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    Jole Ruzzini torna in palestra da mamma: “Quanto mi mancava allenarmi…”

    Di Francesca Ferretti
    Continua il viaggio di Volley NEWS nell’universo delle mamme-giocatrici, naturalmente sotto la guida di un’altra mamma molto speciale come Francesca Ferretti. Dopo le chiacchierate con Martina Guiggi e Serena Ortolani, l’ex palleggiatrice azzurra ha intervistato per noi Jole Ruzzini, che pochi mesi fa ha dato alla luce il piccolo Gabriele e da qualche settimana è tornata ad allenarsi con la School Volley Perugia in Serie B2.

    Partiamo dal presente: sei diventata da poco una splendida mamma. E anche per te, appena scoperto di essere incinta, il contratto con il tuo vecchio club si è rescisso automaticamente. Come ti sei sentita ? Cosa pensi si possa fare per tutelare le giocatrici in queste situazioni?

    “Credo che, prima di essere delle giocatrici di pallavolo, siamo donne che hanno il diritto di vivere la maternità senza per questo venir giudicate, criticate o vedere il nostro contratto rescisso. Se il nostro sport fosse riconosciuto come professionistico, anche i nostri diritti sarebbero tutelati. Un grosso passo in avanti è stato comunque fatto dal Governo con l’introduzione dell’indennità di maternità per le sportive”.

    Hai deciso di ritornare in campo da pochissimo. Farlo da mamma deve essere una grande emozione. Era una decisione che avevi già maturato o ci hai pensato dopo?

    “L’idea di tornare in campo è nata strada facendo: la gravidanza è andata bene consentendomi di fare attività fisica, dopo il parto mi sono resa conto che i presupposti per riprendere c’erano tutti. Allenarmi mi mancava e ritornare in palestra, anche se per ora solo in allenamento, mi rende felice”.

    Hai partorito in pieno periodo di emergenza Covid-19. Come hai vissuto la fine della gravidanza e i primi giorni da mamma in un periodo storico così difficile?

    “È stato terribilmente difficile: ero da sola in casa in quarantena, molte visite venivano rimandate, mio marito era di rientro dalla Russia. Ho partorito da sola, senza che Keky (Francesco Cadeddu, n.d.r.) o un famigliare potesse starmi vicino… per non parlare delle settimane successive, in cui era impossibile trovare un pediatra. Sono stati mesi duri, complicati, ma Gabriele ci ha dato tanta forza e speranza”.

    Nella tua carriera hai disputato due campionati all’estero (a Bucarest e Cannes). Cosa ti porti dietro di quelle esperienze a livello culturale?

    “L’esperienza di Bucarest e di Cannes è stata unica e la porto nel cuore: poter giocare come straniera in un campionato diverso da quello italiano, insieme a tante atlete provenienti da tutta Europa, è stato uno scambio di culture continuo, ci si è confrontati con esperienze e storie diverse, non solo sportive. Secondo me un’esperienza all’estero, se fatta nel momento giusto della carriera, arricchisce non solo sportivamente”.

    Hai avuto un modello di giocatore o giocatrice al quale ti sei ispirata fin da piccola?

    “Non proprio… ma ho iniziato a giocare, come molte mie coetanee, vedendo i cartoni animati di Mila e Shiro!”.

    Qual è la compagna più forte con la quale hai giocato?

    “Ho avuto la fortuna di giocare con un sacco di atlete fortissime, ne cito qualcuna sapendo di lasciare fuori dall’elenco dei nomi importanti: Simona Gioli, Nadia Centoni, Jelena Nikolic, Lize Van Hecke, Cristina Bauer e molte altre”.

    Foto Rubin/LVF

    Nella tua famiglia si respira pallavolo a 360°: tuo marito Francesco Cadeddu è preparatore atletico della Sir Safety Conad Perugia. Quanto è importante avere una persona al proprio fianco che capisca i ritmi e la vita di una sportiva?

    “Sì, Keky – nella pallavolo lo chiamano così – si divide tra fare il preparatore atletico e l’assistente allenatore. Ci siamo conosciuti 6 anni fa, e credo che solo chi fa parte del mondo sportivo possa capire da subito le esigenze e i ritmi che abbiamo noi atlete, e viceversa, perché anche lui ha sempre passato molto tempo tra palestra, viaggi e studio delle partite. Ci sono volte in cui magari dopo non esserci visti per settimane si deve aspettare la conferenza stampa, o le riunioni post gara, o di aver salutato tutti prima di potersi abbracciare, e questa cosa solo chi la vive o l’ha vissuta la può capire da subito”.

    Quando hai capito che la pallavolo sarebbe diventato il tuo lavoro oltre che la tua passione?

    “Quando me l’hanno detto gli altri, e ovviamente, quando ho iniziato la mia carriera in serie A. Io non ho mai visto la pallavolo come un lavoro, ma come una grande passione che mi ha fatto fare esperienze uniche”.

    La partita che vorresti rigiocare e quella che non dimenticherai mai.

    “Non scorderò mai il mio esordio in A1 ,contro Conegliano, mentre la partita che vorrei rigiocare è la finale scudetto con Cannes nel 2018, persa per 3-2 contro Beziers, dopo una rimonta incredibile nel quinto set, purtroppo non portata a termine”.

    Come vedi Jole tra 10 anni? Sempre nel mondo del volley o hai altri progetti?

    “Difficile immaginarsi tra così tanto tempo, ma credo e spero che sarò sempre in questo mondo, anche se in altre vesti e con altri compiti”. LEGGI TUTTO

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    Francesca Ferretti intervista Martina Guiggi: “Che fatica essere mamma e giocatrice!”

    Di Francesca Ferretti
    La squadra di Volley NEWS si arricchisce di una “regista” d’eccezione: l’ex palleggiatrice azzurra Francesca Ferretti, campione d’Europa nel 2007 con la nazionale italiana, cinque volte scudettata e per anni grande protagonista del campionato italiano! Francesca intervisterà per noi le campionesse del passato e del presente per raccontare “dall’interno” tutte le sfumature della pallavolo femminile. Per inaugurare nel migliore dei modi la sua rubrica vi proponiamo l’intervista a una delle sue più celebri compagne d’avventura, in nazionale e nei club: Martina Guiggi, ex centrale della nazionale trasferitasi da quest’anno in Slovenia, dove gioca nel Calcit Kamnik.
    Foto Rubin/LVF
    Sei tornata alla pallavolo dopo la maternità: come è cambiata la tua vita, e soprattutto il tuo rapporto con lo sport?
    “Praticamente è cambiato tutto! Prima il mio unico pensiero era allenarmi e giocare, poi il resto della giornata me la gestivo con calma, tra i lavori di casa, uscire, fare shopping, dormire (ride, n.d.r.)… Adesso la bimba è la mia priorità assoluta e gira tutto intorno a lei. Bisogna cercare di preparare tutto in anticipo perché stia bene mentre io sono agli allenamenti, incastrare il mio programma con quelli di Mitar (Djuric, marito di Martina, n.d.r.) e della babysitter, e resta pochissimo tempo per riposarsi perché nei rari momenti in cui lei dorme cerco di fare tutto il resto! Ecco, in tutto questo giocare è diventato molto più stancante rispetto a prima, anche perché devi sempre pensare a mille cose e non sei mai tranquillo”.
    A proposito di maternità: cosa ne pensi del caso scoppiato a riguardo della gravidanza di Carli Lloyd?
    “Be’, quello è da sempre un punto debole della nostra organizzazione. Per la verità non soltanto la maternità, ma tutti gli aspetti legati al non essere professioniste, a partire dalla mancanza di contributi previdenziali e di riconoscimento legale. Capisco che politicamente sarebbe difficile introdurre questa riforma, però almeno per la maternità bisognerebbe fare un discorso a parte: ogni donna deve avere il diritto di essere mamma. Anche nel mio contratto qui in Slovenia c’era una clausola che regolamentava la maternità: bisognerebbe trovare una formula che tuteli un po’ tutti, giocatrici e società”.
    Come sta andando la stagione in Slovenia, e com’è giocare senza pubblico?
    “Abbiamo iniziato da qualche settimana il campionato e abbiamo partecipato alla Champions League (il Calcit è stato eliminato nel secondo turno preliminare dal LKS Commercecon Lodz, n.d.r.). Diciamo che qui è tutto un po’ più tranquillo e rilassato, anche il lavoro in palestra non è così strutturato come da noi. Per quanto riguarda le porte chiuse, è davvero strano: l’ambiente è un po’ morto, tutto sembra un po’ più lento e un po’ più buio, come se fosse un allenamento. Di certo non senti la carica che ti dà un palazzetto pieno, il livello di tensione è più basso e bisogna essere bravi a trovare un po’ di motivazioni senza l’aiuto del pubblico”.
    Ripensando alla tua carriera da pallavolista, c’è qualcosa che vorresti cambiare?
    “È una domanda difficile: a posteriori uno cambierebbe tantissime cose, ma a pensarci bene tutto ciò che ho fatto, comprese le scelte sbagliate, mi hanno insegnato qualcosa o mi ha permesso di guadagnare qualcos’altro. I più grandi rimpianti riguardano indubbiamente la nazionale, come credo anche per te: resta l’idea che forse potevano essere ripagati diversamente i tanti sacrifici che avevamo fatto, dandoci più spazio in azzurro. Però poi mi guardo indietro e penso che, se fossi stata convocata alle Olimpiadi di Londra 2012, forse non avrei conosciuto Mitar e la mia vita sarebbe cambiata… ogni cosa ha il suo perché e io mi sento abbastanza a posto con la mia coscienza, tutto quello che potevo fare l’ho fatto con il massimo impegno. E poi ci sono tutte le altre cose che non dipendono da noi”.
    Foto FIVB
    Quando eri agli inizi c’era una giocatrice a cui ti ispiravi?
    “Sì, era Manu Leggeri, con cui poi siamo arrivate a giocare insieme! Mi è sempre sembrata una persona con tanta grinta, mi piaceva il suo atteggiamento, al di là di quello che faceva in campo. La guardavo e volevo essere come lei”.
    Com’è cambiata la pallavolo rispetto agli anni della Scavolini?
    “Facile: la pallavolo moderna è molto più fisica rispetto a quello che si faceva una volta, molto più potente, magari entusiasmante da vedere, ma molto meno tecnica. Il gioco probabilmente è più scontato adesso che dieci anni fa, perché allora si puntava di più sulla tecnica, sugli schemi, sulla velocità, adesso si va di ‘bombe’ dalla prima linea o magari anche dalla seconda, per chi può, e si lavora nettamente meno su fondamentali come bagher e alzata”.
    Il post-carriera è sempre un gran problema per gli atleti: tu cosa vorresti fare “da grande”?
    “È un grande punto interrogativo in generale, e adesso a maggior ragione per il periodo di insicurezza causato dal Covid-19. Noi giocatori un po’ più ‘vecchiotti’ inevitabilmente stiamo pensando a cosa fare dopo. Una cosa che mi piacerebbe fare è provare a diventare agente immobiliare: è il lavoro che fanno i miei genitori e ho sempre messo i miei risparmi in quel settore. È una professione che non richiede grandi titoli di studio e non è legata a una zona particolare, si può esercitare anche all’estero. Ma prima viene un’idea più grande, quella di avere il secondo figlio: adesso mi concentro su questo e poi, quando Mitar sarà a fine carriera, vedremo. A lui piacerebbe fare il fisioterapista, cercheremo di conciliare le esigenze di entrambi”. LEGGI TUTTO