cui amministrazioni e istituzioni brillano per assenza nel sostegno allo sport di base il piccolo comune di Cisano Bergamasco, seimila abitanti e spiccioli, è un’eccezione preziosa: “Qui ci vogliono bene, ci hanno voluto, sostenuto, aiutato e alle nostre partite non manca mai qualcuno del comune a vederci. La gente ci dimostra affetto e attenzione. Un peccato che l’impianto debba restare vuoto“.
    Nel frattempo il settore giovanile cresce, l’angolo di Brianza tra Como e Bergamo si dimostra un bacino interessante per lavorare con le scuole e le polisportive più piccole. L’Atalanta calcio, pur mangiandosi una gran fetta delle sponsorizzazioni, resta un modello: “Vogliamo crescere e lo faremo a Cisano. Se – parola che Agnelli sottolinea con moltissima evidenza, un po’ per pragmatismo e un po’ per scaramanzia – concretizzeremo un futuro in Superlega, resteremo comunque qui. Abbiamo in programma investimenti importanti sul palasport del comune: lo amplieremo, alzando il tetto e creando un polo importante tutto dedicato al volley. Se dovremo andare a giocare le gare del massimo campionato altrove, vedremo dove farlo“.
    Bergamo è esclusa. Il vecchio palasport, in attesa che venga costruita la nuova Arena Gewiss, non rispetta gli standard della Superlega. L’alternativa più concreta è Treviglio: “È un’opzione concreta e praticabile – conferma Angelo Agnelli – avremmo un impianto adeguato e sono certo che il nostro progetto possa piacere e coinvolgere il pubblico“. Il PalaFacchetti di Treviglio aveva già ospitato la vecchia Foppa in Champions League e il basket maschile di A2. È omologato per tremila persone, sufficienti anche per la Superlega con qualche piccolo adeguamento.
    Nel frattempo l’Olimpia, in attesa dei playoff, si gode la finale di Coppa Italia. La vittoria contro Cuneo offre alla squadra bergamasca la possibilità di bissare il successo dello scorso anno. L’avversaria sarà la Delta Porto Viro, che ha eliminato la Conad Reggio Emilia, battuta in casa. La finale, gara secca in programma alle 20.30 dell’11 marzo, si dovrebbe giocare a Cisano. In Olimpia tengono molto a questa soluzione e hanno già chiesto alla Lega tutte le autorizzazioni del caso, presentando le documentazioni del Comune che è il proprietario dell’impianto. Il match si svolgerebbe comunque a porte chiuse.
    Per Agnelli sarà la quarta finale consecutiva per puntare al secondo trofeo di fila: “Devo essere sincero – conclude il presidente dell’Olimpia – sono molto legato alla Coppa Italia, vincerla lo scorso anno fu una soddisfazione immensa e in attesa di vedere quello che riusciremo a fare in campionato, la Coppa è il nostro primo e più importante obiettivo. Sono molto orgoglioso di come la squadra ha trasformato sul campo quelle che erano le nostre ambizioni e il progetto di partenza. Possiamo fare grandissime cose“.
    Angelo Agnelli sta vivendo un periodo drammatico per il suo territorio e il suo settore investendo e prendendosi grande responsabilità: “Stiamo pagando a durissimo prezzo scelte sulle quali ci sarebbe da dire e da discutere. Sono un fornitore di ristoranti e ristoratore a mia volta. Il nostro settore esce a pezzi. Ma piangersi addosso non serve a niente. Con il volley stiamo facendo qualcosa per il territorio, qualcosa che risvegli l’orgoglio della nostra gente. Noi siamo pronti e il futuro non ci fa alcuna paura. Faremo pentole e coperchi, e quando le porte dei palasport si riapriranno, sicuramente sapremo offrire al nostro pubblico qualcosa di ghiotto“. LEGGI TUTTO

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    Camillo Placì è tornato: “In tre mesi spero di essere pronto per allenare”

    Di Eugenio Peralta
    Tra i pochi fortunati che hanno assistito alla semifinale di andata di CEV Cup tra Saugella Monza e TENT Obrenovac c’era anche un graditissimo ospite: Camillo Placì, l’ex allenatore del Fakel Novy Urengoy. Un piacere rivederlo sui campi, dopo l’odissea del Covid-19 che lo ha costretto a rinunciare all’incarico: “Sono stato l’ultimo della mia squadra a beccarmi il virus – racconta – tutti i ragazzi mi dicevano: sei forte, Boss, come mi chiamano loro. E invece mi ha preso in una forma molto violenta, sono stato ricoverato per due mesi con una forte infezione ai polmoni e devo dire che i medici russi hanno fatto veramente un grande lavoro. Sono stati bravi, perché a un certo punto la situazione si era veramente complicata“.
    Non c’era la possibilità di continuare?
    “Assolutamente no, i medici mi hanno detto: non puoi allenare per almeno tre mesi, non puoi volare e, la cosa più importante, devi scappare dal freddo, perché non fa lavorare bene i polmoni. Non c’è stata altra soluzione che chiudere il contratto, perché il Fakel quando deve giocare in casa fa un giorno di viaggio e va in Siberia, con 4 ore di volo e temperature assurde, da meno 40 a meno 60“.
    Adesso come sta?
    “Sto facendo riabilitazione, ed è una cosa abbastanza lunga perché il Covid-19 dà moltissime complicazioni, molte più di quanto pensassi. Problemi muscolari, di sonno, al fegato, al cuore: diciamo che tocca tanti punti vitali. Lavoro un po’ con mia figlia Roberta (fisioterapista della Saugella, n.d.r.) e ne approfitto per guardare qualche allenamento e qualche partita, cosa che mi permette di tornare nell’ambiente che mi è più familiare“.
    Con il Fakel vi siete lasciati benissimo, anche a giudicare dall’affettuoso saluto che le hanno dedicato società e giocatori.
    “Certo, il presidente mi ha chiesto di fare da consulente per loro, anche perché avevo già firmato il contratto per il prossimo anno. Ho fatto 4 anni e mezzo alla guida del Fakel: sono molto contento perché in Russia non è facile arrivare e ancora meno rimanerci“.
    Forse è ancora presto per parlarne, ma cosa ha in mente per il suo futuro?
    “L’idea mia e del mio manager, adesso, è di aspettare per riprendere bene la mia forma fisica: non sono ancora in condizioni di poter lavorare e nemmeno di parlare di un progetto, non subito. Vedremo come mi ristabilirò: nel giro di tre mesi spero di essere pronto a tornare in palestra. Se per allora ci sarà ancora la possibilità di scegliere, bene, altrimenti pazienza, aspetterò che si crei una situazione favorevole e che mi piaccia“. LEGGI TUTTO